Gerusalemme liberata, canto I e II
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
CANTO PRIMO
1 Canto l'arme pietose e 'l capitano che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, molto soffrí nel glorioso acquisto; e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi segni ridusse i suoi compagni erranti. 2 O Musa, tu che di caduchi allori non circondi la fronte in Elicona, ma su nel cielo infra i beati cori hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio celesti ardori, tu rischiara il mio canto, e tu perdona s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte d'altri diletti, che de' tuoi, le carte. 3 Sai che là corre il mondo ove piú versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, e che 'l vero, condito in molli versi, i piú schivi allettando ha persuaso. Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l'inganno suo vita riceve. 4 Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli al furor di fortuna e guidi in porto me peregrino errante, e fra gli scogli e fra l'onde agitato e quasi absorto, queste mie carte in lieta fronte accogli, che quasi in voto a te sacrate i' porto. Forse un dí fia che la presaga penna osi scriver di te quel ch'or n'accenna. 5 È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace il buon popol di Cristo unqua si veda, e con navi e cavalli al fero Trace cerchi ritòr la grande ingiusta preda, ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace, l'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri carmi intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi. 6 Già 'l sesto anno volgea, ch'in oriente passò il campo cristiano a l'alta impresa; e Nicea per assalto, e la potente Antiochia con arte avea già presa. L'avea poscia in battaglia incontra gente di Persia innumerabile difesa, e Tortosa espugnata; indi a la rea stagion diè loco, e 'l novo anno attendea. 7 E 'l fine omai di quel piovoso inverno, che fea l'arme cessar, lunge non era; quando da l'alto soglio il Padre eterno, ch'è ne la parte piú del ciel sincera, e quanto è da le stelle al basso inferno, tanto è piú in su de la stellata spera, gli occhi in giú volse, e in un sol punto e in una vista mirò ciò ch'in sé il mondo aduna. 8 Mirò tutte le cose, ed in Soria s'affisò poi ne' principi cristiani; e con quel guardo suo ch'a dentro spia nel piú secreto lor gli affetti umani, vide Goffredo che scacciar desia de la santa città gli empi pagani, e pien di fé, di zelo, ogni mortale gloria, imperio, tesor mette in non cale. 9 Ma vede in Baldovin cupido ingegno, ch'a l'umane grandezze intento aspira: vede Tancredi aver la vita a sdegno, tanto un suo vano amor l'ange e martira: e fondar Boemondo al novo regno suo d'Antiochia alti princípi mira, e leggi imporre, ed introdur costume ed arti e culto di verace nume; 10 e cotanto internarsi in tal pensiero, ch'altra impresa non par che piú rammenti: scorge in Rinaldo e animo guerriero e spirti di riposo impazienti; non cupidigia in lui d'oro o d'impero, ma d'onor brame immoderate, ardenti: scorge che da la bocca intento pende di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende. 11 Ma poi ch'ebbe di questi e d'altri cori scòrti gl'intimi sensi il Re del mondo, chiama a sé da gli angelici splendori Gabriel, che ne' primi era secondo. È tra Dio questi e l'anime migliori interprete fedel, nunzio giocondo: giú i decreti del Ciel porta, ed al Cielo riporta de' mortali i preghi e 'l zelo. 12 Disse al suo nunzio Dio: "Goffredo trova, e in mio nome di' lui: perché si cessa? perché la guerra omai non si rinova a liberar Gierusalemme oppressa? Chiami i duci a consiglio, e i tardi mova a l'alta impresa: ei capitan fia d'essa. Io qui l'eleggo; e 'l faran gli altri in terra, già suoi compagni, or suoi ministri in guerra." 13 Cosí parlogli, e Gabriel s'accinse veloce ad esseguir l'imposte cose: la sua forma invisibil d'aria cinse ed al senso mortal la sottopose. Umane membra, aspetto uman si finse, ma di celeste maestà il compose; tra giovene e fanciullo età confine prese, ed ornò di raggi il biondo crine. 14 Ali bianche vestí, c'han d'or le cime, infaticabilmente agili e preste. Fende i venti e le nubi, e va sublime sovra la terra e sovra il mar con queste. Cosí vestito, indirizzossi a l'ime parti del mondo il messaggier celeste: pria sul Libano monte ei si ritenne, e si librò su l'adeguate penne; 15 e vèr le piagge di Tortosa poi drizzò precipitando il volo in giuso. Sorgeva il novo sol da i lidi eoi, parte già fuor, ma 'l piú ne l'onde chiuso; e porgea matutini i preghi suoi Goffredo a Dio, come egli avea per uso; quando a paro co 'l sol, ma piú lucente, l'angelo gli apparí da l'oriente; 16 e gli disse: "Goffredo, ecco opportuna già la stagion ch'al guerreggiar s'aspetta; perché dunque trapor dimora alcuna a liberar Gierusalem soggetta? Tu i principi a consiglio omai raguna, tu al fin de l'opra i neghittosi affretta. Dio per lor duce già t'elegge, ed essi sopporran volontari a te se stessi. 17 Dio messaggier mi manda: io ti rivelo la sua mente in suo nome. Oh quanta spene aver d'alta vittoria, oh quanto zelo de l'oste a te commessa or ti conviene!" Tacque; e, sparito, rivolò del cielo a le parti piú eccelse e piú serene. Resta Goffredo a i detti, a lo splendore, d'occhi abbagliato, attonito di core. 18 Ma poi che si riscote, e che discorre chi venne, chi mandò, che gli fu detto, se già bramava, or tutto arde d'imporre fine a la guerra ond'egli è duce eletto. Non che 'l vedersi a gli altri in Ciel preporre d'aura d'ambizion gli gonfi il petto, ma il suo voler piú nel voler s'infiamma del suo Signor, come favilla in fiamma. 19 Dunque gli eroi compagni, i quai non lunge erano sparsi, a ragunarsi invita; lettere a lettre, e messi a messi aggiunge, sempre al consiglio è la preghiera unita; ciò ch'alma generosa alletta e punge, ciò che può risvegliar virtù sopita, tutto par che ritrovi, e in efficace modo l'adorna sí che sforza e piace. 20 Vennero i duci, e gli altri anco seguiro, e Boemondo sol qui non convenne. Parte fuor s'attendò, parte nel giro e tra gli alberghi suoi Tortosa tenne. I grandi de l'essercito s'uniro (glorioso senato) in dí solenne. Qui il pio Goffredo incominciò tra loro, augusto in volto ed in sermon sonoro: 21 "Guerrier di Dio, ch'a ristorar i danni de la sua fede il Re del Cielo elesse, e securi fra l'arme e fra gl'inganni de la terra e del mar vi scòrse e resse, sí ch'abbiam tante e tante in sí pochi anni ribellanti provincie a lui sommesse, e fra le genti debellate e dome stese l'insegne sue vittrici e 'l nome, 22 già non lasciammo i dolci pegni e 'l nido nativo noi (se 'l creder mio non erra), né la vita esponemmo al mare infido ed a i perigli di lontana guerra, per acquistar di breve suono un grido vulgare e posseder barbara terra, ché proposto ci avremmo angusto e scarso premio, e in danno de l'alme il sangue sparso. 23 Ma fu de' pensier nostri ultimo segno espugnar di Sion le nobil mura, e sottrarre i cristiani al giogo indegno di servitù cosí spiacente e dura, fondando in Palestina un novo regno, ov'abbia la pietà sede secura; né sia chi neghi al peregrin devoto d'adorar la gran tomba e sciòrre il voto. 24 Dunque il fatto sin ora al rischio è molto, piú che molto al travaglio, a l'onor poco, nulla al disegno, ove o si fermi o vòlto sia l'impeto de l'armi in altro loco. Che gioverà l'aver d'Europa accolto sí grande sforzo, e posto in Asia il foco, quando sia poi di sí gran moti il fine non fabbriche di regni, ma ruine? 