Gerusalemme liberata, canti V e VI

POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA

canto QUINTO


1       Mentre in tal guisa i cavalieri alletta
      ne l'amor suo l'insidiosa Armida,
      né solo i diece a lei promessi aspetta
      ma di furto menarne altri confida,
      volge tra sé Goffredo a cui commetta
      la dubbia impresa ov'ella esser dée guida,
      ché de gli aventurier la copia e 'l merto
      e 'l desir di ciascuno il fanno incerto.

2       Ma con provido aviso al fin dispone
      ch'essi un di loro scelgano a sua voglia,
      che succeda al magnanimo Dudone
      e quella elezion sovra sé toglia.
      Cosí non averrà ch'ei dia cagione
      ad alcun d'essi che di lui si doglia,
      e insieme mostrerà d'aver nel pregio,
      in cui deve a ragion, lo stuolo egregio.

3       A sé dunque li chiama, e lor favella:
      "Stata è da voi la mia sentenza udita,
      ch'era non di negare a la donzella,
      ma di darle in stagion matura aita.
      Di novo or la propongo, e ben pote ella
      esser dal parer vostro anco seguita,
      ché nel mondo mutabile e leggiero
      costanza è spesso il variar pensiero.

4       Ma se stimate ancor che mal convegna
      al vostro grado il rifiutar periglio,
      e se pur generoso ardire sdegna
      quel che troppo gli par cauto consiglio,
      non sia ch'involontari io vi ritegna,
      né quel che già vi diedi or mi ripiglio;
      ma sia con esso voi, com'esser deve,
      il fren del nostro imperio lento e leve.

5       Dunque lo starne o 'l girne i' son contento
      che dal vostro piacer libero penda:
      ben vuo' che pria facciate al duce spento
      successor novo, e di voi cura ei prenda,
      e tra voi scelga i diece a suo talento;
      non già di diece il numero trascenda,
      ch'in questo il sommo imperio a me riservo:
      non fia l'arbitrio suo per altro servo."

6       Cosí disse Goffredo; e 'l suo germano,
      consentendo ciascun, risposta diede:
      "Sí come a te conviensi, o capitano,
      questa lenta virtú che lunge vede,
      cosí il vigor del core e de la mano,
      quasi debito a noi, da noi si chiede.
      E saria la matura tarditate,
      ch'in altri è providenza, in voi viltate.

7       E poi che 'l rischio è di sí leve danno
      posto in lance co 'l pro che 'l contrapesa,
      te permettente, i diece eletti andranno
      con la donzella a l'onorata impresa."
      Cosí conclude, e con sí adorno inganno
      cerca di ricoprir la mente accesa
      sotto altro zelo; e gli altri anco d'onore
      fingon desio quel ch'è desio d'amore.

8       Ma il piú giovin Buglione, il qual rimira
      con geloso occhio il figlio di Sofia,
      la cui virtute invidiando ammira
      che 'n sí bel corpo piú cara venia,
      no 'l vorrebbe compagno, e al cor gli inspira
      cauti pensier l'astuta gelosia,
      onde, tratto il rivale a sé in disparte,
      ragiona a lui con lusinghevol arte:

9       "O di gran genitor maggior figliuolo,
      che 'l sommo pregio in arme hai giovenetto,
      or chi sarà del valoroso stuolo,
      di cui parte noi siamo, in duce eletto?
      Io, ch'a Dudon famoso a pena, e solo
      per l'onor de l'età, vivea soggetto;
      io, fratel di Goffredo, a chi piú deggio
      cedere omai? se tu non sei, no 'l veggio.

10      Te, la cui nobiltà tutt'altre agguaglia,
      gloria e merito d'opre a me prepone,
      né sdegnerebbe in pregio di battaglia
      minor chiamarsi anco il maggior Buglione.
      Te dunque in duce bramo, ove non caglia
      a te di questa sira esser campione,
      né già cred'io che quell'onor tu curi
      che da' fatti verrà notturni e scuri;

11      né mancherà qui loco ove s'impieghi
      con piú lucida fama il tuo valore.
      Or io procurerò, se tu no 'l neghi,
      ch'a te concedan gli altri il sommo onore;
      ma perché non so ben dove si pieghi
      l'irresoluto mio dubbioso core,
      impetro or io da te, ch'a voglia mia
      o segua poscia Armida o teco stia."

12      Qui tacque Eustazio, e questi estremi accenti 
      non proferí senza arrossarsi in viso,
      e i mal celati suoi pensier ardenti
      l'altro ben vide, e mosse ad un sorriso;
      ma perch'a lui colpi d'amor piú lenti
      non hanno il petto oltra la scorza inciso,
      né molto impaziente è di rivale,
      né la donzella di seguir gli cale

13      ben altamente ha nel pensier tenace
      l'acerba morte di Dudon scolpita,
      e si reca a disnor ch'Argante audace
      gli soprastia lunga stagion in vita;
      e parte di sentir anco gli piace
      quel parlar ch'al dovuto onor l'invita,
      e 'l giovenetto cor s'appaga e gode
      del dolce suon de la verace lode.

14      Onde cosí rispose: "I gradi primi
      piú meritar che conseguir desio,
      né, pur che me la mia virtú sublimi,
      di scettri altezza invidiar degg'io;
      ma s'a l'onor mi chiami, e che lo stimi
      debito a me, non ci verrò restio,
      e caro esser mi dée che sia dimostro
      sí bel segno da voi del valor nostro.

15      Dunque io no 'l chiedo e no 'l rifiuto; e quando
      duce io pur sia, sarai tu de gli eletti."
      Allora il lascia Eustazio, e va piegando
      de' suoi compagni al suo voler gli affetti;
      ma chiede a prova il principe Gernando
      quel grado, e bench'Armida in lui saetti,
      men può nel cor superbo amor di donna
      ch'avidità d'onor che se n'indonna.

16      Sceso Gernando è da' gran re norvegi,
      che di molte provincie ebber l'impero;
      e le tante corone e' scettri regi
      e del padre e de gli avi il fanno altero.
      Altero è l'altro de' suoi propri pregi,
      piú che de l'opre che i passati fèro,
      ancor che gli avi suoi cento e piú lustri
      stati sian chiari in pace e 'n guerra illustri.

17      Ma il barbaro signor, che sol misura
      quanto l'oro o 'l domino oltre si stenda,
      e per sé stima ogni virtute oscura
      cui titolo regal chiara non renda,
      non può soffrir che 'n ciò ch'egli procura
      seco di merto il cavalier contenda,
      e se ne cruccia sí ch'oltra ogni segno
      di ragione il trasporta ira e disdegno.

18      Tal che 'l maligno spirito d'Averno,
      ch'in lui strada sí larga aprir si vede,
      tacito in sen gli serpe ed al governo
      de' suoi pensieri lusingando siede.
      E qui piú sempre l'ira e l'odio interno
      inacerbisce, e 'l cor stimola e fiede;
      e fa che 'n mezzo a l'alma ognor risuona
      una voce ch'a lui cosí ragiona:

19      "Teco giostra Rinaldo: or tanto vale
      quel suo numero van d'antichi eroi?
      Narri costui, ch'a te vuol farsi eguale,
      le genti serve e i tributari suoi;
      mostri gli scettri, e in dignità regale
      paragoni i suoi morti a i vivi tuoi.
      Ah quanto osa un signor d'indegno stato,
      signor che ne la serva Italia è nato!

20      Vinca egli o perda omai, ché vincitore
      fu insino allor ch'emulo tuo divenne,
      che dirà il mondo? (e ciò fia sommo onore):
      `Questi già con Gernando in gara venne.'
      Poteva a te recar gloria e splendore
      il nobil grado che Dudon pria tenne;
      ma già non meno esso da te n'attese:
      costui scemò suo pregio allor che 'l chiese.

21      E se, poi ch'altri piú non parla o spira,
      de' nostri affari alcuna cosa sente,
      come credi che 'n Ciel di nobil ira
      il buon vecchio Dudon si mostri ardente,
      mentre in questo superbo i lumi gira
      ed al suo temerario ardir pon mente,
      che seco ancor, l'età sprezzando e 'l merto,
      fanciullo osa agguagliarsi ed inesperto?

22      E l'osa pure e 'l tenta, e ne riporta
      in vece di castigo onor e laude,
      e v'è chi ne 'l consiglia e ne l'essorta
      (o vergogna comune!) e chi gli applaude.
      Ma se Goffredo il vede, e gli comporta
      che di ciò ch'a te déssi egli ti fraude,
      no 'l soffrir tu; né già soffrirlo déi,
      ma ciò che puoi dimostra e ciò che sei."

23      Al suon di queste voci arde lo sdegno
      e cresce in lui quasi commossa face;
      né capendo nel cor gonfiato e pregno,
      per gli occhi n'esce e per la lingua audace.
      Ciò che di riprensibile e d'indegno
      crede in Rinaldo, a suo disnor non tace;
      superbo e vano il finge, e 'l suo valore
      chiama temerità pazza e furore.

24      E quanto di magnanimo e d'altero
      e d'eccelso e d'illustre in lui risplende,
      tutto adombrando con mal arti il vero,
      pur come vizio sia, biasma e riprende,
      e ne ragiona sí che 'l cavaliero,
      emulo suo, publico il suon n'intende;
      non però sfoga l'ira o si raffrena
      quel cieco impeto in lui ch'a morte il mena,

25      ché 'l reo demon che la sua lingua move
      di spirto in vece, e forma ogni suo detto,
      fa che gl'ingiusti oltraggi ognor rinove,
      esca aggiungendo a l'infiammato petto.
      Loco è nel campo assai capace, dove
      s'aduna sempre un bel drapello eletto,
      e quivi insieme in torneamenti e in lotte
      rendon le membra vigorose e dotte.

