Gerusalemme liberata, canti 10-11-12
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
canto DECIMO
1 Cosí dicendo ancor vicino scorse un destrier ch'a lui volse errante il passo; tosto al libero fren la mano ei porse e su vi salse, ancorch'afflitto e lasso. Già caduto è il cimier ch'orribil sorse, fasciando l'elmo inonorato e basso; rotta è la sopravesta, e di superba pompa regal vestigio alcun non serba. 2 Come dal chiuso ovil cacciato viene lupo talor che fugge e si nasconde, che, se ben del gran ventre omai ripiene ha l'ingorde voragini profonde, avido pur di sangue anco fuor tiene la lingua e 'l sugge da le labra immonde, tale ei se 'n gía dopo il sanguigno strazio, de la sua cupa fame anco non sazio. 3 E come è sua ventura, a le sonanti quadrella, ond'a lui intorno un nembo vola, a tante spade, a tante lancie, a tanti instrumenti di morte alfin s'invola, e sconosciuto pur camina inanti per quella via ch'è piú deserta e sola; e rivolgendo in sé quel che far deggia, in gran tempesta di pensieri ondeggia. 4 Disponsi alfin di girne ove raguna oste sí poderosa il re d'Egitto, e giunger seco l'arme, e la fortuna ritentar anco di novel conflitto. Ciò prefisso tra sé, dimora alcuna non pone in mezzo e prende il camin dritto, ché sa le vie, né d'uopo ha di chi il guidi di Gaza antica a gli arenosi lidi. 5 Né perché senta inacerbir le doglie de le sue piaghe, e grave il corpo ed egro, vien però che si posi e l'arme spoglie, ma travagliando il dí ne passa integro. Poi quando l'ombra oscura al mondo toglie i vari aspetti e i color tinge in negro, smonta e fascia le piaghe, e come pote meglio, d'un'alta palma i frutti scote; 6 e cibato di lor, su 'l terren nudo cerca adagiare il travagliato fianco, e la testa appoggiando al duro scudo quetar i moti del pensier suo stanco. Ma d'ora in ora a lui si fa piú crudo sentire il duol de le ferite, ed anco roso gli è il petto e lacerato il core da gli interni avoltoi, sdegno e dolore. 7 Alfin, quando già tutto intorno chete ne la piú alta notte eran le cose, vinto egli pur da la stanchezza, in Lete sopí le cure sue gravi e noiose, e in una breve e languida quiete l'afllitte membra e gli occhi egri compose; e mentre ancor dormia, voce severa gli intonò su l'orecchie in tal maniera: 8 "Soliman, Solimano, i tuoi sí lenti riposi a miglior tempo omai riserva, ché sotto il giogo di straniere genti la patria ove regnasti ancor è serva. In questa terra dormi, e non rammenti ch'insepolte de' tuoi l'ossa conserva? ove sí gran vestigio è del tuo scorno, tu neghittoso aspetti il novo giorno?" 9 Desto il Soldan alza lo sguardo, e vede uom che d'età gravissima a i sembianti co 'l ritorto baston del vecchio piede ferma e dirizza le vestigia erranti. "E chi sei tu," sdegnoso a lui richiede "che fantasma importuno a i viandanti rompi i brevi lor sonni? e che s'aspetta a te la mia vergngna o la vendetta?" 10 "Io mi son un" risponde il vecchio "al quale in parte è noto il tuo novel disegno, e sí come uomo a cui di te piú cale che tu forse non pensi, a te ne vegno; né il mordace parlare indarno è tale, perché de la virtú cote è lo sdegno. Prendi in grado, signor, che 'l mio sermone al tuo pronto valor sia sferza e sprone. 11 Or perché, s'io m'appongo, esser dée vòlto al gran re de l'Egitto il tuo camino, che inutilmente aspro viaggio tolto avrai, s'inanzi segui, io m'indovino; ché, se ben tu non vai, fia tosto accolto e tosto mosso il campo saracino, né loco è là dove s'impieghi e mostri la tua virtú contra i nemici nostri. 12 Ma se 'n duce me prendi, entro quel muro, che da l'arme latine è intorno astretto, nel piú chiaro del dí pórti securo, senza che spada impugni, io ti prometto. Quivi con l'arme e co' disagi un duro contrasto aver ti fia gloria e diletto; difenderai la terra insin che giugna l'oste d'Egitto a rinovar la pugna." 13 Mentre ei ragiona ancor, gli occhi e la voce de l'uomo antico il fero turco ammira, e dal volto e da l'animo feroce tutto depone omai l'orgoglio e l'ira. "Padre," risponde "io già pronto e veloce sono a seguirti: ove tu vuoi mi gira. A me sempre miglior parrà il consiglio ove ha piú di fatica e di periglio." 14 Loda il vecchio i suoi detti; e perché l'aura notturna avea le piaghe incrudelite, un suo licor v'instilla, onde ristaura le forze e salda il sangue e le ferite. Quinci veggendo omai ch'Apollo inaura le rose che l'aurora ha colorite: "Tempo è" disse "al partir, ché già ne scopre le strade il sol ch'altrui richiama a l'opre." 15 E sovra un carro suo, che non lontano quinci attendea, co 'l fer niceno ei siede; le briglie allenta, e con maestra mano ambo i corsieri alternamente fiede. Quei vanno sí che 'l polveroso piano non ritien de la rota orma o del piede; fumar li vedi ed anelar nel corso, e tutto biancheggiar di spuma il morso. 16 Maraviglie dirò: s'aduna e stringe l'aer d'intorno in nuvolo raccolto, sí che 'l gran carro ne ricopre e cinge, ma non appar la nube o poco o molto, né sasso, che mural machina spinge, penetraria per lo suo chiuso e folto; ben veder ponno i duo dal curvo seno la nebbia intorno e fuori il ciel sereno. 17 Stupido il cavalier le ciglia inarca, ed increspa la fronte, e mira fiso la nube e 'l carro ch'ogni intoppo varca veloce sí che di volar gli è aviso. L'altro, che di stupor l'anima carca gli scorge a l'atto de l'immobil viso, gli rompe quel silenzio e lui rappella, ond'ei si scote e poi cosí favella: 18 "O chiunque tu sia, che fuor d'ogni uso pieghi natura ad opre altere e strane, e spiando i secreti, entro al piú chiuso spazii a tua voglia de le menti umane, s'arrivi co 'l saper, ch'è d'alto infuso, a le cose remote anco e lontane, deh! dimmi qual riposo o qual ruina ai gran moti de l'Asia il Ciel destina. 