25 Non edifica quei che vuol gl'imperi su fondamenti fabricar mondani, ove ha pochi di patria e fé stranieri fra gl'infiniti popoli pagani, ove ne' Greci non conven che speri, e i favor d'Occidente ha sí lontani; ma ben move ruine, ond'egli oppresso sol construtto un sepolcro abbia a se stesso. 26 Turchi, Persi, Antiochia (illustre suono e di nome magnifico e di cose) opre nostre non già, ma del Ciel dono furo, e vittorie fur meravigliose. Or se da noi rivolte e torte sono contra quel fin che 'l donator dispose, temo ce 'n privi, e favola a le genti quel sí chiaro rimbombo al fin diventi. 27 Ah non sia alcun, per Dio, che sí graditi doni in uso sí reo perda e diffonda! A quei che sono alti princípi orditi di tutta l'opra il filo e 'l fin risponda. Ora che i passi liberi e spediti, ora che la stagione abbiam seconda, ché non corriamo a la città ch'è mèta d'ogni nostra vittoria? e che piú 'l vieta? 28 Principi, io vi protesto (i miei protesti udrà il mondo presente, udrà il futuro, l'odono or su nel Cielo anco i Celesti): il tempo de l'impresa è già maturo; men diviene opportun piú che si resti, incertissimo fia quel ch'è securo. Presago son, s'è lento il nostro corso, avrà d'Egitto il Palestin soccorso." 29 Disse, e a i detti seguí breve bisbiglio; ma sorse poscia il solitario Piero, che privato fra' principi a consiglio sedea, del gran passaggio autor primiero: "Ciò ch'essorta Goffredo, ed io consiglio, né loco a dubbio v'ha, sí certo è il vero e per sé noto: ei dimostrollo a lungo, voi l'approvate, io questo sol v'aggiungo: 30 se ben raccolgo le discordie e l'onte quasi a prova da voi fatte e patite, i ritrosi pareri, e le non pronte e in mezzo a l'esseguire opre impedite, reco ad un'altra originaria fonte la cagion d'ogni indugio e d'ogni lite, a quella autorità che, in molti e vari d'opinion quasi librata, è pari. 31 Ove un sol non impera, onde i giudíci pendano poi de' premi e de le pene, onde sian compartite opre ed uffici, ivi errante il governo esser conviene. Deh! fate un corpo sol de' membri amici, fate un capo che gli altri indrizzi e frene, date ad un sol lo scettro e la possanza, e sostenga di re vece e sembianza." 32 Qui tacque il veglio. Or quai pensier, quai petti son chiusi a te, sant'Aura e divo Ardore? Inspiri tu de l'Eremita i detti, e tu gl'imprimi a i cavalier nel core; sgombri gl'inserti, anzi gl'innati affetti di sovrastar, di libertà, d'onore, sí che Guglielmo e Guelfo, i piú sublimi, chiamàr Goffredo per lor duce i primi. 33 L'approvàr gli altri: esser sue parti denno deliberare e comandar altrui. Imponga a i vinti legge egli a suo senno, porti la guerra e quando vòle e a cui; gli altri, già pari, ubidienti al cenno siano or ministri de gl'imperii sui. Concluso ciò, fama ne vola, e grande per le lingue de gli uomini si spande. 34 Ei si mostra a i soldati, e ben lor pare degno de l'alto grado ove l'han posto, e riceve i saluti e 'l militare applauso, in volto placido e composto. Poi ch'a le dimostranze umili e care d'amor, d'ubidienza ebbe risposto, impon che 'l dí seguente in un gran campo tutto si mostri a lui schierato il campo. 35 Facea ne l'oriente il sol ritorno, sereno e luminoso oltre l'usato, quando co' raggi uscí del novo giorno sotto l'insegne ogni guerriero armato, e si mostrò quanto poté piú adorno al pio Buglion, girando il largo prato. S'era egli fermo, e si vedea davanti passar distinti i cavalieri e i fanti. 36 Mente, de gli anni e de l'oblio nemica, de le cose custode e dispensiera, vagliami tua ragion, sí ch'io ridica di quel campo ogni duce ed ogni schiera: suoni e risplenda la lor fama antica, fatta da gli anni omai tacita e nera; tolto da' tuoi tesori, orni mia lingua ciò ch'ascolti ogni età, nulla l'estingua. 37 Prima i Franchi mostràrsi: il duce loro Ugone esser solea, del re fratello. Ne l'Isola di Francia eletti foro, fra quattro fiumi, ampio paese e bello. Poscia ch'Ugon morí, de' gigli d'oro seguí l'usata insegna il fer drapello sotto Clotareo, capitano egregio, a cui, se nulla manca, è il nome regio. 38 Mille son di gravissima armatura, sono altrettanti i cavalier seguenti, di disciplina a i primi e di natura e d'arme e di sembianza indifferenti; normandi tutti, e gli ha Roberto in cura, che principe nativo è de le genti. Poi duo pastor de' popoli spiegaro le squadre lor, Guglielmo ed Ademaro. 39 L'uno e l'altro di lor, che ne' divini uffici già trattò pio ministero, sotto l'elmo premendo i lunghi crini, essercita de l'arme or l'uso fero. Da la città d'Orange e da i confini quattrocento guerrier scelse il primiero; ma guida quei di Poggio in guerra l'altro, numero egual, né men ne l'arme scaltro. 40 Baldovin poscia in mostra addur si vede co' Bolognesi suoi quei del germano, ché le sue genti il pio fratel gli cede or ch'ei de' capitani è capitano. Il conte di Carnuti indi succede, potente di consiglio e pro' di mano; van con lui quattrocento, e triplicati conduce Baldovino in sella armati. 41 Occupa Guelfo il campo a lor vicino, uom ch'a l'alta fortuna agguaglia il merto: conta costui per genitor latino de gli avi Estensi un lungo ordine e certo. Ma german di cognome e di domino, ne la gran casa de' Guelfoni è inserto: regge Carinzia, e presso l'Istro e 'l Reno ciò che i prischi Suevi e i Reti avièno. 42 A questo, che retaggio era materno, acquisti ei giunse gloriosi e grandi. Quindi gente traea che prende a scherno d'andar contra la morte, ov'ei comandi: usa a temprar ne' caldi alberghi il verno, e celebrar con lieti inviti i prandi. Fur cinquemila a la partenza, e a pena (de' Persi avanzo) il terzo or qui ne mena. 43 Seguia la gente poi candida e bionda che tra i Franchi e i Germani e 'l mar si giace, ove la Mosa ed ove il Reno inonda, terra di biade e d'animai ferace; e gl'insulani lor, che d'alta sponda riparo fansi a l'ocean vorace: l'ocean che non pur le merci e i legni, ma intere inghiotte le cittadi e i regni. 44 Gli uni e gli altri son mille, e tutti vanno sotto un altro Roberto insieme a stuolo. Maggior alquanto è lo squadron britanno; Guglielmo il regge, al re minor figliuolo. Sono gl'Inglesi sagittari, ed hanno gente con lor ch'è piú vicina al polo: questi da l'alte selve irsuti manda la divisa dal mondo ultima Irlanda. 45 Vien poi Tancredi, e non è alcun fra tanti (tranne Rinaldo) o feritor maggiore, o piú bel di maniere e di sembianti, o piú eccelso ed intrepido di core. S'alcun'ombra di colpa i suoi gran vanti rende men chiari, è sol follia d'amore: nato fra l'arme, amor di breve vista, che si nutre d'affanni, e forza acquista. 46 È fama che quel dí che glorioso fe' la rotta de' Persi il popol franco, poi che Tancredi al fin vittorioso i fuggitivi di seguir fu stanco, cercò di refrigerio e di riposo a l'arse labbia, al travagliato fianco, e trasse ove invitollo al rezzo estivo cinto di verdi seggi un fonte vivo. 47 Quivi a lui d'improviso una donzella tutta, fuor che la fronte, armata apparse: era pagana, e là venuta anch'ella per l'istessa cagion di ristorarse. Egli mirolla, ed ammirò la bella sembianza, e d'essa si compiacque, e n'arse. Oh meraviglia! Amor, ch'a pena è nato, già grande vola, e già trionfa armato. 