26      Or quivi, allor che v'è turba piú folta,
      pur, com'è suo destin, Rinaldo accusa,
      e quasi acuto strale in lui rivolta
      la lingua, del venen d'Averno infusa;
      e vicino è Rinaldo e i detti ascolta,
      né pote l'ira omai tener piú chiusa,
      ma grida: "Menti," e adosso a lui si spinge,
      e nudo ne la destra il ferro stringe.

27      Parve un tuono la voce, e 'l ferro un lampo
      che di folgor cadente annunzio apporte.
      Tremò colui, né vide fuga o scampo
      da la presente irreparabil morte;
      pur, tutto essendo testimonio il campo,
      fa sembianti d'intrepido e di forte,
      e 'l gran nemico attende, e 'l ferro tratto
      fermo si reca di difesa in atto.

28      Quasi in quel punto mille spade ardenti
      furon vedute fiammeggiar insieme,
      ché varia turba di mal caute genti
      d'ogn'intorno v'accorre, e s'urta e preme.
      D'incerte voci e di confusi accenti
      un suon per l'aria si raggira e freme,
      qual s'ode in riva al mare, ove confonda
      il vento i suoi co' mormorii de l'onda.

29      Ma per le voci altrui già non s'allenta
      ne l'offeso guerrier l'impeto e l'ira.
      Sprezza i gridi e i ripari e ciò che tenta
      chiudergli il varco, ed a vendetta aspira;
      e fra gli uomini e l'armi oltre s'aventa,
      e la fulminea spada in cerchio gira,
      sí che le vie si sgombra e solo, ad onta
      di mille difensor, Gernando affronta.

30      E con la man, ne l'ira anco maestra,
      mille colpi vèr lui drizza e comparte:
      or al petto, or al capo, or a la destra
      tenta ferirlo, ora a la manca parte,
      e impetuosa e rapida la destra
      è in guisa tal che gli occhi inganna e l'arte,
      tal ch'improvisa e inaspettata giunge
      ove manco si teme, e fère e punge.

31      Né cessò mai sin che nel seno immersa
      gli ebbe una volta e due la fera spada.
      Cade il meschin su la ferita, e versa
      gli spirti e l'alma fuor per doppia strada.
      L'arme ripone ancor di sangue aspersa
      il vincitor, né sovra lui piú bada;
      ma si rivolge altrove, e insieme spoglia
      l'animo crudo e l'adirata voglia.

32      Tratto al tumulto il pio Goffredo intanto,
      vede fero spettacolo improviso:
      steso Gernando, il crin di sangue e 'l manto
      sordido e molle, e pien di morte il viso;
      ode i sospiri e le querele e 'l pianto
      che molti fan sovra il guerrier ucciso.
      Stupido chiede: "Or qui, dove men lece,
      chi fu ch'ardí cotanto e tanto fece?"

33      Arnalto, un de' piú cari al prence estinto,
      narra (e 'l caso in narrando aggrava molto)
      che Rinaldo l'uccise e che fu spinto
      da leggiera cagion d'impeto stolto,
      e che quel ferro, che per Cristo è cinto,
      ne' campioni di Cristo avea rivolto,
      e sprezzato il suo impero e quel divieto
      che fe' pur dianzi e che non è secreto;

34      e che per legge è reo di morte e deve,
      come l'editto impone, esser punito,
      sí perché il fallo in se medesmo è greve,
      sí perché 'n loco tale egli è seguito;
      che se de l'error suo perdon riceve,
      fia ciascun altro per l'essempio ardito,
      e che gli offesi poi quella vendetta
      vorranno far ch'a i giudici s'aspetta;

35      onde per tal cagion discordie e risse
      germoglieran fra quella parte e questa.
      Rammentò i merti de l'estinto, e disse
      tutto ciò ch'o pietate o sdegno desta.
      Ma s'oppose Tancredi e contradisse,
      e la causa del reo dipinse onesta.
      Goffredo ascolta, e in rigida sembianza
      porge piú di timor che di speranza.

36      Soggiunse allor Tancredi: "Or ti sovegna,
      saggio signor, chi sia Rinaldo e quale:
      qual per se stesso onor gli si convegna,
      e per la stirpe sua chiara e regale,
      e per Guelfo suo zio. Non dée chi regna
      nel castigo con tutti esser eguale:
      vario è l'istesso error ne' gradi vari,
      e sol l'egualità giusta è co' pari."

37      Risponde il capitan: "Da i piú sublimi
      ad ubidire imparino i piú bassi.
      Mal, Tancredi, consigli e male stimi
      se vuoi ch'i grandi in sua licenza io lassi.
      Qual fòra imperio il mio s'a vili ed imi,
      sol duce de la plebe, io commandassi?
      Scettro impotente e vergognoso impero:
      se con tal legge è dato, io piú no 'l chero.

38      Ma libero fu dato e venerando,
      né vuo' ch'alcun d'autorità lo scemi.
      E so ben io come si deggia e quando
      ora diverse impor le pene e i premi,
      ora, tenor d'egualità serbando,
      non separar da gli infimi i supremi."
      Cosí dicea; né rispondea colui,
      vinto da riverenza, a i detti sui.

39      Raimondo, imitator de la severa
      rigida antichità, lodava i detti.
      "Con quest'arti" dicea "chi bene impera
      si rende venerabile a i soggetti,
      ché già non è la disciplina intera
      ov'uom perdono e non castigo aspetti.
      Cade ogni regno, e ruinosa è senza
      la base del timor ogni clemenza."

40      Tal ei parlava, e le parole accolse
      Tancredi, e piú fra lor non si ritenne,
      ma vèr Rinaldo immantinente volse
      un suo destrier che parve aver le penne.
      Rinaldo, poi ch'al fer nemico tolse
      l'orgoglio e l'alma, al padiglion se 'n venne.
      Qui Tancredi trovollo, e de le cose
      dette e risposte a pien la somma espose.

41      Soggiunse poi: "Bench'io sembianza esterna
      del cor non stimi testimon verace,
      ché 'n parte troppo cupa e troppo interna
      il pensier de' mortali occulto giace,
      pur ardisco affermar, a quel ch'io scerna
      nel capitan ch'in tutto anco no 'l tace,
      ch'egli ti voglia a l'obligo soggetto
      de' rei comune e in suo poter ristretto."

42      Sorrise allor Rinaldo, e con un volto
      in cui tra 'l riso lampeggiò lo sdegno:
      "Difenda sua ragion ne' ceppi involto
      chi servo è" disse "o d'esser servo è degno.
      Libero i' nacqui e vissi, e morrò sciolto
      pria che man porga o piede a laccio indegno:
      usa a la spada è questa destra ed usa
      a le palme, e vil nodo ella ricusa.

43      Ma s'a i meriti miei questa mercede
      Goffredo rende e vuol impregionarme
      pur com'io fosse un uom del vulgo, e crede
      a carcere plebeo legato trarme,
      venga egli o mandi, io terrò fermo il piede.
      Giudici fian tra noi la sorte e l'arme:
      fera tragedia vuol che s'appresenti
      per lor diporto a le nemiche genti."

44      Ciò detto, l'armi chiede; e 'l capo e 'l busto
      di finissimo acciaio adorno rende
      e fa del grande scudo il braccio onusto,
      e la fatale spada al fianco appende,
      e in sembiante magnanimo ed augusto,
      come folgore suol, ne l'arme splende.
      Marte, e' rassembra te qualor dal quinto
      cielo di ferro scendi e d'orror cinto.

45      Tancredi intanto i feri spirti e 'l core
      insuperbito d'ammollir procura.
      "Giovene invitto," dice "al tuo valore
      so che fia piana ogn'erta impresa e dura,
      so che fra l'arme sempre e fra 'l terrore
      la tua eccelsa virtute è piú secura;
      ma non consenta Dio ch'ella si mostri
      oggi sí crudelmente a' danni nostri.

46      Dimmi, che pensi far? vorrai le mani
      del civil sangue tuo dunque bruttarte?
      e con le piaghe indegne de' cristiani
      trafigger Cristo, ond'ei son membra e parte?
      Di transitorio onor rispetti vani,
      che qual onda del mar se 'n viene e parte,
      potranno in te piú che la fede e 'l zelo
      di quella gloria che n'eterna in Cielo?

47      Ah non, per Dio!, vinci te stesso e spoglia
      questa feroce tua mente superba.
      Cedi! non fia timor, ma santa voglia,
      ch'a questo ceder tuo palma si serba.
      E se pur degna ond'altri essempio toglia
      è la mia giovenetta etate acerba,
      anch'io fui provocato, e pur non venni
      co' fedeli in contesa e mi contenni;

48      ch'avend'io preso di Cilicia il regno,
      e l'insegne spiegatevi di Cristo,
      Baldovin sopragiunse, e con indegno
      modo occupollo e ne fe' vile acquisto;
      ché, mostrandosi amico ad ogni segno,
      del suo avaro pensier non m'era avisto.
      Ma con l'arme però di ricovrarlo
      non tentai poscia, e forse i' potea farlo.

49      E se pur anco la prigion ricusi
      e i lacci schivi, quasi ignobil pondo,
      e seguir vuoi l'opinioni e gli usi
      che per leggi d'onore approva il mondo,
      lascia qui me ch'al capitan ti scusi,
      e 'n Antiochia tu vanne a Boemondo,
      ché né soppórti in questo impeto primo
      a' suoi giudizi assai securo stimo.

50      Ben tosto fia, se pur qui contra avremo
      l'arme d'Egitto o d'altro stuol pagano,
      ch'assai piú chiaro il tuo valore estremo
      n'apparirà mentre sarai lontano;
      e senza te parranne il campo scemo,
      quasi corpo cui tronco è braccio o mano."
      Qui Guelfo sopragiunge e i detti approva,
      e vuol che senza indugio indi si mova.

51      A i lor consigli la sdegnosa mente
      de l'audace garzon si svolge e piega,
      tal ch'egli di partirsi immantinente
      fuor di quell'oste a i fidi suoi non nega.
      Molta intanto è concorsa amica gente,
      e seco andarne ognun procura e prega;
      egli tutti ringrazia e seco prende
      sol duo scudieri, e su 'l cavallo ascende.

