Gerusalemme liberata, canti 7-8-9

POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA

canto SETTIMO


1       Intanto Erminia infra l'ombrose piante
      d'antica selva dal cavallo è scòrta,
      né piú governa il fren la man tremante,
      e mezza quasi par tra viva e morta.
      Per tante strade si raggira e tante
      il corridor ch'in sua balia la porta,
      ch'al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,
      ed è soverchio omai ch'altri la segua.

2       Qual dopo lunga e faticosa caccia
      tornansi mesti ed anelanti i cani
      che la fèra perduta abbian di traccia,
      nascosa in selva da gli aperti piani,
      tal pieni d'ira e di vergogna in faccia
      riedono stanchi i cavalier cristiani.
      Ella pur fugge, e timida e smarrita
      non si volge a mirar s'anco è seguita.

3       Fuggí tutta la notte, e tutto il giorno
      errò senza consiglio e senza guida,
      non udendo o vedendo altro d'intorno,
      che le lagrime sue, che le sue strida.
      Ma ne l'ora che 'l sol dal carro adorno
      scioglie i corsieri e in grembo al mar s'annida,
      giunse del bel Giordano a le chiare acque
      e scese in riva al fiume, e qui si giacque.

4       Cibo non prende già, ché de' suoi mali
      solo si pasce e sol di pianto ha sete;
      ma 'l sonno, che de' miseri mortali
      è co 'l suo dolce oblio posa e quiete,
      sopí co' sensi i suoi dolori, e l'ali
      dispiegò sovra lei placide e chete;
      né però cessa Amor con varie forme
      la sua pace turbar mentre ella dorme.

5       Non si destò fin che garrir gli augelli
      non sentí lieti e salutar gli albori,
      e mormorar il fiume e gli arboscelli,
      e con l'onda scherzar l'aura e co i fiori.
      Apre i languidi lumi e guarda quelli
      alberghi solitari de' pastori,
      e parle voce udir tra l'acqua e i rami
      ch'a i sospiri ed al pianto la richiami.

6       Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti
      rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene,
      che sembra ed è di pastorali accenti
      misto e di boscareccie inculte avene.
      Risorge, e là s'indrizza a passi lenti,
      e vede un uom canuto a l'ombre amene
      tesser fiscelle a la sua greggia a canto
      ed ascoltar di tre fanciulli il canto.

7       Vedendo quivi comparir repente
      l'insolite arme, sbigottír costoro;
      ma li saluta Erminia e dolcemente
      gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d'oro:
      "Seguite," dice "aventurosa gente
      al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
      ché non portano già guerra quest'armi
      a l'opre vostre, a i vostri dolci carmi."

8       Soggiunse poscia: "O padre, or che d'intorno
      d'alto incendio di guerra arde il paese,
      come qui state in placido soggiorno
      senza temer le militari offese?"
      "Figlio," ei rispose "d'ogni oltraggio e scorno
      la mia famiglia e la mia greggia illese
      sempre qui fur, né strepito di Marte
      ancor turbò questa remota parte.

9       O sia grazia del Ciel che l'umiltade
      d'innocente pastor salvi e sublime,
      o che, sí come il folgore non cade
      in basso pian ma su l'eccelse cime,
      cosí il furor di peregrine spade
      sol de' gran re l'altere teste opprime,
      né gli avidi soldati a preda alletta
      la nostra povertà vile e negletta.

10      Altrui vile e negletta, a me sí cara
      che non bramo tesor né regal verga,
      né cura o voglia ambiziosa o avara
      mai nel tranquillo del mio petto alberga.
      Spengo la sete mia ne l'acqua chiara,
      che non tem'io che di venen s'asperga,
      e questa greggia e l'orticel dispensa
      cibi non compri a la mia parca mensa.

11      Ché poco è il desiderio, e poco è il nostro
      bisogno onde la vita si conservi.
      Son figli miei questi ch'addito e mostro,
      custodi de la mandra, e non ho servi.
      Cosí me 'n vivo in solitario chiostro,
      saltar veggendo i capri snelli e i cervi,
      ed i pesci guizzar di questo fiume
      e spiegar gli augelletti al ciel le piume.

12      Tempo già fu, quando piú l'uom vaneggia
      ne l'età prima, ch'ebbi altro desio
      e disdegnai di pasturar la greggia;
      e fuggii dal paese a me natio,
      e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia
      fra i ministri del re fui posto anch'io,
      e benché fossi guardian de gli orti
      vidi e conobbi pur l'inique corti.

13      Pur lusingato da speranza ardita
      soffrii lunga stagion ciò che piú spiace;
      ma poi ch'insieme con l'età fiorita
      mancò la speme e la baldanza audace,
      piansi i riposi di quest'umil vita
      e sospirai la mia perduta pace,
      e dissi; `O corte, a Dio.' Cosí, a gli amici
      boschi tornando, ho tratto i dí felici."

14      Mentre ei cosí ragiona, Erminia pende
      da la soave bocca intenta e cheta;
      e quel saggio parlar, ch'al cor le scende,
      de' sensi in parte le procelle acqueta.
      Dopo molto pensar, consiglio prende
      in quella solitudine secreta
      insino a tanto almen farne soggiorno
      ch'agevoli fortuna il suo ritorno.

15      Onde al buon vecchio dice: "O fortunato,
      ch'un tempo conoscesti il male a prova,
      se non t'invidii il Ciel sí dolce stato,
      de le miserie mie pietà ti mova;
      e me teco raccogli in cosí grato
      albergo ch'abitar teco mi giova.
      Forse fia che 'l mio core infra quest'ombre
      del suo peso mortal parte disgombre.

16      Ché se di gemme e d'or, che 'l vulgo adora
      sí come idoli suoi, tu fossi vago,
      potresti ben, tante n'ho meco ancora,
      renderne il tuo desio contento e pago."
      Quinci, versando da' begli occhi fora
      umor di doglia cristallino e vago,
      parte narrò di sue fortune, e intanto
      il pietoso pastor pianse al suo pianto.

17      Poi dolce la consola e sí l'accoglie
      come tutt'arda di paterno zelo,
      e la conduce ov'è l'antica moglie
      che di conforme cor gli ha data il Cielo.
      La fanciulla regal di rozze spoglie
      s'ammanta, e cinge al crin ruvido velo;
      ma nel moto de gli occhi e de le membra
      non già di boschi abitatrice sembra.

18      Non copre abito vil la nobil luce
      e quanto è in lei d'altero e di gentile,
      e fuor la maestà regia traluce
      per gli atti ancor de l'essercizio umile.
      Guida la greggia a i paschi e la riduce
      con la povera verga al chiuso ovile,
      e da l'irsute mamme il latte preme
      e 'n giro accolto poi lo strige insieme.

19      Sovente, allor che su gli estivi ardori
      giacean le pecorelle a l'ombra assise,
      ne la scorza de' faggi e de gli allori
      segnò l'amato nome in mille guise,
      e de' suoi strani ed infelici amori
      gli aspri successi in mille piante incise,
      e in rileggendo poi le proprie note
      rigò di belle lagrime le gote.

20      Indi dicea piangendo: "In voi serbate
      questa dolente istoria, amiche piante;
      perché se fia ch'a le vostr'ombre grate
      giamai soggiorni alcun fedele amante,
      senta svegliarsi al cor dolce pietate
      de le sventure mie sí varie e tante,
      e dica: `Ah troppo ingiusta empia mercede
      diè Fortuna ed Amore a sí gran fede!'

21      Forse averrà, se 'l Ciel benigno ascolta
      affettuoso alcun prego mortale,
      che venga in queste selve anco tal volta
      quegli a cui di me forse or nulla cale;
      e rivolgendo gli occhi ove sepolta
      giacerà questa spoglia inferma e frale,
      tardo premio conceda a i miei martíri
      di poche lagrimette e di sospiri;

22      onde se in vita il cor misero fue,
      sia lo spirito in morte almen felice,
      e 'l cener freddo de le fiamme sue
      goda quel ch'or godere a me non lice."
      Cosí ragiona a i sordi tronchi, e due
      fonti di pianto da' begli occhi elice.
      Tancredi intanto, ove fortuna il tira
      lunge da lei, per lei seguir, s'aggira.

23      Egli, seguendo le vestigia impresse
      rivolse il corso a la selva vicina;
      ma quivi da le piante orride e spesse
      nera e folta cosí l'ombra dechina
      che piú non può raffigurar tra esse
      l'orme novelle, e 'n dubbio oltre camina,
      porgendo intorno pur l'orecchie intente
      se calpestio, se romor d'armi sente.

24      E se pur la notturna aura percote
      tenera fronde mai d'olmo o di faggio,
      o se fèra od augello un ramo scote,
      tosto a quel picciol suon drizza il viaggio.
      Esce al fin de la selva, e per ignote
      strade il conduce de la luna il raggio
      verso un romor che di lontano udiva,
      insin che giunse al loco ond'egli usciva.

25      Giunse dove sorgean da vivo sasso
      in molta copia chiare e lucide onde,
      e fattosene un rio volgeva a basso
      lo strepitoso piè tra verdi sponde.
      Quivi egli ferma addolorato il passo
      e chiama, e sola a i gridi Ecco risponde;
      e vede intanto con serene ciglia
      sorger l'aurora candida e vermiglia.

26      Geme cruccioso, e 'ncontra il Ciel si sdegna
      che sperata gli neghi alta ventura;
      ma de la donna sua, quand'ella vegna
      offesa pur, far la vendetta giura.
      Di rivolgersi al campo al fin disegna,
      benché la via trovar non s'assecura,
      ché gli sovien che presso è il dí prescritto
      che pugnar dée co 'l cavalier d'Egitto.

27      Partesi, e mentre va per dubbio calle
      ode un corso appressar ch'ognor s'avanza,
      ed al fine spuntar d'angusta valle
      vede uom che di corriero avea sembianza.
      Scotea mobile sferza, e da le spalle
      pendea il corno su 'l fianco a nostra usanza.
      Chiede Tancredi a lui per quale strada
      al campo de' cristiani indi si vada.

28      Quegli italico parla: "Or là m'invio
      dove m'ha Boemondo in fretta spinto."
      Segue Tancredi lui che del gran zio
      messaggio stima, e crede al parlar finto.
      Giungono al fin là dove un sozzo e rio
      lago impaluda, ed un castel n'è cinto,
      ne la stagion che 'l sol par che s'immerga
      ne l'ampio nido ove la notte alberga.

29      Suona il corriero in arrivando il corno,
      e tosto giú calar si vede un ponte:
      "Quando latin sia tu, qui far soggiorno
      potrai" gli dice "in fin che 'l sol rimonte,
      ché questo loco, e non è il terzo giorno,
      tolse a i pagani di Cosenza il conte."
      Mira il loco il guerrier, che d'ogni parte
      inespugnabil fanno il sito e l'arte.

30      Dubita alquanto poi ch'entro sí forte
      magione alcuno inganno occulto giaccia;
      ma come avezzo a i rischi de la morte,
      motto non fanne, e no 'l dimostra in faccia,
      ch'ovunque il guidi elezione o sorte,
      vuol che securo la sua destra il faccia.
      Pur l'obligo ch'egli ha d'altra battaglia
      fa che di nova impresa or non gli caglia;

31      sí ch'incontra al castello, ove in un prato
      il curvo ponte si distende e posa,
      ritiene alquanto il passo, ed invitato
      non segue la sua scorta insidiosa.
      Su 'l ponte intanto un cavaliero armato
      con sembianza apparia fera e sdegnosa,
      ch'avendo ne la destra il ferro ignudo
      in suon parlava minaccioso e crudo:

32      "O tu, che (siasi tua fortuna o voglia)
      al paese fatal d'Armida arrive,
      pensi indarno al fuggir; or l'arme spoglia,
      e porgi a i lacci suoi le man cattive,
      ed entra pur ne la guardata soglia
      con queste leggi ch'ella altrui prescrive,
      né piú sperar di riveder il cielo
      per volger d'anni o per cangiar di pelo,

33      se non giuri d'andar con gli altri sui
      contra ciascun che da Giesú s'appella."
      S'affisa a quel parlar Tancredi in lui
      e riconosce l'arme e la favella.
      Rambaldo di Guascogna era costui
      che partí con Armida, e sol per ella
      pagan si fece e difensor divenne
      di quell'usanza rea ch'ivi si tenne.

34      Di santo sdegno il pio guerrier si tinse
      nel volto, e gli rispose: "Empio fellone,
      quel Tancredi son io che 'l ferro cinse
      per Cristo sempre, e fui di lui campione;
      e in sua virtute i suoi rubelli vinse,
      come vuo' che tu vegga al paragone,
      ché da l'ira del Ciel ministra eletta
      è questa destra a far in te vendetta."

35      Turbossi udendo il glorioso nome
      l'empio guerriero, e scolorissi in viso.
      Pur celando il timor, gli disse: "Or come,
      misero, vieni ove rimanga ucciso?
      Qui saran le tue forze oppresse e dome,
      e questo altero tuo capo reciso;
      e manderollo a i duci franchi in dono,
      s'altro da quel che soglio oggi non sono."

36      Cosí dicea il pagano; e perché il giorno
      spento era omai sí che vedeasi a pena,
      apparír tante lampade d'intorno
      che ne fu l'aria lucida e serena.
      Splende il castel come in teatro adorno
      suol fra notturne pompe altera scena,
      ed in eccelsa parte Armida siede,
      onde senz'esser vista e ode e vede.

37      Il magnanimo eroe fra tanto appresta
      a la fera tenzon l'arme e l'ardire,
      né su 'l debil cavallo assiso resta
      già veggendo il nemico a pié venire.
      Vien chiuso ne lo scudo e l'elmo ha in testa,
      la spada nuda, e in atto è di ferire.
      Gli move incontra il principe feroce
      con occhi torvi e con terribil voce.

38      Quegli con larghe rote aggira i passi
      stretto ne l'arme, e colpi accenna e finge;
      questi, se ben ha i membri infermi e lassi,
      va risoluto e gli s'appressa e stringe,
      e là donde Rambaldo a dietro fassi
      velocissimamente egli si spinge,
      e s'avanza e l'incalza, e fulminando
      spesso a la vista gli dirizza il brando.