48 Ella d'elmo coprissi, e se non era ch'altri quivi arrivàr, ben l'assaliva. Partí dal vinto suo la donna altera, ch'è per necessità sol fuggitiva; ma l'imagine sua bella e guerriera tale ei serbò nel cor, qual essa è viva; e sempre ha nel pensiero e l'atto e 'l loco in che la vide, esca continua al foco. 49 E ben nel volto suo la gente accorta legger potria: "Questi arde, e fuor di spene"; cosí vien sospiroso, e cosí porta basse le ciglia e di mestizia piene. Gli ottocento a cavallo, a cui fa scorta, lasciàr le piaggie di Campagna amene, pompa maggior de la natura, e i colli che vagheggia il Tirren fertili e molli. 50 Venian dietro ducento in Grecia nati, che son quasi di ferro in tutto scarchi: pendon spade ritorte a l'un de' lati, suonano al tergo lor faretre ed archi; asciutti hanno i cavalli, al corso usati, a la fatica invitti, al cibo parchi: ne l'assalir son pronti e nel ritrarsi, e combatton fuggendo erranti e sparsi. 51 Tatin regge la schiera, e sol fu questi che, greco, accompagnò l'arme latine. Oh vergogna! oh misfatto! or non avesti tu, Grecia, quelle guerre a te vicine? E pur quasi a spettacolo sedesti, lenta aspettando de' grand'atti il fine. Or, se tu se' vil serva, è il tuo servaggio (non ti lagnar) giustizia, e non oltraggio. 52 Squadra d'ordine estrema ecco vien poi ma d'onor prima e di valor e d'arte. Son qui gli aventurieri, invitti eroi, terror de l'Asia e folgori di Marte. Taccia Argo i Mini, e taccia Artù que' suoi erranti, che di sogni empion le carte; ch'ogni antica memoria appo costoro perde: or qual duce fia degno di loro? 53 Dudon di Consa è il duce; e perché duro fu il giudicar di sangue e di virtute, gli altri sopporsi a lui concordi furo, ch'avea piú cose fatte e piú vedute. Ei di virilità grave e maturo, mostra in fresco vigor chiome canute; mostra, quasi d'onor vestigi degni, di non brutte ferite impressi segni. 54 Eustazio è poi fra i primi; e i propri pregi illustre il fanno, e piú il fratel Buglione. Gernando v'è, nato di re norvegi, che scettri vanta e titoli e corone. Ruggier di Balnavilla infra gli egregi la vecchia fama ed Engerlan ripone; e celebrati son fra' piú gagliardi un Gentonio, un Rambaldo e due Gherardi. 55 Son fra' lodati Ubaldo anco, e Rosmondo del gran ducato di Lincastro erede; non fia ch'Obizzo il Tosco aggravi al fondo chi fa de le memorie avare prede, né i tre frati lombardi al chiaro mondo involi, Achille, Sforza e Palamede, o 'l forte Otton, che conquistò lo scudo in cui da l'angue esce il fanciullo ignudo. 56 Né Guasco né Ridolfo a dietro lasso, né l'un né l'altro Guido, ambo famosi, non Eberardo e non Gernier trapasso sotto silenzio ingratamente ascosi. Ove voi me, di numerar già lasso, Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi, rapite? o ne la guerra anco consorti, non sarete disgiunti ancor che morti! 57 Ne le scole d'Amor che non s'apprende? Ivi si fe' costei guerriera ardita: va sempre affissa al caro fianco, e pende da un fato solo l'una e l'altra vita. Colpo che ad un sol noccia unqua non scende, ma indiviso è il dolor d'ogni ferita; e spesso è l'un ferito, e l'altro langue, e versa l'alma quel, se questa il sangue. 58 Ma il fanciullo Rinaldo, e sovra questi e sovra quanti in mostra eran condutti, dolcemente feroce alzar vedresti la regal fronte, e in lui mirar sol tutti. L'età precorse e la speranza, e presti pareano i fior quando n'usciro i frutti; se 'l miri fulminar ne l'arme avolto, Marte lo stimi; Amor, se scopre il volto. 59 Lui ne la riva d'Adige produsse a Bertoldo Sofia, Sofia la bella a Bertoldo il possente; e pria che fusse tolto quasi il bambin da la mammella, Matilda il volse, e nutricollo, e instrusse ne l'arti regie; e sempre ei fu con ella, sin ch'invaghí la giovanetta mente la tromba che s'udia da l'oriente. 60 Allor (né pur tre lustri avea forniti) fuggí soletto, e corse strade ignote; varcò l'Egeo, passò di Grecia i liti, giunse nel campo in region remote. Nobilissima fuga, e che l'imíti ben degna alcun magnanimo nepote. Tre anni son che è in guerra, e intempestiva molle piuma del mento a pena usciva. 61 Passati i cavalieri, in mostra viene la gente a piede, ed è Raimondo inanti. Regea Tolosa, e scelse infra Pirene e fra Garona e l'ocean suoi fanti. Son quattromila, e ben armati e bene instrutti, usi al disagio e toleranti; buona è la gente, e non può da piú dotta o da piú forte guida esser condotta. 62 Ma cinquemila Stefano d'Ambuosa e di Blesse e di Turs in guerra adduce. Non è gente robusta o faticosa, se ben tutta di ferro ella riluce. La terra molle, lieta e dilettosa, simili a sé gli abitator produce. Impeto fan ne le battaglie prime, ma di leggier poi langue, e si reprime. 63 Alcasto il terzo vien, qual presso a Tebe già Capaneo, con minaccioso volto: seimila Elvezi, audace e fera plebe, da gli alpini castelli avea raccolto, che 'l ferro uso a far solchi, a franger glebe, in nove forme e in piú degne opre ha vòlto; e con la man, che guardò rozzi armenti, par ch'i regni sfidar nulla paventi. 64 Vedi appresso spiegar l'alto vessillo co 'l diadema di Piero e con le chiavi. Qui settemila aduna il buon Camillo pedoni, d'arme rilucenti e gravi, lieto ch'a tanta impresa il Ciel sortillo, ove rinovi il prisco onor de gli avi, o mostri almen ch'a la virtú latina o nulla manca, o sol la disciplina. 65 Ma già tutte le squadre eran con bella mostra passate, e l'ultima fu questa, quando Goffredo i maggior duci appella, e la sua mente a lor fa manifesta: "Come appaia diman l'alba novella vuo' che l'oste s'invii leggiera e presta, sí ch'ella giunga a la città sacrata, quanto è possibil piú, meno aspettata. 66 Preparatevi dunque ed al viaggio ed a la pugna e a la vittoria ancora." Questo ardito parlar d'uom cosí saggio sollecita ciascuno e l'avvalora. Tutti d'andar son pronti al novo raggio, e impazienti in aspettar l'aurora. Ma 'l provido Buglion senza ogni tema non è però, benché nel cor la prema. 67 Perch'egli avea certe novelle intese che s'è d'Egitto il re già posto in via inverso Gaza, bello e forte arnese da fronteggiare i regni di Soria. Né creder può che l'uomo a fere imprese avezzo sempre, or lento in ozio stia; ma, d'averlo aspettando aspro nemico, parla al fedel suo messeggiero Enrico: 68 "Sovra una lieve saettia tragitto vuo' che tu faccia ne la greca terra. Ivi giunger dovea (cosí m'ha scritto chi mai per uso in avisar non erra) un giovene regal, d'animo invitto, ch'a farsi vien nostro compagno in guerra: prence è de' Dani, e mena un grande stuolo sin da i paesi sottoposti al polo. 69 Ma perché 'l greco imperator fallace seco forse userà le solite arti, per far ch'o torni indietro o 'l corso audace torca in altre da noi lontane parti, tu, nunzio mio, tu, consiglier verace, in mio nome il disponi a ciò che parti nostro e suo bene, e di' che tosto vegna, ché di lui fòra ogni tardanza indegna. 70 Non venir seco tu, ma resta appresso al re de' Greci a procurar l'aiuto, che già piú d'una volta a noi promesso e per ragion di patto anco è dovuto." Cosí parla e l'informa, e poi che 'l messo le lettre ha di credenza e di saluto, toglie, affrettando il suo partir, congedo, e tregua fa co' suoi pensier Goffredo. 