52      Parte, e porta un desio d'eterna ed alma 
      gloria ch'a nobil core è sferza e sprone;
      a magnanime imprese intent'ha l'alma,
      ed insolite cose oprar dispone:
      gir fra i nemici, ivi o cipresso o palma
      acquistar per la fede ond'è campione,
      scorrer l'Egitto, e penetrar sin dove
      fuor d'incognito fonte il Nilo move.

53      Ma Guelfo, poi che 'l giovene feroce
      affrettato al partir preso ha congedo,
      quivi non bada, e se ne va veloce
      ove egli stima ritrovar Goffredo,
      il qual, come lui vede, alza la voce:
      "Guelfo," dicendo "a punto or te richiedo,
      e mandato ho pur ora in varie parti
      alcun de' nostri araldi a ricercarti."

54      Poi fa ritrarre ogn'altro, e in basse note
      ricomincia con lui grave sermone:
      "Veracemente, o Guelfo, il tuo nepote
      troppo trascorre, ov'ira il cor gli sprone,
      e male addursi a mia credenza or pote
      di questo fatto suo giusta cagione.
      Ben caro avrò ch'ella ci rechi tale,
      ma Goffredo con tutti è duce eguale;

55      e sarà del legitimo e del dritto
      custode in ogni caso e difensore,
      serbando sempre al giudicare invitto
      da le tiranne passioni il core.
      Or se Rinaldo a violar l'editto
      e de la disciplina il sacro onore
      costretto fu, come alcun dice, a i nostri
      giudizi venga ad inchinarsi, e 'l mostri.

56      A sua retenzion libero vegna:
      questo, ch'io posso, a i merti suoi consento.
      Ma s'egli sta ritroso e se ne sdegna
      (conosco quel suo indomito ardimento),
      tu di condurlo a proveder t'ingegna
      ch'ei non isforzi uom mansueto e lento
      ad esser de le leggi e de l'impero
      vendicator, quanto è ragion, severo."

57      Cosí disse egli; e Guelfo a lui rispose;
      "Anima non potea d'infamia schiva
      voci sentir di scorno ingiuriose,
      e non farne repulsa ove l'udiva.
      E se l'oltraggiatore a morte ei pose,
      chi è che mèta a giust'ira prescriva?
      chi conta i colpi o la dovuta offesa,
      mentre arde la tenzon, misura e pesa?

58      Ma quel che chiedi tu, ch'al tuo soprano
      arbitrio il garzon venga a sottoporse,
      duolmi ch'esser non può, ch'egli lontano
      da l'oste immantinente il passo torse.
      Ben m'offro io di provar con questa mano
      a lui ch'a torto in falsa accusa il morse,
      o s'altri v'è di sí maligno dente,
      ch'ei puní l'onta ingiusta giustamente.

59      A ragion, dico, al tumido Gernando
      fiaccò le corna del superbo orgoglio.
      Sol, s'egli errò, fu ne l'oblio del bando;
      ciò ben mi pesa, ed a lodar no 'l toglio."
      Tacque, e disse Goffredo: "Or vada errando,
      e porti risse altrove; io qui non voglio
      che sparga seme tu di nove liti:
      deh, per Dio, sian gli sdegni anco forniti."

60      Di procurare il suo soccorso intanto
      non cessò mai l'ingannatrice rea.
      Pregava il giorno, e ponea in uso quanto
      l'arte e l'ingegno e la beltà potea;
      ma poi, quando stendendo il fosco manto
      la notte in occidente il dí chiudea,
      tra duo suoi cavalieri e due matrone
      ricovrava in disparte al padiglione.

61      Ma benché sia mastra d'inganni, e i suoi
      modi gentili e le maniere accorte,
      e bella sí che 'l ciel prima né poi
      altrui non dié maggior bellezza in sorte,
      tal che del campo i piú famosi eroi
      ha presi d'un piacer tenace e forte;
      non è però ch'a l'esca de' diletti
      il pio Goffredo lusingando alletti.

62      In van cerca invaghirlo, e con mortali
      dolcezze attrarlo a l'amorosa vita,
      ché qual saturo augel, che non si cali
      ove il cibo mostrando altri l'invita,
      tal ei sazio del mondo i piacer frali
      sprezza, e se 'n poggia al Ciel per via romita,
      e quante insidie al suo bel volo tende
      l'infido amor, tutte fallaci rende.

63      Né impedimento alcun torcer da l'orme
      pote, che Dio ne segna, i pensier santi.
      Tentò ella mill'arti, e in mille forme
      quasi Proteo novel gli apparse inanti,
      e desto Amor, dove piú freddo ei dorme,
      avrian gli atti dolcissimi e i sembianti,
      ma qui (grazie divine) ogni sua prova
      vana riesce, e ritentar non giova.

64      La bella donna, ch'ogni cor piú casto
      arder credeva ad un girar di ciglia,
      oh come perde or l'alterezza e 'l fasto!
      e quale ha di ciò sdegno e meraviglia!
      Rivolger le sue forze ove contrasto
      men duro trovi al fin si riconsiglia,
      qual capitan ch'inespugnabil terra
      stanco abbandoni, e porti altrove guerra.

65      Ma contra l'arme di costei non meno
      si mostrò di Tancredi invitto il core,
      però ch'altro desio gli ingombra il seno,
      né vi può loco aver novello ardore;
      ché si come da l'un l'altro veneno
      guardar ne suol, tal l'un da l'altro amore.
      Questi soli non vinse: o molto o poco
      avampò ciascun altro al suo bel foco.

66      Ella, se ben si duol che non succeda
      sí pienamente il suo disegno e l'arte,
      pur fatto avendo cosí nobil preda
      di tanti eroi, si riconsola in parte.
      E pria che di sue frodi altri s'aveda,
      pensa condurgli in piú secura parte,
      ove gli stringa poi d'altre catene
      che non son quelle ond'or presi li tiene.

67      E sendo giunto il termine che fisse
      il capitano a darle alcun soccorso,
      a lui se 'n venne riverente e disse:
      "Sire, il dí stabilito è già trascorso,
      e se per sorte il reo tiranno udisse
      ch'i' abbia fatto a l'arme tue ricorso,
      prepareria sue forze a la difesa,
      né cosí agevol poi fòra l'impresa.

68      Dunque, prima ch'a lui tal nova apporti 
      voce incerta di fama o certa spia,
      scelga la tua pietà fra i tuoi piú forti
      alcuni pochi, e meco or or gli invia,
      ché se non mira il Ciel con occhi torti
      l'opre mortali o l'innocenza oblia,
      sarò riposta in regno, e la mia terra
      sempre avrai tributaria in pace e in guerra."

69      Cosí diceva, e 'l capitano a i detti
      quel che negar non si potea concede,
      se ben, ov'ella il suo partir affretti,
      in sé tornar l'elezion ne vede;
      ma nel numero ognun de' diece eletti
      con insolita instanza esser richiede,
      e l'emulazion che 'n lor si desta
      piú importuni li fa ne la richiesta.

70      Ella, che 'n essi mira aperto il core,
      prende vedendo ciò novo argomento,
      e su 'l lor fianco adopra il rio timore
      di gelosia per ferza e per tormento;
      sapendo ben ch'al fin s'invecchia Amore
      senza quest'arti e divien pigro e lento,
      quasi destrier che men veloce corra
      se non ha chi lui segua e chi 'l precorra.

71      E in tal modo comparte i detti sui
      e 'l guardo lusinghiero e 'l dolce riso,
      ch'alcun non è che non invidii altrui,
      né il timor de la speme è in lor diviso.
      La folle turba de gli amanti, a cui
      stimolo è l'arte d'un fallace viso,
      senza fren corre, e non li tien vergogna,
      e loro indarno il capitan rampogna.

72      Ei ch'egualmente satisfar desira
      ciascuna de le parti e in nulla pende,
      se ben alquanto or di vergogna or d'ira
      al vaneggiar de' cavalier s'accende,
      poi ch'ostinati in quel desio li mira,
      novo consiglio in accordarli prende:
      "Scrivansi i vostri nomi ed in un vaso
      pongansi," disse "e sia giudice il caso."

73      Subito il nome di ciascun si scrisse,
      e in picciol'urna posti e scossi foro,
      e tratti a sorte; e 'l primo che n'uscisse
      fu il conte di Pembrozia Artemidoro.
      Legger poi di Gherardo il nome udisse,
      ed uscí Vincilao dopo costoro:
      Vincilao che, sí grave e saggio inante,
      canuto or pargoleggia e vecchio amante.

74      Oh come il volto han lieto, e gli occhi pregni
      di quel piacer che dal cor pieno inonda,
      questi tre primi eletti, i cui disegni
      la fortuna in amor destra seconda!
      D'incerto cor, di gelosia dan segni
      gli altri il cui nome avien che l'urna asconda,
      e da la bocca pendon di colui
      che spiega i brevi e legge i nomi altrui.

75      Guasco quarto fuor venne, a cui successe
      Ridolfo ed a Ridolfo indi Olderico,
      quinci Guglielmo Ronciglion si lesse,
      e 'l bavaro Eberardo, e 'l franco Enrico.
      Rambaldo ultimo fu, che farsi elesse
      poi, fé cangiando, di Giesú nemico
      (tanto pote Amor dunque?); e questi chiuse
      il numero de' diece, e gli altri escluse.

76      D'ira, di gelosia, d'invidia ardenti, 
      chiaman gli altri Fortuna ingiusta e ria,
      a te accusano, Amor, che le consenti,
      che ne l'imperio tuo giudice sia.
      Ma perché instinto è de l'umane genti
      che ciò che piú si vieta uom piú desia,
      dispongon molti ad onta di fortuna
      seguir la donna come il ciel s'imbruna.