19 Ma pria dimmi il tuo nome, e con qual arte far cose tu sí inusitate soglia, ché se pria lo stupor da me non parte, com'esser può ch'io gli altri detti accoglia?" Sorrise il vecchio, e disse: "In una parte mi sarà leve l'adempir tua voglia. Son detto Ismeno, e i Siri appellan mago me che de l'arti incognite son vago. 20 Ma ch'io scopra il futuro e ch'io dispieghi de l'occulto destin gli eterni annali, troppo è audace desio, troppo alti preghi: non è tanto concesso a noi mortali. Ciascun qua giú le forze e 'l senno impieghi per avanzar fra le sciagure e i mali, ché sovente adivien che 'l saggio e 'l forte fabro a se stesso è di beata sorte. 21 Tu questa destra invitta, a cui fia poco scoter le forze del francese impero, non che munir, non che guardar il loco che strettamente oppugna il popol fero, contra l'arme apparecchia e contra 'l foco: osa, soffri, confida; io bene spero. Ma pur dirò, perché piacer ti debbia, ciò che oscuro vegg'io quasi per nebbia. 22 Veggio o parmi vedere, anzi che lustri molti rivolga il gran pianeta eterno, uom che l'Asia ornerà co' fatti illustri, e del fecondo Egitto avrà il governo. Taccio i pregi de l'ozio e l'arti industri, mille virtú che non ben tutte io scerno; basti sol questo a te, che da lui scosse non pur saranno le cristiane posse, 23 ma insin dal fondo suo l'imperio ingiusto svelto sarà ne l'ultime contese, e le afflitte reliquie entro uno angusto giro sospinte e sol dal mar difese. Questi fia del tuo sangue." E qui il vetusto mago si tacque, e quegli a dir riprese: "O lui felice, eletto a tanta lode!" e parte ne l'invidia e parte gode. 24 Soggiunse poi: "Girisi pur Fortuna o buona o rea, come è là su prescritto, ché non ha sovra me ragione alcuna e non mi vedrà mai se non invitto. Prima dal corso distornar la luna e le stelle potrà, che dal diritto torcere un sol mio passo." E in questo dire sfavillò tutto di focoso ardire. 25 Cosí gír ragionando insin che furo là 've presso vedean le tende alzarse. Che spettacolo fu crudele e duro! E in quante forme ivi la morte apparse! Si fe' ne gli occhl allor torbido e scuro, e di doglia il Soldano il volto sparse. Ahi con quanto dispregio ivi le degne mirò giacer sue già temute insegne! 26 E scorrer lieti i Franchi, e i petti e i volti spesso calcar de' suoi piú noti amici, e con fasto superbo a gli insepolti l'arme spogliare e gli abiti infelici; molti onorare in lunga pompa accolti gli amati corpi de gli estremi uffici, altri suppor le fiamme, e 'l vulgo misto d'Arabi e Turchi a un foco arder ha visto. 27 Sospirò dal profondo, e 'l ferro trasse e dal carro lanciossi e correr volle, ma il vecchio incantatore a sé il ritrasse sgridando, e raffrenò l'impeto folle; e fatto che di novo ei rimontasse, drizzò il suo corso al piú sublime colle. Cosí alquanto n'andaro, insin ch'a tergo lasciàr de' Franchi il militare albergo. 28 Smontaro allor del carro, e quel repente sparve; e presono a piedi insieme il calle ne la solita nube occultamente discendendo a sinistra in una valle, sin che giunsero là dove al ponente l'alto monte Siòn volge le spalle. Quivi si ferma il mago e poi s'accosta quasi mirando, a la scoscesa costa. 29 Cava grotta s'apria nel duro sasso, di lunghissimi tempi avanti fatta; ma disusando, or riturato il passo era tra i pruni e l'erbe ove s'appiatta. Sgombra il mago gli intoppi, e curvo e basso per l'angusto sentiero a gir s'adatta, e l'una man precede e il varco tenta, l'altra per guida al principe appresenta. 30 Dice allora il Soldan: "Qual via furtiva è questa tua, dove convien ch'io vada? Altra forse miglior io me n'apriva, se 'l concedevi tu, con la mia spada." "Non sdegnar," gli risponde "anima schiva, premer co 'l forte piè la buia strada, ché già solea calcarla il grande Erode, quel c'ha ne l'arme ancor sí chiara lode. 31 Cavò questa spelonca allor che porre volse freno a i soggetti il re ch'io dico, e per essa potea da quella torre, ch'egli Antonia appellò dal chiaro amico, invisibile a tutti il piè raccòrre dentro la soglia del gran tempio antico, e quindi occulto uscir de la cittate e trarne genti ed introdur celate. 32 Ma nota è questa via solinga e bruna or solo a me de gli uomini viventi. Per questa andremo al loco ove raguna i piú saggi a conciglio e i piú potenti il re ch'al minacciar de la fortuna, piú forse che non dée, par che paventi. Ben tu giungi a grand'uopo: ascolta e taci, poi movi a tempo le parole audaci." 33 Cosí gli disse, e 'l cavaliero allotta co 'l gran corpo ingombrò l'umil caverna, e per le vie dove mai sempre annotta seguí colui che 'l suo camin governa. Chini pria se n'andàr, ma quella grotta piú si dilata quanto piú s'interna, sí ch'asceser con agio e tosto furo a mezzo quasi di quell'antro oscuro. 34 Apriva allora un picciol uscio Ismeno, e se ne gian per disusata scala a cui luce mal certo e mal sereno l'aer che giú d'alto spiraglio cala. In sotterraneo chiostro al fin venieno, e salian quindi in chiara e nobil sala. Qui con lo scettro e co 'l diadema in testa mesto sedeasi il re fra gente mesta. 35 Da la concava nube il turco fero non veduto rimira e spia d'intorno, e ode il re fra tanto, il qual primiero incomincia cosí dal seggio adorno: "Veramente, o miei fidi, al nostro impero fu il trapassato assai dannoso giorno; e caduti d'altissima speranza, sol l'aiuto d'Egitto omai n'avanza. 