39      E piú ch'altrove impetuoso fère
      ove piú di vital formò natura,
      a le percosse le minaccie altere
      accompagnando, e 'l danno a la paura.
      Di qua di là si volge, e sue leggiere
      membra il presto guascone a i colpi fura,
      e cerca or con lo scudo or con la spada
      che 'l nemico furore indarno cada;

40      ma veloce a lo schermo ei non è tanto
      che piú l'altro non sia pronto a l'offese.
      Già spezzato lo scudo e l'elmo infranto
      e forato e sanguigno avea l'arnese,
      e colpo alcun de' suoi che tanto o quanto
      impiagasse il nemico anco non scese;
      e teme, e gli rimorde insieme il core
      sdegno, vergogna, conscienza, amore.

41      Disponsi al fin con disperata guerra
      far prova omai de l'ultima fortuna.
      Gitta lo scudo, e a due mani afferra
      la spada ch'è di sangue ancor digiuna;
      e co 'l nemico suo si stringe e serra
      e cala un colpo, e non v'è piastra alcuna
      che gli resista sí che grave angoscia
      non dia piagando a la sinistra coscia.

42      E poi su l'ampia fronte il ripercote
      sí ch'il picchio rimbomba in suon di squilla;
      l'elmo non fende già, ma lui ben scote,
      tal ch'egli si rannicchia e ne vacilla.
      Infiamma d'ira il principe le gote,
      e ne gli occhi di foco arde e sfavilla;
      e fuor de la visiera escono ardenti
      gli sguardi, e insieme lo stridor de' denti.

43      Il perfido pagan già non sostiene
      la vista pur di sí feroce aspetto.
      Sente fischiare il ferro, e tra le vene
      già gli sembra d'averlo e in mezzo al petto.
      Fugge dal colpo, e 'l colpo a cader viene
      dove un pilastro è contra il ponte eretto;
      ne van le scheggie e le scintille al cielo,
      e passa al cor del traditor un gelo,

44      onde al ponte rifugge, e sol nel corso
      de la salute sua pone ogni speme.
      Ma 'l seguita Tancredi, e già su 'l dorso
      la man gli stende e 'l piè co 'l piè gli preme,
      quando ecco (al fuggitivo alto soccorso)
      sparir le faci ed ogni stella insieme,
      né rimaner a l'orba notte alcuna,
      sotto povero ciel, luce di luna.

45      Fra l'ombre de la notte e de gli incanti
      il vincitor no 'l segue piú né 'l vede,
      né può cosa vedersi a lato o inanti,
      e muove dubbio e mal securo il piede.
      Su l'entrare d'un uscio i passi erranti
      a caso mette, né d'entrar s'avede,
      ma sente poi che suona a lui di dietro
      la porta, e 'n loco il serra oscuro e tetro.

46      Come il pesce colà dove impaluda
      ne i seni di Comacchio il nostro mare,
      fugge da l'onda impetuosa e cruda
      cercando in placide acque ove ripare,
      e vien che da se stesso ei si rinchiuda
      in palustre prigion né può tornare,
      ché quel serraglio è con mirabil uso
      sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso;

47      cosí Tancredi allor, qual che si fosse
      de l'estrania prigion l'ordigno e l'arte,
      entrò per se medesmo, e ritrovosse
      poi là rinchiuso ov'uom per sé non parte.
      Ben con robusta man la porta scosse,
      ma fur le sue fatiche indarno sparte,
      e voce intanto udí che: "Indarno" grida
      "uscir procuri, o prigionier d'Armida.

48      Qui menerai (non temer già di morte)
      nel sepolcro de' vivi i giorni e gli anni."
      Non risponde, ma preme il guerrier forte
      nel cor profondo i gemiti e gli affanni,
      e fra se stesso accusa Amor, la sorte,
      la sua schiocchezza e gli altrui feri inganni;
      e talor dice in tacite parole:
      "Leve perdita fia perdere il sole,

49      ma di piú vago sol piú dolce vista,
      misero! i' perdo, e non so già se mai
      in loco tornerò che l'alma trista
      si rassereni a gli amorosi rai."
      Poi gli sovien d'Argante, e piú s'attrista
      e: "Troppo" dice "al mio dover mancai;
      ed è ragion ch'ei mi disprezzi e scherna!
      O mia gran colpa! o mia vergogna eterna!"

50      Cosí d'amor, d'onor cura mordace
      quinci e quindi al guerrier l'animo rode.
      Or mentre egli s'affligge, Argante audace
      le molli piume di calcar non gode;
      tanto è nel crudo petto odio di pace,
      cupidigia di sangue, amor di lode,
      che, de le piaghe sue non sano ancora,
      brama che 'l sesto dí porti l'aurora.

51      La notte che precede, il pagan fero
      a pena inchina, per dormir la fronte;
      e sorge poi che 'l cielo anco è sí nero
      che non dà luce in su la cima al monte.
      "Recami" grida "l'arme" al suo scudiero,
      ed esso aveale apparecchiate e pronte:
      non le solite sue, ma dal re sono
      dategli queste, e prezioso è il dono.

52      Senza molto mirarle egli le prende
      né dal gran peso è la persona onusta,
      e la solita spada al fianco appende,
      ch'è di tempra finissima e vetusta.
      Qual con le chiome sanguinose orrende
      splender cometa suol per l'aria adusta,
      che i regni muta e i feri morbi adduce,
      a i purpurei tiranni infausta luce;

53      tal ne l'arme ei fiammeggia, e bieche e torte
      volge le luci ebre di sangue e d'ira.
      Spirano gli atti feri orror di morte,
      e minaccie di morte il volto spira.
      Alma non è cosí secura e forte
      che non paventi, ove un sol guardo gira.
      Nuda ha la spada e la solleva e scote
      gridando, e l'aria e l'ombre in van percote.

54      "Ben tosto" dice "il predator cristiano,
      ch'audace è sí ch'a me vuole agguagliarsi,
      caderà vinto e sanguinoso al piano,
      bruttando ne la polve i crini sparsi;
      e vedrà vivo ancor da questa mano
      ad onta del suo Dio l'arme spogliarsi,
      né morendo impetrar potrà co' preghi
      ch'in pasto a' cani le sue membra i' neghi."

55      Non altramente il tauro, ove l'irriti
      geloso amor co' stimuli pungenti,
      orribilmente mugge, e co' muggiti
      gli spirti in sé risveglia e l'ire ardenti,
      e 'l corno aguzza a i tronchi, e par ch'inviti
      con vani colpi a la battaglia i venti:
      sparge co 'l piè l'arena, e 'l suo rivale
      da lunge sfida a guerra aspra e mortale.

56      Da sí fatto furor commosso, appella
      l'araldo; e con parlar tronco gli impone:
      "Vattene al campo, e la battaglia fella
      nunzia a colui ch'è di Giesú campione."
      Quinci alcun non aspetta e monta in sella,
      e fa condursi inanzi il suo prigione;
      esce fuor de la terra, e per lo colle
      in corso vien precipitoso e folle.

57      Dà fiato intanto al corno, e n'esce un suono
      che d'ogn'intorno orribile s'intende
      e 'n guisa pur di strepitoso tuono
      gli orecchi e 'l cor de gli ascoltanti offende.
      Già i principi cristiani accolti sono
      ne la tenda maggior de l'altre tende:
      qui fe' l'araldo sue disfide e incluse
      Tancredi pria, né però gli altri escluse.

58      Goffredo intorno gli occhi gravi e tardi
      volge con mente allor dubbia e sospesa,
      né, perché molto pensi e molto guardi,
      atto gli s'offre alcuno a tanta impresa.
      Vi manca il fior de' suoi guerrier gagliardi:
      di Tancredi non s'è novella intesa,
      e lunge è Boemondo, ed ito è in bando
      l'invitto eroe ch'uccise il fier Gernando.

59      Ed oltre i diece che fur tratti a sorte,
      i migliori del campo e i piú famosi
      seguír d'Armida le fallaci scorte,
      sotto il silenzio de la notte ascosi.
      Gli altri di mano e d'animo men forte
      taciti se ne stanno e vergognosi,
      né vi è chi cerchi in sí gran rischio onore,
      ché vinta la vergogna è dal timore.

60      Al silenzio, a l'aspetto, ad ogni segno,
      di lor temenza il capitan s'accorse,
      e tutto pien di generoso sdegno
      dal loco ove sedea repente sorse,
      e disse: "Ah! ben sarei di vita indegno
      se la vita negassi or porre in forse,
      lasciando ch'un pagan cosí vilmente
      calpestasse l'onor di nostra gente!

61      Sieda in pace il mio campo, e da secura
      parte miri ozioso il mio periglio.
      Su su, datemi l'arme"; e l'armatura
      gli fu recata in un girar di ciglio.
      Ma il buon Raimondo, che in età matura
      parimente maturo avea il consiglio,
      e verdi ancor le forze a par di quanti
      erano quivi, allor si trasse avanti,

62      e disse a lui rivolto: "Ah non sia vero
      ch'in un capo s'arrischi il campo tutto!
      Duce sei tu, non semplice guerriero:
      publico fòra e non privato il lutto.
      In te la fé s'appoggia e 'l santo impero,
      per te fia il regno di Babèl distrutto.
      Tu il senno sol, lo scettro solo adopra;
      ponga altri poi l'ardire e 'l ferro in opra.

63      Ed io, bench'a gir curvo mi condanni
      la grave età, non fia che ciò ricusi.
      Schivino gli altri i marziali affanni,
      me non vuo' già che la vecchiezza scusi.
      Oh! foss'io pur su 'l mio vigor de gli anni
      qual sète or voi, che qui temendo chiusi
      vi state e non vi move ira o vergogna
      contra lui che vi sgrida e vi rampogna,

64      e quale allora fui, quando al cospetto
      di tutta la Germania, a la gran corte
      del secondo Corrado, apersi il petto
      al feroce Leopoldo e 'l posi a morte!
      E fu d'alto valor piú chiaro effetto
      le spoglie riportar d'uom cosí forte,
      che s'alcun or fugasse inerme e solo
      di questa ignobil turba un grande stuolo.

65      Se fosse in me quella virtú, quel sangue,
      di questo alter l'orgoglio avrei già spento.
      Ma qualunque io mi sia, non però langue
      il core in me, né vecchio anco pavento,
      E s'io pur rimarrò nel campo essangue,
      né il pagan di vittoria andrà contento.
      Armarmi i' vuo': sia questo il dí ch'illustri
      con novo onor tutti i miei scorsi lustri."

66      Cosí parla il gran vecchio, e sproni acuti
      son le parole, onde virtú si desta.
      Quei che fur prima timorosi e muti
      hanno la lingua or baldanzosa e presta.
      Né sol non v'è che la tenzon rifiuti,
      ma ella omai da molti a prova è chiesta:
      Baldovin la domanda, e con Ruggiero
      Guelfo, i due Guidi, e Stefano e Gerniero,

67      e Pirro, quel che fe' il lodato inganno
      dando Antiochia presa a Boemondo;
      ed a prova richiesta anco ne fanno
      Eberardo, Ridolfo e 'l pro' Rosmondo,
      un di Scozia, un d'Irlanda, ed un britanno,
      terre che parte il mar dal nostro mondo;
      e ne son parimente anco bramosi
      Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi.

68      Ma sovra tutti gli altri il fero vecchio
      se ne dimostra cupido ed ardente.
      Armato è già; sol manca a l'apparecchio
      de gli altri arnesi il fino elmo lucente.
      A cui dice Goffredo: "O vivo specchio
      del valor prisco, in te la nostra gente
      miri e virtú n'apprenda: in te di Marte
      splende l'onor, la disciplina e l'arte.

69      Oh! pur avessi fra l'etade acerba
      diece altri di valor al tuo simíle,
      come ardirei vincer Babèl superba
      e la Croce spiegar da Battro a Tile.
      Ma cedi or, prego, e te medesmo serba
      a maggior opre e di virtú senile.
      Pongansi poi tutti i nomi in un vaso
      come è l'usanza, e sia giudice il caso;

70      anzi giudice Dio, de le cui voglie
      ministra e serva è la fortuna e 'l fato."
      Ma non però dal suo pensier si toglie
      Raimondo, e vuol anch'egli esser notato.
      Ne l'elmo suo Goffredo i brevi accoglie;
      e poi che l'ebbe scosso ed agitato,
      nel primo breve che di là traesse,
      del conte di tolosa il nome lesse.

71      Fu il nome suo con lieto grido accolto,
      né di biasmar la sorte alcun ardisce.
      Ei di fresco vigor la fronte e 'l volto
      riempie; e cosí allor ringiovenisce
      qual serpe fier che in nove spoglie avolto
      d'oro fiammeggi e 'ncontra il sol si lisce.
      Ma piú d'ogn'altro il capitan gli applaude
      e gli annunzia vittoria, e gli dà laude.

72      E la spada togliendosi dal fianco,
      e porgendola a lui, cosí dicea:
      "Questa è la spada che 'n battaglia il franco
      rubello di Sassonia oprar solea,
      ch'io già gli tolsi a forza, e gli tolsi anco
      la vita allor di mille colpe rea;
      questa, che meco ognor fu vincitrice,
      prendi, e sia cosí teco ora felice."

73      Di loro indugio intanto è quell'altero
      impaziente, e li minaccia e grida:
      "O gente invitta, o popolo guerriero
      d'Europa, un uomo solo è che vi sfida.
      Venga Tancredi omai che par sí fero,
      se ne la sua virtú tanto si fida;
      o vuol, giacendo in piume, aspettar forse
      la notte ch'altre volte a lui soccorse?

74      Venga altri, s'egli teme; a stuolo a stuolo
      venite insieme, o cavalieri, o fanti,
      poi che di pugnar meco a solo a solo
      non v'è fra mille schiere uom che si vanti.
      Vedete là il sepolcro ove il figliuolo
      di Maria giacque: or ché non gite avanti?
      ché non sciogliete i voti? Ecco la strada!
      A qual serbate uopo maggior la spada?"

75      Con tali scherni il saracin atroce
      quasi con dura sferza altrui percote,
      ma piú ch'altri Raimondo a quella voce
      s'accende, e l'onte sofferir non pote.
      La virtú stimolata è piú feroce,
      e s'aguzza de l'ira a l'aspra cote,
      sí che tronca gli indugi e preme il dorso
      del suo Aquilino, a cui diè 'l nome il corso.

76      Questo su 'l Tago nacque, ove talora
      l'avida madre del guerriero armento,
      quando l'alma stagion che n'innamora
      nel cor le instiga il natural talento,
      volta l'aperta bocca incontra l'òra,
      raccoglie i semi del fecondo vento,
      e de' tepidi fiati (o meraviglia!)
      cupidamente ella concipe e figlia.