77      Voglion sempre seguirla a l'ombra al sole,
      e per lei combattendo espor la vita.
      Ella fanne alcun motto, e con parole
      tronche e dolci sospir a ciò gli invita,
      ed or con questo ed or con quel si duole
      che far convienle senza lui partita.
      S'erano armati intanto, e da Goffredo
      toglieano i diece cavalier congedo.

78      Gli ammonisce quel saggio a parte a parte
      come la fé pagana è incerta e leve,
      e mal securo pegno; e con qual arte
      l'insidie e i casi aversi uom fuggir deve;
      ma son le sue parole al vento sparte,
      né consiglio d'uom sano Amor riceve.
      Lor dà commiato al fine, e la donzella
      non aspetta al partir l'alba novella.

79      Parte la vincitrice, e quei rivali
      quasi prigioni al suo trionfo inanti
      seco n'adduce, e tra infiniti mali
      lascia la turba poi de gli altri amanti.
      Ma come uscí la notte, e sotto l'ali
      menò il silenzio e i levi sogni erranti,
      secretamente, com'Amor gl'informa,
      molti d'Armida seguitaron l'orma.

80      Segue Eustazio il primiero, e pote a pena
      aspettar l'ombre che la notte adduce;
      vassene frettoloso ove ne 'l mena
      per le tenebre cieche un cieco duce.
      Errò la notte tepida e serena;
      ma poi ne l'apparir de l'alma luce
      gli apparse insieme Armida e 'l suo drapello,
      dove un borgo lor fu notturno ostello.

81      Ratto ei vèr lei si move, ed a l'insegna
      tosto Rambaldo il riconosce, e grida
      che ricerchi fra loro e perché vegna.
      "Vengo" risponde "a seguitarne Armida,
      ned ella avrà da me, se non la sdegna,
      men pronta aita o servitú men fida."
      Replica l'altro: "Ed a cotanto onore,
      di', chi t'elesse?" Egli soggiunge: "Amore.

82      Me scelse Amor, te la Fortuna: or quale
      da piú giusto elettore eletto parti?"
      Dice Rambaldo allor: "Nulla ti vale
      titolo falso, ed usi inutil arti;
      né potrai de la vergine regale
      fra i campioni legitimi meschiarti,
      illegitimo servo." "E chi" riprende
      cruccioso il giovenetto "a me il contende?"

83      "Io te 'l difenderò" colui rispose,
      e feglisi a l'incontro in questo dire,
      e con voglie egualmente in lui sdegnose
      l'altro si mosse e con eguale ardire;
      ma qui stese la mano, e si frapose
      la tiranna de l'alme in mezzo a l'ire,
      ed a l'uno dicea: "Deh! non t'incresca
      ch'a te compagno, a me campion s'accresca.

84      S'ami che salva i' sia, perché mi privi
      in sí grand'uopo de la nova aita?"
      Dice a l'altro: "Opportuno e grato arrivi
      difensor di mia fama e di mia vita;
      né vuol ragion, né sarà mai ch'io schivi
      compagnia nobil tanto e sí gradita."
      Cosí parlando, ad or ad or tra via
      alcun novo campion le sorvenia.

85      Chi di là giunge e chi di qua, né l'uno
      sapea de l'altro, e il mira bieco e torto.
      Essa lieta gli accoglie, ed a ciascuno
      mostra del suo venir gioia e conforto.
      Ma già ne lo schiarir de l'aer bruno
      s'era del lor partir Goffredo accorto,
      e la mente, indovina de' lor danni,
      d'alcun futuro mal par che s'affanni.

86      Mentre a ciò pur ripensa, un messo appare
      polveroso, anelante, in vista afflitto,
      in atto d'uom ch'altrui novelle amare
      porti, e mostri il dolore in fronte scritto.
      Disse costui: "Signor, tosto nel mare
      la grande armata apparirà d'Egitto;
      e l'aviso Guglielmo, il qual comanda
      a i liguri navigli, a te ne manda."

87      Soggiunse a questo poi che, da le navi
      sendo condotta vettovaglia al campo,
      i cavalli e i cameli onusti e gravi
      trovato aveano a mezza strada inciampo,
      e ch'i lor difensori uccisi o schiavi
      restàr pugnando, e nessun fece scampo,
      da i ladroni d'Arabia in una valle
      assaliti a la fronte ed a le spalle;

88      e che l'insano ardire e la licenza
      di que' barbari erranti è omai sí grande
      ch'in guisa d'un diluvio intorno senza
      alcun contrasto si dilata e spande,
      onde convien ch'a porre in lor temenza
      alcuna squadra di guerrier si mande,
      ch'assecuri la via che da l'arene
      del mar di Palestina al campo viene.

89      D'una in un'altra lingua in un momento
      ne trapassa la fama e si distende,
      e 'l vulgo de' soldati alto spavento
      ha de la fame che vicina attende.
      Il saggio capitan, che l'ardimento
      solito loro in essi or non comprende,
      cerca con lieto volto e con parole
      come li rassecuri e riconsole:

90      "O per mille perigli e mille affanni
      meco passati in quelle parti e in queste,
      campion di Dio, ch'a ristorare i danni
      de la cristiana sua fede nasceste;
      voi, che l'arme di Persia e i greci inganni,
      e i monti e i mari e 'l verno e le tempeste,
      de la fame i disagi e de la sete
      superaste, voi dunque ora temete?

91      Dunque il Signor che v'indirizza e move,
      già conosciuto in caso assai piú rio,
      non v'assecura, quasi or volga altrove
      la man de la clemenza e 'l guardo pio?
      Tosto un dí fia che rimembrar vi giove
      gli scorsi affanni, e sciòrre i voti a Dio.
      Or durate magnanimi, e voi stessi
      serbate, prego, a i prosperi successi."

92      Con questi detti le smarrite menti
      consola e con sereno e lieto aspetto,
      ma preme mille cure egre e dolenti
      altamente riposte in mezzo al petto.
      Come possa nutrir sí varie genti
      pensa fra la penuria e tra 'l difetto,
      come a l'armata in mar s'opponga, e come
      gli Arabi predatori affreni e dome.



canto SESTO


1       Ma d'altra parte l'assediate genti
      speme miglior conforta e rassecura,
      ch'oltra il cibo raccolto altri alimenti
      son lor dentro portati a notte oscura,
      ed han munite d'arme e d'instrumenti
      di guerra verso l'Aquilon le mura,
      che d'altezza accresciute e sode e grosse
      non mostran di temer d'urti o di scosse.

2       E 'l re pur sempre queste parti e quelle
      lor fa inalzare e rafforzare i fianchi,
      o l'aureo sol risplenda od a le stelle
      ed a la luna il fosco ciel s'imbianchi;
      e in far continuamente arme novelle
      sudano i fabri affaticati e stanchi.
      In sí fatto apparecchio intolerante
      a lui se 'n venne, e ragionolli Argante:

3       "E insino a quando ci terrai prigioni
      fra queste mura in vile assedio e lento?
      Odo ben io stridere incudi, e suoni
      d'elmi e di scudi e di corazze sento,
      ma non veggio a quel uso; e quei ladroni
      scorrono i campi e i borghi a lor talento,
      né v'è di noi chi mai lor passo arresti,
      né tromba che dal sonno almen gli desti.

4       A lor né i prandi mai turbati e rotti,
      né molestate son le cene liete,
      anzi egualmente i dí lunghi e le notti
      traggon con securezza e con quiete.
      Voi da i disagi e da la fame indotti
      a darvi vinti a lungo andar sarete
      od a morirne qui, come codardi,
      quando d'Egitto pur l'aiuto tardi.

5       Io per me non vuo' già ch'ignobil morte
      i giorni miei d'oscuro oblio ricopra,
      né vuo' ch'al novo dí fra queste porte
      l'alma luce del sol chiuso mi scopra.
      Di questo viver mio faccia la sorte
      quel che già stabilito è là di sopra;
      non farà già che senza oprar la spada
      inglorioso e invendicato io cada.

6       Ma quando pur del valor vostro usato
      cosí non fosse in voi spento ogni seme,
      non di morir pugnando ed onorato,
      ma di vita e di palma anco avrei speme.
      A incontrare i nemici e 'l nostro fato
      andianne pur deliberati insieme,
      ché spesso avien che ne' maggior perigli
      sono i piú audaci gli ottimi consigli.

7       Ma se nel troppo osar tu non isperi,
      né sei d'uscir con ogni squadra ardito,
      procura almen che sia per duo guerrieri
      questo tuo gran litigio or difinito.
      E perch'accetti ancor piú volentieri
      il capitan de' Franchi il nostro invito,
      l'arme egli scelga e 'l suo vantaggio toglia,
      e le condizion formi a sua voglia.

8       Ché se 'l nemico avrà due mani ed una
      anima solo, ancor ch'audace e fera,
      temer non déi, per isciagura alcuna,
      che la ragion da me difesa pèra.
      Pote in vece di fato e di fortuna
      darti la destra mia vittoria intera,
      ed a te se medesma or porge in pegno
      che se 'l confidi in lei salvo è il tuo regno."

9       Tacque, e rispose il re: "Giovene ardente,
      se ben me vedi in grave età senile,
      non sono al ferro queste man sí lente,
      né sí quest'alma è neghittosa e vile
      ch'anzi morir volesse ignobilmente
      che di morte magnanima e gentile,
      quando io temenza avessi o dubbio alcuno
      de' disagi ch'annunzii e del digiuno.

10      Cessi Dio tanta infamia! Or quel ch'ad arte
      nascondo altrui, vuo' ch'a te sia palese.
      Soliman di Nicea, che brama in parte
      di vendicar le ricevute offese,
      de gli Arabi le schiere erranti e sparte
      raccolte ha fin dal libico paese,
      e i nemici assalendo a l'aria nera
      darne soccorso e vettovaglia spera.

