Gerusalemme liberata, canti 7-8-9
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
canto SETTIMO
1 Intanto Erminia infra l'ombrose piante d'antica selva dal cavallo è scòrta, né piú governa il fren la man tremante, e mezza quasi par tra viva e morta. Per tante strade si raggira e tante il corridor ch'in sua balia la porta, ch'al fin da gli occhi altrui pur si dilegua, ed è soverchio omai ch'altri la segua. 2 Qual dopo lunga e faticosa caccia tornansi mesti ed anelanti i cani che la fèra perduta abbian di traccia, nascosa in selva da gli aperti piani, tal pieni d'ira e di vergogna in faccia riedono stanchi i cavalier cristiani. Ella pur fugge, e timida e smarrita non si volge a mirar s'anco è seguita. 3 Fuggí tutta la notte, e tutto il giorno errò senza consiglio e senza guida, non udendo o vedendo altro d'intorno, che le lagrime sue, che le sue strida. Ma ne l'ora che 'l sol dal carro adorno scioglie i corsieri e in grembo al mar s'annida, giunse del bel Giordano a le chiare acque e scese in riva al fiume, e qui si giacque. 4 Cibo non prende già, ché de' suoi mali solo si pasce e sol di pianto ha sete; ma 'l sonno, che de' miseri mortali è co 'l suo dolce oblio posa e quiete, sopí co' sensi i suoi dolori, e l'ali dispiegò sovra lei placide e chete; né però cessa Amor con varie forme la sua pace turbar mentre ella dorme. 5 Non si destò fin che garrir gli augelli non sentí lieti e salutar gli albori, e mormorar il fiume e gli arboscelli, e con l'onda scherzar l'aura e co i fiori. Apre i languidi lumi e guarda quelli alberghi solitari de' pastori, e parle voce udir tra l'acqua e i rami ch'a i sospiri ed al pianto la richiami. 6 Ma son, mentr'ella piange, i suoi lamenti rotti da un chiaro suon ch'a lei ne viene, che sembra ed è di pastorali accenti misto e di boscareccie inculte avene. Risorge, e là s'indrizza a passi lenti, e vede un uom canuto a l'ombre amene tesser fiscelle a la sua greggia a canto ed ascoltar di tre fanciulli il canto. 7 Vedendo quivi comparir repente l'insolite arme, sbigottír costoro; ma li saluta Erminia e dolcemente gli affida, e gli occhi scopre e i bei crin d'oro: "Seguite," dice "aventurosa gente al Ciel diletta, il bel vostro lavoro, ché non portano già guerra quest'armi a l'opre vostre, a i vostri dolci carmi." 8 Soggiunse poscia: "O padre, or che d'intorno d'alto incendio di guerra arde il paese, come qui state in placido soggiorno senza temer le militari offese?" "Figlio," ei rispose "d'ogni oltraggio e scorno la mia famiglia e la mia greggia illese sempre qui fur, né strepito di Marte ancor turbò questa remota parte. 9 O sia grazia del Ciel che l'umiltade d'innocente pastor salvi e sublime, o che, sí come il folgore non cade in basso pian ma su l'eccelse cime, cosí il furor di peregrine spade sol de' gran re l'altere teste opprime, né gli avidi soldati a preda alletta la nostra povertà vile e negletta. 10 Altrui vile e negletta, a me sí cara che non bramo tesor né regal verga, né cura o voglia ambiziosa o avara mai nel tranquillo del mio petto alberga. Spengo la sete mia ne l'acqua chiara, che non tem'io che di venen s'asperga, e questa greggia e l'orticel dispensa cibi non compri a la mia parca mensa. 11 Ché poco è il desiderio, e poco è il nostro bisogno onde la vita si conservi. Son figli miei questi ch'addito e mostro, custodi de la mandra, e non ho servi. Cosí me 'n vivo in solitario chiostro, saltar veggendo i capri snelli e i cervi, ed i pesci guizzar di questo fiume e spiegar gli augelletti al ciel le piume. 12 Tempo già fu, quando piú l'uom vaneggia ne l'età prima, ch'ebbi altro desio e disdegnai di pasturar la greggia; e fuggii dal paese a me natio, e vissi in Menfi un tempo, e ne la reggia fra i ministri del re fui posto anch'io, e benché fossi guardian de gli orti vidi e conobbi pur l'inique corti. 13 Pur lusingato da speranza ardita soffrii lunga stagion ciò che piú spiace; ma poi ch'insieme con l'età fiorita mancò la speme e la baldanza audace, piansi i riposi di quest'umil vita e sospirai la mia perduta pace, e dissi; `O corte, a Dio.' Cosí, a gli amici boschi tornando, ho tratto i dí felici." 14 Mentre ei cosí ragiona, Erminia pende da la soave bocca intenta e cheta; e quel saggio parlar, ch'al cor le scende, de' sensi in parte le procelle acqueta. Dopo molto pensar, consiglio prende in quella solitudine secreta insino a tanto almen farne soggiorno ch'agevoli fortuna il suo ritorno. 15 Onde al buon vecchio dice: "O fortunato, ch'un tempo conoscesti il male a prova, se non t'invidii il Ciel sí dolce stato, de le miserie mie pietà ti mova; e me teco raccogli in cosí grato albergo ch'abitar teco mi giova. Forse fia che 'l mio core infra quest'ombre del suo peso mortal parte disgombre. 16 Ché se di gemme e d'or, che 'l vulgo adora sí come idoli suoi, tu fossi vago, potresti ben, tante n'ho meco ancora, renderne il tuo desio contento e pago." Quinci, versando da' begli occhi fora umor di doglia cristallino e vago, parte narrò di sue fortune, e intanto il pietoso pastor pianse al suo pianto. 17 Poi dolce la consola e sí l'accoglie come tutt'arda di paterno zelo, e la conduce ov'è l'antica moglie che di conforme cor gli ha data il Cielo. La fanciulla regal di rozze spoglie s'ammanta, e cinge al crin ruvido velo; ma nel moto de gli occhi e de le membra non già di boschi abitatrice sembra. 18 Non copre abito vil la nobil luce e quanto è in lei d'altero e di gentile, e fuor la maestà regia traluce per gli atti ancor de l'essercizio umile. Guida la greggia a i paschi e la riduce con la povera verga al chiuso ovile, e da l'irsute mamme il latte preme e 'n giro accolto poi lo strige insieme. 19 Sovente, allor che su gli estivi ardori giacean le pecorelle a l'ombra assise, ne la scorza de' faggi e de gli allori segnò l'amato nome in mille guise, e de' suoi strani ed infelici amori gli aspri successi in mille piante incise, e in rileggendo poi le proprie note rigò di belle lagrime le gote. 20 Indi dicea piangendo: "In voi serbate questa dolente istoria, amiche piante; perché se fia ch'a le vostr'ombre grate giamai soggiorni alcun fedele amante, senta svegliarsi al cor dolce pietate de le sventure mie sí varie e tante, e dica: `Ah troppo ingiusta empia mercede diè Fortuna ed Amore a sí gran fede!' 21 Forse averrà, se 'l Ciel benigno ascolta affettuoso alcun prego mortale, che venga in queste selve anco tal volta quegli a cui di me forse or nulla cale; e rivolgendo gli occhi ove sepolta giacerà questa spoglia inferma e frale, tardo premio conceda a i miei martíri di poche lagrimette e di sospiri; 22 onde se in vita il cor misero fue, sia lo spirito in morte almen felice, e 'l cener freddo de le fiamme sue goda quel ch'or godere a me non lice." Cosí ragiona a i sordi tronchi, e due fonti di pianto da' begli occhi elice. Tancredi intanto, ove fortuna il tira lunge da lei, per lei seguir, s'aggira. 23 Egli, seguendo le vestigia impresse rivolse il corso a la selva vicina; ma quivi da le piante orride e spesse nera e folta cosí l'ombra dechina che piú non può raffigurar tra esse l'orme novelle, e 'n dubbio oltre camina, porgendo intorno pur l'orecchie intente se calpestio, se romor d'armi sente. 24 E se pur la notturna aura percote tenera fronde mai d'olmo o di faggio, o se fèra od augello un ramo scote, tosto a quel picciol suon drizza il viaggio. Esce al fin de la selva, e per ignote strade il conduce de la luna il raggio verso un romor che di lontano udiva, insin che giunse al loco ond'egli usciva. 25 Giunse dove sorgean da vivo sasso in molta copia chiare e lucide onde, e fattosene un rio volgeva a basso lo strepitoso piè tra verdi sponde. Quivi egli ferma addolorato il passo e chiama, e sola a i gridi Ecco risponde; e vede intanto con serene ciglia sorger l'aurora candida e vermiglia. 26 Geme cruccioso, e 'ncontra il Ciel si sdegna che sperata gli neghi alta ventura; ma de la donna sua, quand'ella vegna offesa pur, far la vendetta giura. Di rivolgersi al campo al fin disegna, benché la via trovar non s'assecura, ché gli sovien che presso è il dí prescritto che pugnar dée co 'l cavalier d'Egitto. 27 Partesi, e mentre va per dubbio calle ode un corso appressar ch'ognor s'avanza, ed al fine spuntar d'angusta valle vede uom che di corriero avea sembianza. Scotea mobile sferza, e da le spalle pendea il corno su 'l fianco a nostra usanza. Chiede Tancredi a lui per quale strada al campo de' cristiani indi si vada. 28 Quegli italico parla: "Or là m'invio dove m'ha Boemondo in fretta spinto." Segue Tancredi lui che del gran zio messaggio stima, e crede al parlar finto. Giungono al fin là dove un sozzo e rio lago impaluda, ed un castel n'è cinto, ne la stagion che 'l sol par che s'immerga ne l'ampio nido ove la notte alberga. 29 Suona il corriero in arrivando il corno, e tosto giú calar si vede un ponte: "Quando latin sia tu, qui far soggiorno potrai" gli dice "in fin che 'l sol rimonte, ché questo loco, e non è il terzo giorno, tolse a i pagani di Cosenza il conte." Mira il loco il guerrier, che d'ogni parte inespugnabil fanno il sito e l'arte. 30 Dubita alquanto poi ch'entro sí forte magione alcuno inganno occulto giaccia; ma come avezzo a i rischi de la morte, motto non fanne, e no 'l dimostra in faccia, ch'ovunque il guidi elezione o sorte, vuol che securo la sua destra il faccia. Pur l'obligo ch'egli ha d'altra battaglia fa che di nova impresa or non gli caglia; 31 sí ch'incontra al castello, ove in un prato il curvo ponte si distende e posa, ritiene alquanto il passo, ed invitato non segue la sua scorta insidiosa. Su 'l ponte intanto un cavaliero armato con sembianza apparia fera e sdegnosa, ch'avendo ne la destra il ferro ignudo in suon parlava minaccioso e crudo: 32 "O tu, che (siasi tua fortuna o voglia) al paese fatal d'Armida arrive, pensi indarno al fuggir; or l'arme spoglia, e porgi a i lacci suoi le man cattive, ed entra pur ne la guardata soglia con queste leggi ch'ella altrui prescrive, né piú sperar di riveder il cielo per volger d'anni o per cangiar di pelo, 33 se non giuri d'andar con gli altri sui contra ciascun che da Giesú s'appella." S'affisa a quel parlar Tancredi in lui e riconosce l'arme e la favella. Rambaldo di Guascogna era costui che partí con Armida, e sol per ella pagan si fece e difensor divenne di quell'usanza rea ch'ivi si tenne. 34 Di santo sdegno il pio guerrier si tinse nel volto, e gli rispose: "Empio fellone, quel Tancredi son io che 'l ferro cinse per Cristo sempre, e fui di lui campione; e in sua virtute i suoi rubelli vinse, come vuo' che tu vegga al paragone, ché da l'ira del Ciel ministra eletta è questa destra a far in te vendetta." 35 Turbossi udendo il glorioso nome l'empio guerriero, e scolorissi in viso. Pur celando il timor, gli disse: "Or come, misero, vieni ove rimanga ucciso? Qui saran le tue forze oppresse e dome, e questo altero tuo capo reciso; e manderollo a i duci franchi in dono, s'altro da quel che soglio oggi non sono." 36 Cosí dicea il pagano; e perché il giorno spento era omai sí che vedeasi a pena, apparír tante lampade d'intorno che ne fu l'aria lucida e serena. Splende il castel come in teatro adorno suol fra notturne pompe altera scena, ed in eccelsa parte Armida siede, onde senz'esser vista e ode e vede. 37 Il magnanimo eroe fra tanto appresta a la fera tenzon l'arme e l'ardire, né su 'l debil cavallo assiso resta già veggendo il nemico a pié venire. Vien chiuso ne lo scudo e l'elmo ha in testa, la spada nuda, e in atto è di ferire. Gli move incontra il principe feroce con occhi torvi e con terribil voce. 38 Quegli con larghe rote aggira i passi stretto ne l'arme, e colpi accenna e finge; questi, se ben ha i membri infermi e lassi, va risoluto e gli s'appressa e stringe, e là donde Rambaldo a dietro fassi velocissimamente egli si spinge, e s'avanza e l'incalza, e fulminando spesso a la vista gli dirizza il brando. 39 E piú ch'altrove impetuoso fère ove piú di vital formò natura, a le percosse le minaccie altere accompagnando, e 'l danno a la paura. Di qua di là si volge, e sue leggiere membra il presto guascone a i colpi fura, e cerca or con lo scudo or con la spada che 'l nemico furore indarno cada; 40 ma veloce a lo schermo ei non è tanto che piú l'altro non sia pronto a l'offese. Già spezzato lo scudo e l'elmo infranto e forato e sanguigno avea l'arnese, e colpo alcun de' suoi che tanto o quanto impiagasse il nemico anco non scese; e teme, e gli rimorde insieme il core sdegno, vergogna, conscienza, amore. 41 Disponsi al fin con disperata guerra far prova omai de l'ultima fortuna. Gitta lo scudo, e a due mani afferra la spada ch'è di sangue ancor digiuna; e co 'l nemico suo si stringe e serra e cala un colpo, e non v'è piastra alcuna che gli resista sí che grave angoscia non dia piagando a la sinistra coscia. 