77      E ben questo Aquilin nato diresti
      di quale aura del ciel piú lieve spiri,
      o se veloce sí ch'orma non resti
      stendere il corso per l'arena il miri,
      o se 'l vedi addoppiar leggieri e presti
      a destra ed a sinistra angusti giri.
      Sovra tal corridore il conte assiso
      move a l'assalto, e volge al cielo il viso:

78      "Signor, tu che drizzasti incontra l'empio
      Golia l'arme inesperte in Terebinto,
      sí ch'ei ne fu, che d'Israel fea scempio,
      al primo sasso d'un garzone estinto;
      tu fa' ch'or giaccia (e fia pari l'essempio)
      questo fellon da me percosso e vinto,
      e debil vecchio or la superbia opprima
      come debil fanciul l'oppresse in prima."

79      Cosí pregava il conte, e le preghiere
      mosse dalla speranza in Dio secura
      s'alzàr volando a le celesti spere,
      come va foco al ciel per sua natura.
      L'accolse il Padre eterno, e fra le schiere
      de l'essercito suo tolse a la cura
      un che 'l difenda, e sano e vincitore
      da le man di quell'empio il tragga fuore.

80      L'angelo, che fu già custode eletto
      da l'alta Providenza al buon Raimondo
      insin dal primo dí che pargoletto
      se 'n venne a farsi peregrin del mondo,
      or che di novo il Re del Ciel gli ha detto
      che prenda in sé de la difesa il pondo,
      ne l'alta rocca ascende, ove de l'oste
      divina tutte son l'arme riposte.

81      Qui l'asta si conserva onde il serpente
      percosso giacque, e i gran fulminei strali,
      e quegli ch'invisibili a la gente
      portan l'orride pesti e gli altri mali;
      e qui sospeso è in alto il gran tridente,
      primo terror de' miseri mortali
      quando egli avien che i fondamenti scota
      de l'ampia terra, e le città percota.

82      Si vedea fiammeggiar fra gli altri arnesi
      scudo di lucidissimo diamante,
      grande che può coprir genti e paesi
      quanti ve n'ha fra il Caucaso e l'Atlante;
      e sogliono da questo esser difesi
      principi giusti e città caste e sante.
      Questo l'angelo prende, e vien con esso
      occultamente al suo Raimondo appresso.

83      Piene intanto le mura eran già tutte
      di varia turba, e 'l barbaro tiranno
      manda Clorinda e molte genti instrutte,
      che ferme a mezzo il colle oltre non vanno.
      Da l'altro lato in ordine ridutte
      alcune schiere di cristiani stanno,
      e largamente a' duo campioni il campo
      vòto riman fra l'uno e l'altro campo.

84      Mirava Argante, e non vedea Tancredi,
      ma d'ignoto campion sembianze nove.
      Fecesi il conte inanzi, e: " Quel che chiedi,
      è" disse a lui "per tua ventura altrove.
      Non superbir però, ché me qui vedi
      apparecchiato a riprovar tue prove,
      ch'io di lui posso sostener la vice
      o venir come terzo a me qui lice."

85      Ne sorride il superbo, e gli risponde:
      "Che fa dunque Tancredi? e dove stassi?
      Minaccia il ciel con l'arme, e poi s'asconde
      fidando sol ne' suoi fugaci passi;
      ma fugga pur nel centro e 'n mezzo l'onde,
      ché non fia loco ove securo il lassi."
      "Menti" replica l'altro "a dir ch'uom tale
      fugga da te, ch'assai di te piú vale."

86      Freme il circasso irato, e dice: "Or prendi
      del campo tu, ch'in vece sua t'accetto;
      e tosto e' si parrà come difendi
      l'alta follia del temerario detto."
      Cosí mossero in giostra, e i colpi orrendi
      parimente drizzaro ambi a l'elmetto;
      e 'l buon Raimondo ove mirò scontrollo,
      né dar gli fece ne l'arcion pur crollo.

87      Da l'altra parte il fero Argante corse
      (fallo insolito a lui) l'arringo in vano,
      ché 'l difensor celeste il colpo torse
      dal custodito cavalier cristiano.
      Le labra il crudo per furor si morse,
      e ruppe l'asta bestemmiando al piano.
      Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo
      impetuoso al paragon secondo.

88      E 'l possente corsiero urta per dritto,
      quasi monton ch'al cozzo il capo abbassa.
      Schiva Raimondo l'urto, al lato dritto
      piegando il corso, e 'l fère in fronte e passa.
      Torna di novo il cavalier d'Egitto,
      ma quegli pur di novo a destra il lassa,
      e pur su l'elmo il coglie, e 'ndarno sempre
      ché l'elmo adamantine avea le tempre.

89      Ma il feroce pagan, che seco vòle
      piú stretta zuffa, a lui s'aventa e serra.
      L'altro, ch'al peso di sí vasta mole
      teme d'andar co 'l suo destriero a terra,
      qui cede, ed indi assale, e par che vòle,
      intorniando con girevol guerra,
      e i lievi imperii il rapido cavallo
      segue del freno, e non pone orma in fallo.

90      Qual capitan ch'oppugni eccelsa torre
      infra paludi posta o in alto monte,
      mille aditi ritenta, e tutte scorre
      l'arti e le vie, cotal s'aggira il conte;
      e poi che non può scaglia d'arme tòrre
      ch'armano il petto e la superba fronte,
      fère i men forti arnesi, ed a la spada
      cerca tra ferro e ferro aprir la strada.

91      Ed in due parti o in tre forate e fatte
      l'arme nemiche ha già tepide e rosse,
      ed egli ancor le sue conserva intatte,
      né di cimier, né d'un sol fregio scosse.
      Argante indarno arrabbia, a vòto batte
      e spande senza pro l'ire e le posse;
      non si stanca però, ma raddoppiando
      va tagli e punte e si rinforza errando.

92      Al fin tra mille colpi il saracino
      cala un fendente, e 'l conte è cosí presso
      che forse il velocissimo Aquilino
      non sottraggeasi e rimaneane oppresso;
      ma l'aiuto invisibile vicino
      non mancò lui di quel superno messo,
      che stese il braccio e tolse il ferro crudo
      sovra il diamante del celeste scudo.

93      Fragile è il ferro allor (ché non resiste
      di fucina mortal tempra terrena
      ad armi incorrottibili ed immiste
      d'eterno fabro) e cade in su l'arena.
      Il circasso, ch'andarne a terra ha viste
      minutissime parti, il crede a pena;
      stupisce poi, scorta la mano inerme,
      ch'arme il campion nemico abbia sí ferme;

94      e ben rotta la spada aver si crede
      su l'altro scudo, onde è colui difeso,
      e 'l buon Raimondo ha la medesma fede,
      ché non sa già chi sia dal ciel disceso.
      Ma però ch'egli disarmata vede
      la man nemica, si riman sospeso,
      ché stima ignobil palma e vili spoglie
      quelle ch'altrui con tal vantaggio toglie.

95      "Prendi" volea già dirgli "un'altra spada",
      quando novo pensier nacque nel core,
      ch'alto scorno è de' suoi dove egli cada,
      che di publica causa è difensore.
      Cosí né indegna a lui vittoria aggrada,
      né in dubbio vuol porre il comune onore.
      Mentre egli dubbio stassi, Argante lancia
      il pomo e l'else a la nemica guancia,

96      e in quel tempo medesmo il destrier punge
      e per venirne a lotta oltra si caccia.
      La percossa lanciata a l'elmo giunge,
      sí che ne pesta al tolosan la faccia;
      ma però nulla sbigottisce, e lunge
      ratto si svia da le robuste braccia,
      ed impiaga la man ch'a dar di piglio
      venia piú fera che ferino artiglio.

97      Poscia gira da questa a quella parte,
      e rigirasi a questa indi da quella;
      e sempre, e dove riede e donde parte,
      fère il pagan d'aspra percossa e fella.
      Quanto avea di vigor, quanto avea d'arte,
      quanto può sdegno antico, ira novella,
      a danno del circasso or tutto aduna,
      e seco il Ciel congiura e la fortuna.

98      Quei di fine arme e di se stesso armato,
      a i gran colpi resiste e nulla pave;
      e par senza governo in mar turbato,
      rotte vele ed antenne, eccelsa nave,
      che pur contesto avendo ogni suo lato
      tenacemente di robusta trave,
      sdrusciti i fianchi al tempestoso flutto
      non mostra ancor, né si dispera in tutto.

99      Argante, il tuo periglio allor tal era,
      quando aiutarti Belzebú dispose.
      Questi di cava nube ombra leggiera
      (mirabil mostro) in forma d'uom compose;
      e la sembianza di Clorinda altera
      gli finse, e l'arme ricche e luminose:
      diegli il parlare e senza mente il noto
      suon de la voce, e 'l portamento e 'l moto.

100     Il simulacro ad Oradin, esperto
      sagittario famoso, andonne e disse:
      "O famoso Oradin, ch'a segno certo,
      come a te piace, le quadrella affisse,
      ah! gran danno saria s'uom di tal merto,
      difensor di Giudea, cosí morisse,
      e di sue spoglie il suo nemico adorno
      securo ne facesse a i suoi ritorno.

101     Qui fa' prova de l'arte, e le saette
      tingi, nel sangue del ladron francese,
      ch'oltra il perpetuo onor vuo' che n'aspette
      premio al gran fatto egual dal re cortese."
      Cosí parlò, né quegli in dubbio stette,
      tosto che 'l suon de le promesse intese;
      da la grave faretra un quadrel prende
      e su l'arco l'adatta, e l'arco tende.

102     Sibila il teso nervo, e fuore spinto
      vola il pennuto stral per l'aria e stride,
      ed a percoter va dove del cinto
      si congiungon le fibbie e le divide;
      passa l'usbergo, e in sangue a pena tinto
      qui su si ferma e sol la pelle incide,
      ché 'l celeste guerrier soffrir non volse
      ch'oltra passasse, e forza al colpo tolse.

103     Da l'usbergo lo stral si tragge il conte
      ed ispicciarne fuori il sangue vede;
      e con parlar pien di minaccie ed onte
      rimprovera al pagan la rotta fede.
      Il capitan, che non torcea la fronte
      da l'amato Raimondo, allor s'avede
      che violato è il patto, e perché grave
      stima la piaga, ne sospira e pave;

104     e con la fronte le sue genti altere
      e con la lingua a vendicarlo desta.
      Vedi tosto inchinar giú le visiere,
      lentare i freni e por le lancie in resta,
      e quasi in un sol punto alcune schiere
      da quella parte moversi e da questa.
      Sparisce il campo, e la minuta polve
      con densi globi al ciel s'inalza e volve.

105     D'elmi e scudi percossi e d'aste infrante
      ne' primi scontri un gran romor s'aggira.
      Là giacere un cavallo, e girne errante
      un altro là senza rettor si mira;
      qui giace un guerrier morto, e qui spirante
      altri singhiozza e geme, altri sospira.
      Fera è la pugna, e quanto piú si mesce
      e stringe insieme, piú s'inaspra e cresce.

106     Salta Argante nel mezzo agile e sciolto,
      e toglie ad un guerrier ferrata mazza;
      e rompendo lo stuol calcato e folto,
      la rota intorno e si fa larga piazza.
      E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto
      ha il ferro e l'ira impetuosa e pazza,
      e quasi avido lupo ei par che brame
      ne le viscere sue pascer la fame.

107     Ma duro ad impedir viengli il sentiero
      e fero intoppo, acciò che 'l corso ei tardi.
      Si trova incontra Ormanno, e con Ruggiero
      di Balnavilla un Guido e duo Gherardi.
      Non cessa, non s'allenta, anzi è piú fero
      quanto ristretto è piú da que' gagliardi,
      sí come a forza da rinchiuso loco
      se n'esce e move alte ruine il foco.

108     Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra
      Ruggiero infra gli estinti egro e languente,
      ma contra lui crescon le turbe, e 'l serra
      d'uomini e d'arme cerchio aspro e pungente.
      Mentre in virtú di lui pari la guerra
      si mantenea fra l'una e l'altra gente,
      il buon duce Buglion chiama il fratello,
      ed a lui dice: "Or movi il tuo drapello,

109     e là dove battaglia è piú mortale
      vattene ad investir nel lato manco."
      Quegli si mosse, e fu lo scontro tale
      ond'egli urtò de gli nemici al fianco,
      che parve il popol d'Asia imbelle e frale,
      né poté sostener l'impeto franco,
      che gli ordini disperde, e co' destrieri
      l'insegne insieme abbatte e i cavalieri.

110     Da l'impeto medesmo in fuga è vòlto
      il destro corno; e non v'è alcun che faccia
      fuor ch'Argante difesa, a freno sciolto
      cosí il timor precipiti li caccia.
      Egli sol ferma il passo e mostra il volto,
      né chi con mani cento e cento braccia
      cinquanta scudi insieme ed altrettante
      spade movesse, or piú faria d'Argante.

111     Ei gli stocchi e le mazze, egli de l'aste
      e de' corsieri l'impeto sostenta;
      e solo par che 'ncontra tutti baste,
      ed ora a questo ed ora a quel s'aventa.
      Peste ha le membra e rotte l'arme e guaste,
      e sudor versa e sangue, e par no 'l senta.
      Ma cosí l'urta il popol denso e 'l preme
      ch'al fin lo svolge e seco il porta insieme.

112     Volge il tergo a la forza ed al furore
      di quel diluvio che 'l rapisce e 'l tira;
      ma non già d'uom che fugga ha i passi e 'l core,
      s'a l'opre de la mano il cor si mira.
      Serbano ancora gli occhi il lor terrore
      e le minaccie de la solita ira;
      e cerca ritener con ogni prova
      la fuggitiva turba, e nulla giova.

113     Non può far quel magnanimo ch'almeno
      sia lor fuga piú tarda e piú raccolta,
      ché non ha la paura arte né freno,
      né pregar qui né comandar s'ascolta.
      Il pio Buglion, ch'i suoi pensieri a pieno
      vede fortuna a favorir rivolta,
      segue de la vittoria il lieto corso
      e invia novello a i vincitor soccorso.

114     E se non che non era il dí che scritto
      Dio ne gli eterni suoi decreti avea,
      quest'era forse il dí che 'l campo invitto
      de le sante fatiche al fin giungea.
      Ma la schiera infernal, ch'in quel conflitto
      la tirannide sua cader vedea,
      sendole ciò permesso, in un momento
      l'aria in nube ristrinse e mosse il vento.

115     Da gli occhi de' mortali un negro velo
      rapisce il giorno e 'l sole, e par ch'avampi
      negro via piú ch'orror d'inferno il cielo,
      cosí fiammeggia infra baleni e lampi.
      Fremono i tuoni, e pioggia accolta in gelo
      si versa, e i paschi abbatte e inonda i campi.
      Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli
      non pur le quercie ma le rocche e i colli.