11      Tosto fia che qui giunga; or se fra tanto
      son le nostre castella oppresse e serve,
      non ce ne caglia, pur che 'l regal manto
      e la mia nobil reggia io mi conserve.
      Tu l'ardimento e questo ardore alquanto
      tempra, per Dio, che 'n te soverchio ferve,
      ed opportuna la stagione aspetta
      a la tua gloria ed a la mia vendetta."

12      Forte sdegnossi il saracino audace,
      ch'era di Solimano emulo antico,
      sí amaramente ora d'udir gli spiace
      che tanto se 'n prometta il rege amico.
      "A tuo senno" risponde "e guerra e pace
      farai, signor: nulla di ciò piú dico.
      S'indugi pure, e Soliman s'attenda;
      ei, che perdé il suo regno, il tuo difenda.

13      Vengane a te quasi celeste messo,
      liberator del popolo pagano,
      ch'io, quanto a me, bastar credo a me stesso,
      e sol vuo' libertà da questa mano.
      Or nel riposo altrui siami concesso
      ch'io ne discenda a guerreggiar nel piano:
      privato cavalier, non tuo campione,
      verrò co' Franchi a singolar tenzone."

14      Replica il re: "Se ben l'ire e la spada
      dovresti riserbare a migliore uso,
      che tu sfidi però, se ciò t'aggrada,
      alcun guerrier nemico, io non ricuso."
      Cosí gli disse, ed ei punto non bada:
      "Va," dice ad un araldo "or colà giuso,
      ed al duce de' Franchi, udendo l'oste,
      fa' queste mie non picciole proposte:

15      ch'un cavalier, che d'appiattarsi in questo
      forte cinto di muri a sdegno prende,
      brama di far con l'armi or manifesto
      quanto la sua possanza oltra si stende;
      e ch'a duello di venirne è presto
      nel pian ch'è fra le mura e l'alte tende
      per prova di valore, e che disfida
      qual piú de' Franchi in sua virtú si fida;

16      e che non solo è di pugnare accinto
      e con uno e con duo del campo ostile,
      ma dopo il terzo, il quarto accetta e 'l quinto,
      sia di vulgare stirpe o di gentile:
      dia, se vuol, la franchigia, e serva il vinto
      al vincitor come di guerra è stile."
      Cosí gli impose, ed ei vestissi allotta
      la purpurea de l'arme aurata cotta.

17      E poi che giunse a la regal presenza
      del principe Goffredo e de' baroni,
      chiese: "O signore, a i messaggier licenza
      dassi tra voi di liberi sermoni?"
      "Dassi," rispose il capitano "e senza
      alcun timor la tua proposta esponi."
      Riprese quegli: "Or si parrà se grata
      o formidabil fia l'alta ambasciata."

18      E seguí poscia, e la disfida espose
      con parole magnifiche ed altere.
      Fremer s'udiro, e si mostràr sdegnose
      al suo parlar quelle feroci schiere;
      e senza indugio il pio Buglion rispose:
      "Dura impresa intraprende il cavaliere;
      e tosto io creder vuo' che glie ne incresca
      sí che d'uopo non fia che 'l quinto n'esca.

19      Ma venga in prova pur, che d'ogn'oltraggio
      gli offero campo libero e securo;
      e seco pugnerà senza vantaggio
      alcun de' miei campioni, e cosí giuro."
      Tacque, e tornò il re d'arme al suo viaggio
      per l'orme ch'al venir calcate furo,
      e non ritenne il frettoloso passo
      sin che non diè risposta al fier circasso.

20      "Armati," dice "alto signor; che tardi?
      la disfida accettata hanno i cristiani,
      e d'affrontarsi teco i men gagliardi
      mostran desio, non che i guerrier soprani.
      E mille i' vidi minacciosi sguardi,
      e mille al ferro apparecchiate mani:
      loco securo il duce a te concede."
      Cosí gli dice; e l'arme esso richiede,

21      e se ne cinge intorno e impaziente
      di scenderne s'affretta a la campagna.
      Disse a Clorinda il re, ch'era presente:
      "Giusto non è ch'ei vada e tu rimagna.
      Mille dunque con te di nostra gente
      prendi in sua securezza, e l'accompagna;
      ma vada inanzi a giusta pugna ei solo,
      tu lunge alquanto a lui ritien lo stuolo."

22      Tacque ciò detto; e poi che furo armati,
      quei del chiuso n'uscivano a l'aperto,
      e giva inanzi Argante e de gli usati
      arnesi in su 'l cavallo era coperto.
      Loco fu tra le mura e gli steccati
      che nulla avea di diseguale e d'erto:
      ampio e capace, e parea fatto ad arte
      perch'egli fosse altrui campo di Marte.

23      Ivi solo discese, ivi fermosse
      in vista de' nemici il fero Argante,
      per gran cor, per gran corpo e per gran posse
      superbo e minaccievole in sembiante,
      qual Encelado in Flegra, o qual mostrosse
      ne l'ima valle il filisteo gigante,
      ma pur molti di lui tema non hanno,
      ch'anco quanto sia forte a pien non sanno.

24      Alcun però, dal pio Goffredo eletto
      come il miglior, ancor non è fra molti.
      Ben si vedean con desioso affetto
      tutti gli occhi in Tancredi esser rivolti,
      e dichiarato infra i miglior perfetto
      dal favor manifesto era de' volti;
      e s'udia non oscuro anco il bisbiglio,
      e l'approvava il capitan co 'l ciglio.

25      Già cedea ciascun altro, e non secreto
      era il volere omai del pio Buglione:
      "Vanne," a lui disse "a te l'uscir non vieto,
      e reprimi il furor di quel fellone."
      E tutto in volto baldanzoso e lieto
      per sí alto giudizio, il fer garzone
      a lo scudier chiedea l'elmo e 'l cavallo,
      poi seguito da molti uscia del vallo.

26      Ed a quel largo pian fatto vicino,
      ov'Argante l'attende, anco non era,
      quando in leggiadro aspetto e pellegrino
      s'offerse a gli occhi suoi l'alta guerriera.
      Bianche via piú che neve in giogo alpino
      avea le sopraveste, e la visiera
      alta tenea dal volto; e sovra un'erta,
      tutta, quanto ella è grande, era scoperta.

27      Già non mira Tancredi ove il circasso
      la spaventosa fronte al cielo estolle,
      ma move il suo destrier con lento passo,
      volgendo gli occhi ov'è colei su 'l colle;
      poscia immobil si ferma, e pare un sasso:
      gelido tutto fuor, ma dentro bolle.
      Sol di mirar s'appaga, e di battaglia
      sembiante fa che poco or piú gli caglia.

28      Argante, che non vede alcun ch'in atto
      dia segno ancor d'apparecchiarsi in giostra:
      "Da desir di contesa io qui fui tratto";
      grida "or chi viene inanzi, e meco giostra?"
      L'altro, attonito quasi e stupefatto,
      pur là s'affissa e nulla udir ben mostra.
      Ottone inanzi allor spinse il destriero,
      e ne l'arringo vòto entrò primiero.

29      Questi un fu di color cui dianzi accese
      di gir contra il pagano alto desio;
      pur cedette a Tancredi, e 'n sella ascese
      fra gli altri che seguírlo e seco uscio.
      Or veggendo sue voglie altrove intese
      e starne lui quasi al puguar restio,
      prende, giovene audace e impaziente,
      l'occasione offerta avidamente;

30      e veloce cosí che tigre o pardo
      va men ratto talor per la foresta,
      corre a ferire il saracin gagliardo,
      che d'altra parte la gran lancia arresta.
      Si scote allor Tancredi, e dal suo tardo
      pensier, quasi da un sonno, al fin si desta,
      e grida ei ben: "La pugna è mia; rimanti."
      Ma troppo Ottone è già trascorso inanti.

31      Onde si ferma; e d'ira e di dispetto
      avampa dentro, e fuor qual fiamma è rosso,
      perch'ad onta si reca ed a difetto
      ch'altri si sia primiero in giostra mosso.
      Ma intanto a mezzo il corso in su l'elmetto
      dal giovin forte è il saracin percosso;
      egli a l'incontro a lui co 'l ferro nudo
      fende l'usbergo, e pria rompe lo scudo.

32      Cade il cristiano, e ben è il colpo acerbo,
      poscia ch'avien che da l'arcion lo svella.
      Ma il pagan di piú forza e di piú nerbo
      non cade già, né pur si torce in sella;
      indi con dispettoso atto superbo
      sovra il caduto cavalier favella:
      "Renditi vinto, e per tua gloria basti
      che dir potrai che contra me pugnasti."

33      "No," gli risponde Otton "fra noi non s'usa
      cosí tosto depor l'arme e l'ardire;
      altri del mio cader farà la scusa,
      io vuo' far la vendetta o qui morire."
      In sembianza d'Aletto e di Medusa
      freme il circasso, e par che fiamma spire:
      "Conosci or" dice "il mio valor a prova,
      poi che la cortesia sprezzar ti giova."

34      Spinge il destrier in questo, e tutto oblia
      quanto virtú cavaleresca chiede.
      Fugge il franco l'incontro e si desvia,
      e 'l destro fianco nel passar gli fiede,
      ed è sí grave la percossa e ria
      che 'l ferro sanguinoso indi ne riede;
      ma che pro, se la piaga al vincitore
      forza non toglie e giunge ira e furore?

35      Argante il corridor dal corso affrena,
      e indietro il volge; e cosí tosto è vòlto,
      che se n'accorge il suo nemico a pena,
      e d'un grand'urto a l'improviso è colto.
      Tremar le gambe, e indebolir la lena,
      sbigottir l'alma e impallidir il volto
      fègli l'aspra percossa, e frale e stanco
      sovra il duro terren battere il fianco.