71 Il dí seguente, allor ch'aperte sono del lucido oriente al sol le porte, di trombe udissi e di tamburi un suono, ond'al camino ogni guerrier s'essorte. Non è sí grato a i caldi giorni il tuono che speranza di pioggia al mondo apporte, come fu caro a le feroci genti l'altero suon de' bellici instrumenti. 72 Tosto ciascun, da gran desio compunto, veste le membra de l'usate spoglie, e tosto appar di tutte l'arme in punto, tosto sotto i suoi duci ogn'uom s'accoglie, e l'ordinato essercito congiunto tutte le sue bandiere al vento scioglie: e nel vessillo imperiale e grande la trionfante Croce al ciel si spande. 73 Intanto il sol, che de' celesti campi va piú sempre avanzando e in alto ascende, l'arme percote e ne trae fiamme e lampi tremuli e chiari, onde le viste offende. L'aria par di faville intorno avampi, e quasi d'alto incendio in forma splende, e co' feri nitriti il suono accorda del ferro scosso e le campagne assorda. 74 Il capitan, che da' nemici aguati le schiere sue d'assecurar desia, molti a cavallo leggiermente armati a scoprire il paese intorno invia; e inanzi i guastatori avea mandati, da cui si debbe agevolar la via, e i vòti luoghi empire e spianar gli erti, e da cui siano i chiusi passi aperti. 75 Non è gente pagana insieme accolta, non muro cinto di profondo fossa, non gran torrente, o monte alpestre, o folta selva, che 'l lor viaggio arrestar possa. Cosí de gli altri fiumi il re tal volta, quando superbo oltra misura ingrossa, sovra le sponde ruinoso scorre, né cosa è mai che gli s'ardisca opporre. 76 Sol di Tripoli il re, che 'n ben guardate mura, genti, tesori ed arme serra, forse le schiere franche avria tardate, ma non osò di provocarle in guerra. Lor con messi e con doni anco placate ricettò volontario entro la terra, e ricevé condizion di pace, sí come imporle al pio Goffredo piace. 77 Qui del monte Seir, ch'alto e sovrano da l'oriente a la cittade è presso, gran turba scese de' fedeli al piano d'ogni età mescolata e d'ogni sesso: portò suoi doni al vincitor cristiano, godea in mirarlo e in ragionar con esso, stupia de l'arme pellegrine; e guida ebbe da lor Goffredo amica e fida. 78 Conduce ei sempre a le maritime onde vicino il campo per diritte strade, sapendo ben che le propinque sponde l'amica armata costeggiando rade, la qual può far che tutto il campo abonde de' necessari arnesi e che le biade ogni isola de' Greci a lui sol mieta, e Scio pietrosa gli vendemmi e Creta. 79 Geme il vicino mar sotto l'incarco de l'alte navi e de' piú levi pini, sí che non s'apre omai securo varco nel mar Mediterraneo a i saracini; ch'oltra quei c'ha Georgio armati e Marco ne' veneziani e liguri confini, altri Inghilterra e Francia ed altri Olanda, e la fertil Sicilia altri ne manda. 80 E questi, che son tutti insieme uniti con saldissimi lacci in un volere, s'eran carchi e provisti in vari liti di ciò ch'è d'uopo a le terrestri schiere, le quai, trovando liberi e sforniti i passi de' nemici a le frontiere, in corso velocissimo se 'n vanno là 've Cristo soffrí mortale affanno. 81 Ma precorsa è la fama, apportatrice de' veraci romori e de' bugiardi, ch'unito è il campo vincitor felice, che già s'è mosso e che non è chi 'l tardi; quante e qual sian le squadre ella ridice, narra il nome e 'l valor de' piú gagliardi, narra i lor vanti, e con terribil faccia gli usurpatori di Sion minaccia. 82 E l'aspettar del male è mal peggiore, forse, che non parrebbe il mal presente; pende ad ogn'aura incerta di romore ogni orecchia sospesa ed ogni mente; e un confuso bisbiglio entro e di fore trascorre i campi e la città dolente. Ma il vecchio re ne' già vicin perigli volge nel dubbio cor feri consigli. 83 Aladin detto è il re, che, di quel regno novo signor, vive in continua cura: uom già crudel, ma 'l suo feroce ingegno pur mitigato avea l'età matura. Egli, che de' Latini udí il disegno c'han d'assalir di sua città le mura, giunge al vecchio timor novi sospetti, e de' nemici pave e de' soggetti. 84 Però che dentro a una città commisto popolo alberga di contraria fede: la debil parte e la minore in Cristo, la grande e forte in Macometto crede. Ma quando il re fe' di Sion l'acquisto, e vi cercò di stabilir la sede, scemò i publici pesi a' suoi pagani, ma piú gravonne i miseri cristiani. 85 Questo pensier la ferità nativa, che da gli anni sopita e fredda langue, irritando inasprisce, e la ravviva sí ch'assetata è piú che mai di sangue. Tal fero torna a la stagione estiva quel che parve nel gel piacevol angue, cosí leon domestico riprende l'innato suo furor, s'altri l'offende. 86 "Veggio" dicea "de la letizia nova veraci segni in questa turba infida; il danno universal solo a lei giova, sol nel pianto comun par ch'ella rida; e forse insidie e tradimenti or cova, rivolgendo fra sé come m'uccida, o come al mio nemico, e suo consorte popolo, occultamente apra le porte. 87 Ma no 'l farà: prevenirò questi empi disegni loro, e sfogherommi a pieno. Gli ucciderò, faronne acerbi scempi, svenerò i figli a le lor madri in seno, arderò loro alberghi e insieme i tèmpi, questi i debiti roghi a i morti fièno; e su quel lor sepolcro in mezzo a i voti vittime pria farò de' sacerdoti." 88 Cosí l'iniquo fra suo cor ragiona, pur non segue pensier sí mal concetto; ma s'a quegli innocenti egli perdona, è di viltà, non di pietade effetto, ché s'un timor a incrudelir lo sprona, il ritien piú potente altro sospetto: troncar le vie d'accordo, e de' nemici troppo teme irritar l'arme vittrici. 89 Tempra dunque il fellon la rabbia insana, anzi altrove pur cerca ove la sfoghi; i rustici edifici abbatte e spiana, e dà in preda a le fiamme i culti luoghi; parte alcuna non lascia integra o sana ove il Franco si pasca, ove s'alloghi; turba le fonti e i rivi, e le pure onde di veneni mortiferi confonde. 90 Spietatamente è cauto, e non oblia di rinforzar Gierusalem fra tanto. Da tre lati fortissima era pria, sol verso Borea è men secura alquanto; ma da' primi sospetti ei le munia d'alti ripari il suo men forte canto, e v'accogliea gran quantitade in fretta di gente mercenaria e di soggetta.
canto SECONDO
1 Mentre il tiranno s'apparecchia a l'armi, soletto Ismeno un dí gli s'appresenta, Ismen che trar di sotto a i chiusi marmi può corpo estinto, e far che spiri e senta, Ismen che al suon de' mormoranti carmi sin ne la reggia sua Pluton spaventa, e i suoi demon ne gli empi uffici impiega pur come servi, e gli discioglie e lega. 2 Questi or Macone adora, e fu cristiano, ma i primi riti anco lasciar non pote; anzi sovente in uso empio e profano confonde le due leggi a sé mal note, ed or da le spelonche, ove lontano dal vulgo essercitar suol l'arti ignote, vien nel publico rischio al suo signore: a re malvagio consiglier peggiore. 3 "Signor," dicea "senza tardar se 'n viene il vincitor essercito temuto, ma facciam noi ciò che a noi far conviene: darà il Ciel, darà il mondo a i forti aiuto. Ben tu di re, di duce hai tutte piene le parti, e lunge hai visto e proveduto. S'empie in tal guisa ogn'altro i propri uffici, tomba fia questa terra a' tuoi nemici. 4 Io, quanto a me, ne vegno, e del periglio e de l'opre compagno, ad aiutarte: ciò che può dar di vecchia età consiglio, tutto prometto, e ciò che magica arte. Gli angeli che dal Cielo ebbero essiglio constringerò de le fatiche a parte. Ma dond'io voglia incominciar gl'incanti e con quai modi, or narrerotti avanti. 