42 E poi su l'ampia fronte il ripercote sí ch'il picchio rimbomba in suon di squilla; l'elmo non fende già, ma lui ben scote, tal ch'egli si rannicchia e ne vacilla. Infiamma d'ira il principe le gote, e ne gli occhi di foco arde e sfavilla; e fuor de la visiera escono ardenti gli sguardi, e insieme lo stridor de' denti. 43 Il perfido pagan già non sostiene la vista pur di sí feroce aspetto. Sente fischiare il ferro, e tra le vene già gli sembra d'averlo e in mezzo al petto. Fugge dal colpo, e 'l colpo a cader viene dove un pilastro è contra il ponte eretto; ne van le scheggie e le scintille al cielo, e passa al cor del traditor un gelo, 44 onde al ponte rifugge, e sol nel corso de la salute sua pone ogni speme. Ma 'l seguita Tancredi, e già su 'l dorso la man gli stende e 'l piè co 'l piè gli preme, quando ecco (al fuggitivo alto soccorso) sparir le faci ed ogni stella insieme, né rimaner a l'orba notte alcuna, sotto povero ciel, luce di luna. 45 Fra l'ombre de la notte e de gli incanti il vincitor no 'l segue piú né 'l vede, né può cosa vedersi a lato o inanti, e muove dubbio e mal securo il piede. Su l'entrare d'un uscio i passi erranti a caso mette, né d'entrar s'avede, ma sente poi che suona a lui di dietro la porta, e 'n loco il serra oscuro e tetro. 46 Come il pesce colà dove impaluda ne i seni di Comacchio il nostro mare, fugge da l'onda impetuosa e cruda cercando in placide acque ove ripare, e vien che da se stesso ei si rinchiuda in palustre prigion né può tornare, ché quel serraglio è con mirabil uso sempre a l'entrare aperto, a l'uscir chiuso; 47 cosí Tancredi allor, qual che si fosse de l'estrania prigion l'ordigno e l'arte, entrò per se medesmo, e ritrovosse poi là rinchiuso ov'uom per sé non parte. Ben con robusta man la porta scosse, ma fur le sue fatiche indarno sparte, e voce intanto udí che: "Indarno" grida "uscir procuri, o prigionier d'Armida. 48 Qui menerai (non temer già di morte) nel sepolcro de' vivi i giorni e gli anni." Non risponde, ma preme il guerrier forte nel cor profondo i gemiti e gli affanni, e fra se stesso accusa Amor, la sorte, la sua schiocchezza e gli altrui feri inganni; e talor dice in tacite parole: "Leve perdita fia perdere il sole, 49 ma di piú vago sol piú dolce vista, misero! i' perdo, e non so già se mai in loco tornerò che l'alma trista si rassereni a gli amorosi rai." Poi gli sovien d'Argante, e piú s'attrista e: "Troppo" dice "al mio dover mancai; ed è ragion ch'ei mi disprezzi e scherna! O mia gran colpa! o mia vergogna eterna!" 50 Cosí d'amor, d'onor cura mordace quinci e quindi al guerrier l'animo rode. Or mentre egli s'affligge, Argante audace le molli piume di calcar non gode; tanto è nel crudo petto odio di pace, cupidigia di sangue, amor di lode, che, de le piaghe sue non sano ancora, brama che 'l sesto dí porti l'aurora. 51 La notte che precede, il pagan fero a pena inchina, per dormir la fronte; e sorge poi che 'l cielo anco è sí nero che non dà luce in su la cima al monte. "Recami" grida "l'arme" al suo scudiero, ed esso aveale apparecchiate e pronte: non le solite sue, ma dal re sono dategli queste, e prezioso è il dono. 52 Senza molto mirarle egli le prende né dal gran peso è la persona onusta, e la solita spada al fianco appende, ch'è di tempra finissima e vetusta. Qual con le chiome sanguinose orrende splender cometa suol per l'aria adusta, che i regni muta e i feri morbi adduce, a i purpurei tiranni infausta luce; 53 tal ne l'arme ei fiammeggia, e bieche e torte volge le luci ebre di sangue e d'ira. Spirano gli atti feri orror di morte, e minaccie di morte il volto spira. Alma non è cosí secura e forte che non paventi, ove un sol guardo gira. Nuda ha la spada e la solleva e scote gridando, e l'aria e l'ombre in van percote. 54 "Ben tosto" dice "il predator cristiano, ch'audace è sí ch'a me vuole agguagliarsi, caderà vinto e sanguinoso al piano, bruttando ne la polve i crini sparsi; e vedrà vivo ancor da questa mano ad onta del suo Dio l'arme spogliarsi, né morendo impetrar potrà co' preghi ch'in pasto a' cani le sue membra i' neghi." 55 Non altramente il tauro, ove l'irriti geloso amor co' stimuli pungenti, orribilmente mugge, e co' muggiti gli spirti in sé risveglia e l'ire ardenti, e 'l corno aguzza a i tronchi, e par ch'inviti con vani colpi a la battaglia i venti: sparge co 'l piè l'arena, e 'l suo rivale da lunge sfida a guerra aspra e mortale. 56 Da sí fatto furor commosso, appella l'araldo; e con parlar tronco gli impone: "Vattene al campo, e la battaglia fella nunzia a colui ch'è di Giesú campione." Quinci alcun non aspetta e monta in sella, e fa condursi inanzi il suo prigione; esce fuor de la terra, e per lo colle in corso vien precipitoso e folle. 57 Dà fiato intanto al corno, e n'esce un suono che d'ogn'intorno orribile s'intende e 'n guisa pur di strepitoso tuono gli orecchi e 'l cor de gli ascoltanti offende. Già i principi cristiani accolti sono ne la tenda maggior de l'altre tende: qui fe' l'araldo sue disfide e incluse Tancredi pria, né però gli altri escluse. 58 Goffredo intorno gli occhi gravi e tardi volge con mente allor dubbia e sospesa, né, perché molto pensi e molto guardi, atto gli s'offre alcuno a tanta impresa. Vi manca il fior de' suoi guerrier gagliardi: di Tancredi non s'è novella intesa, e lunge è Boemondo, ed ito è in bando l'invitto eroe ch'uccise il fier Gernando. 59 Ed oltre i diece che fur tratti a sorte, i migliori del campo e i piú famosi seguír d'Armida le fallaci scorte, sotto il silenzio de la notte ascosi. Gli altri di mano e d'animo men forte taciti se ne stanno e vergognosi, né vi è chi cerchi in sí gran rischio onore, ché vinta la vergogna è dal timore. 60 Al silenzio, a l'aspetto, ad ogni segno, di lor temenza il capitan s'accorse, e tutto pien di generoso sdegno dal loco ove sedea repente sorse, e disse: "Ah! ben sarei di vita indegno se la vita negassi or porre in forse, lasciando ch'un pagan cosí vilmente calpestasse l'onor di nostra gente! 61 Sieda in pace il mio campo, e da secura parte miri ozioso il mio periglio. Su su, datemi l'arme"; e l'armatura gli fu recata in un girar di ciglio. Ma il buon Raimondo, che in età matura parimente maturo avea il consiglio, e verdi ancor le forze a par di quanti erano quivi, allor si trasse avanti, 62 e disse a lui rivolto: "Ah non sia vero ch'in un capo s'arrischi il campo tutto! Duce sei tu, non semplice guerriero: publico fòra e non privato il lutto. In te la fé s'appoggia e 'l santo impero, per te fia il regno di Babèl distrutto. Tu il senno sol, lo scettro solo adopra; ponga altri poi l'ardire e 'l ferro in opra. 63 Ed io, bench'a gir curvo mi condanni la grave età, non fia che ciò ricusi. Schivino gli altri i marziali affanni, me non vuo' già che la vecchiezza scusi. Oh! foss'io pur su 'l mio vigor de gli anni qual sète or voi, che qui temendo chiusi vi state e non vi move ira o vergogna contra lui che vi sgrida e vi rampogna, 64 e quale allora fui, quando al cospetto di tutta la Germania, a la gran corte del secondo Corrado, apersi il petto al feroce Leopoldo e 'l posi a morte! E fu d'alto valor piú chiaro effetto le spoglie riportar d'uom cosí forte, che s'alcun or fugasse inerme e solo di questa ignobil turba un grande stuolo. 65 Se fosse in me quella virtú, quel sangue, di questo alter l'orgoglio avrei già spento. Ma qualunque io mi sia, non però langue il core in me, né vecchio anco pavento, E s'io pur rimarrò nel campo essangue, né il pagan di vittoria andrà contento. Armarmi i' vuo': sia questo il dí ch'illustri con novo onor tutti i miei scorsi lustri." 66 Cosí parla il gran vecchio, e sproni acuti son le parole, onde virtú si desta. Quei che fur prima timorosi e muti hanno la lingua or baldanzosa e presta. Né sol non v'è che la tenzon rifiuti, ma ella omai da molti a prova è chiesta: Baldovin la domanda, e con Ruggiero Guelfo, i due Guidi, e Stefano e Gerniero, 67 e Pirro, quel che fe' il lodato inganno dando Antiochia presa a Boemondo; ed a prova richiesta anco ne fanno Eberardo, Ridolfo e 'l pro' Rosmondo, un di Scozia, un d'Irlanda, ed un britanno, terre che parte il mar dal nostro mondo; e ne son parimente anco bramosi Gildippe ed Odoardo, amanti e sposi. 68 Ma sovra tutti gli altri il fero vecchio se ne dimostra cupido ed ardente. Armato è già; sol manca a l'apparecchio de gli altri arnesi il fino elmo lucente. A cui dice Goffredo: "O vivo specchio del valor prisco, in te la nostra gente miri e virtú n'apprenda: in te di Marte splende l'onor, la disciplina e l'arte. 69 Oh! pur avessi fra l'etade acerba diece altri di valor al tuo simíle, come ardirei vincer Babèl superba e la Croce spiegar da Battro a Tile. Ma cedi or, prego, e te medesmo serba a maggior opre e di virtú senile. Pongansi poi tutti i nomi in un vaso come è l'usanza, e sia giudice il caso; 70 anzi giudice Dio, de le cui voglie ministra e serva è la fortuna e 'l fato." Ma non però dal suo pensier si toglie Raimondo, e vuol anch'egli esser notato. Ne l'elmo suo Goffredo i brevi accoglie; e poi che l'ebbe scosso ed agitato, nel primo breve che di là traesse, del conte di tolosa il nome lesse. 71 Fu il nome suo con lieto grido accolto, né di biasmar la sorte alcun ardisce. Ei di fresco vigor la fronte e 'l volto riempie; e cosí allor ringiovenisce qual serpe fier che in nove spoglie avolto d'oro fiammeggi e 'ncontra il sol si lisce. Ma piú d'ogn'altro il capitan gli applaude e gli annunzia vittoria, e gli dà laude. 72 E la spada togliendosi dal fianco, e porgendola a lui, cosí dicea: "Questa è la spada che 'n battaglia il franco rubello di Sassonia oprar solea, ch'io già gli tolsi a forza, e gli tolsi anco la vita allor di mille colpe rea; questa, che meco ognor fu vincitrice, prendi, e sia cosí teco ora felice." 73 Di loro indugio intanto è quell'altero impaziente, e li minaccia e grida: "O gente invitta, o popolo guerriero d'Europa, un uomo solo è che vi sfida. Venga Tancredi omai che par sí fero, se ne la sua virtú tanto si fida; o vuol, giacendo in piume, aspettar forse la notte ch'altre volte a lui soccorse? 74 Venga altri, s'egli teme; a stuolo a stuolo venite insieme, o cavalieri, o fanti, poi che di pugnar meco a solo a solo non v'è fra mille schiere uom che si vanti. Vedete là il sepolcro ove il figliuolo di Maria giacque: or ché non gite avanti? ché non sciogliete i voti? Ecco la strada! A qual serbate uopo maggior la spada?" 75 Con tali scherni il saracin atroce quasi con dura sferza altrui percote, ma piú ch'altri Raimondo a quella voce s'accende, e l'onte sofferir non pote. La virtú stimolata è piú feroce, e s'aguzza de l'ira a l'aspra cote, sí che tronca gli indugi e preme il dorso del suo Aquilino, a cui diè 'l nome il corso. 76 Questo su 'l Tago nacque, ove talora l'avida madre del guerriero armento, quando l'alma stagion che n'innamora nel cor le instiga il natural talento, volta l'aperta bocca incontra l'òra, raccoglie i semi del fecondo vento, e de' tepidi fiati (o meraviglia!) cupidamente ella concipe e figlia. 77 E ben questo Aquilin nato diresti di quale aura del ciel piú lieve spiri, o se veloce sí ch'orma non resti stendere il corso per l'arena il miri, o se 'l vedi addoppiar leggieri e presti a destra ed a sinistra angusti giri. Sovra tal corridore il conte assiso move a l'assalto, e volge al cielo il viso: 78 "Signor, tu che drizzasti incontra l'empio Golia l'arme inesperte in Terebinto, sí ch'ei ne fu, che d'Israel fea scempio, al primo sasso d'un garzone estinto; tu fa' ch'or giaccia (e fia pari l'essempio) questo fellon da me percosso e vinto, e debil vecchio or la superbia opprima come debil fanciul l'oppresse in prima." 79 Cosí pregava il conte, e le preghiere mosse dalla speranza in Dio secura s'alzàr volando a le celesti spere, come va foco al ciel per sua natura. L'accolse il Padre eterno, e fra le schiere de l'essercito suo tolse a la cura un che 'l difenda, e sano e vincitore da le man di quell'empio il tragga fuore. 80 L'angelo, che fu già custode eletto da l'alta Providenza al buon Raimondo insin dal primo dí che pargoletto se 'n venne a farsi peregrin del mondo, or che di novo il Re del Ciel gli ha detto che prenda in sé de la difesa il pondo, ne l'alta rocca ascende, ove de l'oste divina tutte son l'arme riposte. 81 Qui l'asta si conserva onde il serpente percosso giacque, e i gran fulminei strali, e quegli ch'invisibili a la gente portan l'orride pesti e gli altri mali; e qui sospeso è in alto il gran tridente, primo terror de' miseri mortali quando egli avien che i fondamenti scota de l'ampia terra, e le città percota. 82 Si vedea fiammeggiar fra gli altri arnesi scudo di lucidissimo diamante, grande che può coprir genti e paesi quanti ve n'ha fra il Caucaso e l'Atlante; e sogliono da questo esser difesi principi giusti e città caste e sante. Questo l'angelo prende, e vien con esso occultamente al suo Raimondo appresso. 