36      Ne l'ira Argante infellonisce, e strada
      sovra il petto del vinto al destrier face;
      e: "Cosí" grida "ogni superbo vada,
      come costui che sotto i piè mi giace."
      Ma l'invitto Tancredi allor non bada,
      ché l'atto crudelissimo gli spiace,
      e vuol che 'l suo valor con chiara emenda
      copra il suo fallo e, come suol, risplenda.

37      Fassi inanzi gridando: "Anima vile,
      che ancor ne le vittorie infame sei,
      qual titolo di laude alto e gentile
      da modi attendi sí scortesi e rei?
      Fra i ladroni d'Arabia o fra simíle
      barbara turba avezzo esser tu déi.
      Fuggi la luce, e va' con l'altre belve
      a incrudelir ne' monti e tra le selve."

38      Tacque; e 'l pagano, al sofferir poco uso,
      morde le labra e di furor si strugge.
      Risponder vuol, ma il suono esce confuso
      sí come strido d'animal che rugge;
      o come apre le nubi ond'egli è chiuso
      impetuoso il fulmine, e se 'n fugge,
      cosí pareva a forza ogni suo detto
      tonando uscir da l'infiammato petto.

39      Ma poi ch'in ambo il minacciar feroce
      a vicenda irritò l'orgoglio e l'ira,
      l'un come l'altro rapido e veloce,
      spazio al corso prendendo, il destrier gira.
      Or qui, Musa, rinforza in me la voce,
      e furor pari a quel furor m'inspira,
      sí che non sian de l'opre indegni i carmi
      ed esprima il mio canto il suon de l'armi.

40      Posero in resta e dirizzaro in alto
      i duo guerrier le noderose antenne;
      né fu di corso mai, né fu di salto,
      né fu mai tal velocità di penne,
      né furia eguale a quella ond'a l'assalto
      quinci Tancredi e quindi Argante venne.
      Rupper l'aste su gli elmi, e volàr mille
      tronconi e scheggie e lucide faville.

41      Sol de i colpi il rimbombo intorno mosse
      l'immobil terra, e risonàrne i monti;
      ma l'impeto e 'l furor de le percosse
      nulla piegò de le superbe fronti.
      L'uno e l'altro cavallo in guisa urtosse
      che non fur poi cadendo a sorger pronti.
      Tratte le spade, i gran mastri di guerra
      lasciàr le staffe e i piè fermaro in terra.

42      Cautamente ciascuno a i colpi move
      la destra, a i guardi l'occhio, a i passi il piede;
      si reca in atti vari, in guardie nove:
      or gira intorno, or cresce inanzi, or cede,
      or qui ferire accenna e poscia altrove,
      dove non minacciò ferir si vede,
      or di sé discoprire alcuna parte
      e tentar di schernir l'arte con l'arte.

43      De la spada Tancredi e de lo scudo
      mal guardato al pagan dimostra il fianco;
      corre egli per ferirlo, e intanto nudo
      di riparo si lascia il lato manco.
      Tancredi con un colpo il ferro crudo
      del nemico ribatte, e lui fère anco;
      né poi, ciò fatto, in ritirarsi tarda,
      ma si raccoglie e si restringe in guarda.

44      Il fero Argante, che se stesso mira
      del proprio sangue suo macchiato e molle,
      con insolito orror freme e sospira,
      di cruccio e di dolor turbato e folle;
      e portato da l'impeto e da l'ira,
      con la voce la spada insieme estolle,
      e torna per ferire, ed è di punta
      piagato ov'è la spalla al braccio giunta.

45      Qual ne l'alpestri selve orsa, che senta
      duro spiedo nel fianco, in rabbia monta,
      e contra l'arme se medesma aventa
      e i perigli e la morte audace affronta,
      tale il circasso indomito diventa:
      giunta or piaga a la piaga, ed onta a l'onta,
      e la vendetta far tanto desia
      che sprezza i rischi e le difese oblia.

46      E congiungendo a temerario ardire
      estrema forza e infaticabil lena,
      vien che sí impetuoso il ferro gire
      che ne trema la terra e 'l ciel balena;
      né tempo ha l'altro ond'un sol colpo tire,
      onde si copra, onde respiri a pena,
      né schermo v'è ch'assecurar il possa
      da la fretta d'Argante e da la possa.

47      Tancredi, in sé raccolto, attende in vano
      che de' gran colpi la tempesta passi.
      Or v'oppon le difese, ed or lontano
      se 'n va co' giri e co' veloci passi;
      ma poi che non s'allenta il fer pagano,
      è forza al fin che trasportar si lassi,
      e cruccioso egli ancor con quanta pote
      violenza maggior la spada rote.

48      Vinta da l'ira è la ragione e l'arte,
      e le forze il furor ministra e cresce.
      Sempre che scende, il ferro o fòra o parte
      o piastra o maglia, e colpo in van non esce.
      Sparsa è d'arme la terra, e l'arme sparte
      di sangue, e 'l sangue co 'l sudor si mesce.
      Lampo nel fiammeggiar, nel romor tuono,
      fulmini nel ferir le spade sono.

49      Questo popolo e quello incerto pende
      da sí nuovo spettacolo ed atroce,
      e fra tema e speranza il fin n'attende,
      mirando or ciò che giova, or ciò che noce;
      e non si vede pur, né pur s'intende
      picciol cenno fra tanti o bassa voce,
      ma se ne sta ciascun tacito e immoto,
      se non se in quanto ha il cor tremante in moto.

50      Già lassi erano entrambi, e giunti forse
      sarian pugnando ad immaturo fine,
      ma sí oscura la notte intanto sorse
      che nascondea le cose anco vicine.
      Quinci un araldo e quindi un altro accorse
      per dipartirli, e li partiro al fine.
      L'uno è il franco Arideo, Pindoro è l'altro,
      che portò la disfida, uom saggio e scaltro.

51      I pacifici scettri osàr costoro
      fra le spade interpor de' combattenti,
      con quella securtà che porgea loro
      l'antichissima legge de le genti.
      "Sète, o guerrieri," incominciò Pindoro
      "con pari onor, di pari ambo possenti;
      dunque cessi la pugna, e non sian rotte
      le ragioni e 'l riposo de la notte.

52      Tempo è da travagliar mentre il sol dura,
      ma ne la notte ogni animale ha pace,
      e generoso cor non molto cura
      notturno pregio che s'asconde e tace."
      Risponde Argante: "A me per ombra oscura
      la mia battaglia abbandonar non piace,
      ben avrei caro il testimon del giorno!
      Ma che giuri costui di far ritorno!"

53      Soggiunse l'altro allora: "E tu prometti
      di tornar rimenando il tuo prigione,
      perch'altrimenti non fia mai ch'aspetti
      per la nostra contesa altra stagione."
      Cosí giuraro; e poi gli araldi, eletti
      a prescriver il tempo a la tenzone,
      per dare spazio a le lor piaghe onesto,
      stabiliro il mattin del giorno sesto.

54      Lasciò la pugna orribile nel core
      de' saracini e de' fedeli impressa
      un'alta meraviglia ed un orrore
      che per lunga stagione in lor non cessa.
      Sol de l'ardir si parla e del valore
      che l'un guerriero e l'altro ha mostro in essa,
      ma qual si debbia di lor due preporre,
      vario e discorde il vulgo in sé discorre;

55      e sta sospeso in aspettando quale
      avrà la fera lite avenimento,
      e se 'l furore a la virtú prevale
      o se cede l'audacia a l'ardimento.
      Ma piú di ciascun altro a cui ne cale,
      la bella Erminia n'ha cura e tormento,
      che da i giudizi de l'incerto Marte
      vede pender di sé la miglior parte.

56      Costei, che figlia fu del re Cassano
      che d'Antiochia già l'imperio tenne,
      preso il suo regno, al vincitor cristiano
      fra l'altre prede anch'ella in poter venne.
      Ma fulle in guisa allor Tancredi umano
      che nulla ingiuria in sua balia sostenne;
      ed onorata fu, ne la ruina
      de l'alta patria sua, come reina.

57      L'onorò, la serví, di libertate
      dono le fece il cavaliero egregio,
      e le furo da lui tutte lasciate
      le gemme e gli ori e ciò ch'avea di pregio.
      Ella vedendo in giovanetta etate
      e in leggiadri sembianti animo regio,
      restò presa d'Amor, che mai non strinse
      laccio di quel piú fermo onde lei cinse.

58      Cosí se 'l corpo libertà riebbe,
      fu l'alma sempre in servitute astretta.
      Ben molto a lei d'abbandonar increbbe
      il signor caro e la prigion diletta;
      ma l'onestà regal, che mai non debbe
      da magnanima donna esser negletta,
      la costrinse a partirsi, e con l'antica
      madre a ricoverarsi in terra amica.

59      Venne a Gierusalemme, e quivi accolta
      fu dal tiranno del paese ebreo;
      ma tosto pianse in nere spoglie avolta
      de la sua genitrice il fato reo.
      Pur né 'l duol che le sia per morte tolta,
      né l'essiglio infelice, unqua poteo
      l'amoroso desio sveller dal core,
      né favilla ammorzar di tanto ardore.

60      Ama ed arde la misera, e sí poco
      in tale stato che sperar le avanza
      che nudrisce nel sen l'occulto foco
      di memoria via piú che di speranza;
      e quanto è chiuso in piú secreto loco,
      tanto ha l'incendio suo maggior possanza.
      Tancredi al fine a risvegliar sua spene
      sovra Gierusalemme ad oste viene.

61      Sbigottír gli altri a l'apparir di tante
      nazioni, e sí indomite e sí fere;
      fe' sereno ella il torbido sembiante
      e lieta vagheggiò le squadre altere,
      e con avidi sguardi il caro amante
      cercando gio fra quelle armate schiere.
      Cercollo in van sovente ed anco spesso:
      "Eccolo" disse, e 'l riconobbe espresso.