5 Nel tempio de' cristiani occulto giace un sotterraneo altare, e quivi è il volto di Colei che sua diva e madre face quel vulgo del suo Dio nato e sepolto. Dinanzi al simulacro accesa face continua splende; egli è in un velo avolto. Pendono intorno in lungo ordine i voti che vi portano i creduli devoti. 6 Or questa effigie lor, di là rapita, voglio che tu di propria man trasporte e la riponga entro la tua meschita: io poscia incanto adoprerò sí forte ch'ognor, mentre ella qui fia custodita, sarà fatal custodia a queste porte; tra mura inespugnabili il tuo impero securo fia per novo alto mistero." 7 Sí disse, e 'l persuase; e impaziente il re se 'n corse a la magion di Dio, e sforzò i sacerdoti, e irreverente il casto simulacro indi rapio; e portollo a quel tempio ove sovente s'irrita il Ciel co 'l folle culto e rio. Nel profan loco e su la sacra imago susurrò poi le sue bestemmie il mago. 8 Ma come apparse in ciel l'alba novella, quel cui l'immondo tempio in guardia è dato non rivide l'imagine dov'ella fu posta, e invan cerconne in altro lato. Tosto n'avisa il re, ch'a la novella di lui si mostra feramente irato, ed imagina ben ch'alcun fedele abbia fatto quel furto, e che se 'l cele. 9 O fu di man fedele opra furtiva, o pur il Ciel qui sua potenza adopra, che di Colei ch'è sua regina e diva sdegna che loco vil l'imagin copra: ch'incerta fama è ancor se ciò s'ascriva ad arte umana od a mirabil opra; ben è pietà che, la pietade e 'l zelo uman cedendo, autor se 'n creda il Cielo. 10 Il re ne fa con importuna inchiesta ricercar ogni chiesa, ogni magione, ed a chi gli nasconde o manifesta il furto o il reo, gran pene e premi impone. Il mago di spiarne anco non resta con tutte l'arti il ver; ma non s'appone, ché 'l Cielo, opra sua fosse o fosse altrui, celolla ad onta de gl'incanti a lui. 11 Ma poi che 'l re crudel vide occultarse quel che peccato de' fedeli ei pensa, tutto in lor d'odio infellonissi, ed arse d'ira e di rabbia immoderata immensa. Ogni rispetto oblia, vuol vendicarse, segua che pote, e sfogar l'alma accensa. "Morrà," dicea "non andrà l'ira a vòto, ne la strage comune il ladro ignoto. 12 Pur che 'l reo non si salvi, il giusto pèra e l'innocente; ma qual giusto io dico? è colpevol ciascun, né in loro schiera uom fu giamai del nostro nome amico. S'anima v'è nel novo error sincera, basti a novella pena un fallo antico. Su su, fedeli miei, su via prendete le fiamme e 'l ferro, ardete ed uccidete." 13 Cosí parla a le turbe, e se n'intese la fama tra' fedeli immantinente, ch'attoniti restàr, sí gli sorprese il timor de la morte omai presente; e non è chi la fuga o le difese, lo scusar o 'l pregare ardisca o tente. Ma le timide genti e irrisolute donde meno speraro ebber salute. 14 Vergine era fra lor di già matura verginità, d'alti pensieri e regi, d'alta beltà; ma sua beltà non cura, o tanto sol quant'onestà se 'n fregi. È il suo pregio maggior che tra le mura d'angusta casa asconde i suoi gran pregi, e de' vagheggiatori ella s'invola a le lodi, a gli sguardi, inculta e sola. 15 Pur guardia esser non può ch'in tutto celi beltà degna ch'appaia e che s'ammiri; né tu il consenti, Amor, ma la riveli d'un giovenetto a i cupidi desiri. Amor, ch'or cieco, or Argo, ora ne veli di benda gli occhi, ora ce gli apri e giri, tu per mille custodie entro a i piú casti verginei alberghi il guardo altrui portasti. 16 Colei Sofronia, Olindo egli s'appella, d'una cittade entrambi e d'una fede. Ei che modesto è sí com'essa è bella, brama assai, poco spera, e nulla chiede; né sa scoprirsi, o non ardisce; ed ella o lo sprezza, o no 'l vede, o non s'avede. Cosí fin ora il misero ha servito o non visto, o mal noto, o mal gradito. 17 S'ode l'annunzio intanto, e che s'appresta miserabile strage al popol loro. A lei, che generosa è quanto onesta, viene in pensier come salvar costoro. Move fortezza il gran pensier, l'arresta poi la vergogna e 'l verginal decoro; vince fortezza, anzi s'accorda e face sé vergognosa e la vergogna audace. 18 La vergine tra 'l vulgo uscí soletta, non coprí sue bellezze, e non l'espose, raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta, con ischive maniere e generose. Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose. Di natura, d'Amor, de' cieli amici le negligenze sue sono artifici. 19 Mirata da ciascun passa, e non mira l'altera donna, e innanzi al re se 'n viene. Né, perché irato il veggia, il piè ritira, ma il fero aspetto intrepida sostiene. "Vengo, signor," gli disse "e 'ntanto l'ira prego sospenda e 'l tuo popolo affrene: vengo a scoprirti, e vengo a darti preso quel reo che cerchi, onde sei tanto offeso." 20 A l'onesta baldanza, a l'improviso folgorar di bellezze altere e sante, quasi confuso il re, quasi conquiso, frenò lo sdegno, e placò il fer sembiante. S'egli era d'alma o se costei di viso severa manco, ei diveniane amante; ma ritrosa beltà ritroso core non prende, e sono i vezzi esca d'Amore. 21 Fu stupor, fu vaghezza, e fu diletto, s'amor non fu, che mosse il cor villano. "Narra" ei le dice "il tutto; ecco, io commetto che non s'offenda il popol tuo cristiano." Ed ella: "Il reo si trova al tuo cospetto: opra è il furto, signor, di questa mano; io l'imagine tolsi, io son colei che tu ricerchi, e me punir tu déi." 22 Cosí al publico fato il capo altero offerse, e 'l volse in sé sola raccòrre. Magnanima menzogna, or quand'è il vero sí bello che si possa a te preporre? Riman sospeso, e non sí tosto il fero tiranno a l'ira, come suol, trascorre. Poi la richiede: "I' vuo' che tu mi scopra chi diè consiglio, e chi fu insieme a l'opra." 23 "Non volsi far de la mia gloria altrui né pur minima parte"; ella gli dice "sol di me stessa io consapevol fui, sol consigliera, e sola essecutrice." "Dunque in te sola" ripigliò colui "caderà l'ira mia vendicatrice." Diss'ella: "È giusto: esser a me conviene, se fui sola a l'onor, sola a le pene." 24 Qui comincia il tiranno a risdegnarsi; poi le dimanda: "Ov'hai l'imago ascosa?" "Non la nascosi," a lui risponde "io l'arsi, e l'arderla stimai laudabil cosa; cosí almen non potrà piú violarsi per man di miscredenti ingiuriosa. Signore, o chiedi il furto, o 'l ladro chiedi: quel no 'l vedrai in eterno, e questo il vedi. 25 Benché né furto è il mio, né ladra i' sono: giust'è ritòr ciò ch'a gran torto è tolto." Or, quest'udendo, in minaccievol suono freme il tiranno, e 'l fren de l'ira è sciolto. Non speri piú di ritrovar perdono cor pudico, alta mente e nobil volto; e 'ndarno Amor contr'a lo sdegno crudo di sua vaga bellezza a lei fa scudo. 26 Presa è la bella donna, e 'ncrudelito il re la danna entr'un incendio a morte. Già 'l velo e 'l casto manto a lei rapito, stringon le molli braccia aspre ritorte. Ella si tace, e in lei non sbigottito, ma pur commosso alquanto è il petto forte; e smarrisce il bel volto in un colore che non è pallidezza, ma candore. 27 Divulgossi il gran caso, e quivi tratto già 'l popol s'era: Olindo anco v'accorse. Dubbia era la persona e certo il fatto; venia, che fosse la sua donna in forse. Come la bella prigionera in atto non pur di rea, ma di dannata ei scorse, come i ministri al duro ufficio intenti vide, precipitoso urtò le genti. 