116     L'acqua in un tempo, il vento e la tempesta
      ne gli occhi a i Franchi impetuosa fère,
      e l'improvisa violenza arresta
      con un terror quasi fatal le schiere.
      La minor parte d'esse accolta resta
      (ché veder non le puote) a le bandiere.
      Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge
      prende opportuno il tempo e 'l destrier punge.

117     Ella gridava a i suoi: "Per noi combatte,
      compagni, il Cielo, e la giustizia aita;
      da l'ira sua le faccie nostre intatte
      sono, e non è la destra indi impedita,
      e ne la fronte solo irato ei batte
      de la nemica gente impaurita,
      e la scote de l'arme, e de la luce
      la priva: andianne pur, ché 'l fato è duce."

118     Cosí spinge le genti, e ricevendo
      sol nelle spalle l'impeto d'inferno,
      urta i Francesi con assalto orrendo,
      e i vani colpi lor si prende a scherno.
      Ed in quel tempo Argante anco volgendo
      fa de' già vincitor aspro governo,
      e quei lasciando il campo a tutto corso
      volgono al ferro, a le procelle il dorso.

119     Percotono le spalle a i fuggitivi
      l'ire immortali e le mortali spade,
      e 'l sangue corre e fa, commisto a i rivi
      de la gran pioggia, rosseggiar le strade.
      Qui tra 'l vulgo de' morti e de' mal vivi
      e Pirro e 'l buon Ridolfo estinto cade;
      e toglie a questo il fier circasso l'alma,
      e Clorinda di quello ha nobil palma.

120     Cosí fuggiano i Franchi, e di lor caccia
      non rimaneano i Siri anco o i demoni.
      Sol contra l'arme e contra ogni minaccia
      di granuole, di turbini e di tuoni
      volgea Goffredo la secura faccia,
      rampognando aspramente i suoi baroni;
      e, fermo anzi la porta il gran cavallo,
      le genti sparse raccogliea nel vallo.

121     E ben due volte il corridor sospinse
      contra il feroce Argante e lui ripresse,
      ed altrettante il nudo ferro spinse
      dove le turbe ostili eran piú spesse;
      al fin con gli altri insieme ei si ristrinse
      dentro a i ripari, e la vittoria cesse.
      Tornano allora i saracini, e stanchi
      restan nel vallo e sbigottiti i Franchi.

122     Né quivi ancor de l'orride procelle
      ponno a pieno schivar la forza e l'ira,
      ma sono estinte or queste faci or quelle,
      e per tutto entra l'acqua e 'l vento spira.
      Squarcia le tele e spezza i pali, e svelle
      le tende intere e lunge indi le gira;
      la pioggia a i gridi, a i venti, a i tuon s'accorda
      d'orribile armonia che 'l mondo assorda.



canto OTTAVO


1       Già cheti erano i tuoni e le tempeste
      e cessato il soffiar d'Austro e di Coro,
      e l'alba uscia de la magion celeste
      con la fronte di rose e co' piè d'oro.
      Ma quei che le procelle avean già deste
      non rimaneansi ancor da l'arti loro,
      anzi l'un d'essi, ch'Astragorre è detto,
      cosí parlava a la compagna Aletto:

2       "Mira, Aletto, venirne (ed impedito
      esser non può da noi) quel cavaliero
      che da le fere mani è vivo uscito
      del sovran difensor del nostro impero.
      Questi, narrando del suo duce ardito
      e de' compagni a i Franchi il caso fero,
      paleserà gran cose; onde è periglio
      che si richiami di Bertoldo il figlio.

3       Sai quanto ciò rilevi e se conviene
      a i gran princípi oppor forza ed inganno.
      Scendi tra i Franchi adunque, e ciò ch'a bene
      colui dirà tutto rivolgi in danno:
      spargi le fiamme e 'l tòsco entro le vene
      del Latin, de l'Elvezio e del Britanno,
      movi l'ire e i tumulti a fa' tal opra
      che tutto vada il campo al fin sossopra.

4       L'opra è degna di te, tu nobil vanto
      te 'n désti già dinanzi al signor nostro."
      Cosí le parla, e basta ben sol tanto
      perché prenda l'impresa il fero mostro.
      Giunto è su 'l vallo dei cristiani intanto
      quel cavaliero il cui venir fu mostro,
      e disse lor: "Deh, sia chi m'introduca
      per mercede, o guerrieri, al sommo duca."

5       Molti scorta gli furo al capitano,
      vaghi d'udir del peregrin novelle.
      Egli inchinollo, e l'onorata mano
      volea baciar che fa tremar Babelle;
      "Signor," poi dice "che con l'oceano
      termini la tua fama e con le stelle,
      venirne a te vorrei piú lieto messo."
      Qui sospirava, e soggiungeva appresso:

6       "Sveno, del re de' Dani unico figlio,
      gloria e sostegno a la cadente etade,
      esser tra quei bramò che 'l tuo consiglio
      seguendo han cinto per Giesú le spade;
      né timor di fatica o di periglio,
      né vaghezza del regno, né pietade
      del vecchio genitor, sí degno affetto
      intepidír nel generoso petto.

7       Lo spingeva un desio d'apprender l'arte
      de la milizia faticosa e dura
      da te, sí nobil mastro, e sentia in parte
      sdegno e vergogna di sua fama oscura,
      già di Rinaldo il nome in ogni parte
      con gloria udendo in verdi anni matura;
      ma piú ch'altra cagione, il mosse il zelo
      non del terren ma de l'onor del Cielo.

8       Precipitò dunque gli indugi, e tolse
      stuol di scelti compagni audace e fero,
      e dritto invèr la Tracia il camin volse
      a la città che sede è de l'impero.
      Qui il greco Augusto in sua magion l'accolse,
      qui poi giunse in tuo nome un messaggiero.
      Questi a pien gli narrò come già presa
      fosse Antiochia, e come poi difesa;

9       difesa incontra al Perso, il qual con tanti
      uomini armati ad assediarvi mosse,
      che sembrava che d'arme e d'abitanti
      vòto il gran regno suo rimaso fosse.
      Di te gli disse, e poi narrò d'alquanti
      sin ch'a Rinaldo giunse, e qui fermosse;
      contò l'ardita fuga, e ciò che poi
      fatto di glorioso avea tra voi.

10      Soggiunse al fin come già il popol franco
      veniva a dar l'assalto a queste porte;
      e invitò lui ch'egli volesse almanco
      de l'ultima vittoria esser consorte.
      Questo parlare al giovenetto fianco
      del fero Sveno è stimolo sí forte,
      ch'ogn'ora un lustro pargli infra pagani
      rotar il ferro e insanguinar le mani.

11      Par che la sua viltà rimproverarsi
      senta ne l'altrui gloria, e se ne rode;
      e ch'il consiglia e ch'il prega a fermarsi,
      o che non l'essaudisce o che non l'ode.
      Rischio non teme, fuor che 'l non trovarsi
      de' tuoi gran rischi a parte e di tua lode;
      questo gli sembra sol periglio grave,
      de gli altri o nulla intende o nulla pave.

12      Egli medesmo sua fortuna affretta,
      fortuna che noi tragge e lui conduce,
      però ch'a pena al suo partire aspetta
      i primi rai de la novella luce.
      È per miglior la via piú breve eletta;
      tale ei la stima, ch'è signor e duce,
      né i passi piú difficili o i paesi
      schivar si cerca de' nemici offesi.

13      Or difetto di cibo, or camin duro
      trovammo, or violenza ed or aguati;
      ma tutti fur vinti i disagi, e furo
      or uccisi i nemici ed or fugati.
      Fatto avean ne' perigli ogn'uom securo
      le vittorie e insolenti i fortunati,
      quando un dí ci accampammo ove i confini
      non lunge erano omai de' Palestini.

14      Quivi da i precursori a noi vien detto
      ch'alto strepito d'arme avean sentito,
      e viste insegne e indizi onde han sospetto
      che sia vicino essercito infinito.
      Non pensier, non color, non cangia aspetto,
      non muta voce il signor nostro ardito,
      benché molti vi sian ch'al fero aviso
      tingan di bianca pallidezza il viso.

15      Ma dice: `Oh quale omai vicina abbiamo
      corona o di martirio o di vittoria!
      L'una spero io ben piú, ma non men bramo
      l'altra ove è maggior merto e pari gloria.
      Questo campo, o fratelli, ove or noi siamo,
      fia tempio sacro ad immortal memoria,
      in cui l'età futura additi e mostri
      le nostre sepolture e i trofei nostri.'

16      Cosí parla, e le guardie indi dispone
      e gli uffici comparte e la fatica.
      Vuol ch'armato ognun giaccia, e non depone
      ei medesmo gli arnesi o la lorica.
      Era la notte ancor ne la stagione
      ch'è piú del sonno e del silenzio amica,
      allor che d'urli barbareschi udissi
      romor che giunse al cielo ed a gli abissi.

17      Si grida `A l'armi! a l'armi!', e Sveno involto
      ne l'armi inanzi a tutti oltre si spinge,
      e magnanimamente i lumi e 'l volto
      di color d'ardimento infiamma e tinge.
      Ecco siamo assaliti, e un cerchio folto
      da tutti i lati ne circonda e stringe,
      e intorno un bosco abbiam d'aste e di spade
      e sovra noi di strali un nembo cade.

18      Ne la pugna inegual (però che venti
      gli assalitori sono incontra ad uno)
      molti d'essi piagati e molti spenti
      son da cieche ferite a l'aer bruno;
      ma il numero de gli egri e de' cadenti
      fra l'ombre oscure non discerne alcuno:
      copre la notte i nostri danni, e l'opre
      de la nostra virtute insieme copre.

19      Pur sí fra gli altri Sveno alza la fronte
      ch'agevol cosa è che veder si possa,
      e nel buio le prove anco son conte
      a chi vi mira, e l'incredibil possa.
      Di sangue un rio, d'uomini uccisi un monte
      d'ogni intorno gli fanno argine e fossa;
      e dovunque ne va, sembra che porte
      lo spavento ne gli occhi, e in man la morte.

20      Cosí pugnato fu sin che l'albore
      rosseggiando nel ciel già n'apparia.
      Ma poi che scosso fu il notturno orrore
      che l'orror de le morti in sé copria,
      la desiata luce a noi terrore
      con vista accrebbe dolorosa e ria,
      ché pien d'estinti il campo e quasi tutta
      nostra gente vedemmo omai destrutta.

21      Duomila fummo, e non siam cento. Or quando
      tanto sangue egli mira e tante morti,
      non so se 'l cuor feroce al miserando
      spettacolo si turbi e si sconforti;
      ma già no 'l mostra, anzi la voce alzando:
      `Seguiam' ne grida `que' compagni forti
      ch'al Ciel lunge da i laghi averni e stigi
      n'han segnati co 'l sangue alti vestigi.'

22      Disse, e lieto (credo io) de la vicina
      morte cosí nel cor come al sembiante,
      incontra alla barbarica ruina
      portonne il petto intrepido e costante.
      Tempra non sosterrebbe, ancor che fina
      fosse e d'acciaio no, ma di diamante,
      i feri colpi, onde egli il campo allaga,
      e fatto è il corpo suo solo una piaga.

23      La vita no, ma la virtú sostenta
      quel cadavero indomito e feroce.
      Ripercote percosso e non s'allenta,
      ma quanto offeso è piú tanto piú noce.
      Quando ecco furiando a lui s'aventa
      uom grande, c'ha sembiante e guardo atroce;
      e dopo lunga ed ostinata guerra,
      con l'aita di molti al fin l'atterra.

24      Cade il garzone invitto (ahi caso amaro!),
      né v'è fra noi chi vendicare il possa.
      Voi chiamo in testimonio, o del mio caro
      signor sangue ben sparso e nobil ossa,
      ch'allor non fui de la mia vita avaro,
      né schivai ferro né schivai percossa;
      e se piaciuto pur fosse là sopra
      ch'io vi morissi, il meritai con l'opra.

25      Fra gli estinti compagni io sol cadei
      vivo, né vivo forse è chi mi pensi;
      né de' nemici piú cosa saprei
      ridir, sí tutti avea sopiti i sensi.
      Ma poi che tornò il lume a gli occhi miei,
      ch'eran d'atra caligine condensi,
      notte mi parve, ed a lo sguardo fioco
      s'offerse il vacillar d'un picciol foco.

26      Non rimaneva in me tanta virtude
      ch'a discerner le cose io fossi presto,
      ma vedea come quei ch'or apre or chiude
      gli occhi, mezzo tra 'l sonno e l'esser desto;
      e 'l duolo omai de le ferite crude
      piú cominciava a farmisi molesto,
      ché l'inaspria l'aura notturna e 'l gelo
      in terra nuda e sotto aperto cielo.

27      Piú e piú ognor s'avicinava intanto
      quel lume e insieme un tacito bisbiglio,
      sí ch'a me giunse e mi si pose a canto.
      Alzo allor, bench'a pena, il debil ciglio
      e veggio due vestiti in lungo manto
      tener due faci, e dirmi sento: `O figlio,
      confida in quel Signor ch'a' pii soviene,
      e con la grazia i preghi altrui previene.'

28      In tal guisa parlommi: indi la mano
      benedicendo sovra me distese;
      e susurrò con suon devoto e piano
      voci allor poco udite e meno intese.
      `Sorgi', poi disse; ed io leggiero e sano
      sorgo, e non sento le nemiche offese
      (oh miracol gentile!), anzi mi sembra
      piene di vigor novo aver le membra.

29      Stupido lor riguardo, e non ben crede
      l'anima sbigottita il certo e il vero;
      onde l'un d'essi a me: `Di poca fede,
      che dubbii? o che vaneggia il tuo pensiero?
      Verace corpo è quel che 'n noi si vede:
      servi siam di Giesú, che 'l lusinghiero
      mondo e 'l suo falso dolce abbiam fuggito,
      e qui viviamo in loco erto e romito.

30      Me per ministro a tua salute eletto
      ha quel Signor che 'n ogni parte regna,
      ché per ignobil mezzo oprar effetto
      meraviglioso ed alto egli non sdegna,
      né men vorrà che sí resti negletto
      quel corpo in cui già visse alma sí degna,
      lo qual con essa ancor, lucido e leve
      e immortal fatto, riunir si deve.