83 Piene intanto le mura eran già tutte di varia turba, e 'l barbaro tiranno manda Clorinda e molte genti instrutte, che ferme a mezzo il colle oltre non vanno. Da l'altro lato in ordine ridutte alcune schiere di cristiani stanno, e largamente a' duo campioni il campo vòto riman fra l'uno e l'altro campo. 84 Mirava Argante, e non vedea Tancredi, ma d'ignoto campion sembianze nove. Fecesi il conte inanzi, e: " Quel che chiedi, è" disse a lui "per tua ventura altrove. Non superbir però, ché me qui vedi apparecchiato a riprovar tue prove, ch'io di lui posso sostener la vice o venir come terzo a me qui lice." 85 Ne sorride il superbo, e gli risponde: "Che fa dunque Tancredi? e dove stassi? Minaccia il ciel con l'arme, e poi s'asconde fidando sol ne' suoi fugaci passi; ma fugga pur nel centro e 'n mezzo l'onde, ché non fia loco ove securo il lassi." "Menti" replica l'altro "a dir ch'uom tale fugga da te, ch'assai di te piú vale." 86 Freme il circasso irato, e dice: "Or prendi del campo tu, ch'in vece sua t'accetto; e tosto e' si parrà come difendi l'alta follia del temerario detto." Cosí mossero in giostra, e i colpi orrendi parimente drizzaro ambi a l'elmetto; e 'l buon Raimondo ove mirò scontrollo, né dar gli fece ne l'arcion pur crollo. 87 Da l'altra parte il fero Argante corse (fallo insolito a lui) l'arringo in vano, ché 'l difensor celeste il colpo torse dal custodito cavalier cristiano. Le labra il crudo per furor si morse, e ruppe l'asta bestemmiando al piano. Poi tragge il ferro, e va contra Raimondo impetuoso al paragon secondo. 88 E 'l possente corsiero urta per dritto, quasi monton ch'al cozzo il capo abbassa. Schiva Raimondo l'urto, al lato dritto piegando il corso, e 'l fère in fronte e passa. Torna di novo il cavalier d'Egitto, ma quegli pur di novo a destra il lassa, e pur su l'elmo il coglie, e 'ndarno sempre ché l'elmo adamantine avea le tempre. 89 Ma il feroce pagan, che seco vòle piú stretta zuffa, a lui s'aventa e serra. L'altro, ch'al peso di sí vasta mole teme d'andar co 'l suo destriero a terra, qui cede, ed indi assale, e par che vòle, intorniando con girevol guerra, e i lievi imperii il rapido cavallo segue del freno, e non pone orma in fallo. 90 Qual capitan ch'oppugni eccelsa torre infra paludi posta o in alto monte, mille aditi ritenta, e tutte scorre l'arti e le vie, cotal s'aggira il conte; e poi che non può scaglia d'arme tòrre ch'armano il petto e la superba fronte, fère i men forti arnesi, ed a la spada cerca tra ferro e ferro aprir la strada. 91 Ed in due parti o in tre forate e fatte l'arme nemiche ha già tepide e rosse, ed egli ancor le sue conserva intatte, né di cimier, né d'un sol fregio scosse. Argante indarno arrabbia, a vòto batte e spande senza pro l'ire e le posse; non si stanca però, ma raddoppiando va tagli e punte e si rinforza errando. 92 Al fin tra mille colpi il saracino cala un fendente, e 'l conte è cosí presso che forse il velocissimo Aquilino non sottraggeasi e rimaneane oppresso; ma l'aiuto invisibile vicino non mancò lui di quel superno messo, che stese il braccio e tolse il ferro crudo sovra il diamante del celeste scudo. 93 Fragile è il ferro allor (ché non resiste di fucina mortal tempra terrena ad armi incorrottibili ed immiste d'eterno fabro) e cade in su l'arena. Il circasso, ch'andarne a terra ha viste minutissime parti, il crede a pena; stupisce poi, scorta la mano inerme, ch'arme il campion nemico abbia sí ferme; 94 e ben rotta la spada aver si crede su l'altro scudo, onde è colui difeso, e 'l buon Raimondo ha la medesma fede, ché non sa già chi sia dal ciel disceso. Ma però ch'egli disarmata vede la man nemica, si riman sospeso, ché stima ignobil palma e vili spoglie quelle ch'altrui con tal vantaggio toglie. 95 "Prendi" volea già dirgli "un'altra spada", quando novo pensier nacque nel core, ch'alto scorno è de' suoi dove egli cada, che di publica causa è difensore. Cosí né indegna a lui vittoria aggrada, né in dubbio vuol porre il comune onore. Mentre egli dubbio stassi, Argante lancia il pomo e l'else a la nemica guancia, 96 e in quel tempo medesmo il destrier punge e per venirne a lotta oltra si caccia. La percossa lanciata a l'elmo giunge, sí che ne pesta al tolosan la faccia; ma però nulla sbigottisce, e lunge ratto si svia da le robuste braccia, ed impiaga la man ch'a dar di piglio venia piú fera che ferino artiglio. 97 Poscia gira da questa a quella parte, e rigirasi a questa indi da quella; e sempre, e dove riede e donde parte, fère il pagan d'aspra percossa e fella. Quanto avea di vigor, quanto avea d'arte, quanto può sdegno antico, ira novella, a danno del circasso or tutto aduna, e seco il Ciel congiura e la fortuna. 98 Quei di fine arme e di se stesso armato, a i gran colpi resiste e nulla pave; e par senza governo in mar turbato, rotte vele ed antenne, eccelsa nave, che pur contesto avendo ogni suo lato tenacemente di robusta trave, sdrusciti i fianchi al tempestoso flutto non mostra ancor, né si dispera in tutto. 99 Argante, il tuo periglio allor tal era, quando aiutarti Belzebú dispose. Questi di cava nube ombra leggiera (mirabil mostro) in forma d'uom compose; e la sembianza di Clorinda altera gli finse, e l'arme ricche e luminose: diegli il parlare e senza mente il noto suon de la voce, e 'l portamento e 'l moto. 100 Il simulacro ad Oradin, esperto sagittario famoso, andonne e disse: "O famoso Oradin, ch'a segno certo, come a te piace, le quadrella affisse, ah! gran danno saria s'uom di tal merto, difensor di Giudea, cosí morisse, e di sue spoglie il suo nemico adorno securo ne facesse a i suoi ritorno. 101 Qui fa' prova de l'arte, e le saette tingi, nel sangue del ladron francese, ch'oltra il perpetuo onor vuo' che n'aspette premio al gran fatto egual dal re cortese." Cosí parlò, né quegli in dubbio stette, tosto che 'l suon de le promesse intese; da la grave faretra un quadrel prende e su l'arco l'adatta, e l'arco tende. 102 Sibila il teso nervo, e fuore spinto vola il pennuto stral per l'aria e stride, ed a percoter va dove del cinto si congiungon le fibbie e le divide; passa l'usbergo, e in sangue a pena tinto qui su si ferma e sol la pelle incide, ché 'l celeste guerrier soffrir non volse ch'oltra passasse, e forza al colpo tolse. 103 Da l'usbergo lo stral si tragge il conte ed ispicciarne fuori il sangue vede; e con parlar pien di minaccie ed onte rimprovera al pagan la rotta fede. Il capitan, che non torcea la fronte da l'amato Raimondo, allor s'avede che violato è il patto, e perché grave stima la piaga, ne sospira e pave; 104 e con la fronte le sue genti altere e con la lingua a vendicarlo desta. Vedi tosto inchinar giú le visiere, lentare i freni e por le lancie in resta, e quasi in un sol punto alcune schiere da quella parte moversi e da questa. Sparisce il campo, e la minuta polve con densi globi al ciel s'inalza e volve. 105 D'elmi e scudi percossi e d'aste infrante ne' primi scontri un gran romor s'aggira. Là giacere un cavallo, e girne errante un altro là senza rettor si mira; qui giace un guerrier morto, e qui spirante altri singhiozza e geme, altri sospira. Fera è la pugna, e quanto piú si mesce e stringe insieme, piú s'inaspra e cresce. 106 Salta Argante nel mezzo agile e sciolto, e toglie ad un guerrier ferrata mazza; e rompendo lo stuol calcato e folto, la rota intorno e si fa larga piazza. E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto ha il ferro e l'ira impetuosa e pazza, e quasi avido lupo ei par che brame ne le viscere sue pascer la fame. 107 Ma duro ad impedir viengli il sentiero e fero intoppo, acciò che 'l corso ei tardi. Si trova incontra Ormanno, e con Ruggiero di Balnavilla un Guido e duo Gherardi. Non cessa, non s'allenta, anzi è piú fero quanto ristretto è piú da que' gagliardi, sí come a forza da rinchiuso loco se n'esce e move alte ruine il foco. 108 Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra Ruggiero infra gli estinti egro e languente, ma contra lui crescon le turbe, e 'l serra d'uomini e d'arme cerchio aspro e pungente. Mentre in virtú di lui pari la guerra si mantenea fra l'una e l'altra gente, il buon duce Buglion chiama il fratello, ed a lui dice: "Or movi il tuo drapello, 109 e là dove battaglia è piú mortale vattene ad investir nel lato manco." Quegli si mosse, e fu lo scontro tale ond'egli urtò de gli nemici al fianco, che parve il popol d'Asia imbelle e frale, né poté sostener l'impeto franco, che gli ordini disperde, e co' destrieri l'insegne insieme abbatte e i cavalieri. 110 Da l'impeto medesmo in fuga è vòlto il destro corno; e non v'è alcun che faccia fuor ch'Argante difesa, a freno sciolto cosí il timor precipiti li caccia. Egli sol ferma il passo e mostra il volto, né chi con mani cento e cento braccia cinquanta scudi insieme ed altrettante spade movesse, or piú faria d'Argante. 111 Ei gli stocchi e le mazze, egli de l'aste e de' corsieri l'impeto sostenta; e solo par che 'ncontra tutti baste, ed ora a questo ed ora a quel s'aventa. Peste ha le membra e rotte l'arme e guaste, e sudor versa e sangue, e par no 'l senta. Ma cosí l'urta il popol denso e 'l preme ch'al fin lo svolge e seco il porta insieme. 112 Volge il tergo a la forza ed al furore di quel diluvio che 'l rapisce e 'l tira; ma non già d'uom che fugga ha i passi e 'l core, s'a l'opre de la mano il cor si mira. Serbano ancora gli occhi il lor terrore e le minaccie de la solita ira; e cerca ritener con ogni prova la fuggitiva turba, e nulla giova. 113 Non può far quel magnanimo ch'almeno sia lor fuga piú tarda e piú raccolta, ché non ha la paura arte né freno, né pregar qui né comandar s'ascolta. Il pio Buglion, ch'i suoi pensieri a pieno vede fortuna a favorir rivolta, segue de la vittoria il lieto corso e invia novello a i vincitor soccorso. 114 E se non che non era il dí che scritto Dio ne gli eterni suoi decreti avea, quest'era forse il dí che 'l campo invitto de le sante fatiche al fin giungea. Ma la schiera infernal, ch'in quel conflitto la tirannide sua cader vedea, sendole ciò permesso, in un momento l'aria in nube ristrinse e mosse il vento. 115 Da gli occhi de' mortali un negro velo rapisce il giorno e 'l sole, e par ch'avampi negro via piú ch'orror d'inferno il cielo, cosí fiammeggia infra baleni e lampi. Fremono i tuoni, e pioggia accolta in gelo si versa, e i paschi abbatte e inonda i campi. Schianta i rami il gran turbo, e par che crolli non pur le quercie ma le rocche e i colli. 116 L'acqua in un tempo, il vento e la tempesta ne gli occhi a i Franchi impetuosa fère, e l'improvisa violenza arresta con un terror quasi fatal le schiere. La minor parte d'esse accolta resta (ché veder non le puote) a le bandiere. Ma Clorinda, che quindi alquanto è lunge prende opportuno il tempo e 'l destrier punge. 117 Ella gridava a i suoi: "Per noi combatte, compagni, il Cielo, e la giustizia aita; da l'ira sua le faccie nostre intatte sono, e non è la destra indi impedita, e ne la fronte solo irato ei batte de la nemica gente impaurita, e la scote de l'arme, e de la luce la priva: andianne pur, ché 'l fato è duce." 118 Cosí spinge le genti, e ricevendo sol nelle spalle l'impeto d'inferno, urta i Francesi con assalto orrendo, e i vani colpi lor si prende a scherno. Ed in quel tempo Argante anco volgendo fa de' già vincitor aspro governo, e quei lasciando il campo a tutto corso volgono al ferro, a le procelle il dorso. 119 Percotono le spalle a i fuggitivi l'ire immortali e le mortali spade, e 'l sangue corre e fa, commisto a i rivi de la gran pioggia, rosseggiar le strade. Qui tra 'l vulgo de' morti e de' mal vivi e Pirro e 'l buon Ridolfo estinto cade; e toglie a questo il fier circasso l'alma, e Clorinda di quello ha nobil palma. 120 Cosí fuggiano i Franchi, e di lor caccia non rimaneano i Siri anco o i demoni. Sol contra l'arme e contra ogni minaccia di granuole, di turbini e di tuoni volgea Goffredo la secura faccia, rampognando aspramente i suoi baroni; e, fermo anzi la porta il gran cavallo, le genti sparse raccogliea nel vallo. 121 E ben due volte il corridor sospinse contra il feroce Argante e lui ripresse, ed altrettante il nudo ferro spinse dove le turbe ostili eran piú spesse; al fin con gli altri insieme ei si ristrinse dentro a i ripari, e la vittoria cesse. Tornano allora i saracini, e stanchi restan nel vallo e sbigottiti i Franchi. 122 Né quivi ancor de l'orride procelle ponno a pieno schivar la forza e l'ira, ma sono estinte or queste faci or quelle, e per tutto entra l'acqua e 'l vento spira. Squarcia le tele e spezza i pali, e svelle le tende intere e lunge indi le gira; la pioggia a i gridi, a i venti, a i tuon s'accorda d'orribile armonia che 'l mondo assorda.