28 Al re gridò: "Non è, non è già rea costei del furto, e per follia se 'n vanta. Non pensò, non ardí, né far potea donna sola e inesperta opra cotanta. Come ingannò i custodi? e de la Dea con qual arti involò l'imagin santa? Se 'l fece, il narri. Io l'ho, signor, furata." Ahi! tanto amò la non amante amata. 29 Soggiunse poscia: "Io là, donde riceve l'alta vostra meschita e l'aura e 'l die, di notte ascesi, e trapassai per breve fòro tentando inaccessibil vie. A me l'onor, la morte a me si deve: non usurpi costei le pene mie. Mie son quelle catene, e per me questa fiamma s'accende, e 'l rogo a me s'appresta." 30 Alza Sofronia il viso, e umanamente con occhi di pietade in lui rimira. "A che ne vieni, o misero innocente? qual consiglio o furor ti guida o tira? Non son io dunque senza te possente a sostener ciò che d'un uom può l'ira? Ho petto anch'io, ch'ad una morte crede di bastar solo, e compagnia non chiede." 31 Cosí parla a l'amante; e no 'l dispone sí ch'egli si disdica, e pensier mute. Oh spettacolo grande, ove a tenzone sono Amore e magnanima virtute! ove la morte al vincitor si pone in premio, e 'l mai del vinto è la salute! Ma piú s'irrita il re quant'ella ed esso è piú costante in incolpar se stesso. 32 Pargli che vilipeso egli ne resti, e ch'in disprezzo suo sprezzin le pene. "Credasi" dice "ad ambo; e quella e questi vinca, e la palma sia qual si conviene." Indi accenna a i sergenti, i quai son presti a legar il garzon di lor catene. Sono ambo stretti al palo stesso; e vòlto è il tergo al tergo, e 'l volto ascoso al volto. 33 Composto è lor d'intorno il rogo omai, e già le fiamme il mantice v'incita, quand'il fanciullo in dolorosi lai proruppe, e disse a lei ch'è seco unita: "Quest'è dunque quel laccio ond'io sperai teco accoppiarmi in compagnia di vita? questo è quel foco ch'io credea ch'i cori ne dovesse infiammar d'eguali ardori? 34 Altre fiamme, altri nodi Amor promise, altri ce n'apparecchia iniqua sorte. Troppo, ahi! ben troppo, ella già noi divise, ma duramente or ne congiunge in morte. Piacemi almen, poich'in sí strane guise morir pur déi, del rogo esser consorte, se del letto non fui; duolmi il tuo fato, il mio non già, poich'io ti moro a lato. 35 Ed oh mia sorte aventurosa a pieno! oh fortunati miei dolci martíri! s'impetrarò che, giunto seno a seno, l'anima mia ne la tua bocca io spiri; e venendo tu meco a un tempo meno, in me fuor mandi gli ultimi sospiri." Cosí dice piangendo. Ella il ripiglia soavemente, e 'n tai detti il consiglia: 36 "Amico, altri pensieri, altri lamenti, per piú alta cagione il tempo chiede. Ché non pensi a tue colpe? e non rammenti qual Dio prometta a i buoni ampia mercede? Soffri in suo nome, e fian dolci i tormenti, e lieto aspira a la superna sede. Mira 'l ciel com'è bello, e mira il sole ch'a sé par che n'inviti e ne console." 37 Qui il vulgo de' pagani il pianto estolle: piange il fedel, ma in voci assai piú basse. Un non so che d'inusitato e molle par che nel duro petto al re trapasse. Ei presentillo, e si sdegnò; né volle piegarsi, e gli occhi torse, e si ritrasse. Tu sola il duol comun non accompagni, Sofronia; e pianta da ciascun, non piagni. 38 Mentre sono in tal rischio, ecco un guerriero (ché tal parea) d'alta sembianza e degna; e mostra, d'arme e d'abito straniero, che di lontan peregrinando vegna. La tigre, che su l'elmo ha per cimiero, tutti gli occhi a sé trae, famosa insegna. insegna usata da Clorinda in guerra; onde la credon lei, né 'l creder erra. 39 Costei gl'ingegni feminili e gli usi tutti sprezzò sin da l'età piú acerba: a i lavori d'Aracne, a l'ago, a i fusi inchinar non degnò la man superba. Fuggí gli abiti molli e i lochi chiusi, ché ne' campi onestate anco si serba; armò d'orgoglio il volto, e si compiacque rigido farlo, e pur rigido piacque. 40 Tenera ancor con pargoletta destra strinse e lentò d'un corridore il morso; trattò l'asta e la spada, ed in palestra indurò i membri ed allenogli al corso. Poscia o per via montana o per silvestra l'orme seguí di fer leone e d'orso; seguí le guerre, e 'n esse e fra le selve fèra a gli uomini parve, uomo a le belve. 41 Viene or costei da le contrade perse perch'a i cristiani a suo poter resista, bench'altre volte ha di lor membra asperse le piaggie, e l'onda di lor sangue ha mista. Or quivi in arrivando a lei s'offerse l'apparato di morte a prima vista. Di mirar vaga e di saper qual fallo condanni i rei, sospinge oltre il cavallo. 42 Cedon le turbe, e i duo legati insieme ella si ferma a riguardar da presso. Mira che l'una tace e l'altro geme, e piú vigor mostra il men forte sesso. Pianger lui vede in guisa d'uom cui preme pietà, non doglia, o duol non di se stesso; e tacer lei con gli occhi ai ciel sí fisa ch'anzi 'l morir par di qua giú divisa. 43 Clorinda intenerissi, e si condolse d'ambeduo loro e lagrimonne alquanto. Pur maggior sente il duol per chi non duolse, piú la move il silenzio e meno il pianto. Senza troppo indugiare ella si volse ad un uom che canuto avea da canto: "Deh! dimmi: chi son questi? ed al martoro qual gli conduce o sorte o colpa loro?" 44 Cosí pregollo, e da colui risposto breve ma pieno a le dimande fue. Stupissi udendo, e imaginò ben tosto ch'egualmente innocenti eran que' due. Già di vietar lor morte ha in sé proposto, quanto potranno i preghi o l'armi sue. Pronta accorre a la fiamma, e fa ritrarla, che già s'appressa, ed a i ministri parla: 45 "Alcun non sia di voi che 'n questo duro ufficio oltra seguire abbia baldanza, sin ch'io non parli al re: ben v'assecuro ch'ei non v'accuserà de la tardanza." Ubidiro i sergenti, e mossi furo da quella grande sua regal sembianza. Poi verso il re si mosse, e lui tra via ella trovò che 'ncontra lei venia. 46 "Io son Clorinda:" disse "hai forse intesa talor nomarmi; e qui, signor, ne vegno per ritrovarmi teco a la difesa de la fede comune e del tuo regno. Son pronta, imponi pure, ad ogni impresa: l'alte non temo, e l'umili non sdegno; voglimi in campo aperto, o pur tra 'l chiuso de le mura impiegar, nulla ricuso." 47 Tacque; e rispose il re: "Qual sí disgiunta terra è da l'Asia, o dal camin del sole, vergine gloriosa, ove non giunta sia la tua fama, e l'onor tuo non vòle? Or che s'è la tua spada a me congiunta, d'ogni timor m'affidi e mi console: non, s'essercito grande unito insieme fosse in mio scampo, avrei piú certa speme. 48 Già già mi par ch'a giunger qui Goffredo oltra il dover indugi; or tu dimandi ch'impieghi io te: sol di te degne credo l'imprese malagevoli e le grandi. Sovr'a i nostri guerrieri a te concedo lo scettro, e legge sia quel che comandi." Cosí parlava. Ella rendea cortese grazie per lodi, indi il parlar riprese: 49 "Nova cosa parer dovrà per certo che preceda a i servigi il guiderdone; ma tua bontà m'affida: i' vuo' ch'in merto del futuro servir que' rei mi done. In don gli chieggio: e pur, se 'l fallo è incerto gli danna inclementissima ragione; ma taccio questo, e taccio i segni espressi onde argomento l'innocenza in essi. 50 E dirò sol ch'è qui comun sentenza che i cristiani togliessero l'imago; ma discordo io da voi, né però senza alta ragion del mio parer m'appago. Fu de le nostre leggi irriverenza quell'opra far che persuase il mago: ché non convien ne' nostri tèmpi a nui gl'idoli avere, e men gl'idoli altrui. 