36 Ma ben vedete voi quanto la speme lontana sia da sí vicin periglio. Dunque voi tutti ho qui raccolti insieme perch'ognun porti in mezzo il suo consiglio." Qui tace, e quasi in bosco aura che freme suona d'intorno un picciolo bisbiglio. Ma con la faccia baldanzosa e lieta sorgendo Argante il mormorare accheta. 37 "O magnanimo re," fu la risposta del cavaliero indomito e feroce "perché ci tenti? e cosa a nullo ascosta chiedi, ch'uopo non ha di nostra voce? Pur dirò: sia la speme in noi sol posta; e s'egli è ver che nulla a virtú noce, di questa armiamci, a lei chiediamo aita, né piú ch'ella si voglia amiam la vita. 38 Né parlo io già cosí perch'io dispere de l'aiuto certissimo d'Egitto, ché dubitar, se le promesse vere fian del mio re, non lece e non è dritto; ma il dico sol perché desio vedere in alcuni di noi spirto piú invitto, ch'egualmente apprestato ad ogni sorte si prometta vittoria e sprezzi morte." 39 Tanto sol disse il generoso Argante quasi uom che parli di non dubbia cosa. Poi sorse in autorevole sembiante Orcano, uom d'alta nobiltà famosa, e già ne l'arme d'alcun pregio inante; ma or congiunto a giovanetta sposa, e lieto omai di figli, era invilito ne gli affetti di padre e di marito. 40 Disse questi: "O signor, già non accuso il fervor di magnifiche parole, quando nasce d'ardir che star rinchiuso tra i confini del cor non può né vòle; però se 'l buon circasso a te per uso troppo in vero parlar fervido sòle, ciò si conceda a lui che poi ne l'opre il medesmo fervor non meno scopre. 41 Ma si conviene a te, cui fatto il corso de le cose e de' tempi han sí prudente, impor colà de' tuoi consigli il morso dove costui se ne trascorre ardente, librar la speme del lontan soccorso co 'l periglio vicino, anzi presente, e con l'arme e con l'impeto nemico i tuoi novi ripari e 'l muro antico. 42 Noi (se lece a me dir quel ch'io ne sento) siamo in forte città di sito e d'arte, ma di machine grande e violento apparato si fa da l'altra parte. Quel che sarà, non so; spero e pavento i giudizi incertissimi di Marte, e temo che s'a noi piú fia ristretto l'assedio, al fin di cibo avrem difetto. 43 Però che quegli armenti e quelle biade ch'ieri tu ricettasti entro le mura, mentre nel campo a insanguinar le spade s'attendea solo, e fu alta ventura, picciol esca a gran fame, ampia cittade nutrir mal ponno se l'assedio dura; e forza è pur che duri, ancor che vegna l'oste d'Egitto il dí ch'ella disegna. 44 Ma che fia, se piú tarda? Or sú, concedo che tua speme prevegna e sue promesse; la vittoria però, però non vedo liberate, o signor, le mura oppresse. Combattremo, o buon re, con quel Goffredo e con que' duci e con le genti istesse che tante volte han già rotti e dispersi gli Arabi, i Turchi, i Soriani e i Persi. 45 E quali sian, tu 'l sai, che lor cedesti sí spesso il campo, o valoroso Argante, e sí spesso le spalle anco volgesti fidando assai ne le veloci piante; e 'l sa Clorinda teco ed io con questi ch'un piú de l'altro non convien si vante. Né incolpo alcuno io già, ché vi fu mostro quanto potea maggiore il valor nostro. 46 E dirò pur (benché costui di morte bieco minacci e 'l vero udir si sdegni): veggio portar da inevitabil sorte il nemico fatale a certi segni, né gente potrà mai, né muro forte impedirlo cosí ch'al fin non regni; ciò mi fa dir (sia testimonio il Cielo) del signor, de la patria, amore e zelo. 47 Oh saggio il re di Tripoli, che pace seppe impetrar da i Franchi e regno insieme! Ma il Soldano ostinato o morto or giace, or pur servil catena il piè gli preme, o ne l'essiglio timido e fugace si va serbando a le miserie estreme; e pur, cedendo parte, avria potuto parte salvar co' doni e co 'l tributo." 48 Cosí diceva, e s'avolgea costui con giro di parole obliquo e incerto, ch'a chieder pace, a farsi uom ligio altrui già non ardia di consigliarlo aperto. Ma sdegnoso il Soldano i detti sui non potea omai piú sostener coperto, quando il mago gli disse: "Or vuoi tu darli agio, signor, ch'in tal materia parli?" 49 "Io per me" gli risponde "or qui mi celo contra mio grado, e d'ira ardo e di scorno." Ciò disse a pena, e immantinente il velo de la nube, che stesa è lor d'intorno, si fende e purga ne l'aperto cielo, ed ei riman nel luminoso giorno, e magnanimamente in fero viso rifulge in mezzo, e lor parla improviso: 50 "Io, di cui si ragiona, or son presente, non fugace e non timido Soldano, ed a costui ch'egli è codardo e mente m'offero di provar con questa mano. Io che sparsi di sangue ampio torrente, che montagne di strage alzai su 'l piano, chiuso nel vallo de' nemici e privo al fin d'ogni compagno, io fuggitivo? 51 Ma se piú questi o s'altri a lui simíle, a la sua patria, a la sua fede infido, motto osa far d'accordo infame e vile, buon re, sia con tua pace, io qui l'uccido. Gli agni e i lupi fian giunti in un ovile e le colombe e i serpi in un sol nido, prima che mai di non discorde voglia noi co' Francesi alcuna terra accoglia." 52 Tien su la spada, mentre ei sí favella, la fera destra in minaccievol atto. Riman ciascuno a quel parlar, a quella orribil faccia, muto e stupefatto. Poscia con vista men turbata e fella cortesemente inverso il re s'è tratto: "Spera," gli dice "alto signor, ch'io reco non poco aiuto: or Solimano è teco." 53 Aladin, ch'a lui contra era già sorto, risponde: "Oh come lieto or qui ti veggio, diletto amico! Or del mio stuol ch'è morto non sento il danno; assai temea di peggio. Tu lo mio stabilire e in tempo corto puoi ridrizzar il tuo caduto seggio, se 'l Ciel no 'l vieta." Indi le braccia al collo, cosí detto, gli stese e circondollo. 