canto OTTAVO
1 Già cheti erano i tuoni e le tempeste e cessato il soffiar d'Austro e di Coro, e l'alba uscia de la magion celeste con la fronte di rose e co' piè d'oro. Ma quei che le procelle avean già deste non rimaneansi ancor da l'arti loro, anzi l'un d'essi, ch'Astragorre è detto, cosí parlava a la compagna Aletto: 2 "Mira, Aletto, venirne (ed impedito esser non può da noi) quel cavaliero che da le fere mani è vivo uscito del sovran difensor del nostro impero. Questi, narrando del suo duce ardito e de' compagni a i Franchi il caso fero, paleserà gran cose; onde è periglio che si richiami di Bertoldo il figlio. 3 Sai quanto ciò rilevi e se conviene a i gran princípi oppor forza ed inganno. Scendi tra i Franchi adunque, e ciò ch'a bene colui dirà tutto rivolgi in danno: spargi le fiamme e 'l tòsco entro le vene del Latin, de l'Elvezio e del Britanno, movi l'ire e i tumulti a fa' tal opra che tutto vada il campo al fin sossopra. 4 L'opra è degna di te, tu nobil vanto te 'n désti già dinanzi al signor nostro." Cosí le parla, e basta ben sol tanto perché prenda l'impresa il fero mostro. Giunto è su 'l vallo dei cristiani intanto quel cavaliero il cui venir fu mostro, e disse lor: "Deh, sia chi m'introduca per mercede, o guerrieri, al sommo duca." 5 Molti scorta gli furo al capitano, vaghi d'udir del peregrin novelle. Egli inchinollo, e l'onorata mano volea baciar che fa tremar Babelle; "Signor," poi dice "che con l'oceano termini la tua fama e con le stelle, venirne a te vorrei piú lieto messo." Qui sospirava, e soggiungeva appresso: 6 "Sveno, del re de' Dani unico figlio, gloria e sostegno a la cadente etade, esser tra quei bramò che 'l tuo consiglio seguendo han cinto per Giesú le spade; né timor di fatica o di periglio, né vaghezza del regno, né pietade del vecchio genitor, sí degno affetto intepidír nel generoso petto. 7 Lo spingeva un desio d'apprender l'arte de la milizia faticosa e dura da te, sí nobil mastro, e sentia in parte sdegno e vergogna di sua fama oscura, già di Rinaldo il nome in ogni parte con gloria udendo in verdi anni matura; ma piú ch'altra cagione, il mosse il zelo non del terren ma de l'onor del Cielo. 8 Precipitò dunque gli indugi, e tolse stuol di scelti compagni audace e fero, e dritto invèr la Tracia il camin volse a la città che sede è de l'impero. Qui il greco Augusto in sua magion l'accolse, qui poi giunse in tuo nome un messaggiero. Questi a pien gli narrò come già presa fosse Antiochia, e come poi difesa; 9 difesa incontra al Perso, il qual con tanti uomini armati ad assediarvi mosse, che sembrava che d'arme e d'abitanti vòto il gran regno suo rimaso fosse. Di te gli disse, e poi narrò d'alquanti sin ch'a Rinaldo giunse, e qui fermosse; contò l'ardita fuga, e ciò che poi fatto di glorioso avea tra voi. 10 Soggiunse al fin come già il popol franco veniva a dar l'assalto a queste porte; e invitò lui ch'egli volesse almanco de l'ultima vittoria esser consorte. Questo parlare al giovenetto fianco del fero Sveno è stimolo sí forte, ch'ogn'ora un lustro pargli infra pagani rotar il ferro e insanguinar le mani. 11 Par che la sua viltà rimproverarsi senta ne l'altrui gloria, e se ne rode; e ch'il consiglia e ch'il prega a fermarsi, o che non l'essaudisce o che non l'ode. Rischio non teme, fuor che 'l non trovarsi de' tuoi gran rischi a parte e di tua lode; questo gli sembra sol periglio grave, de gli altri o nulla intende o nulla pave. 12 Egli medesmo sua fortuna affretta, fortuna che noi tragge e lui conduce, però ch'a pena al suo partire aspetta i primi rai de la novella luce. È per miglior la via piú breve eletta; tale ei la stima, ch'è signor e duce, né i passi piú difficili o i paesi schivar si cerca de' nemici offesi. 13 Or difetto di cibo, or camin duro trovammo, or violenza ed or aguati; ma tutti fur vinti i disagi, e furo or uccisi i nemici ed or fugati. Fatto avean ne' perigli ogn'uom securo le vittorie e insolenti i fortunati, quando un dí ci accampammo ove i confini non lunge erano omai de' Palestini. 14 Quivi da i precursori a noi vien detto ch'alto strepito d'arme avean sentito, e viste insegne e indizi onde han sospetto che sia vicino essercito infinito. Non pensier, non color, non cangia aspetto, non muta voce il signor nostro ardito, benché molti vi sian ch'al fero aviso tingan di bianca pallidezza il viso. 15 Ma dice: `Oh quale omai vicina abbiamo corona o di martirio o di vittoria! L'una spero io ben piú, ma non men bramo l'altra ove è maggior merto e pari gloria. Questo campo, o fratelli, ove or noi siamo, fia tempio sacro ad immortal memoria, in cui l'età futura additi e mostri le nostre sepolture e i trofei nostri.' 16 Cosí parla, e le guardie indi dispone e gli uffici comparte e la fatica. Vuol ch'armato ognun giaccia, e non depone ei medesmo gli arnesi o la lorica. Era la notte ancor ne la stagione ch'è piú del sonno e del silenzio amica, allor che d'urli barbareschi udissi romor che giunse al cielo ed a gli abissi. 17 Si grida `A l'armi! a l'armi!', e Sveno involto ne l'armi inanzi a tutti oltre si spinge, e magnanimamente i lumi e 'l volto di color d'ardimento infiamma e tinge. Ecco siamo assaliti, e un cerchio folto da tutti i lati ne circonda e stringe, e intorno un bosco abbiam d'aste e di spade e sovra noi di strali un nembo cade. 18 Ne la pugna inegual (però che venti gli assalitori sono incontra ad uno) molti d'essi piagati e molti spenti son da cieche ferite a l'aer bruno; ma il numero de gli egri e de' cadenti fra l'ombre oscure non discerne alcuno: copre la notte i nostri danni, e l'opre de la nostra virtute insieme copre. 19 Pur sí fra gli altri Sveno alza la fronte ch'agevol cosa è che veder si possa, e nel buio le prove anco son conte a chi vi mira, e l'incredibil possa. Di sangue un rio, d'uomini uccisi un monte d'ogni intorno gli fanno argine e fossa; e dovunque ne va, sembra che porte lo spavento ne gli occhi, e in man la morte. 20 Cosí pugnato fu sin che l'albore rosseggiando nel ciel già n'apparia. Ma poi che scosso fu il notturno orrore che l'orror de le morti in sé copria, la desiata luce a noi terrore con vista accrebbe dolorosa e ria, ché pien d'estinti il campo e quasi tutta nostra gente vedemmo omai destrutta. 21 Duomila fummo, e non siam cento. Or quando tanto sangue egli mira e tante morti, non so se 'l cuor feroce al miserando spettacolo si turbi e si sconforti; ma già no 'l mostra, anzi la voce alzando: `Seguiam' ne grida `que' compagni forti ch'al Ciel lunge da i laghi averni e stigi n'han segnati co 'l sangue alti vestigi.' 22 Disse, e lieto (credo io) de la vicina morte cosí nel cor come al sembiante, incontra alla barbarica ruina portonne il petto intrepido e costante. Tempra non sosterrebbe, ancor che fina fosse e d'acciaio no, ma di diamante, i feri colpi, onde egli il campo allaga, e fatto è il corpo suo solo una piaga. 23 La vita no, ma la virtú sostenta quel cadavero indomito e feroce. Ripercote percosso e non s'allenta, ma quanto offeso è piú tanto piú noce. Quando ecco furiando a lui s'aventa uom grande, c'ha sembiante e guardo atroce; e dopo lunga ed ostinata guerra, con l'aita di molti al fin l'atterra. 24 Cade il garzone invitto (ahi caso amaro!), né v'è fra noi chi vendicare il possa. Voi chiamo in testimonio, o del mio caro signor sangue ben sparso e nobil ossa, ch'allor non fui de la mia vita avaro, né schivai ferro né schivai percossa; e se piaciuto pur fosse là sopra ch'io vi morissi, il meritai con l'opra. 25 Fra gli estinti compagni io sol cadei vivo, né vivo forse è chi mi pensi; né de' nemici piú cosa saprei ridir, sí tutti avea sopiti i sensi. Ma poi che tornò il lume a gli occhi miei, ch'eran d'atra caligine condensi, notte mi parve, ed a lo sguardo fioco s'offerse il vacillar d'un picciol foco. 26 Non rimaneva in me tanta virtude ch'a discerner le cose io fossi presto, ma vedea come quei ch'or apre or chiude gli occhi, mezzo tra 'l sonno e l'esser desto; e 'l duolo omai de le ferite crude piú cominciava a farmisi molesto, ché l'inaspria l'aura notturna e 'l gelo in terra nuda e sotto aperto cielo. 27 Piú e piú ognor s'avicinava intanto quel lume e insieme un tacito bisbiglio, sí ch'a me giunse e mi si pose a canto. Alzo allor, bench'a pena, il debil ciglio e veggio due vestiti in lungo manto tener due faci, e dirmi sento: `O figlio, confida in quel Signor ch'a' pii soviene, e con la grazia i preghi altrui previene.' 28 In tal guisa parlommi: indi la mano benedicendo sovra me distese; e susurrò con suon devoto e piano voci allor poco udite e meno intese. `Sorgi', poi disse; ed io leggiero e sano sorgo, e non sento le nemiche offese (oh miracol gentile!), anzi mi sembra piene di vigor novo aver le membra. 29 Stupido lor riguardo, e non ben crede l'anima sbigottita il certo e il vero; onde l'un d'essi a me: `Di poca fede, che dubbii? o che vaneggia il tuo pensiero? Verace corpo è quel che 'n noi si vede: servi siam di Giesú, che 'l lusinghiero mondo e 'l suo falso dolce abbiam fuggito, e qui viviamo in loco erto e romito. 30 Me per ministro a tua salute eletto ha quel Signor che 'n ogni parte regna, ché per ignobil mezzo oprar effetto meraviglioso ed alto egli non sdegna, né men vorrà che sí resti negletto quel corpo in cui già visse alma sí degna, lo qual con essa ancor, lucido e leve e immortal fatto, riunir si deve. 31 Dico il corpo di Sveno a cui fia data tomba, a tanto valor conveniente, la qual a dito mostra ed onorata ancor sarà da la futura gente. Ma leva omai gli occhi a le stelle, e guata là splender quella, come un sol lucente; questa co' vivi raggi or ti conduce là dove è il corpo del tuo nobil duce.' 32 Allor vegg'io che da la bella face, anzi dal sol notturno, un raggio scende che dritto là dove il gran corpo giace, quasi aureo tratto di pennel, si stende; e sovra lui tal lume e tanto face ch'ogni sua piaga ne sfavilla e splende, e subito da me si raffigura ne la sanguigna orribile mistura. 33 Giacea, prono non già, ma come vòlto ebbe sempre a le stelle il suo desire, dritto ei teneva inverso il cielo il volto in guisa d'uom che pur là suso aspire. Chiusa la destra e 'l pugno avea raccolto e stretto il ferro, e in atto è di ferire; l'altra su 'l petto in modo umile e pio si posa, e par che perdon chieggia a Dio. 34 Mentre io le piaghe sue lavo co 'l pianto, né però sfogo il duol che l'alma accora, gli aprí la chiusa destra il vecchio santo, e 'l ferro che stringea trattone fora: `Questa' a me disse `ch'oggi sparso ha tanto sangue nemico, e n'è vermiglia ancora, è come sai perfetta, e non è forse altra spada che debba a lei preporse. 35 Onde piace là su che, s'or la parte dal suo primo signor acerba morte, oziosa non resti in questa parte, ma di man passi in mano ardita e forte che l'usi poi con egual forza ed arte, ma piú lunga stagion con lieta sorte; e con lei faccia, perché a lei s'aspetta, di chi Sveno le uccise aspra vendetta. 36 Soliman Sveno uccise, e Solimano dée per la spada sua restarne ucciso. Prendila dunque, e vanne ov'il cristiano campo fia intorno a l'alte mura assiso; e non temer che nel paese estrano ti sia il sentier di novo anco preciso, ché t'agevolerà per l'aspra via l'alta destra di Lui ch'or là t'invia. 37 Quivi Egli vuol che da cotesta voce, che viva in te servò, si manifesti la pietate, il valor, l'ardir feroce che nel diletto tuo signor vedesti, perché a segnar de la purpurea Croce l'arme con tale essempio altri si desti, ed ora e dopo un corso anco di lustri infiammati ne sian gli animi illustri. 