31      Dico il corpo di Sveno a cui fia data
      tomba, a tanto valor conveniente,
      la qual a dito mostra ed onorata
      ancor sarà da la futura gente.
      Ma leva omai gli occhi a le stelle, e guata
      là splender quella, come un sol lucente;
      questa co' vivi raggi or ti conduce
      là dove è il corpo del tuo nobil duce.'

32      Allor vegg'io che da la bella face,
      anzi dal sol notturno, un raggio scende
      che dritto là dove il gran corpo giace,
      quasi aureo tratto di pennel, si stende;
      e sovra lui tal lume e tanto face
      ch'ogni sua piaga ne sfavilla e splende,
      e subito da me si raffigura
      ne la sanguigna orribile mistura.

33      Giacea, prono non già, ma come vòlto
      ebbe sempre a le stelle il suo desire,
      dritto ei teneva inverso il cielo il volto
      in guisa d'uom che pur là suso aspire.
      Chiusa la destra e 'l pugno avea raccolto
      e stretto il ferro, e in atto è di ferire;
      l'altra su 'l petto in modo umile e pio
      si posa, e par che perdon chieggia a Dio.

34      Mentre io le piaghe sue lavo co 'l pianto,
      né però sfogo il duol che l'alma accora,
      gli aprí la chiusa destra il vecchio santo,
      e 'l ferro che stringea trattone fora:
      `Questa' a me disse `ch'oggi sparso ha tanto
      sangue nemico, e n'è vermiglia ancora,
      è come sai perfetta, e non è forse
      altra spada che debba a lei preporse.

35      Onde piace là su che, s'or la parte
      dal suo primo signor acerba morte,
      oziosa non resti in questa parte,
      ma di man passi in mano ardita e forte
      che l'usi poi con egual forza ed arte,
      ma piú lunga stagion con lieta sorte;
      e con lei faccia, perché a lei s'aspetta,
      di chi Sveno le uccise aspra vendetta.

36      Soliman Sveno uccise, e Solimano
      dée per la spada sua restarne ucciso.
      Prendila dunque, e vanne ov'il cristiano
      campo fia intorno a l'alte mura assiso;
      e non temer che nel paese estrano
      ti sia il sentier di novo anco preciso,
      ché t'agevolerà per l'aspra via
      l'alta destra di Lui ch'or là t'invia.

37      Quivi Egli vuol che da cotesta voce,
      che viva in te servò, si manifesti
      la pietate, il valor, l'ardir feroce
      che nel diletto tuo signor vedesti,
      perché a segnar de la purpurea Croce
      l'arme con tale essempio altri si desti,
      ed ora e dopo un corso anco di lustri
      infiammati ne sian gli animi illustri.

38      Resta che sappia tu chi sia colui
      che deve de la spada esser erede.
      Questi è Rinaldo, il giovenetto a cui
      il pregio di fortezza ogn'altro cede.
      A lui la porgi, e di' che sol da lui
      l'alta vedetta il Cielo e 'l mondo chiede.'
      Or mentre io le sue voci intento ascolto,
      fui da miracol novo a sé rivolto,

39      ché là dove il cadavero giacea
      ebbi improviso un gran sepolcro scorto,
      che sorgendo rinchiuso in sé l'avea,
      come non so né con qual arte sorto;
      e in brevi note altrui vi si sponea
      il nome e la virtú del guerrier morto.
      Io non sapea da tal vista levarmi,
      mirando ora le lettre ed ora i marmi.

40      `Qui' disse il vecchio `appresso a i fidi amici
      giacerà del tuo duce il corpo ascoso,
      mentre gli spirti amando in Ciel felici
      godon perpetuo bene e glorioso.
      Ma tu co 'l pianto omai gli estremi uffici
      pagato hai loro, e tempo è di riposo.
      Oste mio ne sarai sin ch'al viaggio
      matutin ti risvegli il novo raggio.'

41      Tacque, e per lochi ora sublimi or cupi
      mi scòrse onde a gran pena il fianco trassi,
      sin ch'ove pende da selvaggie rupi
      cava spelonca raccogliemmo i passi.
      Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i lupi
      co 'l discepolo suo securo stassi,
      ché difesa miglior ch'usbergo e scudo
      è la santa innocenza al petto ignudo.

42      Silvestre cibo e duro letto porse
      quivi a le membra mie posa e ristoro.
      Ma poi ch'accesi in oriente scorse
      i raggi del mattin purpurei e d'oro,
      vigilante ad orar subito sorse
      l'uno e l'altro eremita, ed io con loro.
      Dal santo vecchio poi congedo tolsi
      e qui, dov'egli consigliò, mi volsi."

43      Qui si tacque il tedesco, e gli rispose
      il pio Buglione: "O cavalier, tu porte
      dure novelle al campo e dolorose
      onde a ragion si turbi e si sconforte,
      poi che genti sí amiche e valorose
      breve ora ha tolte e poca terra absorte,
      e in guisa d'un baleno il signor vostro
      s'è in un sol punto dileguato e mostro.

44      Ma che? felice è cotal morte e scempio
      via piú ch'acquisto di provincie e d'oro,
      né dar l'antico Campidoglio essempio
      d'alcun può mai sí glorioso alloro.
      Essi del ciel nel luminoso tempio
      han corona immortal del vincer loro:
      ivi credo io che le sue belle piaghe
      ciascun lieto dimostri e se n'appaghe.

45      Ma tu, che a le fatiche ed al periglio
      ne la milizia ancor resti del mondo,
      devi gioir de' lor trionfi, e 'l ciglio
      render quanto conviene omai giocondo;
      e perché chiedi di Bertoldo il figlio,
      sappi ch'ei fuor de l'oste è vagabondo,
      né lodo io già che dubbia via tu prenda
      pria che di lui certa novella intenda."

46      Questo lor ragionar ne l'altrui mente
      di Rinaldo l'amor desta e rinova,
      e v'è chi dice: "Ahi! fra pagana gente
      il giovenetto errante or si ritrova."
      E non v'è quasi alcun che non rammente,
      narrando al dano, i suoi gran fatti a prova;
      e de l'opere sue la lunga tela
      con istupor gli si dispiega e svela.

47      Or quando del garzon la rimembranza
      avea gli animi tutti inteneriti,
      ecco molti tornar, che per usanza
      eran d'intorno a depredare usciti.
      Conducean questi seco in abbondanza
      e mandre di lanuti e buoi rapiti
      e biade ancor, benché non molte, e strame
      che pasca de' corsier l'avida fame.

48      E questi di sciagura aspra e noiosa
      segno portàr che 'n apparenza è certo:
      rotta del buon Rinaldo e sanguinosa
      la sopravesta ed ogni arnese aperto.
      Tosto si sparse (e chi potria tal cosa
      tener celata?) un romor vario e incerto.
      Corre il vulgo dolente a le novelle
      del guerriero e de l'arme, e vuol vedelle.

49      Vede, e conosce ben l'immensa mole
      del grand'usbergo e 'l folgorar del lume,
      e l'arme tutte ove è l'augel ch'al sole
      prova i suoi figli e mal crede a le piume;
      ché di vederle già primiere o sole
      ne le imprese piú grandi ebbe in costume,
      ed or non senza alta pietate ed ira
      rotte e sanguigne ivi giacer le mira.

50      Mentre bisbiglia il campo, e la cagione
      de la morte di lui varia si crede,
      a sé chiama Aliprando il pio Buglione,
      duce di quei che ne portàr le prede,
      uom di libera mente e di sermone
      veracissimo e schietto, ed a lui chiede:
      "Di' come e donde tu rechi quest'arme,
      e di buono o di reo nulla celarme."

51      Gli rispose colui: "Di qui lontano
      quanto in duo giorni un messaggiero andria,
      verso il confin di Gaza un picciol piano
      chiuso tra colli alquanto è fuor di via;
      e in lui d'alto deriva e lento e piano
      tra pianta e pianta un fiumicel s'invia,
      e d'arbori e di macchie ombroso e folto
      opportuno a l'insidie il loco è molto.

52      Qui greggia alcuna cercavam che fosse
      venuta a i paschi de l'erbose sponde,
      e in su l'erbe miriam di sangue rosse
      giacerne un guerrier morto in riva a l'onde.
      A l'arme ed a l'insegne ogn'uom si mosse,
      che furon conosciute ancor che immonde.
      Io m'appressai per discoprirgli il viso,
      ma trovai ch'era il capo indi reciso.

53      Mancava ancor la destra, e 'l busto grande
      molte ferite avea dal tergo al petto;
      e non lontan, con l'aquila che spande
      le candide ali, giacea il vòto elmetto.
      Mentre cerco d'alcuno a cui dimande,
      un villanel sopragiungea soletto
      che 'ndietro il passo per fuggirne torse
      subitamente che di noi s'accorse.

54      Ma seguitato e preso, a la richiesta
      che noi gli facevamo, al fin rispose
      che 'l giorno inanti uscir de la foresta
      scorse molti guerrieri, onde ei s'ascose;
      e ch'un d'essi tenea recisa testa
      per le sue chiome bionde e sanguinose,
      la qual gli parve, rimirando intento,
      d'uom giovenetto e senza peli al mento;

55      e che 'l medesmo poco poi l'avolse
      in un zendado da l'arcion pendente.
      Soggiunse ancor ch'a l'abito raccolse
      ch'erano i cavalier di nostra gente.
      Io spogliar feci il corpo, e sí me 'n dolse
      che piansi nel sospetto amaramente,
      e portai meco l'arme e lasciai cura
      ch'avesse degno onor di sepoltura.

56      Ma se quel nobil tronco è quel ch'io credo,
      altra tomba, altra pompa egli ben merta."
      Cosí detto, Aliprando ebbe congedo,
      però che cosa non avea piú certa.
      Rimase grave e sospirò Goffredo;
      pur nel tristo pensier non si raccerta,
      e con piú chiari segni il monco busto
      conoscer vuole e l'omicida ingiusto.

57      Sorgea la notte intanto, e sotto l'ali
      ricopriva del cielo i campi immensi;
      e 'l sonno, ozio de l'alme, oblio de' mali,
      lusingando sopia le cure e i sensi.
      Tu sol punto, Argillan, d'acuti strali
      d'aspro dolor, volgi gran cose e pensi,
      né l'agitato sen né gli occhi ponno
      la quiete raccòrre o 'l molle sonno.

58      Costui pronto di man, di lingua ardito,
      impetuoso e fervido d'ingegno,
      nacque in riva del Tronto e fu nutrito
      ne le risse civil d'odio e di sdegno;
      poscia in essiglio spinto, i colli e 'l lito
      empié di sangue e depredò quel regno,
      sin che ne l'Asia a guerreggiar se 'n venne
      e per fama miglior chiaro divenne.

59      Al fin questi su l'alba i lumi chiuse;
      né già fu sonno il suo queto e soave,
      ma fu stupor ch'Aletto al cor gl'infuse,
      non men che morte sia profondo e grave.
      Sono le interne sue virtú deluse
      e riposo dormendo anco non have,
      ché la furia crudel gli s'appresenta
      sotto orribili larve e lo sgomenta.

60      Gli figura un gran busto, ond'è diviso
      il capo e de la destra il braccio è mozzo,
      e sostien con la manca il teschio inciso,
      di sangue e di pallor livido e sozzo.
      Spira e parla spirando il morto viso,
      e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo:
      "Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce?
      Fuggi le tende infami e l'empio duce.

61      Chi dal fero Goffredo e da la frode
      ch'uccise me, voi, cari amici, affida?
      D'astio dentro il fellon tutto si rode,
      e pensa sol come voi meco uccida.
      Pur, se cotesta mano a nobil lode
      aspira, e in sua virtú tanto si fida,
      non fuggir, no; plachi il tiranno essangue
      lo spirto mio co 'l suo maligno sangue.

62      Io sarò teco, ombra di ferro e d'ira
      ministra, e t'armerò la destra e 'l seno."
      Cosí gli parla, e nel parlar gli spira
      spirito novo di furor ripieno.
      Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira
      gli occhi gonfi di rabbia e di veneno;
      ed armato ch'egli è, con importuna
      fretta i guerrier d'Italia insieme aduna.

63      Gli aduna là dove sospese stanno
      l'arme del buon Rinaldo, e con superba
      voce il furore e 'l conceputo affanno
      in tai detti divulga e disacerba:
      "Dunque un popolo barbaro e tiranno,
      che non prezza ragion, che fé non serba,
      che non fu mai di sangue e d'or satollo,
      ne terrà 'l freno in bocca e 'l giogo al collo?

64      Ciò che sofferto abbiam d'aspro e d'indegno
      sette anni omai sotto sí iniqua soma,
      è tal ch'arder di scorno, arder di sdegno
      potrà da qui a mill'anni Italia e Roma.
      Taccio che fu da l'arme e da l'ingegno
      del buon Tancredi la Cilicia doma,
      e ch'ora il Franco a tradigion la gode,
      e i premi usurpa del valor la frode.

65      Taccio ch'ove il bisogno e 'l tempo chiede
      pronta man, pensier fermo, animo audace,
      alcuno ivi di noi primo si vede
      portar fra mille morti o ferro o face;
      quando le palme poi, quando le prede
      si dispensan ne l'ozio e ne la pace,
      nostri in parte non son, ma tutti loro
      i trionfi, gli onor, le terre e l'oro.

66      Tempo forse già fu che gravi e strane
      ne potevan parer sí fatte offese;
      quasi lievi or le passo: orrenda, immane
      ferità leggierissime l'ha rese.
      Hanno ucciso Rinaldo, e con l'umane
      l'alte leggi divine han vilipese.
      E non fulmina il Cielo? e non l'inghiotte
      la terra entro la sua perpetua notte?

67      Rinaldo han morto, il qual fu spada e scudo
      di nostra fede; ed ancor giace inulto?
      inulto giace e su 'l terreno ignudo
      lacerato il lasciaro ed insepulto.
      Ricercate saper chi fosse il crudo?
      A chi pote, o compagni, esser occulto?
      Deh! chi non sa quanto al valor latino
      portin Goffredo invidia e Baldovino?

68      Ma che cerco argomenti? Il Cielo io giuro
      (il Ciel che n'ode e ch'ingannar non lice),
      ch'allor che si rischiara il mondo oscuro,
      spirito errante il vidi ed infelice.
      Che spettacolo, oimè, crudele e duro!
      Quai frode di Goffredo a noi predice!
      Io 'l vidi, e non fu sogno; e ovunque or miri,
      par che dinanzi a gli occhi miei s'aggiri.