54 Finita l'accoglienza, il re concede il suo medesmo soglio al gran niceno. Egli poscia a sinistra in nobil sede si pone, ed al suo fianco alluoga Ismeno, e mentre seco parla ed a lui chiede di lor venuta, ed ei risponde a pieno, l'alta donzella ad onorar in pria vien Solimano; ogn'altro indi seguia. 55 Seguí fra gl'altri Ormusse, il qual la schiera di quegli Arabi suoi a guidar tolse; e mentre la battaglia ardea piú fera, per disusate vie cosí s'avolse ch'aiutando il silenzio e l'aria nera lei salva al fin nella città raccolse, e con le biade e con rapiti armenti aita porse a l'affamate genti. 56 Sol con la faccia torva e disdegnosa tacito si rimase il fer circasso, a guisa di leon quando si posa, girando gli occhi e non movendo il passo. Ma nel Soldan feroce alzar non osa Orcano il volto, e 'l tien pensoso e basso. Cosí a conciglio il palestin tiranno e 'l re de' Turchi e i cavalier qui stanno. 57 Ma il pio Goffredo la vittoria e i vinti avea seguiti, e libere le vie, e fatto intanto a i suoi guerrieri estinti l'ultimo onor di sacre essequie e pie; ed ora a gli altri impon che siano accinti a dar l'assalto nel secondo die, e con maggiore e piú terribil faccia di guerra i chiusi barbari minaccia. 58 E perché conosciuto avea il drapello, ch'aiutò lui contra la gente infida, esser de' suoi piú cari ed esser quello che già seguí l'insidiosa guida, e Tancredi con lor, che nel castello prigion restò de la fallace Armida, ne la presenza sol de l'Eremita e d'alcuni piú saggi a sé gli invita; 59 e dice lor: "Prego ch'alcun racconti de' vostri brevi errori il dubbio corso, e come poscia vi trovaste pronti in sí grand'uopo a dar sí gran soccorso." Vergognando tenean basse le fronti, ch'era al cor picciol fallo amaro morso. Al fin del re britanno il chiaro figlio ruppe il silenzio, e disse alzando il ciglio: 60 "Partimmo noi che fuor de l'urna a sorte tratti non fummo, ognun per sé nascoso, d'Amor, no 'l nego, le fallaci scorte seguendo e d'un bel volto insidioso. Per vie ne trasse disusate e torte fra noi discordi, e in sé ciascun geloso. Nutrian gli amori e i nostri sdegni (ah! tardi troppo il conosco) or parolette, or guardi. 61 Al fin giungemmo al loco ove già scese fiamma dal cielo in dilatate falde, e di natura vendicò l'offese sovra le genti in mal oprar sí salde. Fu già terra feconda, almo paese, or acque son bituminose e calde e steril lago; e quanto ei torpe e gira, compressa è l'aria e grave il puzzo spira. 62 Questo è lo stagno in cui nulla di greve si getta mai che giunga insino al basso, ma in guisa pur d'abete o d'orno leve l'uom vi sornuota e 'l duro ferro e 'l sasso. Siede in esso un castello, e stretto e breve ponte concede a' peregrini il passo. Ivi n'accolse, e non so con qual arte vaga è là dentro e ride ogni sua parte. 63 V'è l'aura molle e 'l ciel sereno e lieti gli alberi e i prati e pure e dolci l'onde, ove fra gli amenissimi mirteti sorge una fonte e un fiumicel diffonde: piovono in grembo a l 'erbe i sonni queti con un soave mormorio di fronde, cantan gli augelli: i marmi io taccio e l'oro meravigliosi d'arte e di lavoro. 64 Apprestar su l'erbetta, ov'è piú densa l'ombra e vicino al suon de l'acque chiare, fece di sculti vasi altera mensa e ricca di vivande elette e care. Era qui ciò ch'ogni stagion dispensa, ciò che dona la terra o manda il mare, ciò che l'arte condisce; e cento belle servivano al convito accorte ancelle. 65 Ella d'un parlar dolce e d'un bel riso temprava altrui cibo mortale e rio. Or mentre ancor ciascuno a mensa assiso beve con lungo incendio un lungo oblio, sorse e disse: `Or qui riedo.' E con un viso ritornò poi non sí tranquillo e pio. Con una man picciola verga scote, tien l'altra un libro, e legge in basse note. 66 Legge la maga, ed io pensiero e voglia sento mutar, mutar vita ed albergo. (Strana virtú) novo pensier m'invoglia: salto ne l'acqua, e mi vi tuffo e immergo. Non so come ogni gamba entro s'accoglia, come l'un braccio e l'altro entri nel tergo, m'accorcio e stringo, e su la pelle cresce squamoso il cuoio; e d'uom son fatto un pesce. 67 Cosí ciascun de gli altri anco fu vòlto e guizzò meco in quel vivace argento. Quale allor mi foss'io, come di stolto vano e torbido sogno, or me 'n rammento. Piacquele al fin tornarci il proprio volto; ma tra la meraviglia e lo spavento muti eravam, quando turbata in vista in tal guisa ne parla e ne contrista: 68 `Ecco, a voi noto è il mio poter' ne dice `e quanto sopra voi l'imperio ho pieno. Pende dal mio voler ch'altri infelice perda in prigione eterna il ciel sereno, altri divenga augello, altri radice faccia e germogli nel terrestre seno, o che s'induri in scelce, o in molle fonte si liquefaccia, o vesta irsuta fronte. 69 Ben potete schivar l'aspro mio sdegno, quando servire al mio piacer v'aggrade: farvi pagani, e per lo nostro regno contra l'empio Buglion mover le spade.' Ricusàr tutti ed aborrír l'indegno patto; solo a Rambaldo il persuade. Noi (ché non val difesa) entro una buca di lacci avolse ove non è che luca. 70 Poi nel castello istesso a sorte venne Tancredi, ed egli ancor fu prigioniero. Ma poco tempo in carcere ci tenne la falsa maga; e (s'io n'intesi il vero) di seco trarne da quell'empia ottenne del signor di Damasco un messaggiero, ch'al re d'Egitto in don fra cento armati ne conduceva inermi e incatenati. 71 Cosí ce n'andavamo; e come l'alta providenza del Cielo ordina e move, il buon Rinaldo, il qual piú sempre essalta la gloria sua con opre eccelse e nove, in noi s'aviene, e i cavalieri assalta nostri custodi e fa l'usate prove: gli uccide e vince, e di quell'arme loro fa noi vestir che nostre in prima foro. 72 Io 'l vidi, e 'l vider questi; e da lui porta ci fu la destra, e fu sua voce udita. Falso è il romor che qui risuona e porta sí rea novella, e salva è la sua vita; ed oggi è il terzo dí che con la scorta d'un peregrin fece da noi partita per girne in Antiochia, e pria depose l'arme che rotte aveva e sanguinose." 