38 Resta che sappia tu chi sia colui che deve de la spada esser erede. Questi è Rinaldo, il giovenetto a cui il pregio di fortezza ogn'altro cede. A lui la porgi, e di' che sol da lui l'alta vedetta il Cielo e 'l mondo chiede.' Or mentre io le sue voci intento ascolto, fui da miracol novo a sé rivolto, 39 ché là dove il cadavero giacea ebbi improviso un gran sepolcro scorto, che sorgendo rinchiuso in sé l'avea, come non so né con qual arte sorto; e in brevi note altrui vi si sponea il nome e la virtú del guerrier morto. Io non sapea da tal vista levarmi, mirando ora le lettre ed ora i marmi. 40 `Qui' disse il vecchio `appresso a i fidi amici giacerà del tuo duce il corpo ascoso, mentre gli spirti amando in Ciel felici godon perpetuo bene e glorioso. Ma tu co 'l pianto omai gli estremi uffici pagato hai loro, e tempo è di riposo. Oste mio ne sarai sin ch'al viaggio matutin ti risvegli il novo raggio.' 41 Tacque, e per lochi ora sublimi or cupi mi scòrse onde a gran pena il fianco trassi, sin ch'ove pende da selvaggie rupi cava spelonca raccogliemmo i passi. Questo è il suo albergo: ivi fra gli orsi e i lupi co 'l discepolo suo securo stassi, ché difesa miglior ch'usbergo e scudo è la santa innocenza al petto ignudo. 42 Silvestre cibo e duro letto porse quivi a le membra mie posa e ristoro. Ma poi ch'accesi in oriente scorse i raggi del mattin purpurei e d'oro, vigilante ad orar subito sorse l'uno e l'altro eremita, ed io con loro. Dal santo vecchio poi congedo tolsi e qui, dov'egli consigliò, mi volsi." 43 Qui si tacque il tedesco, e gli rispose il pio Buglione: "O cavalier, tu porte dure novelle al campo e dolorose onde a ragion si turbi e si sconforte, poi che genti sí amiche e valorose breve ora ha tolte e poca terra absorte, e in guisa d'un baleno il signor vostro s'è in un sol punto dileguato e mostro. 44 Ma che? felice è cotal morte e scempio via piú ch'acquisto di provincie e d'oro, né dar l'antico Campidoglio essempio d'alcun può mai sí glorioso alloro. Essi del ciel nel luminoso tempio han corona immortal del vincer loro: ivi credo io che le sue belle piaghe ciascun lieto dimostri e se n'appaghe. 45 Ma tu, che a le fatiche ed al periglio ne la milizia ancor resti del mondo, devi gioir de' lor trionfi, e 'l ciglio render quanto conviene omai giocondo; e perché chiedi di Bertoldo il figlio, sappi ch'ei fuor de l'oste è vagabondo, né lodo io già che dubbia via tu prenda pria che di lui certa novella intenda." 46 Questo lor ragionar ne l'altrui mente di Rinaldo l'amor desta e rinova, e v'è chi dice: "Ahi! fra pagana gente il giovenetto errante or si ritrova." E non v'è quasi alcun che non rammente, narrando al dano, i suoi gran fatti a prova; e de l'opere sue la lunga tela con istupor gli si dispiega e svela. 47 Or quando del garzon la rimembranza avea gli animi tutti inteneriti, ecco molti tornar, che per usanza eran d'intorno a depredare usciti. Conducean questi seco in abbondanza e mandre di lanuti e buoi rapiti e biade ancor, benché non molte, e strame che pasca de' corsier l'avida fame. 48 E questi di sciagura aspra e noiosa segno portàr che 'n apparenza è certo: rotta del buon Rinaldo e sanguinosa la sopravesta ed ogni arnese aperto. Tosto si sparse (e chi potria tal cosa tener celata?) un romor vario e incerto. Corre il vulgo dolente a le novelle del guerriero e de l'arme, e vuol vedelle. 49 Vede, e conosce ben l'immensa mole del grand'usbergo e 'l folgorar del lume, e l'arme tutte ove è l'augel ch'al sole prova i suoi figli e mal crede a le piume; ché di vederle già primiere o sole ne le imprese piú grandi ebbe in costume, ed or non senza alta pietate ed ira rotte e sanguigne ivi giacer le mira. 50 Mentre bisbiglia il campo, e la cagione de la morte di lui varia si crede, a sé chiama Aliprando il pio Buglione, duce di quei che ne portàr le prede, uom di libera mente e di sermone veracissimo e schietto, ed a lui chiede: "Di' come e donde tu rechi quest'arme, e di buono o di reo nulla celarme." 51 Gli rispose colui: "Di qui lontano quanto in duo giorni un messaggiero andria, verso il confin di Gaza un picciol piano chiuso tra colli alquanto è fuor di via; e in lui d'alto deriva e lento e piano tra pianta e pianta un fiumicel s'invia, e d'arbori e di macchie ombroso e folto opportuno a l'insidie il loco è molto. 52 Qui greggia alcuna cercavam che fosse venuta a i paschi de l'erbose sponde, e in su l'erbe miriam di sangue rosse giacerne un guerrier morto in riva a l'onde. A l'arme ed a l'insegne ogn'uom si mosse, che furon conosciute ancor che immonde. Io m'appressai per discoprirgli il viso, ma trovai ch'era il capo indi reciso. 53 Mancava ancor la destra, e 'l busto grande molte ferite avea dal tergo al petto; e non lontan, con l'aquila che spande le candide ali, giacea il vòto elmetto. Mentre cerco d'alcuno a cui dimande, un villanel sopragiungea soletto che 'ndietro il passo per fuggirne torse subitamente che di noi s'accorse. 54 Ma seguitato e preso, a la richiesta che noi gli facevamo, al fin rispose che 'l giorno inanti uscir de la foresta scorse molti guerrieri, onde ei s'ascose; e ch'un d'essi tenea recisa testa per le sue chiome bionde e sanguinose, la qual gli parve, rimirando intento, d'uom giovenetto e senza peli al mento; 55 e che 'l medesmo poco poi l'avolse in un zendado da l'arcion pendente. Soggiunse ancor ch'a l'abito raccolse ch'erano i cavalier di nostra gente. Io spogliar feci il corpo, e sí me 'n dolse che piansi nel sospetto amaramente, e portai meco l'arme e lasciai cura ch'avesse degno onor di sepoltura. 56 Ma se quel nobil tronco è quel ch'io credo, altra tomba, altra pompa egli ben merta." Cosí detto, Aliprando ebbe congedo, però che cosa non avea piú certa. Rimase grave e sospirò Goffredo; pur nel tristo pensier non si raccerta, e con piú chiari segni il monco busto conoscer vuole e l'omicida ingiusto. 57 Sorgea la notte intanto, e sotto l'ali ricopriva del cielo i campi immensi; e 'l sonno, ozio de l'alme, oblio de' mali, lusingando sopia le cure e i sensi. Tu sol punto, Argillan, d'acuti strali d'aspro dolor, volgi gran cose e pensi, né l'agitato sen né gli occhi ponno la quiete raccòrre o 'l molle sonno. 58 Costui pronto di man, di lingua ardito, impetuoso e fervido d'ingegno, nacque in riva del Tronto e fu nutrito ne le risse civil d'odio e di sdegno; poscia in essiglio spinto, i colli e 'l lito empié di sangue e depredò quel regno, sin che ne l'Asia a guerreggiar se 'n venne e per fama miglior chiaro divenne. 59 Al fin questi su l'alba i lumi chiuse; né già fu sonno il suo queto e soave, ma fu stupor ch'Aletto al cor gl'infuse, non men che morte sia profondo e grave. Sono le interne sue virtú deluse e riposo dormendo anco non have, ché la furia crudel gli s'appresenta sotto orribili larve e lo sgomenta. 60 Gli figura un gran busto, ond'è diviso il capo e de la destra il braccio è mozzo, e sostien con la manca il teschio inciso, di sangue e di pallor livido e sozzo. Spira e parla spirando il morto viso, e 'l parlar vien co 'l sangue e co 'l singhiozzo: "Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce? Fuggi le tende infami e l'empio duce. 61 Chi dal fero Goffredo e da la frode ch'uccise me, voi, cari amici, affida? D'astio dentro il fellon tutto si rode, e pensa sol come voi meco uccida. Pur, se cotesta mano a nobil lode aspira, e in sua virtú tanto si fida, non fuggir, no; plachi il tiranno essangue lo spirto mio co 'l suo maligno sangue. 62 Io sarò teco, ombra di ferro e d'ira ministra, e t'armerò la destra e 'l seno." Cosí gli parla, e nel parlar gli spira spirito novo di furor ripieno. Si rompe il sonno, e sbigottito ei gira gli occhi gonfi di rabbia e di veneno; ed armato ch'egli è, con importuna fretta i guerrier d'Italia insieme aduna. 63 Gli aduna là dove sospese stanno l'arme del buon Rinaldo, e con superba voce il furore e 'l conceputo affanno in tai detti divulga e disacerba: "Dunque un popolo barbaro e tiranno, che non prezza ragion, che fé non serba, che non fu mai di sangue e d'or satollo, ne terrà 'l freno in bocca e 'l giogo al collo? 64 Ciò che sofferto abbiam d'aspro e d'indegno sette anni omai sotto sí iniqua soma, è tal ch'arder di scorno, arder di sdegno potrà da qui a mill'anni Italia e Roma. Taccio che fu da l'arme e da l'ingegno del buon Tancredi la Cilicia doma, e ch'ora il Franco a tradigion la gode, e i premi usurpa del valor la frode. 65 Taccio ch'ove il bisogno e 'l tempo chiede pronta man, pensier fermo, animo audace, alcuno ivi di noi primo si vede portar fra mille morti o ferro o face; quando le palme poi, quando le prede si dispensan ne l'ozio e ne la pace, nostri in parte non son, ma tutti loro i trionfi, gli onor, le terre e l'oro. 66 Tempo forse già fu che gravi e strane ne potevan parer sí fatte offese; quasi lievi or le passo: orrenda, immane ferità leggierissime l'ha rese. Hanno ucciso Rinaldo, e con l'umane l'alte leggi divine han vilipese. E non fulmina il Cielo? e non l'inghiotte la terra entro la sua perpetua notte? 67 Rinaldo han morto, il qual fu spada e scudo di nostra fede; ed ancor giace inulto? inulto giace e su 'l terreno ignudo lacerato il lasciaro ed insepulto. Ricercate saper chi fosse il crudo? A chi pote, o compagni, esser occulto? Deh! chi non sa quanto al valor latino portin Goffredo invidia e Baldovino? 68 Ma che cerco argomenti? Il Cielo io giuro (il Ciel che n'ode e ch'ingannar non lice), ch'allor che si rischiara il mondo oscuro, spirito errante il vidi ed infelice. Che spettacolo, oimè, crudele e duro! Quai frode di Goffredo a noi predice! Io 'l vidi, e non fu sogno; e ovunque or miri, par che dinanzi a gli occhi miei s'aggiri. 69 Or che faremo noi? dée quella mano, che di morte sí ingiusta è ancora immonda, reggerci sempre? o pur vorrem lontano girne da lei, dove l'Eufrate inonda, dove a popolo imbelle in fertil piano tante ville e città nutre e feconda, anzi a noi pur? Nostre saranno, io spero, né co' Franchi comune avrem l'impero. 70 Andianne, e resti invendicato il sangue (se cosí parvi) illustre ed innocente, benché, se la virtú che fredda langue fosse ora in voi quanto dovrebbe ardente, questo che divorò, pestifero angue, il pregio e 'l fior de la latina gente, daria con la sua morte e con lo scempio a gli altri mostri memorando essempio. 71 Io, io vorrei, se 'l vostro alto valore, quanto egli può, tanto voler osasse, ch'oggi per questa man ne l'empio core, nido di tradigion, la pena entrasse." Cosí parla agitato, e nel furore e ne l'impeto suo ciascuno ei trasse. "Arme! arme!" freme il forsennato, e insieme la gioventú superba "Arme! arme!" freme. 72 Rota Aletto fra lor la destra armata, e co 'l foco il venen ne' petti mesce. Lo sdegno, la follia, la scelerata sete del sangue ognor piú infuria e cresce; e serpe quella peste e si dilata, e de gli alberghi italici fuor n'esce, e passa fra gli Elvezi, e vi s'apprende, e di là poscia a gli Inghilesi tende. 73 Né sol l'estrane genti avien che mova il duro caso e 'l gran publico danno, ma l'antiche cagioni a l'ira nova materia insieme e nutrimento danno. Ogni sopito sdegno or si rinova: chiamano il popol franco empio e tiranno, e in superbe minaccie esce diffuso l'odio che non può starne omai piú chiuso. 74 Cosí nel cavo rame umor che bolle per troppo foco, entro gorgoglia e fuma; né capendo in se stesso, al fin s'estolle sovra gli orli del vaso, e inonda e spuma. Non bastano a frenare il vulgo folle que' pochi a cui la mente il vero alluma; e Tancredi e Camillo eran lontani, Guglielmo e gli altri in podestà soprani. 