69      Or che faremo noi? dée quella mano,
      che di morte sí ingiusta è ancora immonda,
      reggerci sempre? o pur vorrem lontano
      girne da lei, dove l'Eufrate inonda,
      dove a popolo imbelle in fertil piano
      tante ville e città nutre e feconda,
      anzi a noi pur? Nostre saranno, io spero,
      né co' Franchi comune avrem l'impero.

70      Andianne, e resti invendicato il sangue
      (se cosí parvi) illustre ed innocente,
      benché, se la virtú che fredda langue
      fosse ora in voi quanto dovrebbe ardente,
      questo che divorò, pestifero angue,
      il pregio e 'l fior de la latina gente,
      daria con la sua morte e con lo scempio
      a gli altri mostri memorando essempio.

71      Io, io vorrei, se 'l vostro alto valore,
      quanto egli può, tanto voler osasse,
      ch'oggi per questa man ne l'empio core,
      nido di tradigion, la pena entrasse."
      Cosí parla agitato, e nel furore
      e ne l'impeto suo ciascuno ei trasse.
      "Arme! arme!" freme il forsennato, e insieme
      la gioventú superba "Arme! arme!" freme.

72      Rota Aletto fra lor la destra armata,
      e co 'l foco il venen ne' petti mesce.
      Lo sdegno, la follia, la scelerata
      sete del sangue ognor piú infuria e cresce;
      e serpe quella peste e si dilata,
      e de gli alberghi italici fuor n'esce,
      e passa fra gli Elvezi, e vi s'apprende,
      e di là poscia a gli Inghilesi tende.

73      Né sol l'estrane genti avien che mova
      il duro caso e 'l gran publico danno,
      ma l'antiche cagioni a l'ira nova
      materia insieme e nutrimento danno.
      Ogni sopito sdegno or si rinova:
      chiamano il popol franco empio e tiranno,
      e in superbe minaccie esce diffuso
      l'odio che non può starne omai piú chiuso.

74      Cosí nel cavo rame umor che bolle
      per troppo foco, entro gorgoglia e fuma;
      né capendo in se stesso, al fin s'estolle
      sovra gli orli del vaso, e inonda e spuma.
      Non bastano a frenare il vulgo folle
      que' pochi a cui la mente il vero alluma;
      e Tancredi e Camillo eran lontani,
      Guglielmo e gli altri in podestà soprani.

75      Corrono già precipitosi a l'armi
      confusamente i popoli feroci,
      e già s'odon cantar bellici carmi
      sediziose trombe in fere voci.
      Gridano intanto al pio Buglion che s'armi
      molti di qua di là nunzi veloci,
      e Baldovin inanzi a tutti armato
      gli s'appresenta e gli si pone a lato.

76      Egli, ch'ode l'accusa, i lumi al cielo
      drizza e pur come suole a Dio ricorre:
      "Signor, tu che sai ben con quanto zelo
      la destra mia del civil sangue aborre,
      tu squarcia a questi de la mente il velo,
      e reprimi il furor che sí trascorre;
      e l'innocenza mia, che costà sopra
      è nota, al mondo cieco anco si scopra."

77      Tacque, e dal Cielo infuso ir fra le vene
      sentissi un novo inusitato caldo.
      Colmo d'alto vigor, d'ardita spene
      che nel volto si sparge e 'l fa piú baldo,
      e da' suoi circondato, oltre se 'n viene
      contra chi vendicar credea Rinaldo;
      né, perché d'arme e di minaccie ei senta
      fremito d'ogni intorno, il passo allenta.

78      Ha la corazza indosso, e nobil veste
      riccamente l'adorna oltra 'l costume.
      Nudo è le mani e 'l volto, e di celeste
      maestà vi risplende un novo lume:
      scote l'aurato scettro, e sol con queste
      arme acquetar quegli impeti presume.
      Tal si mostra a coloro e tal ragiona,
      né come d'uom mortal la voce suona:

79      "Quali stolte minaccie e quale or odo
      vano strepito d'arme? e chi il commove?
      Cosí qui riverito e in questo modo
      noto son io, dopo sí lunghe prove,
      ch'ancor v'è chi sospetti e chi di frodo
      Goffredo accusi? e chi l'accuse approve?
      Forse aspettate ancor ch'a voi mi pieghi,
      e ragioni v'adduca e porga preghi?

80      Ah non sia ver che tanta indignitate
      la terra piena del mio nome intenda.
      Me questo scettro, me de l'onorate
      opre mie la memoria e 'l ver difenda;
      e per or la giustizia a la pietate
      ceda, né sovra i rei la pena scenda.
      A gli altri merti or questo error perdono,
      ed al vostro Rinaldo anco vi dono.

81      Co 'l sangue suo lavi il comun difetto
      solo Argillan, di tante colpe autore,
      che, mosso a leggierissimo sospetto,
      sospinti gli altri ha nel medesmo errore."
      Lampi e folgori ardean nel regio aspetto,
      mentre ei parlò, di maestà, d'onore;
      tal ch'Argillano attonito e conquiso
      teme (chi 'l crederia?) l'ira d'un viso.

82      E 'l vulgo, ch'anzi irriverente, audace,
      tutto fremer s'udia d'orgogli e d'onte,
      e ch'ebbe al ferro, a l'aste ed a la face
      che 'l furor ministrò, le man sí pronte,
      non osa (e i detti alteri ascolta, e tace)
      fra timor e vergogna alzar la fronte,
      e sostien ch'Argillano, ancor che cinto
      de l'arme lor, sia da' ministri avinto.

83      Cosí leon, ch'anzi l'orribil coma
      con muggito scotea superbo e fero,
      se poi vede il maestro onde fu doma
      la natia ferità del core altero,
      può del giogo soffrir l'ignobil soma
      e teme le minaccie e 'l duro impero,
      né i gran velli, i gran denti e l'ugne c'hanno
      tanta in sé forza, insuperbire il fanno.

84      È fama che fu visto in volto crudo
      ed in atto feroce e minacciante
      un alato guerrier tener lo scudo
      de la difesa al pio Buglion davante,
      e vibrar fulminando il ferro ignudo
      che di sangue vedeasi ancor stillante:
      sangue era forse di città, di regni,
      che provocàr del Cielo i tardi sdegni.

85      Cosí, cheto il tumulto, ognun depone
      l'arme, e molti con l'arme il mal talento;
      e ritorna Goffredo al padiglione,
      a varie cose, a nove imprese intento,
      ch'assalir la cittate egli dispone
      pria che 'l secondo o 'l terzo dí sia spento;
      e rivedendo va l'incise travi,
      già in machine conteste orrende e gravi.



canto NONO


1       Ma il gran mostro infernal, che vede queti
      que' già torbidi cori e l'ire spente,
      e cozzar contra 'l fato e i gran decreti
      svolger non può de l'immutabil Mente,
      si parte, e dove passa i campi lieti
      secca, e pallido il sol si fa repente;
      e d'altre furie ancora e d'altri mali
      ministra, a nova impresa affretta l'ali.

2       Ella, che dall'essercito cristiano
      per industria sapea de' suoi consorti
      il figliuol di Bertoldo esser lontano,
      Tancredi e gli altri piú temuti e forti,
      disse: "Che piú s'aspetta? or Solimano
      inaspettato venga e guerra porti.
      Certo (o ch'io spero) alta vittoria avremo
      di campo mal concorde e in parte scemo."

3       Ciò detto, vola ove fra squadre erranti,
      fattosen duce, Soliman dimora,
      quel Soliman di cui non fu tra quanti
      ha Dio rubelli, uom piú feroce allora
      né se per nova ingiuria i suoi giganti
      rinovasse la terra, anco vi fòra.
      Questi fu re de' Turchi ed in Nicea
      la sede de l'imperio aver solea,

4       e distendeva incontra a i greci lidi
      dal Sangario al Meandro il suo confine,
      ove albergàr già Misi e Frigi e Lidi,
      e le genti di Ponto e le bitine;
      ma poi che contra i Turchi e gli altri infidi
      passàr ne l'Asia l'arme peregrine,
      fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto
      ben fu due fiate in general conflitto.

5       Ma riprovata avendo in van la sorte
      e spinto a forza dal natio paese,
      ricoverò del re d'Egitto in corte,
      ch'oste gli fu magnanimo e cortese;
      ed ebbe a grado che guerrier sí forte
      gli s'offrisse compagno a l'alte imprese,
      proposto avendo già vietar l'acquisto
      di Palestina a i cavalier di Cristo.

6       Ma prima ch'egli apertamente loro
      la destinata guerra annunziasse,
      volle che Solimano, a cui molto oro
      diè per tal uso, gli Arabi assoldasse.
      Or mentre ei d'Asia e dal paese moro
      l'oste accogliea, Soliman venne e trasse
      agevolmente a sé gli Arabi avari,
      ladroni in ogni tempo o mercenari.

7       Cosí fatto lor duce, or d'ogni intorno
      la Giudea scorre, e fa prede e rapine
      sí che 'l venire è chiuso e 'l far ritorno
      da l'essercito franco a le marine;
      e rimembrando ognor l'antico scorno
      e de l'imperio suo l'alte ruine,
      cose maggior nel petto acceso volve,
      ma non ben s'assecura o si risolve.

8       A costui viene Aletto, e da lei tolto
      è 'l sembiante d'un uom d'antica etade:
      vòta di sangue, empie di crespe il volto,
      lascia barbuto il labro e 'l mento rade,
      dimostra il capo in lunghe tele avolto,
      la veste oltra 'l ginocchio al piè gli cade,
      la scimitarra al fianco, e 'l tergo carco
      de la faretra, e ne le mani ha l'arco.

9       "Noi" gli dice ella "or trascorriam le vòte
      piaggie e l'arene sterili e deserte,
      ove né far rapina omai si pote,
      né vittoria acquistar che loda merte.
      Goffredo intanto la città percote,
      e già le mura ha con le torri aperte;
      e già vedrem, s'ancor si tarda un poco,
      insin di qua le sue ruine e 'l foco.

10      Dunque accesi tuguri e greggie e buoi
      gli alti trofei di Soliman saranno?
      Cosí racquisti il regno? e cosí i tuoi
      oltraggi vendicar ti credi e 'l danno?
      Ardisci, ardisci; entro a i ripari suoi
      di notte opprimi il barbaro tiranno.
      Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio
      e nel regno provasti e ne l'essiglio.

11      Non ci aspetta egli e non ci teme, e sprezza
      gli Arabi ignudi in vero e timorosi,
      né creder mai potrà che gente avezza
      a le prede, a le fughe, or cotanto osi;
      ma feri li farà la tua fierezza
      contra un campo che giaccia inerme e posi."
      Cosí gli disse, e le sue furie ardenti
      spirogli al seno, e si mischiò tra' venti.

12      Grida il guerrier, levando al ciel la mano:
      "O tu, che furor tanto al cor m'irriti
      (ned uom sei già, se ben sembiante umano
      mostrasti), ecco io ti seguo ove m'inviti.
      Verrò, farò là monti ov'ora è piano,
      monti d'uomini estinti e di feriti,
      farò fiumi di sangue. Or tu sia meco,
      e tratta l'armi mie per l'aer cieco."

13      Tace, e senza indugiar le turbe accoglie
      e rincora parlando il vile e 'l lento,
      e ne l'ardor de le sue stesse voglie
      accende il campo a seguitarlo intento.
      Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie
      di sua man propria il gran vessillo al vento.
      Marcia il campo veloce, anzi sí corre
      che de la fama il volo anco precorre.

14      Va seco Aletto, e poscia il lascia e veste,
      d'uom che rechi novelle, abito e viso;
      e ne l'ora che par che il mondo reste 
      fra la notte e fra 'l dí dubbio e diviso,
      entra in Gierusalemme, e tra le meste
      turbe passando al re dà l'alto aviso
      del gran campo che giunge e del disegno,
      e del notturno assalto e l'ora e 'l segno.

15      Ma già distendon l'ombre orrido velo
      che di rossi vapor si sparge e tigne;
      la terra in vece del notturno gelo
      bagnan rugiade tepide e sanguigne;
      s'empie di mostri e di prodigi il cielo,
      s'odon fremendo errar larve maligne:
      votò Pluton gli abissi, e la sua notte
      tutta versò da le tartaree grotte.

16      Per sí profondo orror verso le tende
      de gli inimici il fer Soldan camina;
      ma quando a mezzo dal suo corso ascende
      la notte, onde poi rapida dechina,
      a men d'un miglio, ove riposo prende
      il securo Francese, ei s'avicina.
      Qui fe' cibar le genti, e poscia d'alto
      parlando confortolle al crudo assalto:

17      "Vedete là di mille furti pieno
      un campo piú famoso assai che forte,
      che quasi un mar nel suo vorace seno
      tutte de l'Asia ha le ricchezze absorte?
      Questo ora a voi (né già potria con meno
      vostro periglio) espon benigna sorte:
      l'arme e i destrier d'ostro guerniti e d'oro
      preda fian vostra, e non difesa loro.

18      Né questa è già quell'oste onde la persa
      gente e la gente di Nicea fu vinta,
      perché in guerra sí lunga e sí diversa
      rimasa n'è la maggior parte estinta;
      e s'anco integra fosse, or tutta immersa
      in profonda quiete e d'arme è scinta.
      Tosto s'opprime chi di sonno è carco,
      ché dal sonno a la morte è un picciol varco.

19      Su, su, venite: io primo aprir la strada
      vuo' su i corpi languenti entro a i ripari;
      ferir da questa mia ciascuna spada,
      e l'arti usar di crudeltate impari.
      Oggi fia che di Cristo il regno cada,
      oggi libera l'Asia, oggi voi chiari."
      Cosí gli infiamma a le vicine prove,
      indi tacitamente oltre lor move.

20      Ecco tra via le sentinelle ei vede
      per l'ombra mista d'una incerta luce,
      né ritrovar, come secura fede
      avea, pote improviso il saggio duce.
      Volgon quelle gridando indietro il piede,
      scorto che sí gran turba egli conduce,
      sí che la prima guardia è da lor desta,
      e com' può meglio a guerreggiar s'appresta.

21      Dan fiato allora a i barbari metalli
      gli Arabi, certi omai d'essere sentiti.
      Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli
      co 'l suon del calpestio misti i nitriti.
      Gli alti monti muggír, muggír le valli,
      e risposer gli abissi a i lor muggiti,
      e la face inalzò di Flegetonte
      Aletto, e 'l segno diede a quei del monte.

22      Corre inanzi il Soldano, e giunge a quella
      confusa ancora e inordinata guarda
      rapido sí che torbida procella
      da' cavernosi monti esce piú tarda.
      Fiume ch'arbori insieme e case svella,
      folgore che le torri abbatta ed arda,
      terremoto che 'l mondo empia d'orrore,
      son picciole sembianze al suo furore.