73 Cosí parlava, e l'Eremita intanto volgeva al cielo l'una e l'altra luce. Non un color, non serba un volto: oh quanto piú sacro e venerabile or riluce! Pieno di Dio, rapto dal zelo, a canto a l'angeliche menti ei si conduce; gli si svela il futuro, e ne l'eterna serie de gli anni e de l'età s'interna. 74 e la bocca sciogliendo in maggior suono scopre le cose altrui ch'indi verranno. Tutti conversi a le sembianze, al tuono de l'insolita voce attenti stanno. "Vive" dice "Rinaldo, e l'altre sono arti e bugie di femminile inganno. Vive, e la vita giovanetta acerba a piú mature glorie il Ciel riserba. 75 Presagi sono e fanciulleschi affanni questi ond'or l'Asia lui conosce e noma. Ecco chiaro vegg'io, correndo gli anni, ch'egli s'oppone a l'empio Augusto e 'l doma e sotto l'ombra de gli argentei vanni l'aquila sua copre la Chiesa e Roma, che de la fèra avrà tolte a gli artigli; e ben di lui nasceran degni i figli. 76 De' figli i figli, e chi verrà da quelli, quinci avran chiari e memorandi essempi; e da' Cesari ingiusti e da' rubelli difenderan le mitre e i sacri tèmpi. Premer gli alteri e sollevar gli imbelli, difender gli innocenti e punir gli empi, fian l'arti lor: cosí verrà che vóle l'aquila estense oltra le vie del sole. 77 E dritto è ben che, se 'l ver mira e 'l lume, ministri a Pietro i folgori mortali. U' per Cristo si pugni, ivi le piume spiegar dée sempre invitte e trionfali, ché ciò per suo nativo alto costume dielle il Cielo e per leggi a lei fatali. Onde piace là su che in questa degna impresa, onde partí, chiamato vegna." 78 Qui dal soggetto vinto il saggio Piero stupido tace, e 'l cor ne l'alma faccia troppo gran cose de l'estense altero valor ragiona, onde tutto altro spiaccia. Sorge intanto la notte, e 'l velo nero per l'aria spiega e l'ampia terra abbraccia; vansene gli altri e dan le membra al sonno, ma i suoi pensieri in lui dormir non ponno.
canto UNDICESIMO
1 Ma 'l capitan de le cristiane genti, vòlto avendo a l'assalto ogni pensiero, giva apprestando i bellici instrumenti quando a lui venne il solitario Piero; e trattolo in disparte, in tali accenti gli parlò venerabile e severo: "Tu movi, o capitan, l'armi terrene, ma di là non cominci onde conviene. 2 Sia dal Cielo il principio; invoca inanti ne le preghiere pubbliche e devote la milizia de gli angioli e de' santi, che ne impetri vittoria ella che puote. Preceda il clero in sacre vesti, e canti con pietosa armonia supplici note; e da voi, duci gloriosi e magni, pietate il vulgo apprenda e n'accompagni." 3 Cosí gli parla il rigido romito, e 'l buon Goffredo il saggio aviso approva: "Servo" risponde "di Giesú gradito, il tuo consiglio di seguir mi giova. Or mentre i duci a venir meco invito, tu i Pastori de' popoli ritrova, Guglielmo ed Ademaro, e vostra sia la cura de la pompa sacra e pia." 4 Nel seguente mattino il vecchio accoglie co' duo gran sacerdoti altri minori, ov'entro al vallo tra sacrate soglie soleansi celebrar divini onori. Quivi gli altri vestír candide spoglie,, vestír dorato ammanto i duo Pastori che bipartito sovra i bianchi lini s'affibbia al petto, e incoronaro i crini. 5 Va Piero solo inanzi e spiega al vento il segno riverito in Paradiso, e segue il coro a passo grave e lento in duo lunghissimi ordini diviso. Alternando facean doppio concento in supplichevol canto e in umil viso, e chiudendo le schiere ivano a paro i principi Guglielmo ed Ademaro. 6 Venia poscia il Buglion, pur come è l'uso di capitan senza compagno a lato; seguiano a coppia i duci, e non confuso seguiva il campo in lor difesa armato. Sí procedendo se n'uscia del chiuso de le trinciere il popolo adunato, né s'udian trombe o suoni altri feroci ma di pietate e d'umiltà sol voci. 7 Te Genitor, te Figlio eguale al Padre, e te che d'ambo uniti amando spiri, e te d'Uomo e di Dio vergine Madre invocano propizia a i lor desiri; o Duci, e voi che le fulgenti squadre del ciel movete in triplicati giri, o Divo, e te che de la diva fronte la monda umanità lavasti al fonte, 8 chiamano; e te che sei pietra e sostegno de la magion di Dio fondato e forte, ove ora il novo successor tuo degno di grazia e di perdono apre le porte, e gli altri messi del celeste regno che divulgàr la vincitrice morte, e quei che 'l vero a confermar seguiro, testimoni di sangue e di martiro; 9 quegli ancor la cui penna o la favella insegnata ha del Ciel la via smarrita, e la cara di Cristo e fida ancella ch'elesse il ben de la piú nobil vita; e le vergini chiuse in casta cella che Dio con alte nozze a sé marita; e quell'altre magnanime a i tormenti, sprezzatrici de' regi e de le genti. 10 Cosí cantando, il popolo devoto con larghi giri si dispiega e stende, e drizza a l'Oliveto il lento moto, monte che da l'olive il nome prende, monte per sacra fama al mondo noto, ch'oriental contra le mura ascende, e sol da quelle il parte e ne 'l discosta la cupa Giosafà ch'in mezzo è posta. 11 Colà s'invia l'essercito canoro, e ne suonan le valli ime e profonde e gli alti colli e le spelonche loro, e da ben mille parti Ecco risponde, e quasi par che boscareccio coro fra quegli antri si celi e in quelle fronde, sí chiaramente replicar s'udia or di Cristo il gran nome, or di Maria, 12 D'in su le mura ad ammirar fra tanto cheti si stanno e attoniti i pagani que' tardi avolgimenti e l'umil canto, e l'insolite pompe e i riti estrani. Poi che cessò de lo spettacol santo la novitate, i miseri profani alzàr le strida; e di bestemmie e d'onte muggí il torrente e la gran valle e 'l monte. 