75 Corrono già precipitosi a l'armi confusamente i popoli feroci, e già s'odon cantar bellici carmi sediziose trombe in fere voci. Gridano intanto al pio Buglion che s'armi molti di qua di là nunzi veloci, e Baldovin inanzi a tutti armato gli s'appresenta e gli si pone a lato. 76 Egli, ch'ode l'accusa, i lumi al cielo drizza e pur come suole a Dio ricorre: "Signor, tu che sai ben con quanto zelo la destra mia del civil sangue aborre, tu squarcia a questi de la mente il velo, e reprimi il furor che sí trascorre; e l'innocenza mia, che costà sopra è nota, al mondo cieco anco si scopra." 77 Tacque, e dal Cielo infuso ir fra le vene sentissi un novo inusitato caldo. Colmo d'alto vigor, d'ardita spene che nel volto si sparge e 'l fa piú baldo, e da' suoi circondato, oltre se 'n viene contra chi vendicar credea Rinaldo; né, perché d'arme e di minaccie ei senta fremito d'ogni intorno, il passo allenta. 78 Ha la corazza indosso, e nobil veste riccamente l'adorna oltra 'l costume. Nudo è le mani e 'l volto, e di celeste maestà vi risplende un novo lume: scote l'aurato scettro, e sol con queste arme acquetar quegli impeti presume. Tal si mostra a coloro e tal ragiona, né come d'uom mortal la voce suona: 79 "Quali stolte minaccie e quale or odo vano strepito d'arme? e chi il commove? Cosí qui riverito e in questo modo noto son io, dopo sí lunghe prove, ch'ancor v'è chi sospetti e chi di frodo Goffredo accusi? e chi l'accuse approve? Forse aspettate ancor ch'a voi mi pieghi, e ragioni v'adduca e porga preghi? 80 Ah non sia ver che tanta indignitate la terra piena del mio nome intenda. Me questo scettro, me de l'onorate opre mie la memoria e 'l ver difenda; e per or la giustizia a la pietate ceda, né sovra i rei la pena scenda. A gli altri merti or questo error perdono, ed al vostro Rinaldo anco vi dono. 81 Co 'l sangue suo lavi il comun difetto solo Argillan, di tante colpe autore, che, mosso a leggierissimo sospetto, sospinti gli altri ha nel medesmo errore." Lampi e folgori ardean nel regio aspetto, mentre ei parlò, di maestà, d'onore; tal ch'Argillano attonito e conquiso teme (chi 'l crederia?) l'ira d'un viso. 82 E 'l vulgo, ch'anzi irriverente, audace, tutto fremer s'udia d'orgogli e d'onte, e ch'ebbe al ferro, a l'aste ed a la face che 'l furor ministrò, le man sí pronte, non osa (e i detti alteri ascolta, e tace) fra timor e vergogna alzar la fronte, e sostien ch'Argillano, ancor che cinto de l'arme lor, sia da' ministri avinto. 83 Cosí leon, ch'anzi l'orribil coma con muggito scotea superbo e fero, se poi vede il maestro onde fu doma la natia ferità del core altero, può del giogo soffrir l'ignobil soma e teme le minaccie e 'l duro impero, né i gran velli, i gran denti e l'ugne c'hanno tanta in sé forza, insuperbire il fanno. 84 È fama che fu visto in volto crudo ed in atto feroce e minacciante un alato guerrier tener lo scudo de la difesa al pio Buglion davante, e vibrar fulminando il ferro ignudo che di sangue vedeasi ancor stillante: sangue era forse di città, di regni, che provocàr del Cielo i tardi sdegni. 85 Cosí, cheto il tumulto, ognun depone l'arme, e molti con l'arme il mal talento; e ritorna Goffredo al padiglione, a varie cose, a nove imprese intento, ch'assalir la cittate egli dispone pria che 'l secondo o 'l terzo dí sia spento; e rivedendo va l'incise travi, già in machine conteste orrende e gravi.
canto NONO
1 Ma il gran mostro infernal, che vede queti que' già torbidi cori e l'ire spente, e cozzar contra 'l fato e i gran decreti svolger non può de l'immutabil Mente, si parte, e dove passa i campi lieti secca, e pallido il sol si fa repente; e d'altre furie ancora e d'altri mali ministra, a nova impresa affretta l'ali. 2 Ella, che dall'essercito cristiano per industria sapea de' suoi consorti il figliuol di Bertoldo esser lontano, Tancredi e gli altri piú temuti e forti, disse: "Che piú s'aspetta? or Solimano inaspettato venga e guerra porti. Certo (o ch'io spero) alta vittoria avremo di campo mal concorde e in parte scemo." 3 Ciò detto, vola ove fra squadre erranti, fattosen duce, Soliman dimora, quel Soliman di cui non fu tra quanti ha Dio rubelli, uom piú feroce allora né se per nova ingiuria i suoi giganti rinovasse la terra, anco vi fòra. Questi fu re de' Turchi ed in Nicea la sede de l'imperio aver solea, 4 e distendeva incontra a i greci lidi dal Sangario al Meandro il suo confine, ove albergàr già Misi e Frigi e Lidi, e le genti di Ponto e le bitine; ma poi che contra i Turchi e gli altri infidi passàr ne l'Asia l'arme peregrine, fur sue terre espugnate, ed ei sconfitto ben fu due fiate in general conflitto. 5 Ma riprovata avendo in van la sorte e spinto a forza dal natio paese, ricoverò del re d'Egitto in corte, ch'oste gli fu magnanimo e cortese; ed ebbe a grado che guerrier sí forte gli s'offrisse compagno a l'alte imprese, proposto avendo già vietar l'acquisto di Palestina a i cavalier di Cristo. 6 Ma prima ch'egli apertamente loro la destinata guerra annunziasse, volle che Solimano, a cui molto oro diè per tal uso, gli Arabi assoldasse. Or mentre ei d'Asia e dal paese moro l'oste accogliea, Soliman venne e trasse agevolmente a sé gli Arabi avari, ladroni in ogni tempo o mercenari. 7 Cosí fatto lor duce, or d'ogni intorno la Giudea scorre, e fa prede e rapine sí che 'l venire è chiuso e 'l far ritorno da l'essercito franco a le marine; e rimembrando ognor l'antico scorno e de l'imperio suo l'alte ruine, cose maggior nel petto acceso volve, ma non ben s'assecura o si risolve. 8 A costui viene Aletto, e da lei tolto è 'l sembiante d'un uom d'antica etade: vòta di sangue, empie di crespe il volto, lascia barbuto il labro e 'l mento rade, dimostra il capo in lunghe tele avolto, la veste oltra 'l ginocchio al piè gli cade, la scimitarra al fianco, e 'l tergo carco de la faretra, e ne le mani ha l'arco. 9 "Noi" gli dice ella "or trascorriam le vòte piaggie e l'arene sterili e deserte, ove né far rapina omai si pote, né vittoria acquistar che loda merte. Goffredo intanto la città percote, e già le mura ha con le torri aperte; e già vedrem, s'ancor si tarda un poco, insin di qua le sue ruine e 'l foco. 10 Dunque accesi tuguri e greggie e buoi gli alti trofei di Soliman saranno? Cosí racquisti il regno? e cosí i tuoi oltraggi vendicar ti credi e 'l danno? Ardisci, ardisci; entro a i ripari suoi di notte opprimi il barbaro tiranno. Credi al tuo vecchio Araspe, il cui consiglio e nel regno provasti e ne l'essiglio. 11 Non ci aspetta egli e non ci teme, e sprezza gli Arabi ignudi in vero e timorosi, né creder mai potrà che gente avezza a le prede, a le fughe, or cotanto osi; ma feri li farà la tua fierezza contra un campo che giaccia inerme e posi." Cosí gli disse, e le sue furie ardenti spirogli al seno, e si mischiò tra' venti. 12 Grida il guerrier, levando al ciel la mano: "O tu, che furor tanto al cor m'irriti (ned uom sei già, se ben sembiante umano mostrasti), ecco io ti seguo ove m'inviti. Verrò, farò là monti ov'ora è piano, monti d'uomini estinti e di feriti, farò fiumi di sangue. Or tu sia meco, e tratta l'armi mie per l'aer cieco." 13 Tace, e senza indugiar le turbe accoglie e rincora parlando il vile e 'l lento, e ne l'ardor de le sue stesse voglie accende il campo a seguitarlo intento. Dà il segno Aletto de la tromba, e scioglie di sua man propria il gran vessillo al vento. Marcia il campo veloce, anzi sí corre che de la fama il volo anco precorre. 14 Va seco Aletto, e poscia il lascia e veste, d'uom che rechi novelle, abito e viso; e ne l'ora che par che il mondo reste fra la notte e fra 'l dí dubbio e diviso, entra in Gierusalemme, e tra le meste turbe passando al re dà l'alto aviso del gran campo che giunge e del disegno, e del notturno assalto e l'ora e 'l segno. 15 Ma già distendon l'ombre orrido velo che di rossi vapor si sparge e tigne; la terra in vece del notturno gelo bagnan rugiade tepide e sanguigne; s'empie di mostri e di prodigi il cielo, s'odon fremendo errar larve maligne: votò Pluton gli abissi, e la sua notte tutta versò da le tartaree grotte. 16 Per sí profondo orror verso le tende de gli inimici il fer Soldan camina; ma quando a mezzo dal suo corso ascende la notte, onde poi rapida dechina, a men d'un miglio, ove riposo prende il securo Francese, ei s'avicina. Qui fe' cibar le genti, e poscia d'alto parlando confortolle al crudo assalto: 17 "Vedete là di mille furti pieno un campo piú famoso assai che forte, che quasi un mar nel suo vorace seno tutte de l'Asia ha le ricchezze absorte? Questo ora a voi (né già potria con meno vostro periglio) espon benigna sorte: l'arme e i destrier d'ostro guerniti e d'oro preda fian vostra, e non difesa loro. 18 Né questa è già quell'oste onde la persa gente e la gente di Nicea fu vinta, perché in guerra sí lunga e sí diversa rimasa n'è la maggior parte estinta; e s'anco integra fosse, or tutta immersa in profonda quiete e d'arme è scinta. Tosto s'opprime chi di sonno è carco, ché dal sonno a la morte è un picciol varco. 19 Su, su, venite: io primo aprir la strada vuo' su i corpi languenti entro a i ripari; ferir da questa mia ciascuna spada, e l'arti usar di crudeltate impari. Oggi fia che di Cristo il regno cada, oggi libera l'Asia, oggi voi chiari." Cosí gli infiamma a le vicine prove, indi tacitamente oltre lor move. 20 Ecco tra via le sentinelle ei vede per l'ombra mista d'una incerta luce, né ritrovar, come secura fede avea, pote improviso il saggio duce. Volgon quelle gridando indietro il piede, scorto che sí gran turba egli conduce, sí che la prima guardia è da lor desta, e com' può meglio a guerreggiar s'appresta. 21 Dan fiato allora a i barbari metalli gli Arabi, certi omai d'essere sentiti. Van gridi orrendi al cielo, e de' cavalli co 'l suon del calpestio misti i nitriti. Gli alti monti muggír, muggír le valli, e risposer gli abissi a i lor muggiti, e la face inalzò di Flegetonte Aletto, e 'l segno diede a quei del monte. 22 Corre inanzi il Soldano, e giunge a quella confusa ancora e inordinata guarda rapido sí che torbida procella da' cavernosi monti esce piú tarda. Fiume ch'arbori insieme e case svella, folgore che le torri abbatta ed arda, terremoto che 'l mondo empia d'orrore, son picciole sembianze al suo furore. 23 Non cala il ferro mai ch'a pien non colga, né coglie a pien che piaga anco non faccia, né piaga fa che l'alma altrui non tolga; e piú direi, ma il ver di falso ha faccia. E par ch'egli o s'infinga o non se 'n dolga o non senta il ferir de l'altrui braccia, se ben l'elmo percosso in suon di squilla rimbomba e orribilmente arde e sfavilla. 24 Or quando ei solo ha quasi in fuga vòlto quel primo stuol de le francesche genti, giungono in guisa d'un diluvio accolto di mille rivi gli Arabi correnti. Fuggono i Franchi allora a freno sciolto, e misto il vincitor va tra' fuggenti, e con lor entra ne' ripari, e 'l tutto di ruine e d'orror s'empie e di lutto. 25 Porta il Soldan su l'elmo orrido e grande serpe che si dilunga e il collo snoda, su le zampe s'inalza e l'ali spande e piega in arco la forcuta coda. Par che tre lingue vibri e che fuor mande livida spuma, e che 'l suo fischio s'oda. Ed or ch'arde la pugna, anch'ei s'infiamma nel moto, e fumo versa insieme e fiamma. 26 E si mostra in quel lume a i riguardanti formidabil cosí l'empio Soldano, come veggion ne l'ombra i naviganti fra mille lampi il torbido oceano. Altri danno a la fuga i piè tremanti, danno altri al ferro intrepida la mano; e la notte i tumulti ognor piú mesce, ed occultando i rischi, i rischi accresce. 