62      Nel palagio regal sublime sorge
      antica torre assai presso a le mura,
      da la cui sommità tutta si scorge
      l'oste cristiana, e 'l monte e la pianura.
      Quivi, da che il suo lume il sol ne porge
      in sin che poi la notte il mondo oscura,
      s'asside, e gli occhi verso il campo gira
      e co' pensieri suoi parla e sospira.

63      Quinci vide la pugna, e 'l cor nel petto
      sentí tremarsi in quel punto sí forte
      che parea che dicesse: "Il tuo diletto
      è quegli là ch'in rischio è de la morte."
      Cosí d'angoscia piena e di sospetto
      mirò i successi de la dubbia sorte,
      e sempre che la spada il pagan mosse,
      sentí ne l'alma il ferro e le percosse.

64      Ma poi ch'il vero intese, e intese ancora
      che dée l'aspra tenzon rinovellarsi,
      insolito timor cosí l'accora
      che sente il sangue suo di ghiaccio farsi.
      Talor secrete lagrime e talora
      sono occulti da lei gemiti sparsi:
      pallida, essangue e sbigottita in atto,
      lo spavento e 'l dolor v'avea ritratto.

65      Con orribile imago il suo pensiero
      ad or ad or la turba e la sgomenta,
      e via piú che la morte il sonno è fero,
      sí strane larve il sogno le appresenta.
      Parle veder l'amato cavaliero
      lacero e sanguinoso, e par che senta
      ch'egli aita le chieda; e desta intanto,
      si trova gli occhi e 'l sen molle di pianto.

66      Né sol la tema di futuro danno
      con sollecito moto il cor le scote,
      ma de le piaghe ch'egli avea l'affanno
      è cagion che quetar l'alma non pote;
      e i fallaci romor, ch'intorno vanno,
      crescon le cose incognite e remote,
      sí ch'ella avisa che vicino a morte
      giaccia oppresso languendo il guerrier forte.

67      E però ch'ella da la madre apprese
      qual piú secreta sia virtú de l'erbe,
      e con quai carmi ne le membra offese
      sani ogni piaga e 'l duol si disacerbe
      (arte che per usanza in quel paese
      ne le figlie de i re par che si serbe),
      vorria di sua man propria a le ferute
      del suo caro signor recar salute.

68      Ella l'amato medicar dasia,
      e curar il nemico a lei conviene;
      pensa talor d'erba nocente e ria
      succo sparger in lui che l'avelene,
      ma schiva poi la man vergine e pia
      trattar l'arti maligne, e se n'astiene.
      Brama ella almen ch'in uso tal sia vòta
      di sua virtude ogn'erba ed ogni nota.

69      Né già d'andar fra la nemica gente
      temenza avria, ché peregrina era ita,
      e viste guerre e stragi avea sovente,
      e scorsa dubbia e faticosa vita,
      sí che per l'uso la feminea mente
      sovra la sua natura è fatta ardita,
      e di leggier non si conturba e pave
      ad ogni imagin di terror men grave.

70      Ma piú ch'altra cagion, dal molle seno
      sgombra Amor temerario ogni paura,
      e crederia fra l'ugne e fra 'l veneno
      de l'africane belve andar secura;
      pur se non de la vita, avere almeno
      de la sua fama dée temenza e cura,
      e fan dubbia contesa entro al suo core
      duo potenti nemici, Onore e Amore.

71      L'un cosí le ragiona: "O verginella,
      che le mie leggi insino ad or serbasti,
      io mentre ch'eri de' nemici ancella
      ti conservai la mente e i membri casti;
      e tu libera or vuoi perder la bella
      verginità ch'in prigionia guardasti?
      Ahi! nel tenero cor questi pensieri
      chi svegliar può? che pensi, oimè? che speri?

72      Dunque il titolo tu d'esser pudica
      sí poco stimi, e d'onestate il pregio,
      che te n'andrai fra nazion nemica,
      notturna amante, a ricercar dispregio?
      Onde il superbo vincitor ti dica:
      `Perdesti il regno, e in un l'animo regio;
      non sei di me tu degna', e ti conceda
      vulgare a gli altri e mal gradita preda."

73      Da l'altra parte, il consiglier fallace
      con tai lusinghe al suo piacer l'alletta:
      "Nata non sei tu già d'orsa vorace,
      né d'aspro e freddo scoglio, o giovanetta,
      ch'abbia a sprezzar d'Amor l'arco e la face
      ed a fuggir ognor quel che diletta,
      né petto hai tu di ferro o di diamante
      che vergogna ti sia l'esser amante.

74      Deh! vanne omai dove il desio t'invoglia.
      Ma qual ti fingi vincitor crudele?
      Non sai com'egli al tuo doler si doglia,
      come compianga al pianto, a le querele?
      Crudel sei tu, che con sí pigra voglia
      movi a portar salute al tuo fedele.
      Langue, o fera ed ingrata, il pio Tancredi,
      e tu de l'altrui vita a cura siedi!

75      Sana tu pur Argante, acciò che poi
      il tuo liberator sia spinto a morte:
      cosí disciolti avrai gli obblighi tuoi,
      e sí bel premio fia ch'ei ne riporte.
      È possibil però che non t'annoi
      quest'empio ministero or cosí forte
      che la noia non basti e l'orror solo
      a far che tu di qua te 'n fugga a volo?

76      Deh! ben fòra, a l'incontra, ufficio umano,
      e ben n'avresti tu gioia e diletto,
      se la pietosa tua medica mano
      avicinassi al valoroso petto;
      ché per te fatto il tuo signor poi sano
      colorirebbe il suo smarrito aspetto,
      e le bellezze sue, che spente or sono,
      vagheggiaresti in lui quasi tuo dono.

77      Parte ancor poi ne le sue lodi avresti,
      e ne l'opre ch'ei fèsse alte e famose,
      ond'egli te d'abbracciamenti onesti
      faria lieta, e di nozze aventurose.
      Poi mostra a dito ed onorata andresti
      fra le madri latine e fra le spose
      là ne la bella Italia, ov'è la sede
      del valor vero e de la vera fede."

78      Da tai speranze lusingata (ahi stolta!)
      somma felicitate a sé figura;
      ma pur si trova in mille dubbi avolta
      come partir si possa indi secura,
      perché vegghian le guardie e sempre in volta
      van di fuori al palagio e su le mura,
      né porta alcuna, in tal rischio di guerra,
      senza grave cagion mai si disserra.

79      Soleva Erminia in compagnia sovente
      de la guerriera far lunga dimora.
      Seco la vide il sol da l'occidente,
      seco la vide la novella aurora;
      e quando son del dí le luci spente,
      un sol letto le accolse ambe talora:
      e null'altro pensier che l'amoroso
      l'una vergine a l'altra avrebbe ascoso.

80      Questo sol tiene Erminia a lei secreto
      e s'udita da lei talor si lagna,
      reca ad altra cagion del cor non lieto
      gli affetti, e par che di sua sorte piagna.
      Or in tanta amistà senza divieto
      venir sempre ne pote a la campagna,
      né stanza al giunger suo giamai si serra,
      siavi Clorinda, o sia in consiglio o 'n guerra.

81      Vennevi un giorno ch'ella in altra parte
      si ritrovava, e si fermò pensosa,
      pur tra sé rivolgendo i modi e l'arte
      de la bramata sua partenza ascosa.
      Mentre in vari pensier divide e parte
      l'incerto animo suo che non ha posa,
      sospese di Clorinda in alto mira
      l'arme e le sopraveste: allor sospira.

82      E tra sé dice sospirando: "O quanto
      beata è la fortissima donzella!
      quant'io la invidio! e non l'invidio il vanto
      o 'l feminil onor de l'esser bella.
      A lei non tarda i passi il lungo manto,
      né 'l suo valor rinchiude invida cella,
      ma veste l'armi, e se d'uscirne agogna,
      vassene e non la tien tema o vergogna.

83      Ah perché forti a me natura e 'l cielo
      altrettanto non fèr le membra e 'l petto,
      onde potessi anch'io la gonna e 'l velo
      cangiar ne la corazza e ne l'elmetto?
      Ché sí non riterrebbe arsura o gelo,
      non turbo o pioggia il mio infiammato affetto,
      ch'al sol non fossi ed al notturno lampo,
      accompagnata o sola, armata in campo.

84      Già non avresti, o dispietato Argante,
      co 'l mio signor pugnato tu primiero,
      ch'io sarei corsa ad incontrarlo inante;
      e forse or fòra qui mio prigionero
      e sosterria da la nemica amante
      giogo di servitú dolce e leggiero,
      e già per li suoi nodi i' sentirei
      fatti soavi e alleggeriti i miei.

85      O vero a me da la sua destra il fianco
      sendo percosso, e riaperto il core,
      pur risanata in cotal guisa almanco
      colpo di ferro avria piaga d'Amore;
      ed or la mente in pace e 'l corpo stanco
      riposariansi, e forse il vincitore
      degnato avrebbe il mio cenere e l'ossa
      d'alcun onor di lagrime e di fossa.

86      Ma lassa! i' bramo non possibil cosa,
      e tra folli pensier in van m'avolgo;
      io mi starò qui timida e dogliosa
      com'una pur del vil femineo volgo.
      Ah! non starò: cor mio, confida ed osa.
      Perch'una volta anch'io l'arme non tolgo?
      perché per breve spazio non potrolle
      sostener, benché sia debile e molle?

87      Sí potrò, sí, ché mi farà possente
      a tolerarne il peso Amor tiranno,
      da cui spronati ancor s'arman sovente
      d'ardire i cervi imbelli e guerra fanno.
      Io guerreggiar non già, vuo' solamente
      far con quest'armi un ingegnoso inganno:
      finger mi vuo' Clorinda; e ricoperta
      sotto l'imagin sua, d'uscir son certa.

88      Non ardirieno a lei far i custodi
      de l'alte porte resistenza alcuna.
      Io pur ripenso, e non veggio altri modi:
      aperta è, credo, questa via sol una.
      Or favorisca l'innocenti frodi
      Amor che le m'inspira e la Fortuna.
      E ben al mio partir commoda è l'ora,
      mentre co 'l re Clorinda anco dimora."