51 Dunque suso a Macon recar mi giova il miracol de l'opra, ed ei la fece per dimostrar ch'i tèmpi suoi con nova religion contaminar non lece. Faccia Ismeno incantando ogni sua prova, egli a cui le malie son d'arme in vece; trattiamo il ferro pur noi cavalieri: quest'arte è nostra, e 'n questa sol si speri." 52 Tacque, ciò detto; e 'l re, bench'a pietade l'irato cor difficilmente pieghi, pur compiacer la volle; e 'l persuade ragione, e 'l move autorità di preghi. "Abbian vita" rispose "e libertade, e nulla a tanto intercessor si neghi. Siasi questa o giustizia over perdono, innocenti gli assolvo, e rei gli dono." 53 Cosí furon disciolti. Aventuroso ben veramente fu d'Olindo il fato, ch'atto poté mostrar che 'n generoso petto al fine ha d'amore amor destato. Va dal rogo a le nozze; ed è già sposo fatto di reo, non pur d'amante amato. Volse con lei morire: ella non schiva, poi che seco non muor, che seco viva. 54 Ma il sospettoso re stimò periglio tanta virtú congiunta aver vicina; onde, com'egli volse, ambo in essiglio oltra i termini andàr di Palestina. Ei, pur seguendo il suo crudel consiglio, bandisce altri fedeli, altri confina. Oh come lascian mesti i pargoletti figli, e gli antichi padri e i dolci letti! 55 Dura division! scaccia sol quelli di forte corpo e di feroce ingegno; ma il mansueto sesso, e gli anni imbelli seco ritien, sí come ostaggi, in pegno. Molti n'andaro errando, altri rubelli fèrsi, e piú che 'l timor poté lo sdegno. Questi unírsi co' Franchi, e gl'incontraro a punto il dí che 'n Emaús entraro. 56 Emaús è città cui breve strada da la regal Gierusalem disgiunge, ed uom che lento a suo diporto vada, se parte matutino, a nona giunge. Oh quant'intender questo a i Franchi aggrada! Oh quanto piú 'l desio gli affretta e punge! Ma perch'oltra il meriggio il sol già scende, qui fa spiegare il capitan le tende. 57 L'avean già tese, e poco era remota l'alma luce del sol da l'oceano, quando duo gran baroni in veste ignota venir son visti, e 'n portamento estrano. Ogni atto lor pacifico dinota che vengon come amici al capitano. Del gran re de l'Egitto eran messaggi, e molti intorno avean scudieri e paggi. 58 Alete è l'un, che da principio indegno tra le brutture de la plebe è sorto; ma l'inalzaro a i primi onor del regno parlar facondo e lusinghiero e scòrto, pieghevoli costumi e vario ingegno al finger pronto, a l'ingannare accorto: gran fabro di calunnie, adorne in modi novi, che sono accuse, e paion lodi. 59 L'altro è il circasso Argante, uom che straniero se 'n venne a la regal corte d'Egitto; ma de' satrapi fatto è de l'impero, e in sommi gradi a la milizia ascritto: impaziente, inessorabil, fero, ne l'arme infaticabile ed invitto, d'ogni dio sprezzatore, e che ripone ne la spada sua legge e sua ragione. 60 Chieser questi udienza ed al cospetto del famoso Goffredo ammessi entraro, e in umil seggio e in un vestire schietto fra' suoi duci sedendo il ritrovaro; ma verace valor, benché negletto, è di se stesso a sé fregio assai chiaro. Picciol segno d'onor gli fece Argante, in guisa pur d'uom grande e non curante. 61 Ma la destra si pose Alete al seno, e chinò il capo, e piegò a terra i lumi, e l'onorò con ogni modo a pieno che di sua gente portino i costumi. Cominciò poscia, e di sua bocca uscièno piú che mèl dolci d'eloquenza i fiumi; e perché i Franchi han già il sermone appreso de la Soria, fu ciò ch'ei disse inteso. 62 "O degno sol cui d'ubidire or degni questa adunanza di famosi eroi, che per l'adietro ancor le palme e i regni da te conobbe e da i consigli tuoi, il nome tuo, che non riman tra i segni d'Alcide, omai risuona anco fra noi, e la fama d'Egitto in ogni parte del tuo valor chiare novelle ha sparte. 63 Né v'è fra tanti alcun che non le ascolte come egli suol le meraviglie estreme, ma dal mio re con istupore accolte sono non sol, ma con diletto insieme; e s'appaga in narrarle anco e le volte, amando in te ciò ch'altri invidia e teme: ama il valore, e volontario elegge teco unirsi d'amor, se non di legge. 64 Da sí bella cagion dunque sospinto, l'amicizia e la pace a te richiede, e l' mezzo onde l'un resti a l'altro avinto sia la virtú s'esser non può la fede. Ma perché inteso avea che t'eri accinto per iscacciar l'amico suo di sede, volse, pria ch'altro male indi seguisse, ch'a te la mente sua per noi s'aprisse. 65 E la sua mente è tal, che s'appagarti vorrai di quanto hai fatto in guerra tuo, né Giudea molestar, né l'altre parti che ricopre il favor del regno suo, ei promette a l'incontro assecurarti il non ben fermo stato. E se voi duo sarete uniti, or quando i Turchi e i Persi potranno unqua sperar di riaversi? 66 Signor, gran cose in picciol tempo hai fatte che lunga età porre in oblio non pote: esserciti, città, vinti, disfatte, superati disagi e strade ignote, sí ch'al grido o smarrite o stupefatte son le provincie intorno e le remote; e se ben acquistar puoi novi imperi, acquistar nova gloria indarno speri. 67 Giunta è tua gloria al sommo, e per l'inanzi fuggir le dubbie guerre a te conviene, ch'ove tu vinca, sol di stato avanzi, né tua gloria maggior quinci diviene; ma l'imperio acquistato e preso inanzi e l'onor perdi, se 'l contrario aviene. Ben gioco è di fortuna audace e stolto por contra il poco e incerto il certo e 'l molto. 68 Ma il consiglio di tal cui forse pesa ch'altri gli acquisti a lungo ancor conserve, e l'aver sempre vinto in ogni impresa, e quella voglia natural, che ferve e sempre è piú ne' cor piú grandi accesa, d'aver le genti tributarie e serve, faran per aventura a te la pace fuggir, piú che la guerra altri non face. 69 T'essorteranno a seguitar la strada che t'è dal fato largamente aperta, a non depor questa famosa spada, al cui valore ogni vittoria è certa, sin che la legge di Macon non cada, sin che l'Asia per te non sia deserta: dolci cose ad udir e dolci inganni ond'escon poi sovente estremi danni. 70 Ma s'animosità gli occhi non benda, né il lume oscura in te de la ragione, scorgerai, ch'ove tu la guerra prenda, hai di temer, non di sperar cagione, ché fortuna qua giú varia a vicenda mandandoci venture or triste or buone, ed ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi esser vicini. 71 Dimmi: s'a' danni tuoi l'Egitto move, d'oro e d'arme potente e di consiglio, e s'avien che la guerra anco rinove il Perso e 'l Turco e di Cassano il figlio, quai forzi opporre a sí gran furia o dove ritrovar potrai scampo al tuo periglio? T'affida forse il re malvagio greco il qual da i sacri patti unito è teco? 72 La fede greca a chi non è palese? Tu da un sol tradimento ogni altro impara, anzi da mille, perché mille ha tese insidie a voi la gente infida, avara. Dunque chi dianzi il passo a voi contese, per voi la vita esporre or si prepara? chi le vie che comuni a tutti sono negò, del proprio sangue or farà dono? 73 Ma forse hai tu riposta ogni tua speme in queste squadre ond'ora cinto siedi. Quei che sparsi vincesti, uniti insieme di vincer anco agevolmente credi, se ben son le tue schiere or molto sceme tra le guerre e i disagi, e tu te 'l vedi; se ben novo nemico a te s'accresce e co' Persi e co' Turchi Egizi mesce. 74 Or quando pure estimi esser fatale che non ti possa il ferro vincer mai, siati concesso, e siati a punto tale il decreto del Ciel qual tu te l' fai; vinceratti la fame: a questo male che rifugio, per Dio, che schermo avrai? Vibra contra costei la lancia, e stringi la spada, e la vittoria anco ti fingi. 