27 Fra color che mostraro il cor piú franco, Latin, su 'l Tebro nato, allor si mosse, a cui né le fatiche il corpo stanco, né gli anni dome aveano ancor le posse. Cinque suoi figli quasi eguali al fianco gli erano sempre, ovunque in guerra ei fosse, d'arme gravando, anzi il tor tempo molto, le membra ancor crescenti e 'l molle volto. 28 Ed eccitati dal paterno essempio aguzzavano al sangue il ferro e l'ire. Dice egli loro: "Andianne ove quell'empio veggiam ne' fuggitivi insuperbire, né già ritardi il sanguinoso scempio, ch'ei fa de gli altri, in voi l'usato ardire, però che quello, o figli, è vile onore cui non adorni alcun passato orrore." 29 Cosí feroce leonessa i figli, cui dal collo la coma anco non pende né con gli anni lor sono i feri artigli cresciuti e l'arme de la bocca orrende, mena seco a la preda ed a i perigli, e con l'essempio a incrudelir gli accende nel cacciator che le natie lor selve turba e fuggir fa le men forti belve. 30 Segue il buon genitor l'incauto stuolo de' cinque, e Solimano assale e cinge; e in un sol punto un sol consiglio, e un solo spirito quasi, sei lunghe aste spinge. Ma troppo audace il suo maggior figliuolo l'asta abbandona e con quel fer si stringe, e tenta in van con la pungente spada che sotto il corridor morto gli cada. 31 Ma come a le procelle esposto monte, che percosso da i flutti al mar sovraste, sostien fermo in se stesso i tuoni e l'onte del ciel irato e i venti e l'onde vaste, cosí il fero Soldan l'audace fronte tien salda incontra a i ferri e incontra a l'aste, ed a colui che il suo destrier percote tra i cigli parte il capo e tra le gote. 32 Aramante al fratel che giú ruina porge pietoso il braccio, e lo sostiene. Vana e folle pietà! ch'a la ruina altrui la sua medesma a giunger viene, ché 'l pagan su quel braccio il ferro inchina ed atterra con lui chi lui s'attiene. Caggiono entrambi, e l'un su l'altro langue mescolando i sospiri ultimi e 'l sangue. 33 Quinci egli di Sabin l'asta recisa, onde il fanciullo di lontan l'infesta, gli urta il cavallo addosso e 'l coglie in guisa che giú tremante il batte, indi il calpesta. Dal giovenetto corpo uscí divisa con gran contrasto l'alma, e lasciò mesta l'aure soavi de la vita e i giorni de la tenera età lieti ed adorni. 34 Rimanean vivi ancor Pico e Laurente, onde arricchí un sol parto il genitore: similissima coppia e che sovente esser solea cagion di dolce errore. Ma se lei fe' natura indifferente, differente or la fa l'ostil furore: dura distinzion ch'a l'un divide dal busto il collo, a l'altro il petto incide. 35 Il padre, ah non piú padre! (ahi fera sorte, ch'orbo di tanti figli a un punto il face!), rimira in cinque morti or la sua morte e de la stirpe sua che tutta giace. Né so come vecchiezza abbia sí forte ne l'atroci miserie e sí vivace che spiri e pugni ancor; ma gli atti e i visi non mirò forse de' figliuoli uccisi, 36 e di sí acerbo lutto a gli occhi sui parte l'amiche tenebre celaro. Con tutto ciò nulla sarebbe a lui, senza perder se stesso, il vincer caro. Prodigo del suo sangue, e de l'altrui avidissimamente è fatto avaro; né si conosce ben qual suo desire paia maggior, l'uccidere o 'l morire. 37 Ma grida al suo nemico: "È dunque frale sí questa mano, e in guisa ella si sprezza, che con ogni suo sforzo ancor non vale a provocar in me la tua fierezza?" Tace, e percossa tira aspra e mortale che le piastre e le maglie insieme spezza, e su 'l fianco gli cala e vi fa grande piaga onde il sangue tepido si spande. 38 A quel grido, a quel colpo, in lui converse il barbaro crudel la spada e l'ira. Gli aprí l'usbergo, e pria lo scudo aperse cui sette volte un duro cuoio aggira, e 'l ferro ne le viscere gli immerse. Il misero Latin singhiozza e spira, e con vomito alterno or gli trabocca il sangue per la piaga, or per la bocca. 39 Come ne l'Appennin robusta pianta che sprezzò d'Euro e d'Aquilon la guerra, se turbo inusitato al fin la schianta, gli alberi intorno ruinando atterra, cosí cade egli, e la sua furia è tanta che piú d'un seco tragge a cui s'afferra; e ben d'uom sí feroce è degno fine che faccia ancor morendo alte ruine. 40 Mentre il Soldan sfogando l'odio interno pasce un lungo digiun ne' corpi umani, gli Arabi inanimiti aspro governo anch'essi fanno de' guerrier cristiani: l'inglese Enrico e 'l bavaro Oliferno moiono, o fer Dragutte, a le tue mani; a Gilberto, a Filippo, Ariadeno toglie la vita, i quai nacquer su 'l Reno; 41 Albazàr con la mazza abbatte Ernesto, cade sotto Algazelle Otton di spada. Ma chi narrar potria quel modo o questo di morte, e quanta plebe ignobil cada? Sin da quei primi gridi erasi desto Goffredo, e non istava intanto a bada; già tutto è armato, e già raccolto un grosso drapello ha seco, e già con lor s'è mosso. 42 Egli, che dopo il grido udí il tumulto che par che sempre piú terribil suoni, avisò ben che repentino insulto esser dovea de gli Arabi ladroni; ché già non era al capitano occulto ch'essi intorno scorrean le regioni, benché non istimò che sí fugace vulgo mai fosse d'assalirlo audace. 43 Or mentre egli ne viene, ode repente "Arme! arme!" replicar da l'altro lato, ed in un tempo il cielo orribilmente intonar di barbarico ululato. Questa è Clorinda che del re la gente guida l'assalto, ed have Argante a lato. Al nobil Guelfo, che sostien sua vice, allor si volge il capitano e dice: 44 "Odi qual novo strepito di Marte di verso il colle e la città ne viene; d'uopo là fia che 'l tuo valore e l'arte i primi assalti de' nemici affrene. Vanne tu dunque e là provedi, e parte vuo' che di questi miei teco ne mene; con gli altri io me n'andrò da l'altro canto a sostener l'impeto ostile intanto." 45 Cosí fra lor concluso, ambo gli move per diverso sentiero egual fortuna. Al colle Guelfo, e 'l capitan va dove gli Arabi omai non han contesa alcuna. Ma questi andando acquista forza, e nove genti di passo in passo ognor raguna, tal che già fatto poderoso e grande giunge ove il fero turco il sangue spande. 46 Cosí scendendo dal natio suo monte non empie umile il Po l'angusta sponda, ma sempre piú, quanto è piú lunge al fonte, di nove forze insuperbito abonda; sovra i rotti confini alza la fronte di tauro, e vincitor d'intorno inonda, e con piú corna Adria respinge e pare che guerra porti e non tributo al mare. 47 Goffredo, ove fuggir l'impaurite sue genti vede, accorre e le minaccia: "Qual timor" grida "è questo? ove fuggite? Guardate almen chi sia quel che vi caccia. Vi caccia un vile stuol, che le ferite né ricever né dar sa ne la faccia; e se 'l vedranno incontra sé rivolto, temeran l'arme lor del vostro volto." 48 Punge il destrier, ciò detto, e là si volve ove di Soliman gli incendi ha scorti. Va per mezzo del sangue e de la polve e de' ferri e de' rischi e de le morti; con la spada e con gli urti apre e dissolve le vie piú chiuse e gli ordini piú forti, e sossopra cader fa d'ambo i lati cavalieri e cavalli, arme ed armati. 49 Sovra i confusi monti a salto a salto de la profonda strage oltre camina. L'intrepido Soldan che 'l fero assalto sente venir, no 'l fugge e no 'l declina; ma se gli spinge incontra, e 'l ferro in alto levando per ferir gli s'avicina. Oh quai duo cavalier or la fortuna da gli estremi del mondo in prova aduna! 50 Furor contra virtute or qui combatte d'Asia in un picciol cerchio il grande impero. Chi può dir come gravi e come ratte le spade son? quanto il duello è fero? Passo qui cose orribili che fatte furon, ma le coprí quell'aer nero, d'un chiarissimo sol degne e che tutti siano i mortali a riguardar ridutti. 51 Il popol di Giesú, dietro a tal guida audace or divenuto, oltre si spinge, e de' suoi meglio armati a l'omicida Soldano intorno un denso stuol si stringe. Né la gente fedel piú che l'infida, né piú questa che quella il campo tinge, ma gli uni e gli altri, e vincitori e vinti, egualmente dan morte e sono estinti. 52 Come pari d'ardir, con forza pare quinci Austro in guerra vien, quindi Aquilone, non ei fra lor, non cede il cielo o 'l mare, ma nube a nube e flutto a flutto oppone; cosí né ceder qua, né là piegare si vede l'ostinata aspra tenzone: s'affronta insieme orribilmente urtando scudo a scudo, elmo a elmo e brando a brando. 53 Non meno intanto son feri i litigi da l'altra parte, e i guerrier folti e densi. Mille nuvole e piú d'angeli stigi tutti han pieni de l'aria i campi immensi, e dan forza a i pagani, onde i vestigi non è chi indietro di rivolger pensi; e la face d'inferno Argante infiamma, acceso ancor de la sua propria fiamma. 54 Egli ancor dal suo lato in fuga mosse le guardie, e ne' ripari entrò d'un salto; di lacerate membra empié le fosse, appianò il calle, agevolò l'assalto, sí che gli altri il seguiro e fèr poi rosse le prime tende di sanguigno smalto. E seco a par Clorinda o dietro poco se 'n gio, sdegnosa del secondo loco. 55 E già fuggiano i Franchi allor che quivi giunse Guelfo opportuno e 'l suo drapello, e volger fe' la fronte a i fuggitivi e sostenne il furor del popol fello. Cosí si combatteva, e 'l sangue in rivi correa egualmente in questo lato e in quello. Gli occhi fra tanto a la battaglia rea dal suo gran seggio il Re del Ciel volgea. 56 Sedea colà dond'Egli e buono e giusto dà legge al tutto e 'l tutto orna e produce sovra i bassi confin del mondo angusto, ove senso o ragion non si conduce; e de l'Eternità nel trono augusto risplendea con tre lumi in una luce. Ha sotto i piedi il Fato e la Natura, ministri umili, e 'l Moto e Chi 'l misura, 57 e 'l Loco e Quella che, qual fumo o polve, la gloria di qua giuso e l'oro e i regni, come piace là su, disperde e volve, né, diva, cura i nostri umani sdegni. Quivi ei cosí nel suo splendor s'involve, che v'abbaglian la vista anco i piú degni: d'intorno ha innumerabili immortali, disegualmente in lor letizia eguali. 58 Al gran concento de' beati carmi lieta risuona la celeste reggia. Chiama Egli a sé Michele, il qual ne l'armi di lucido adamante arde e lampeggia, e dice lui: "Non vedi or come s'armi contra la mia fedel diletta greggia l'empia schiera d'Averno, e insin dal fondo de le sue morti a turbar sorga il mondo? 59 Va', dille tu che lasci omai le cure de la guerra a i guerrier, cui ciò conviene, né il regno de' viventi, né le pure piaggie del ciel conturbi ed avenene. Torni a le notti d'Acheronte oscure, suo degno albergo, a le sue giuste pene; quivi se stessa e l'anime d'abisso crucii. Cosí commando e cosí ho fisso." 60 Qui tacque, e 'l duce de' guerrieri alati s'inchinò riverente al divin piede; indi spiega al gran volo i vanni aurati, rapido sí ch'anco il pensiero eccede. Passa il foco e la luce, ove i beati hanno lor gloriosa immobil sede, poscia il puro cristallo e 'l cerchio mira che di stelle gemmato incontra gira; 61 quinci, d'opre diversi e di sembianti, da sinistra rotar Saturno e Giove e gli altri, i quali esser non ponno erranti s'angelica virtú gli informa e move; vien poi da' campi lieti e fiammeggianti d'eterno dí là donde tuona e piove, ove se stesso il mondo strugge e pasce, e ne le guerre sue more e rinasce. 62 Venia scotendo con l'eterne piume la caligine densa e i cupi orrori; s'indorava la notte al divin lume che spargea scintillando il volto fuori. Tale il sol ne le nubi ha per costume spiegar dopo la pioggia i bei colori; tal suol, fendendo il liquido sereno, stella cader de la gran madre in seno. 63 Ma giunto ove la schiera empia infernale il furor de' pagani accende e sprona, si ferma in aria in su 'l vigor de l'ale, e vibra l'asta, e lor cosí ragiona: "Pur voi dovreste omai saper con quale folgore orrendo il Re del mondo tuona, o nel disprezzo e ne' tormenti acerbi de l'estrema miseria anco superbi. 