23      Non cala il ferro mai ch'a pien non colga,
      né coglie a pien che piaga anco non faccia,
      né piaga fa che l'alma altrui non tolga;
      e piú direi, ma il ver di falso ha faccia.
      E par ch'egli o s'infinga o non se 'n dolga
      o non senta il ferir de l'altrui braccia,
      se ben l'elmo percosso in suon di squilla
      rimbomba e orribilmente arde e sfavilla.

24      Or quando ei solo ha quasi in fuga vòlto
      quel primo stuol de le francesche genti,
      giungono in guisa d'un diluvio accolto
      di mille rivi gli Arabi correnti.
      Fuggono i Franchi allora a freno sciolto,
      e misto il vincitor va tra' fuggenti,
      e con lor entra ne' ripari, e 'l tutto
      di ruine e d'orror s'empie e di lutto.

25      Porta il Soldan su l'elmo orrido e grande
      serpe che si dilunga e il collo snoda,
      su le zampe s'inalza e l'ali spande
      e piega in arco la forcuta coda.
      Par che tre lingue vibri e che fuor mande
      livida spuma, e che 'l suo fischio s'oda.
      Ed or ch'arde la pugna, anch'ei s'infiamma
      nel moto, e fumo versa insieme e fiamma.

26      E si mostra in quel lume a i riguardanti
      formidabil cosí l'empio Soldano,
      come veggion ne l'ombra i naviganti
      fra mille lampi il torbido oceano.
      Altri danno a la fuga i piè tremanti,
      danno altri al ferro intrepida la mano;
      e la notte i tumulti ognor piú mesce,
      ed occultando i rischi, i rischi accresce.

27      Fra color che mostraro il cor piú franco,
      Latin, su 'l Tebro nato, allor si mosse,
      a cui né le fatiche il corpo stanco,
      né gli anni dome aveano ancor le posse.
      Cinque suoi figli quasi eguali al fianco
      gli erano sempre, ovunque in guerra ei fosse,
      d'arme gravando, anzi il tor tempo molto,
      le membra ancor crescenti e 'l molle volto.

28      Ed eccitati dal paterno essempio
      aguzzavano al sangue il ferro e l'ire.
      Dice egli loro: "Andianne ove quell'empio
      veggiam ne' fuggitivi insuperbire,
      né già ritardi il sanguinoso scempio,
      ch'ei fa de gli altri, in voi l'usato ardire,
      però che quello, o figli, è vile onore
      cui non adorni alcun passato orrore."

29      Cosí feroce leonessa i figli,
      cui dal collo la coma anco non pende
      né con gli anni lor sono i feri artigli
      cresciuti e l'arme de la bocca orrende,
      mena seco a la preda ed a i perigli,
      e con l'essempio a incrudelir gli accende
      nel cacciator che le natie lor selve
      turba e fuggir fa le men forti belve.

30      Segue il buon genitor l'incauto stuolo
      de' cinque, e Solimano assale e cinge;
      e in un sol punto un sol consiglio, e un solo
      spirito quasi, sei lunghe aste spinge.
      Ma troppo audace il suo maggior figliuolo
      l'asta abbandona e con quel fer si stringe,
      e tenta in van con la pungente spada
      che sotto il corridor morto gli cada.

31      Ma come a le procelle esposto monte,
      che percosso da i flutti al mar sovraste,
      sostien fermo in se stesso i tuoni e l'onte
      del ciel irato e i venti e l'onde vaste,
      cosí il fero Soldan l'audace fronte
      tien salda incontra a i ferri e incontra a l'aste,
      ed a colui che il suo destrier percote
      tra i cigli parte il capo e tra le gote.

32      Aramante al fratel che giú ruina
      porge pietoso il braccio, e lo sostiene.
      Vana e folle pietà! ch'a la ruina
      altrui la sua medesma a giunger viene,
      ché 'l pagan su quel braccio il ferro inchina
      ed atterra con lui chi lui s'attiene.
      Caggiono entrambi, e l'un su l'altro langue
      mescolando i sospiri ultimi e 'l sangue.

33      Quinci egli di Sabin l'asta recisa,
      onde il fanciullo di lontan l'infesta,
      gli urta il cavallo addosso e 'l coglie in guisa
      che giú tremante il batte, indi il calpesta.
      Dal giovenetto corpo uscí divisa
      con gran contrasto l'alma, e lasciò mesta
      l'aure soavi de la vita e i giorni
      de la tenera età lieti ed adorni.

34      Rimanean vivi ancor Pico e Laurente,
      onde arricchí un sol parto il genitore:
      similissima coppia e che sovente
      esser solea cagion di dolce errore.
      Ma se lei fe' natura indifferente,
      differente or la fa l'ostil furore:
      dura distinzion ch'a l'un divide
      dal busto il collo, a l'altro il petto incide.

35      Il padre, ah non piú padre! (ahi fera sorte,
      ch'orbo di tanti figli a un punto il face!),
      rimira in cinque morti or la sua morte
      e de la stirpe sua che tutta giace.
      Né so come vecchiezza abbia sí forte
      ne l'atroci miserie e sí vivace
      che spiri e pugni ancor; ma gli atti e i visi
      non mirò forse de' figliuoli uccisi,

36      e di sí acerbo lutto a gli occhi sui
      parte l'amiche tenebre celaro.
      Con tutto ciò nulla sarebbe a lui,
      senza perder se stesso, il vincer caro.
      Prodigo del suo sangue, e de l'altrui
      avidissimamente è fatto avaro;
      né si conosce ben qual suo desire
      paia maggior, l'uccidere o 'l morire.

37      Ma grida al suo nemico: "È dunque frale
      sí questa mano, e in guisa ella si sprezza,
      che con ogni suo sforzo ancor non vale
      a provocar in me la tua fierezza?"
      Tace, e percossa tira aspra e mortale
      che le piastre e le maglie insieme spezza,
      e su 'l fianco gli cala e vi fa grande
      piaga onde il sangue tepido si spande.

38      A quel grido, a quel colpo, in lui converse
      il barbaro crudel la spada e l'ira.
      Gli aprí l'usbergo, e pria lo scudo aperse
      cui sette volte un duro cuoio aggira,
      e 'l ferro ne le viscere gli immerse.
      Il misero Latin singhiozza e spira,
      e con vomito alterno or gli trabocca
      il sangue per la piaga, or per la bocca.

39      Come ne l'Appennin robusta pianta
      che sprezzò d'Euro e d'Aquilon la guerra,
      se turbo inusitato al fin la schianta,
      gli alberi intorno ruinando atterra,
      cosí cade egli, e la sua furia è tanta
      che piú d'un seco tragge a cui s'afferra;
      e ben d'uom sí feroce è degno fine
      che faccia ancor morendo alte ruine.

40      Mentre il Soldan sfogando l'odio interno
      pasce un lungo digiun ne' corpi umani,
      gli Arabi inanimiti aspro governo
      anch'essi fanno de' guerrier cristiani:
      l'inglese Enrico e 'l bavaro Oliferno
      moiono, o fer Dragutte, a le tue mani;
      a Gilberto, a Filippo, Ariadeno
      toglie la vita, i quai nacquer su 'l Reno;

41      Albazàr con la mazza abbatte Ernesto,
      cade sotto Algazelle Otton di spada.
      Ma chi narrar potria quel modo o questo
      di morte, e quanta plebe ignobil cada?
      Sin da quei primi gridi erasi desto
      Goffredo, e non istava intanto a bada;
      già tutto è armato, e già raccolto un grosso
      drapello ha seco, e già con lor s'è mosso.

42      Egli, che dopo il grido udí il tumulto
      che par che sempre piú terribil suoni,
      avisò ben che repentino insulto
      esser dovea de gli Arabi ladroni;
      ché già non era al capitano occulto
      ch'essi intorno scorrean le regioni,
      benché non istimò che sí fugace
      vulgo mai fosse d'assalirlo audace.

43      Or mentre egli ne viene, ode repente
      "Arme! arme!" replicar da l'altro lato,
      ed in un tempo il cielo orribilmente
      intonar di barbarico ululato.
      Questa è Clorinda che del re la gente
      guida l'assalto, ed have Argante a lato.
      Al nobil Guelfo, che sostien sua vice,
      allor si volge il capitano e dice:

44      "Odi qual novo strepito di Marte
      di verso il colle e la città ne viene;
      d'uopo là fia che 'l tuo valore e l'arte
      i primi assalti de' nemici affrene.
      Vanne tu dunque e là provedi, e parte
      vuo' che di questi miei teco ne mene;
      con gli altri io me n'andrò da l'altro canto
      a sostener l'impeto ostile intanto."

45      Cosí fra lor concluso, ambo gli move
      per diverso sentiero egual fortuna.
      Al colle Guelfo, e 'l capitan va dove
      gli Arabi omai non han contesa alcuna.
      Ma questi andando acquista forza, e nove
      genti di passo in passo ognor raguna,
      tal che già fatto poderoso e grande
      giunge ove il fero turco il sangue spande.

46      Cosí scendendo dal natio suo monte
      non empie umile il Po l'angusta sponda,
      ma sempre piú, quanto è piú lunge al fonte,
      di nove forze insuperbito abonda;
      sovra i rotti confini alza la fronte
      di tauro, e vincitor d'intorno inonda,
      e con piú corna Adria respinge e pare
      che guerra porti e non tributo al mare.

47      Goffredo, ove fuggir l'impaurite
      sue genti vede, accorre e le minaccia:
      "Qual timor" grida "è questo? ove fuggite?
      Guardate almen chi sia quel che vi caccia.
      Vi caccia un vile stuol, che le ferite
      né ricever né dar sa ne la faccia;
      e se 'l vedranno incontra sé rivolto,
      temeran l'arme lor del vostro volto."

48      Punge il destrier, ciò detto, e là si volve
      ove di Soliman gli incendi ha scorti.
      Va per mezzo del sangue e de la polve
      e de' ferri e de' rischi e de le morti;
      con la spada e con gli urti apre e dissolve
      le vie piú chiuse e gli ordini piú forti,
      e sossopra cader fa d'ambo i lati
      cavalieri e cavalli, arme ed armati.

49      Sovra i confusi monti a salto a salto
      de la profonda strage oltre camina.
      L'intrepido Soldan che 'l fero assalto
      sente venir, no 'l fugge e no 'l declina;
      ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto
      levando per ferir gli s'avicina.
      Oh quai duo cavalier or la fortuna
      da gli estremi del mondo in prova aduna!

50      Furor contra virtute or qui combatte
      d'Asia in un picciol cerchio il grande impero.
      Chi può dir come gravi e come ratte
      le spade son? quanto il duello è fero?
      Passo qui cose orribili che fatte
      furon, ma le coprí quell'aer nero,
      d'un chiarissimo sol degne e che tutti
      siano i mortali a riguardar ridutti.

51      Il popol di Giesú, dietro a tal guida
      audace or divenuto, oltre si spinge,
      e de' suoi meglio armati a l'omicida
      Soldano intorno un denso stuol si stringe.
      Né la gente fedel piú che l'infida,
      né piú questa che quella il campo tinge,
      ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti,
      egualmente dan morte e sono estinti.

52      Come pari d'ardir, con forza pare
      quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone,
      non ei fra lor, non cede il cielo o 'l mare,
      ma nube a nube e flutto a flutto oppone;
      cosí né ceder qua, né là piegare
      si vede l'ostinata aspra tenzone:
      s'affronta insieme orribilmente urtando
      scudo a scudo, elmo a elmo e brando a brando.

53      Non meno intanto son feri i litigi
      da l'altra parte, e i guerrier folti e densi.
      Mille nuvole e piú d'angeli stigi
      tutti han pieni de l'aria i campi immensi,
      e dan forza a i pagani, onde i vestigi
      non è chi indietro di rivolger pensi;
      e la face d'inferno Argante infiamma,
      acceso ancor de la sua propria fiamma.

54      Egli ancor dal suo lato in fuga mosse
      le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto;
      di lacerate membra empié le fosse,
      appianò il calle, agevolò l'assalto,
      sí che gli altri il seguiro e fèr poi rosse
      le prime tende di sanguigno smalto.
      E seco a par Clorinda o dietro poco
      se 'n gio, sdegnosa del secondo loco.

55      E già fuggiano i Franchi allor che quivi
      giunse Guelfo opportuno e 'l suo drapello,
      e volger fe' la fronte a i fuggitivi
      e sostenne il furor del popol fello.
      Cosí si combatteva, e 'l sangue in rivi
      correa egualmente in questo lato e in quello.
      Gli occhi fra tanto a la battaglia rea
      dal suo gran seggio il Re del Ciel volgea.

56      Sedea colà dond'Egli e buono e giusto
      dà legge al tutto e 'l tutto orna e produce
      sovra i bassi confin del mondo angusto,
      ove senso o ragion non si conduce;
      e de l'Eternità nel trono augusto
      risplendea con tre lumi in una luce.
      Ha sotto i piedi il Fato e la Natura,
      ministri umili, e 'l Moto e Chi 'l misura,

57      e 'l Loco e Quella che, qual fumo o polve,
      la gloria di qua giuso e l'oro e i regni,
      come piace là su, disperde e volve,
      né, diva, cura i nostri umani sdegni.
      Quivi ei cosí nel suo splendor s'involve,
      che v'abbaglian la vista anco i piú degni:
      d'intorno ha innumerabili immortali,
      disegualmente in lor letizia eguali.

58      Al gran concento de' beati carmi
      lieta risuona la celeste reggia.
      Chiama Egli a sé Michele, il qual ne l'armi
      di lucido adamante arde e lampeggia,
      e dice lui: "Non vedi or come s'armi
      contra la mia fedel diletta greggia
      l'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo
      de le sue morti a turbar sorga il mondo?

59      Va', dille tu che lasci omai le cure
      de la guerra a i guerrier, cui ciò conviene,
      né il regno de' viventi, né le pure
      piaggie del ciel conturbi ed avenene.
      Torni a le notti d'Acheronte oscure,
      suo degno albergo, a le sue giuste pene;
      quivi se stessa e l'anime d'abisso
      crucii. Cosí commando e cosí ho fisso."