13 Ma da la casta melodia soave la gente di Giesú però non tace, né si volge a que' gridi o cura n'have piú che di stormo avria d'augei loquace; né perché strali aventino, ella pave che giungano a turbar la santa pace di sí lontano, onde a suo fin ben pote condur le sacre incominciate note. 14 Poscia in cima del colle ornan l'altare che di gran cena al sacerdote è mensa, e d'ambo i lati luminosa appare sublime lampa in lucid'oro accensa. Quivi altre spoglie, e pur dorate e care, prende Guglielmo, e pria tacito pensa, indi con chiaro suon la voce spiega, se stesso accusa e Dio ringrazia e prega. 15 Umili intorno ascoltano i primieri, le viste i piú lontani almen v'han fisse. Ma poi che celebrò gli alti misteri del puro sacrificio: "Itene" ei disse; e in fronte alzando a i popoli guerrieri la man sacerdotal, li benedisse. Allor se 'n ritornàr le squadre pie per le dianzi da lor calcate vie. 16 Giunti nel vallo e l'ordine disciolto, si rivolge Goffredo a sua magione, e l'accompagna stuol calcato e folto insino al limitar del padiglione. Quivi gli altri accommiata indietro vòlto, ma ritien seco i duci il pio Buglione, e li raccoglie a mensa, e vuol ch'a fronte di Tolosa gli sieda il vecchio conte. 17 Poi che de' cibi il natural amore fu in lor ripresso e l'importuna sete, disse a i duci il gran duce: "Al novo albore tutti a l'assalto voi pronti sarete: quel fia giorno di guerra e di sudore, questo sia d'apparecchio e di quiete. Dunque ciascun vada al riposo, e poi se medesmo prepari e i guerrier suoi." 18 Tolser essi congedo, e manifesto quinci gli araldi a suon di trombe fèro ch'essere a l'arme apparecchiato e presto dée con la nova luce ogni guerriero. Cosí in parte al ristoro e in parte questo giorno si diede a l'opre ed al pensiero, sin che fe' nova tregua a la fatica la cheta notte, del riposo amica. 19 Ancor dubbia l'aurora ed immaturo ne l'oriente il parto era del giorno, né i terreni fendea l'aratro duro, né fea il pastore a i prati anco ritorno; stava tra i rami ogni augellin securo, e in selva non s'udia latrato o corno, quando a cantar la mattutina tromba comincia: "A l'arme!" " A l'arme!" il ciel rimbomba. 20 "A l'arme! a l'arme! " subito ripiglia il grido universal di cento schiere. Sorge il forte Goffredo e già non piglia la gran corazza usata o le schiniere; ne veste un'altra ed un pedon somiglia in arme speditissime e leggiere; e indosso avea già l'agevol pondo, quando gli sovraggiunse il buon Raimondo. 21 Questi, veggendo armato in cotal modo il capitano, il suo pensier comprese: "Ov'è" gli disse "il grave usbergo e sodo? ov'è, signor, l'altro ferrato arnese? perché sei parte inerme? Io già non lodo che vada con sí debili difese. Or da tai segni in te ben argomento che sei di gloria ad umil mèta intento. 22 Deh! che ricerchi tu? privata palma di salitor di mura? Altri le saglia, ed esponga men degna ed util alma (rischio debito a lui) ne la battaglia; tu riprendi, signor, l'usata salma e di te stesso a nostro pro ti caglia. L'anima tua, mente del campo e vita, cautamente per Dio sia custodita." 23 Qui tace, ed ei risponde: "Or ti sia noto che quando in Chiaramonte il grande Urbano questa spada mi cinse, e me devoto fe' cavalier l'onnipotente mano, tacitamente a Dio promisi in voto non pur l'opera qui di capitano, ma d'impiegarvi ancor, quando che fosse, qual privato guerrier l'arme e le posse. 24 Dunque, poscia che fian contra i nemici tutte le genti mie mosse e disposte, e ch'a pieno adempito avrò gli uffici che son dovuti al principe de l'oste, ben è ragion (né tu, credo, il disdici) ch'a le mura pugnando anch'io m'accoste, e la fede promessa al Cielo osservi: egli mi custodisca e mi conservi." 25 Cosí concluse, e i cavalier francesi seguír l'essempio e i duo minor Buglioni; gli altri principi ancor men gravi arnesi parte vestiro e si mostràr pedoni. Ma i pagani fra tanto erano ascesi là dove a i sette gelidi Trioni si volge e piega a l'occidente il muro, che nel piú facil sito è men securo. 26 Però ch'altronde la città non teme de l'assalto nemico offesa alcuna, quivi non pur l'empio tiranno insieme il forte vulgo e gli assoldati aduna, ma chiama ancora a le fatiche estreme fanciulli e vecchi l'ultima fortuna; e van questi portando a i piú gagliardi calce e zolfo e bitume e sassi e dardi. 27 E di macchine e d'arme han pieno inante tutto quel muro a cui soggiace il piano, e quinci in forma d'orrido gigante da la cintola in su sorge il Soldano, quindi tra' merli il minaccioso Argante torreggia, e discoperto è di lontano, e in su la torre altissima Angolare sovra tutti Clorinda eccelsa appare. 28 A costei la faretra e 'l grave incarco de l'acute quadrella al tergo pende. Ella già ne le mani ha preso l'arco, e già lo stral v'ha su la corda e 'l tende; e desiosa di ferire, al varco la bella arciera i suoi nemici attende. Tal già credean la vergine di Delo tra l'alte nubi saettar dal cielo. 29 Scorre piú sotto il re canuto a piede da l'una a l'altra porta, e 'n su le mura ciò che prima ordinò cauto rivede e i difensor conforta e rassecura; e qui genti rinforza e là provede di maggior copia d'arme, e 'l tutto cura. Ma se ne van l'afflitte madri al tempio a ripregar nume bugiardo ed empio. 30 "Deh! spezza tu del predator francese l'asta, Signor, con la man giusta e forte; e lui, che tanto il tuo gran nome offese, abbatti e spargi sotto l'alte porte." Cosí dicean, né fur le voci intese là giú tra 'l pianto de l'eterna morte. Or mentre la città s'appresta e prega, le genti e l'arme il pio Buglion dispiega. 