64 Fisso è nel Ciel ch'al venerabil segno chini le mura, apra Sion le porte. A che pugnar co 'l fato? a che lo sdegno dunque irritar de la celeste corte? Itene, maledetti, al vostro regno, regno di pene e di perpetua morte; e siano in quegli a voi dovuti chiostri le vostre guerre ed i trionfi vostri. 65 Là incrudelite, là sovra i nocenti tutte adoprate pur le vostre posse fra i gridi eterni e lo stridor de' denti, e 'l suon del ferro e le catene scosse." Disse, e quei ch'egli vide al partir lenti con la lancia fatal pinse e percosse; essi gemendo abbandonàr le belle region de la luce e l'auree stelle, 66 e dispiegàr verso gli abissi il volo ad inasprir ne' rei l'usate doglie. Non passa il mar d'augei sí grande stuolo quando a i soli piú tepidi s'accoglie, né tante vede mai l'autunno al suolo cader co' primi freddi aride foglie. Liberato da lor, quella sí negra faccia depone il mondo e si rallegra. 67 Ma non perciò nel disdegnoso petto d'Argante vien l'ardire o 'l furor manco, benché suo foco in lui non spiri Aletto, né flagello infernal gli sferzi il fianco. Rota il ferro crudel ove è piú stretto e piú calcato insieme il popol franco; miete i vili e i potenti, e i piú sublimi e piú superbi capi adegua a gli imi. 68 Non lontana è Clorinda, e già non meno par che di tronche membra il campo asperga. Caccia la spada a Berlinghier nel seno per mezzo il cor, dove la vita alberga, e quel colpo a trovarlo andò sí pieno che sanguinosa uscí fuor de le terga; poi fère Albin là 've primier s'apprende nostro alimento, e 'l viso a Gallo fende. 69 La destra di Gerniero, onde ferita ella fu già, manda recisa al piano: tratta anco il ferro, e con tremanti dita semiviva nel suol guizza la mano. Coda di serpe è tal, ch'indi partita cerca d'unirsi al suo principio invano. Cosí mal concio la guerriera il lassa, poi si volge ad Achille e 'l ferro abbassa, 70 e tra 'l collo e la nuca il colpo assesta; e tronchi i nervi e 'l gorgozzuol reciso, gío rotando a cader prima la testa, prima bruttò di polve immonda il viso, che giú cadesse il tronco; il tronco resta (miserabile mostro) in sella assiso, ma libero del fren con mille rote calcitrando il destrier da sé lo scote. 71 Mentre cosí l'indomita guerriera le squadre d'Occidente apre e flagella, non fa d'incontra a lei Gildippe altera de' saracini suoi strage men fella. Era il sesso il medesmo, e simil era l'ardimento e 'l valore in questa e in quella. Ma far prova di lor non è lor dato, ch'a nemico maggior le serba il fato. 72 Quinci una e quindi l'altra urta e sospinge, né può la turba aprir calcata e spessa; ma 'l generoso Guelfo allora stringe contra Clorinda il ferro e le s'appressa, e calando un fendente alquanto tinge la fera spada nel bel fianco, ed essa fa d'una punta a lui cruda risposta ch'a ferirlo ne va tra costa e costa. 73 Doppia allor Guelfo il colpo e lei non coglie, ch'a caso passa il palestino Osmida e la piaga non sua sopra sé toglie, la qual vien che la fronte a lui recida. Ma intorno a Guelfo omai molta s'accoglie di quella gente ch'ei conduce e guida; e d'altra parte ancor la turba cresce, sí che la pugna si confonde e mesce. 74 L'aurora intanto il bel purpureo volto già dimostrava dal sovran balcone, e in quei tumulti già s'era disciolto il feroce Argillan di sua prigione; e d'arme incerte il frettoloso avolto, quali il caso gli offerse o triste o buone, già se 'n venia per emendar gli errori novi con novi merti e novi onori. 75 Come destrier che da le regie stalle, ove a l'uso de l'arme si riserba, fugge, e libero al fin per largo calle va tra gli armenti o al fiume usato o a l'erba: scherzan su 'l collo i crini, e su le spalle si scote la cervice alta e superba, suonano i pié nel corso e par ch'avampi, di sonori nitriti empiendo i campi; 76 tal ne viene Argillano: arde il feroce sguardo, ha la fronte intrepida e sublime; leve è ne' salti e sovra i pié veloce, sí che d'orme la polve a pena imprime, e giunto fra nemici alza la voce pur com'uom che tutto osi e nulla stime: "O vil feccia del mondo, Arabi inetti, ond'è ch'or tanto ardire in voi s'alletti? 77 Non regger voi de gli elmi e de gli scudi sète atti il peso, o 'l petto armarvi e il dorso, ma commettete paventosi e nudi i colpi al vento e la salute al corso. L'opere vostre e i vostri egregi studi notturni son; dà l'ombra a voi soccorso. Or ch'ella fugge, chi fia vostro schermo? D'arme è ben d'uopo e di valor piú fermo." 78 Cosí parlando ancor diè per la gola ad Algazèl di sí crudel percossa che gli secò le fauci, e la parola troncò ch'a la risposta era già mossa. A quel meschin súbito orror invola il lume, e scorre un duro gel per l'ossa: cade, e co' denti l'odiosa terra pieno di rabbia in su 'l morire afferra. 79 Quinci per vari casi e Saladino ed Agricalte e Muleasse uccide, e da l'un fianco a l'altro a lor vicino con esso un colpo Aldiazíl divide; trafitto a sommo il petto Ariadino atterra, e con parole aspre il deride. Ei, gli occhi gravi alzando a l'orgogliose parole, in su 'l morir cosí rispose: 80 "Non tu, chiunque sia, di questa morte vincitor lieto avrai gran tempo il vanto; pari destin t'aspetta, e da piú forte destra a giacer mi sarai steso a canto." Rise egli amaramente e: "Di mia sorte curi il Ciel," disse "or tu qui mori intanto d'augei pasto e di cani"; indi lui preme co 'l piede, e ne trae l'alma e 'l ferro insieme. 81 Un paggio del Soldan misto era in quella turba di sagittari e lanciatori, a cui non anco la stagion novella il bel mento spargea de' primi fiori. Paion perle e rugiade in su la bella guancia irrigando i tepidi sudori, giunge grazia la polve al crine incolto e sdegnoso rigor dolce è in quel volto. 82 Sotto ha un destrier che di candore agguaglia pur or ne l'Apennin caduta neve; turbo o fiamma non è che roti o saglia rapido sí come è quel pronto e leve. Vibra ei, presa nel mezzo, una zagaglia, la spada al fianco tien ritorta e breve, e con barbara pompa in un lavoro di porpora risplende intesta e d'oro. 83 Mentre il fanciullo, a cui novel piacere di gloria il petto giovenil lusinga, di qua turba e di là tutte le schiere, e lui non è chi tanto o quanto stringa, cauto osserva Argillan tra le leggiere sue rote il tempo in che l'asta sospinga; e, colto il punto, il suo destrier di furto gli uccide e sovra gli è, ch'a pena è surto, 84 ed al supplice volto, il qual in vano con l'arme di pietà fea sue difese, drizzò, crudel!, l'inessorabil mano, e di natura il piú bel pregio offese. Senso aver parve e fu de l'uom piú umano il ferro, che si volse e piatto scese. Ma che pro, se doppiando il colpo fero di punta colse ove egli errò primiero? 85 Soliman, che di là non molto lunge da Goffredo in battaglia è trattenuto, lascia la zuffa, e 'l destrier volve e punge tosto che 'l rischio ha del garzon veduto; e i chiusi passi apre co 'l ferro, e giunge a la vendetta sí, non a l'aiuto, perché vede, ahi dolor!, giacerne ucciso il suo Lesbin, quasi bel fior succiso. 86 E in atto sí gentil languir tremanti gli occhi e cader su 'l tergo il collo mira; cosí vago è il pallore, e da' sembianti di morte una pietà sí dolce spira, ch'ammollí il cor che fu dur marmo inanti, e il pianto scaturí di mezzo a l'ira. Tu piangi, Soliman? tu, che destrutto mirasti il regno tuo co 'l ciglio asciutto? 87 Ma come vede il ferro ostil che molle fuma del sangue ancor del giovenetto, la pietà cede, e l'ira avampa e bolle, e le lagrime sue stagna nel petto. Corre sovra Argillano e 'l ferro estolle, parte lo scudo opposto, indi l'elmetto, indi il capo e la gola; e de lo sdegno di Soliman ben quel gran colpo è degno. 88 Né di ciò ben contento, al corpo morto smontato del destriero anco fa guerra, quasi mastin che 'l sasso, ond'a lui porto fu duro colpo, infellonito afferra. Oh d'immenso dolor vano conforto incrudelir ne l'insensibil terra! Ma fra tanto de' Franchi il capitano non spendea l'ire e le percosse invano. 89 Mille Turchi avea qui che di loriche e d'elmetti e di scudi eran coperti, indomiti di corpo a le fatiche, di spirto audaci e in tutti i casi esperti; e furon già de le milizie antiche di Solimano, e seco ne' deserti seguír d'Arabia i suoi errori infelici, ne le fortune averse ancora amici. 90 Questi ristretti insieme in ordin folto poco cedeano o nulla al valor franco. In questi urtò Goffredo, e ferí il volto al fier Corcutte ed a Rosteno il fianco, a Selin da le spalle il capo ha sciolto, troncò a Rossano il destro braccio e 'l manco; né già soli costor, ma in altre guise molti piagò di loro e molti uccise. 91 Mentre ei cosí la gente saracina percote, e lor percosse anco sostiene, e in nulla parte al precipizio inchina la fortuna de' barbari e la spene, nova nube di polve ecco vicina che folgori di guerra in grembo tiene, ecco d'arme improvise uscirne un lampo che sbigottí de gli infedeli il campo. 92 Son cinquanta guerrier che 'n puro argento spiegan la trionfal purpurea Croce. Non io, se cento bocche e lingue cento avessi, e ferrea lena e ferrea voce, narrar potrei quel numero che spento ne' primi assalti ha quel drapel feroce. Cade l'Arabo imbelle, e 'l Turco invitto resistendo e pugnando anco è trafitto. 93 L'orror, la crudeltà, la tema, il lutto, van d'intorno scorrendo, e in varia imago vincitrice la Morte errar per tutto vedresti ed ondeggiar di sangue un lago. Già con parte de' suoi s'era condutto fuor d'una porta il re, quasi presago di fortunoso evento; e quindi d'alto mirava il pian soggetto e 'l dubbio assalto. 94 Ma come prima egli ha veduto in piega l'essercito maggior, suona a raccolta, e con messi iterati instando prega ed Argante e Clorinda a dar di volta. La fera coppia d'esseguir ciò nega, ebra di sangue e cieca d'ira e stolta; pur cede al fine, e unite almen raccòrre tenta le turbe e freno a i passi imporre. 95 Ma chi dà legge al vulgo ed ammaestra la viltade e 'l timor? La fuga è presa. Altri gitta lo scudo, altri la destra disarma; impaccio è il ferro, e non difesa. Valle è tra il piano e la città, ch'alpestra da l'occidente al mezzogiorno è stesa; qui fuggon essi, e si rivolge oscura caligine di polve invèr le mura. 96 Mentre ne van precipitosi al chino, strage d'essi i cristiani orribil fanno; ma poscia che salendo omai vicino l'aiuto avean del barbaro tiranno, non vuol Guelfo d'alpestro erto camino con tanto suo svantaggio esporsi al danno. Ferma le genti; e 'l re le sue riserra, non poco avanzo d'infelice guerra. 97 Fatto intanto ha il Soldan ciò che è concesso fare a terrena forza, or piú non pote; tutto è sangue e sudore, e un grave e spesso anelar gli ange il petto e i fianchi scote. Langue sotto lo scudo il braccio oppresso, gira la destra il ferro in pigre rote: spezza, e non taglia; e divenendo ottuso perduto il brando omai di brando ha l'uso. 98 Come sentissi tal, ristette in atto d'uom che fra due sia dubbio, e in sé discorre se morir debba, e di sí illustre fatto con le sue mani altrui la gloria tòrre, o pur, sopravanzando al suo disfatto campo, la vita in securezza porre. "Vinca" al fin disse "il fato, e questa mia fuga il trofeo di sua vittoria sia. 99 Veggia il nemico le mie spalle, e scherna di novo ancora il nostro essiglio indegno, pur che di novo armato indi mi scerna turbar sua pace e 'l non mai stabil regno. Non cedo io, no; fia con memoria eterna de le mie offese eterno anco il mio sdegno. Risorgerò nemico ognor piú crudo, cenere anco sepolto e spirto ignudo."
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