60      Qui tacque, e 'l duce de' guerrieri alati
      s'inchinò riverente al divin piede;
      indi spiega al gran volo i vanni aurati,
      rapido sí ch'anco il pensiero eccede.
      Passa il foco e la luce, ove i beati
      hanno lor gloriosa immobil sede,
      poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira
      che di stelle gemmato incontra gira;

61      quinci, d'opre diversi e di sembianti,
      da sinistra rotar Saturno e Giove
      e gli altri, i quali esser non ponno erranti
      s'angelica virtú gli informa e move;
      vien poi da' campi lieti e fiammeggianti
      d'eterno dí là donde tuona e piove,
      ove se stesso il mondo strugge e pasce,
      e ne le guerre sue more e rinasce.

62      Venia scotendo con l'eterne piume
      la caligine densa e i cupi orrori;
      s'indorava la notte al divin lume
      che spargea scintillando il volto fuori.
      Tale il sol ne le nubi ha per costume
      spiegar dopo la pioggia i bei colori;
      tal suol, fendendo il liquido sereno,
      stella cader de la gran madre in seno.

63      Ma giunto ove la schiera empia infernale
      il furor de' pagani accende e sprona,
      si ferma in aria in su 'l vigor de l'ale,
      e vibra l'asta, e lor cosí ragiona:
      "Pur voi dovreste omai saper con quale
      folgore orrendo il Re del mondo tuona,
      o nel disprezzo e ne' tormenti acerbi
      de l'estrema miseria anco superbi.

64      Fisso è nel Ciel ch'al venerabil segno
      chini le mura, apra Sion le porte.
      A che pugnar co 'l fato? a che lo sdegno
      dunque irritar de la celeste corte?
      Itene, maledetti, al vostro regno,
      regno di pene e di perpetua morte;
      e siano in quegli a voi dovuti chiostri
      le vostre guerre ed i trionfi vostri.

65      Là incrudelite, là sovra i nocenti
      tutte adoprate pur le vostre posse
      fra i gridi eterni e lo stridor de' denti,
      e 'l suon del ferro e le catene scosse."
      Disse, e quei ch'egli vide al partir lenti
      con la lancia fatal pinse e percosse;
      essi gemendo abbandonàr le belle
      region de la luce e l'auree stelle,

66      e dispiegàr verso gli abissi il volo
      ad inasprir ne' rei l'usate doglie.
      Non passa il mar d'augei sí grande stuolo
      quando a i soli piú tepidi s'accoglie,
      né tante vede mai l'autunno al suolo
      cader co' primi freddi aride foglie.
      Liberato da lor, quella sí negra
      faccia depone il mondo e si rallegra.

67      Ma non perciò nel disdegnoso petto
      d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco,
      benché suo foco in lui non spiri Aletto,
      né flagello infernal gli sferzi il fianco.
      Rota il ferro crudel ove è piú stretto
      e piú calcato insieme il popol franco;
      miete i vili e i potenti, e i piú sublimi
      e piú superbi capi adegua a gli imi.

68      Non lontana è Clorinda, e già non meno
      par che di tronche membra il campo asperga.
      Caccia la spada a Berlinghier nel seno
      per mezzo il cor, dove la vita alberga,
      e quel colpo a trovarlo andò sí pieno
      che sanguinosa uscí fuor de le terga;
      poi fère Albin là 've primier s'apprende
      nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende.

69      La destra di Gerniero, onde ferita
      ella fu già, manda recisa al piano:
      tratta anco il ferro, e con tremanti dita
      semiviva nel suol guizza la mano.
      Coda di serpe è tal, ch'indi partita
      cerca d'unirsi al suo principio invano.
      Cosí mal concio la guerriera il lassa,
      poi si volge ad Achille e 'l ferro abbassa,

70      e tra 'l collo e la nuca il colpo assesta;
      e tronchi i nervi e 'l gorgozzuol reciso,
      gío rotando a cader prima la testa,
      prima bruttò di polve immonda il viso,
      che giú cadesse il tronco; il tronco resta
      (miserabile mostro) in sella assiso,
      ma libero del fren con mille rote
      calcitrando il destrier da sé lo scote.

71      Mentre cosí l'indomita guerriera
      le squadre d'Occidente apre e flagella,
      non fa d'incontra a lei Gildippe altera
      de' saracini suoi strage men fella.
      Era il sesso il medesmo, e simil era
      l'ardimento e 'l valore in questa e in quella.
      Ma far prova di lor non è lor dato,
      ch'a nemico maggior le serba il fato.

72      Quinci una e quindi l'altra urta e sospinge,
      né può la turba aprir calcata e spessa;
      ma 'l generoso Guelfo allora stringe
      contra Clorinda il ferro e le s'appressa,
      e calando un fendente alquanto tinge
      la fera spada nel bel fianco, ed essa
      fa d'una punta a lui cruda risposta
      ch'a ferirlo ne va tra costa e costa.

73      Doppia allor Guelfo il colpo e lei non coglie,
      ch'a caso passa il palestino Osmida
      e la piaga non sua sopra sé toglie,
      la qual vien che la fronte a lui recida.
      Ma intorno a Guelfo omai molta s'accoglie
      di quella gente ch'ei conduce e guida;
      e d'altra parte ancor la turba cresce,
      sí che la pugna si confonde e mesce.

74      L'aurora intanto il bel purpureo volto
      già dimostrava dal sovran balcone,
      e in quei tumulti già s'era disciolto
      il feroce Argillan di sua prigione;
      e d'arme incerte il frettoloso avolto,
      quali il caso gli offerse o triste o buone,
      già se 'n venia per emendar gli errori
      novi con novi merti e novi onori.

75      Come destrier che da le regie stalle,
      ove a l'uso de l'arme si riserba,
      fugge, e libero al fin per largo calle
      va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba:
      scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle
      si scote la cervice alta e superba,
      suonano i pié nel corso e par ch'avampi,
      di sonori nitriti empiendo i campi;

76      tal ne viene Argillano: arde il feroce
      sguardo, ha la fronte intrepida e sublime;
      leve è ne' salti e sovra i pié veloce,
      sí che d'orme la polve a pena imprime,
      e giunto fra nemici alza la voce
      pur com'uom che tutto osi e nulla stime:
      "O vil feccia del mondo, Arabi inetti,
      ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti?

77      Non regger voi de gli elmi e de gli scudi
      sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso,
      ma commettete paventosi e nudi
      i colpi al vento e la salute al corso.
      L'opere vostre e i vostri egregi studi
      notturni son; dà l'ombra a voi soccorso.
      Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo?
      D'arme è ben d'uopo e di valor piú fermo."

78      Cosí parlando ancor diè per la gola
      ad Algazèl di sí crudel percossa
      che gli secò le fauci, e la parola
      troncò ch'a la risposta era già mossa.
      A quel meschin súbito orror invola
      il lume, e scorre un duro gel per l'ossa:
      cade, e co' denti l'odiosa terra
      pieno di rabbia in su 'l morire afferra.

79      Quinci per vari casi e Saladino
      ed Agricalte e Muleasse uccide,
      e da l'un fianco a l'altro a lor vicino
      con esso un colpo Aldiazíl divide;
      trafitto a sommo il petto Ariadino
      atterra, e con parole aspre il deride.
      Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose
      parole, in su 'l morir cosí rispose:

80      "Non tu, chiunque sia, di questa morte
      vincitor lieto avrai gran tempo il vanto;
      pari destin t'aspetta, e da piú forte
      destra a giacer mi sarai steso a canto."
      Rise egli amaramente e: "Di mia sorte
      curi il Ciel," disse "or tu qui mori intanto
      d'augei pasto e di cani"; indi lui preme
      co 'l piede, e ne trae l'alma e 'l ferro insieme.

81      Un paggio del Soldan misto era in quella
      turba di sagittari e lanciatori,
      a cui non anco la stagion novella
      il bel mento spargea de' primi fiori.
      Paion perle e rugiade in su la bella
      guancia irrigando i tepidi sudori,
      giunge grazia la polve al crine incolto
      e sdegnoso rigor dolce è in quel volto.

82      Sotto ha un destrier che di candore agguaglia
      pur or ne l'Apennin caduta neve;
      turbo o fiamma non è che roti o saglia
      rapido sí come è quel pronto e leve.
      Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia,
      la spada al fianco tien ritorta e breve,
      e con barbara pompa in un lavoro
      di porpora risplende intesta e d'oro.

83      Mentre il fanciullo, a cui novel piacere
      di gloria il petto giovenil lusinga,
      di qua turba e di là tutte le schiere,
      e lui non è chi tanto o quanto stringa,
      cauto osserva Argillan tra le leggiere
      sue rote il tempo in che l'asta sospinga;
      e, colto il punto, il suo destrier di furto
      gli uccide e sovra gli è, ch'a pena è surto,

84      ed al supplice volto, il qual in vano
      con l'arme di pietà fea sue difese,
      drizzò, crudel!, l'inessorabil mano,
      e di natura il piú bel pregio offese.
      Senso aver parve e fu de l'uom piú umano
      il ferro, che si volse e piatto scese.
      Ma che pro, se doppiando il colpo fero
      di punta colse ove egli errò primiero?

85      Soliman, che di là non molto lunge
      da Goffredo in battaglia è trattenuto,
      lascia la zuffa, e 'l destrier volve e punge
      tosto che 'l rischio ha del garzon veduto;
      e i chiusi passi apre co 'l ferro, e giunge
      a la vendetta sí, non a l'aiuto,
      perché vede, ahi dolor!, giacerne ucciso
      il suo Lesbin, quasi bel fior succiso.

86      E in atto sí gentil languir tremanti
      gli occhi e cader su 'l tergo il collo mira;
      cosí vago è il pallore, e da' sembianti
      di morte una pietà sí dolce spira,
      ch'ammollí il cor che fu dur marmo inanti,
      e il pianto scaturí di mezzo a l'ira.
      Tu piangi, Soliman? tu, che destrutto
      mirasti il regno tuo co 'l ciglio asciutto?

87      Ma come vede il ferro ostil che molle
      fuma del sangue ancor del giovenetto,
      la pietà cede, e l'ira avampa e bolle,
      e le lagrime sue stagna nel petto.
      Corre sovra Argillano e 'l ferro estolle,
      parte lo scudo opposto, indi l'elmetto,
      indi il capo e la gola; e de lo sdegno
      di Soliman ben quel gran colpo è degno.

88      Né di ciò ben contento, al corpo morto
      smontato del destriero anco fa guerra,
      quasi mastin che 'l sasso, ond'a lui porto
      fu duro colpo, infellonito afferra.
      Oh d'immenso dolor vano conforto
      incrudelir ne l'insensibil terra!
      Ma fra tanto de' Franchi il capitano
      non spendea l'ire e le percosse invano.

89      Mille Turchi avea qui che di loriche
      e d'elmetti e di scudi eran coperti,
      indomiti di corpo a le fatiche,
      di spirto audaci e in tutti i casi esperti;
      e furon già de le milizie antiche
      di Solimano, e seco ne' deserti
      seguír d'Arabia i suoi errori infelici,
      ne le fortune averse ancora amici.

90      Questi ristretti insieme in ordin folto
      poco cedeano o nulla al valor franco.
      In questi urtò Goffredo, e ferí il volto
      al fier Corcutte ed a Rosteno il fianco,
      a Selin da le spalle il capo ha sciolto,
      troncò a Rossano il destro braccio e 'l manco;
      né già soli costor, ma in altre guise
      molti piagò di loro e molti uccise.

91      Mentre ei cosí la gente saracina
      percote, e lor percosse anco sostiene,
      e in nulla parte al precipizio inchina
      la fortuna de' barbari e la spene,
      nova nube di polve ecco vicina
      che folgori di guerra in grembo tiene,
      ecco d'arme improvise uscirne un lampo
      che sbigottí de gli infedeli il campo.

92      Son cinquanta guerrier che 'n puro argento
      spiegan la trionfal purpurea Croce.
      Non io, se cento bocche e lingue cento
      avessi, e ferrea lena e ferrea voce,
      narrar potrei quel numero che spento
      ne' primi assalti ha quel drapel feroce.
      Cade l'Arabo imbelle, e 'l Turco invitto
      resistendo e pugnando anco è trafitto.

93      L'orror, la crudeltà, la tema, il lutto,
      van d'intorno scorrendo, e in varia imago
      vincitrice la Morte errar per tutto
      vedresti ed ondeggiar di sangue un lago.
      Già con parte de' suoi s'era condutto
      fuor d'una porta il re, quasi presago
      di fortunoso evento; e quindi d'alto
      mirava il pian soggetto e 'l dubbio assalto.

94      Ma come prima egli ha veduto in piega
      l'essercito maggior, suona a raccolta,
      e con messi iterati instando prega
      ed Argante e Clorinda a dar di volta.
      La fera coppia d'esseguir ciò nega,
      ebra di sangue e cieca d'ira e stolta;
      pur cede al fine, e unite almen raccòrre
      tenta le turbe e freno a i passi imporre.

95      Ma chi dà legge al vulgo ed ammaestra
      la viltade e 'l timor? La fuga è presa.
      Altri gitta lo scudo, altri la destra
      disarma; impaccio è il ferro, e non difesa.
      Valle è tra il piano e la città, ch'alpestra
      da l'occidente al mezzogiorno è stesa;
      qui fuggon essi, e si rivolge oscura
      caligine di polve invèr le mura.

96      Mentre ne van precipitosi al chino,
      strage d'essi i cristiani orribil fanno;
      ma poscia che salendo omai vicino
      l'aiuto avean del barbaro tiranno,
      non vuol Guelfo d'alpestro erto camino
      con tanto suo svantaggio esporsi al danno.
      Ferma le genti; e 'l re le sue riserra,
      non poco avanzo d'infelice guerra.

97      Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso
      fare a terrena forza, or piú non pote;
      tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso
      anelar gli ange il petto e i fianchi scote.
      Langue sotto lo scudo il braccio oppresso,
      gira la destra il ferro in pigre rote:
      spezza, e non taglia; e divenendo ottuso
      perduto il brando omai di brando ha l'uso.

98      Come sentissi tal, ristette in atto
      d'uom che fra due sia dubbio, e in sé discorre
      se morir debba, e di sí illustre fatto
      con le sue mani altrui la gloria tòrre,
      o pur, sopravanzando al suo disfatto
      campo, la vita in securezza porre.
      "Vinca" al fin disse "il fato, e questa mia
      fuga il trofeo di sua vittoria sia.

99      Veggia il nemico le mie spalle, e scherna
      di novo ancora il nostro essiglio indegno,
      pur che di novo armato indi mi scerna
      turbar sua pace e 'l non mai stabil regno.
      Non cedo io, no; fia con memoria eterna
      de le mie offese eterno anco il mio sdegno.
      Risorgerò nemico ognor piú crudo,
      cenere anco sepolto e spirto ignudo."