31 Tragge egli fuor l'essercito pedone con molta providenza e con bell'arte, e contra il muro ch'assalir dispone obliquamente in duo lati il comparte. Le baliste per dritto in mezzo pone e gli altri ordigni orribili di Marte, onde in guisa di fulmini si lancia vèr le merlate cime or sasso, or lancia. 32 E mette in guardia i cavalier de' fanti da tergo, e manda intorno i corridori. Dà il segno poi de la battaglia, e tanti i sagittari sono e i frombatori e l'arme da le machine volanti, che scemano fra i merli i difensori. Altri v'è morto e 'l loco altri abbandona; già men folta del muro è la corona. 33 La gente franca impetuosa e ratta allor quanto piú puote affretta i passi; e parte scudo a scudo insieme adatta, e di quegli un coperchio al capo fassi, e parte sotto machine s'appiatta che fan riparo al grandinar de' sassi; ed arrivando al fosso, il cupo e 'l vano cercano empirne ed adeguarlo al piano. 34 Non era il fosso di palustre limo (ché no 'l consente il loco) o d'acqua molle, onde l'empieno, ancor che largo ed imo, le pietre e i fasci e gli arbori e le zolle. L'audacissimo Alcasto intanto il primo, scopre la testa ed una scala estolle, e no 'l ritien dura gragnuola o pioggia di fervidi bitumi, e su vi poggia. 35 Vedeasi in alto il fier elvezio asceso mezzo l'aereo calle aver fornito, segno a mille saette, e non offeso d'alcuna sí che fermi il corso ardito; quando un sasso ritondo e di gran peso, veloce come di bombarda uscito, ne l'elmo il coglie e il risospinge a basso; e 'l colpo vien dal lanciator circasso. 36 Non è mortal, ma grave il colpo e 'l salto sí ch'ei stordisce, e giace immobil pondo. Argante allor in suon feroce ed alto: "Caduto è il primo, or chi verrà secondo? Ché non uscite a manifesto assalto, appiattati guerrier, s'io non m'ascondo? Non gioveranvi le caverne estrane, ma vi morrete come belve in tane." 37 Cosí dice egli, e per suo dir non cessa la gente occulta, e tra i ripari cavi e sotto gli alti scudi unita e spessa le saette sostiene e i pesi gravi; già gli arieti e la muraglia appressa, machine grandi e smisurate travi, c'han testa di monton ferrata e dura: temon le porte il cozzo, e l'alte mura. 38 Gran mole intanto è di là su rivolta per cento mani al gran bisogno pronte, che sovra la testugine piú folta ruina, e par che vi trabocchi un monte; e de gli scudi l'union disciolta, piú d'un elmo vi frange e d'una fronte, e ne riman la terra sparsa e rossa d'arme, di sangue, di cervella e d'ossa. 39 L'assalitore allor sotto al coperto de le machine sue piú non ripara, ma da i ciechi perigli al rischio aperto fuori se n'esce e sua virtú dichiara. Altri appoggia le scale e va per l'erto, altri percote i fondamenti a gara. Ne crolla il muro, e ruinoso i fianchi già fesso mostra a l'impeto de' Franchi. 40 E ben cadeva a le percosse orrende, che doppia in lui l'espugnator montone, ma sin da' merli il popolo il difende con usata di guerra arte e ragione, ch'ovunque la gran trave in lui si stende cala fasci di lana e li frapone; prende in sé le percosse e fa piú lente la materia arrendevole e cedente. 41 Mentre con tal valor s'erano strette l'audaci schiere e la tenzon murale, curvò Clorinda sette volte, e sette rallentò l'arco e n'aventò lo strale; e quante in giú se ne volàr saette, tante s'insanguinaro il ferro e l'ale, non di sangue plebeo ma del piú degno, ché sprezza quell'altera ignobil segno. 42 Il primo cavalier ch'ella piagasse fu l'erede minor del rege inglese. Da' suoi ripari a pena il capo ei trasse che la mortal percossa in lui discese, e che la destra man non gli trapasse il guanto de l'acciar nulla contese; sí che inabile a l'arme ei si ritira fremendo, e meno di dolor che d'ira. 43 Il buon conte d'Ambuosa in ripa al fosso, e su la scala poi Clotareo il franco: quegli morí trafitto il petto e 'l dosso, questi da l'un passato a l'altro fianco. Sospingeva il monton, quando è percosso al signor de' Fiamminghi il braccio manco, sí che tra via s'allenta, e vuol poi trarne lo strale, e resta il ferro entro la carne. 44 A l'incauto Ademar, ch'era da lunge la fera pugna a riguardar rivolto, la fatal canna arriva e in fronte il punge. Stende ei la destra al loco ove l'ha colto, quando nova saetta ecco sorgiunge sovra la mano e la confige al volto; onde egli cade, e fa del sangue sacro su l'arme feminili ampio lavacro. 45 Ma non lungi da' merli a Palamede, mentre ardito disprezza ogni periglio e su per gli erti gradi indrizza il piede, cala il settimo ferro al destro ciglio, e trapassando per la cava sede e tra i nervi de l'occhio esce vermiglio diretro per la nuca; egli trabocca e more a' piè de l'assalita rocca. 46 Tal saetta costei. Goffredo intanto con novo assalto i difensori opprime. Avea condotto ad una porta a canto de le machine sue la piú sublime. Questa è torre di legno, e s'erge tanto che può del muro pareggiar le cime; torre che grave d'uomini ed armata, mobile è su le rote e vien tirata. 