75 Ogni campo d'intorno arso e distrutto ha la provida man de gli abitanti, e 'n chiuse mura e 'n alte torri il frutto riposto, al tuo venir piú giorni inanti. Tu ch'ardito sin qui ti sei condutto, onde speri nutrir cavalli e fanti? Dirai: `L'armata in mar cura ne prende.' Da i venti dunque il viver tuo dipende? 76 Comanda forse tua fortuna a i venti, e gli avince a sua voglia e gli dislega? e 'l mar ch'a i preghi è sordo ed a i lamenti, te sol udendo, al tuo voler si piega? O non potranno pur le nostre genti, e le perse e le turche unite in lega, cosí potente armata in un raccòrre ch'a questi legni tuoi si possa opporre? 77 Doppia vittoria a te, signor, bisogna, s'hai de l'impresa a riportar l'onore. Una perdita sola alta vergogna può cagionarti e danno anco maggiore: ch'ove la nostra armata in rotta pogna la tua, qui poi di fame il campo more; e se tu sei perdente, indarno poi saran vittoriosi i legni tuoi. 78 Ora se in tale stato anco rifiuti co 'l gran re de l'Egitto e pace e tregua, (diasi licenza ai ver) l'altre virtuti questo consiglio tuo non bene adegua. Ma voglia il Ciel che 'l tuo pensier si muti, s'a guerra è vòlto, e che 'l contrario segua, sí che l'Asia respiri omai da i lutti, e goda tu de la vittoria i frutti. 79 Né voi che del periglio e de gli affanni e de la gloria a lui sète consorti, il favor di fortuna or tanto inganni che nove guerre a provocar v'essorti. Ma qual nocchier che da i marini inganni ridutti ha i legni a i desiati porti, raccòr dovreste omai le sparse vele, né fidarvi di novo al mar crudele." 80 Qui tacque Alete, e 'l suo parlar seguiro con basso mormorar que' forti eroi; e ben ne gli atti disdegnosi apriro quanto ciascun quella proposta annoi. Il capitan rivolse gli occhi in giro tre volte e quattro, e mirò in fronte i suoi, e poi nel volto di colui gli affisse ch'attendea la risposta, e cosí disse: 81 "Messaggier, dolcemente a noi sponesti ora cortese, or minaccioso invito. Se 'l tuo re m'ama e loda i nostri gesti, è sua mercede, e m'è l'amor gradito. A quella parte poi dove protesti la guerra a noi del paganesmo unito, risponderò, come da me si suole, liberi sensi in semplici parole. 82 Sappi che tanto abbiam sin or sofferto in mare, in terra, a l'aria chiara e scura, solo acciò che ne fosse il calle aperto a quelle sacre e venerabil mura, per acquistarne appo Dio grazia e merto togliendo lor di servitú sí dura, né mai grave ne fia per fin sí degno esporre onor mondano e vita e regno; 83 ché non ambiziosi avari affetti ne spronaro a l'impresa, e ne fur guida (sgombri il Padre del Ciel da i nostri petti peste sí rea, s'in alcun pur s'annida; né soffra che l'asperga, e che l'infetti di venen dolce che piacendo ancida), ma la sua man ch'i duri cor penètra soavemente, e gli ammollisce e spetra. 84 Questa ha noi mossi e questa ha noi condutti, tratti d'ogni periglio e d'ogni impaccio; questa fa piani i monti e i fiumi asciutti, l'ardor toglie a la state, al verno il ghiaccio; placa del mare i tempestosi flutti, stringe e rallenta questa a i venti il laccio; quindi son l'alte mura aperte ed arse, quindi l'armate schiere uccise e sparse; 85 quindi l'ardir, quindi la speme nasce, non da le frali nostre forze e stanche, non da l'armata, e non da quante pasce genti la Grecia e non da l'arme franche. Pur ch'ella mai non ci abbandoni e lasce, poco dobbiam curar ch'altri ci manche. Chi sa come difende e come fère, soccorso a i suoi perigli altro non chere. 86 Ma quando di sua aita ella ne privi, per gli error nostri o per giudizi occulti, chi fia di noi ch'esser sepulto schivi ove i membri di Dio fur già sepulti? Noi morirem, né invidia avremo a i vivi; noi morirem, ma non morremo inulti, né l'Asia riderà di nostra sorte, né pianta fia da noi la nostra morte. 87 Non creder già che noi fuggiam la pace come guerra mortal si fugge e pave, ché l'amicizia del tuo re ne piace, né l'unirci con lui ne sarà grave; ma s'al suo impero la Giudea soggiace, tu 'l sai; perché tal cura ei dunque n'have? De' regni altrui l'acquisto ei non ci vieti, e regga in pace i suoi tranquilli e lieti." 88 Cosí rispose, e di pungente rabbia la risposta ad Argante il cor trafisse; né 'l celò già, ma con enfiate labbia si trasse avanti al capitano e disse: "Chi la pace non vuol, la guerra s'abbia, ché penuria giamai non fu di risse; e ben la pace ricusar tu mostri, se non t'acqueti a i primi detti nostri." 89 Indi il suo manto per lo lembo prese, curvollo e fenne un seno; e 'l seno sporto, cosí pur anco a ragionar riprese via piú che prima dispettoso e torto: "O sprezzator de le piú dubbie imprese, e guerra e pace in questo sen t'apporto: tua sia l'elezione; or ti consiglia senz'altro indugio, e qual piú vuoi ti piglia." 90 L'atto fero e 'l parlar tutti commosse a chiamar guerra in un concorde grido, non attendendo che risposto fosse dal magnanimo lor duce Goffrido. Spiegò quel crudo il seno e 'l manto scosse, ed: "A guerra mortal" disse "vi sfido"; e 'l disse in atto sí feroce ed empio che parve aprir di Giano il chiuso tempio. 91 Parve ch'aprendo il seno indi traesse il Furor pazzo e la Discordia fera, e che ne gli occhi orribili gli ardesse la gran face d'Aletto e di Megera. Quel grande già che 'ncontra il cielo eresse l'alta mole d'error, forse tal era; e in cotal atto il rimirò Babelle alzar la fronte e minacciar le stelle. 92 Soggiunse allor Goffredo: "Or riportate al vostro re che venga, e che s'affretti, che la guerra accettiam che minacciate; e s'ei non vien, fra 'l Nilo suo n'aspetti." Accommiatò lor poscia in dolci e grate maniere, e gli onorò di doni eletti. Ricchissimo ad Alete un elmo diede ch'a Nicea conquistò fra l'altre prede. 93 Ebbe Argante una spada; e 'l fabro egregio l'else e 'l pomo le fe' gemmato e d'oro, con magistero tal che perde il pregio de la ricca materia appo il lavoro. Poi che la tempra e la ricchezza e 'l fregio sottilmente da lui mirati foro, disse Argante al Buglion: "Vedrai ben tosto come da me il tuo dono in uso è posto." 94 Indi tolto il congedo, è da lui ditto al suo compagno: "Or ce n'andremo omai, io a Gierusalem, tu verso Egitto, tu co 'l sol novo, io co' notturni rai, ch'uopo o di mia presenza, o di mio scritto essere non può colà dove tu vai. Reca tu la risposta, io dilungarmi quinci non vuo', dove si trattan l'armi." 95 Cosí di messaggier fatto è nemico, sia fretta intempestiva o sia matura: la ragion de le genti e l'uso antico s'offenda o no, né 'l pensa egli, né 'l cura. Senza risposta aver, va per l'amico silenzio de le stelle a l'alte mura, d'indugio impaziente, ed a chi resta già non men la dimora anco è molesta. 96 Era la notte allor ch'alto riposo han l'onde e i venti, e parea muto il mondo. Gli animai lassi, e quei che 'l mar ondoso o de liquidi laghi alberga il fondo, e chi si giace in tana o in mandra ascoso, e i pinti augelli, ne l'oblio profondo sotto il silenzio de' secreti orrori sopian gli affanni e raddolciano i cori. 97 Ma né 'l campo fedel, né 'l franco duca si discioglie nel sonno, o almen s'accheta, tanta in lor cupidigia è che riluca omai nel ciel l'alba aspettata e lieta, perché il camin lor mostri, e li conduca a la città ch'al gran passaggio è mèta. Mirano ad or ad or se raggio alcuno spunti, o si schiari de la notte il bruno.
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