89      Cosí risolve; e stimolata e punta
      da le furie d'Amor, piú non aspetta,
      ma da quella a la sua stanza congiunta
      l'arme involate di portar s'affretta.
      E far lo può, ché quando ivi fu giunta,
      diè loco ogn'altro, e si restò soletta;
      e la notte i suoi furti ancor copria,
      ch'a i ladri amica ed a gli amanti uscia.

90      Essa veggendo il ciel d'alcuna stella
      già sparso intorno divenir piú nero,
      senza fraporvi alcuno indugio appella
      secretamente un suo fedel scudiero
      ed una sua leal diletta ancella,
      e parte scopre lor del suo pensiero.
      Scopre il disegno de la fuga, e finge
      ch'altra cagion a dipartir l'astringe.

91      Lo scudiero fedel súbito appresta
      ciò ch'al lor uopo necessario crede.
      Erminia intanto la pomposa vesta
      si spoglia, che le scende insino al piede,
      e in ischietto vestir leggiadra resta
      e snella sí ch'ogni credenza eccede;
      né, trattane colei ch'a la partita
      scelta s'avea, compagna altra l'aita.

92      Co 'l durissimo acciar preme ed offende
      il delicato collo e l'aurea chioma,
      e la tenera man lo scudo prende,
      pur troppo grave e insopportabil soma.
      Cosí tutta di ferro intorno splende,
      e in atto militar se stessa doma.
      Gode Amor ch'è presente, e tra sé ride,
      come allor già ch'avolse in gonna Alcide.

93      Oh! con quanta fatica ella sostiene
      l'inegual peso e move lenti i passi,
      ed a la fida compagnia s'attiene
      che per appoggio andar dinanzi fassi.
      Ma rinforzan gli spirti Amore e spene
      e ministran vigore a i membri lassi,
      sí che giungono al loco ove le aspetta
      lo scudiero, e in arcion sagliono in fretta.

94      Travestiti ne vanno, e la piú ascosa
      e piú riposta via prendono ad arte,
      pur s'avengono in molti e l'aria ombrosa
      veggon lucer di ferro in ogni parte;
      ma impedir lor viaggio alcun non osa,
      e cedendo il sentier ne va in disparte,
      ché quel candido ammanto e la temuta
      insegna anco ne l'ombra è conosciuta.

95      Erminia, benché quinci alquanto sceme
      del dubbio suo, non va però secura,
      ché d'essere scoperta a la fin teme
      e del suo troppo ardir sente or paura;
      ma pur, giunta a la porta, il timor preme
      ed inganna colui che n'ha la cura.
      "Io son Clorinda," disse "apri la porta,
      ché 'l re m'invia dove l'andare importa."

96      La voce feminil sembiante a quella
      de la guerriera agevola l'inganno
      (chi crederia veder armata in sella
      una de l'altre ch'arme oprar non sanno?),
      sí che 'l portier tosto ubidisce, ed ella
      n'esce veloce e i duo che seco vanno;
      e per lor securezza entro le valli
      calando prendon lunghi obliqui calli.

97      Ma poi ch'Erminia in solitaria ed ima
      parte si vede, alquanto il corso allenta,
      ch'i primi rischi aver passati estima,
      né d'esser ritenuta omai paventa.
      Or pensa a quello a che pensato in prima
      non bene aveva; ed or le s'appresenta
      difficil piú ch'a lei non fu mostrata
      dal frettoloso suo desir, l'entrata.

98      Vede or che sotto il militar sembiante
      ir tra feri nemici è gran follia;
      né d'altra parte palesarsi, inante
      ch'al suo signor giungesse, altrui vorria.
      A lui secreta ed improvisa amante
      con secura onestà giunger desia;
      onde si ferma, e da miglior pensiero
      fatta piú cauta parla al suo scudiero:

99      "Essere, o mio fedele, a te conviene
      mio precursor, ma sii pronto e sagace.
      Vattene al campo, e fa' ch'alcun ti mene
      e t'introduca ove Tancredi giace,
      a cui dirai che donna a lui ne viene
      che gli apporta salute e chiede pace:
      pace, poscia ch'Amor guerra mi move,
      ond'ei salute, io refrigerio trove;

100     e ch'essa ha in lui sí certa e viva fede
      ch'in suo poter non teme onta né scorno.
      Di' sol questo a lui solo; e s'altro ei chiede,
      di' non saperlo e affretta il tuo ritorno.
      Io (ché questa mi par secura sede)
      in questo mezzo qui farò soggiorno."
      Cosí disse la donna, e quel leale
      gía veloce cosí come avesse ale.

101     E 'n guisa oprar sapea, ch'amicamente
      entro a i chiusi ripari era raccolto,
      e poi condotto al cavalier giacente,
      che l'ambasciata udia con lieto volto;
      e già lasciando ei lui, che ne la mente
      mille dubbi pensier avea rivolto,
      ne riportava a lei dolce risposta:
      ch'entrar potrà, quando piú lice, ascosta.

102     Ma ella intanto impaziente, a cui
      troppo ogni indugio par noioso e greve,
      numera fra se stessa i passi altrui
      e pensa: "or giunge, or entra, or tornar deve."
      E già le sembra, e se ne duol, colui
      men del solito assai spedito e leve.
      Spingesi al fine inanti, e 'n parte ascende
      onde comincia a discoprir le tende.

103     Era la notte, e 'l suo stellato velo
      chiaro spiegava e senza nube alcuna
      e già spargea rai luminosi e gelo
      di vive perle la sorgente luna.
      L'innamorata donna iva co 'l cielo
      le sue fiamme sfogando ad una ad una,
      e secretari del suo amore antico
      fea i muti campi e quel silenzio amico.

104     Poi rimirando il campo ella dicea:
      "O belle a gli occhi miei tende latine!
      Aura spira da voi che mi ricrea
      e mi conforta pur che m'avicine;
      cosí a mia vita combattuta e rea
      qualche onesto riposo il Ciel destine,
      come in voi solo il cerco, e solo parmi
      che trovar pace io possa in mezzo a l'armi.

105     Raccogliete me dunque, e in voi si trove
      quella pietà che mi promise Amore
      e ch'io già vidi, prigioniera altrove,
      nel mansueto mio dolce signore.
      Né già desio di racquistar mi move
      co 'l favor vostro il mio regale onore;
      quando ciò non avenga, assai felice
      io mi terrò se 'n voi servir mi lice."

106     Cosí parla costei, che non prevede
      qual dolente fortuna a lei s'appreste.
      Ella era in parte ove per dritto fiede
      l'armi sue terse il bel raggio celeste,
      sí che da lunge il lampo lor si vede
      co 'l bel candor che le circonda e veste,
      e la gran tigre ne l'argento impressa
      fiammeggia sí ch'ognun direbbe: "È dessa."

107     Come volle sua sorte, assai vicini
      molti guerrier disposti avean gli aguati;
      e n'eran duci duo fratei latini,
      Alcandro e Poliferno, e fur mandati
      per impedir che dentro a i saracini
      greggie non siano e non sian buoi menati;
      e se 'l servo passò, fu perché torse
      piú lunge il passo e rapido trascorse.

108     Al giovin Poliferno, a cui fu il padre
      su gli occhi suoi già da Clorinda ucciso,
      viste le spoglie candide e leggiadre,
      fu di veder l'alta guerriera aviso,
      e contra le irritò l'occulte squadre;
      né frenando del cor moto improviso
      (com'era in suo furor súbito e folle)
      gridò: "Sei morta", e l'asta in van lanciolle.

109     Sí come cerva ch'assetata il passo
      mova a cercar d'acque lucenti e vive,
      ove un bel fonte distillar da un sasso
      o vide un fiume tra frondose rive,
      s'incontra i cani allor che 'l corpo lasso
      ristorar crede a l'onde, a l'ombre estive,
      volge indietro fuggendo, e la paura
      la stanchezza obliar face e l'arsura;

110     cosí costei, che de l'amor la sete,
      onde l'infermo core è sempre ardente,
      spegner ne l'accoglienze oneste e liete
      credeva, e riposar la stanca mente,
      or che contra gli vien chi glie 'l diviete,
      e 'l suon del ferro e le minaccie sente,
      se stessa e 'l suo desir primo abbandona
      e 'l veloce destrier timida sprona.

111     Fugge Erminia infelice, e 'l suo destriero
      con prontissimo piede il suol calpesta.
      Fugge ancor l'altra donna, e lor quel fero
      con molti armati di seguir non resta.
      Ecco che da le tende il buon scudiero
      con la tarda novella arriva in questa,
      e l'altrui fuga ancor dubbio accompagna,
      e gli sparge il timor per la campagna.

112     Ma il piú saggio fratello, il quale anch'esso
      la non vera Clorinda avea veduto,
      non la volle seguir, ch'era men presso,
      ma ne l'insidie sue s'è ritenuto;
      e mandò con l'aviso al campo un messo
      che non armento od animal lanuto,
      né preda altra simíl, ma ch'è seguita
      dal suo german Clorinda impaurita;

113     e ch'ei non crede già, né 'l vuol ragione,
      ch'ella, ch'è duce e non è sol guerriera,
      elegga a l'uscir suo tale stagione
      per opportunità che sia leggiera;
      ma giudichi e comandi il pio Buglione,
      egli farà ciò che da lui s'impera.
      Giunge al campo tal nova, e se ne intende
      il primo suon ne le latine tende.

114     Tancredi, cui dinanzi il cor sospese
      quell'aviso primiero, udendo or questo,
      pensa: "Deh! forse a me venia cortese,
      e 'n periglio è per me", né pensa al resto.
      E parte prende sol del grave arnese,
      monta a cavallo e tacito esce e presto;
      e seguendo gli indizi e l'orme nove
      rapidamente a tutto corso il move.