47 Viene aventando la volubil mole lancie e quadrella, e quanto può s'accosta, e come nave in guerra nave suole, tenta d'unirsi a la muraglia opposta; ma chi lei guarda ed impedir ciò vuole, l'urta la fronte e l'una e l'altra costa, la respinge con l'aste e le percote or con le pietre i merli ed or le rote. 48 Tanti di qua, tanti di là fur mossi e sassi e dardi ch'oscuronne il cielo. S'urtàr due nembi in aria, e là tornossi talor respinto, onde partiva, il telo. Come di fronde sono i rami scossi da la pioggia indurata in freddo gelo e ne caggiono i pomi anco immaturi, cosí cadeano i saracin da i muri, 49 però che scende in lor piú greve il danno, che di ferro assai meno eran guerniti. Parte de' vivi ancora in fuga vanno, de la gran mole al fulminar smarriti. Ma quel che già fu di Nicea tiranno vi resta, e fa restarvi i pochi arditi; e 'l fero Argante a contraporsi corre, presa una trave, a la nemica torre, 50 e da sé la respinge e tien lontana quanto l'abete è lungo e 'l braccio forte. Vi scende ancor la vergine sovrana, e de' perigli altrui si fa consorte. I Franchi intanto a la pendente lana le funi recideano e le ritorte con lunghe falci, onde cadendo a terra lasciava il muro disarmato in guerra. 51 Cosí la torre sovra, e piú di sotto l'impetuoso il batte aspro ariete, onde comincia ormai forato e rotto a discoprir le interne vie secrete. Essi non lunge il capitan condotto, al conquassato e tremulo parete, nel suo scudo maggior tutto rinchiuso che rade volte ha di portar in uso. 52 E quivi cauto rimirando spia, e scender vede Solimano a basso e porsi a la difesa ove s'apria tra le ruine il periglioso passo, e rimaner della sublime via Clorinda in guardia e 'l cavalier circasso. Cosí guardava, e già sentiasi il core tutto avampar di generoso ardore. 53 Onde rivolto dice al buon Sigiero, che gli portava un altro scudo e l'arco: "Ora mi porgi, o fedel mio scudiero, cotesto men gravoso e grande incarco, ché tenterò di trapassar primiero su i dirupati sassi il dubbio varco; e tempo è ben che qualche nobil opra de la nostra virtute omai si scopra." 54 Cosí mutato scudo a pena disse, quando a lui venne una saetta a volo, e ne la gamba il colse e la trafisse nel piú nervoso, ove è piú acuto il duolo. Che di tua man, Clorinda, il colpo uscisse, la fama il canta, e tuo l'onor n'è solo; se questo dí servaggio e morte schiva la tua gente pagana, a te s'ascriva. 55 Ma il fortissimo eroe, quasi non senta il mortifero duol de la ferita, dal cominciato corso il piè non lenta, e monta su i dirupi e gli altri invita. Pur s'avede egli poi che no 'l sostenta la gamba, offesa troppo ed impedita, e ch'inaspra agitando ivi l'ambascia, onde sforzato alfin l'assalto lascia. 56 E chiamando il buon Guelfo a sé con mano, a lui parlava: "Io me ne vo constretto: sostien persona tu di capitano e di mia lontananza empi il diffetto. Ma picciol'ora io vi starò lontano: vado e ritorno." E si partia, ciò detto; ed ascendendo in un leggier cavallo, giunger non può che non sia visto al vallo. 57 Al dipartir del capitan, si parte e cede il campo la fortuna franca. Cresce il vigor ne la contraria parte, sorge la speme e gli animi rinfranca; e l'ardimento co 'l favor di Marte ne' cor fedeli e l'impeto già manca: già corre lento ogni lor ferro al sangue, e de le trombe istesse il suono langue. 58 E già tra' merli a comparir non tarda lo stuol fugace che 'l timor caccionne, e mirando la vergine gagliarda, vero amor de la patria arma le donne. Correr le vedi e collocarsi in guarda con chiome sparse e con succinte gonne, e lanciar dardi e non mostrar paura d'esporre il petto per l'amate mura. 59 E quel ch'a i Franchi piú spavento porge, e 'l toglie a i difensor de la cittade, è che 'l possente Guelfo (e se n'accorge questo popol e quel) percosso cade. Tra mille il trova sua fortuna e scòrge d'un sasso il corso per lontane strade; e da sembiante colpo al tempo stesso colto è Raimondo, onde giú cade anch'esso. 60 Ed aspramente allora anco fu punto ne la proda del fosso Eustazio ardito. Né in questo a i Franchi fortunoso punto contra lor da' nemici è colpo uscito (che n'uscír molti) onde non sia disgiunto corpo da l'alma o non sia almen ferito. E in tal prosperità via piú feroce divenendo il circasso, alza la voce: 61 "Non è questa Antiochia, e non è questa la notte amica a le cristiane frodi. Vedete il chiaro sol, la gente desta, altra forma di guerra ed altri modi. Dunque favilla in voi nulla piú resta de l'amor de la preda e de le lodi, che sí tosto cessate e sète stanche per breve assalto, o Franchi no, ma Franche?" 62 Cosí ragiona, e in guisa tal s'accende ne le sue furie il cavaliero audace che quell'ampia città ch'egli difende non gli par campo del suo ardir capace, e si lancia a gran salti ove si fende il muro e la fessura adito face; ed ingombra l'uscita, e grida intanto a Soliman che si vedeva a canto: 63 "Soliman, ecco il loco ed ecco l'ora che del nostro valor giudice fia. Che cessi? o di che temi? or costà fora cerchi il pregio sovran chi piú 'l desia." Cosí gli disse, e l'uno e l'altro allora precipitosamente a prova uscia; l'un da furor, l'altro da onor rapito e stimolato dal feroce invito. 64 Giunsero inaspettati ed improvisi sovra i nemici, e in paragon mostràrsi; e da lor tanti furo uomini uccisi, e scudi ed elmi dissipati e sparsi, e scale tronche ed arieti incisi, che di lor parve quasi un monte farsi, e mescolati a le ruine alzaro, in vece del caduto, alto riparo. 65 La gente che pur dianzi ardí salire al pregio eccelso di mural corona, non ch'or d'entrar ne la cittate aspire, ma sembra a le difese anco mal buona; e cede al nuovo assalto, e in preda a l'ire de' duo guerrier le machine abbandona, ch'ad altra guerra ormai saran mal atte tanto è 'l furor che le percote e batte. 66 L'uno e l'altro pagan, come il trasporta l'impeto suo, già piú e piú trascorre; già 'l foco chiede a i cittadini, e porta duo pini fiammeggianti invèr la torre. Cotali uscir da la tartarea porta sogliono, e sottosopra il mondo porre, le ministre di Pluto empie sorelle, lor ceraste scotendo e lor facelle. 67 Ma l'invitto Tancredi, il qual altrove confortava a l'assalto i suoi latini, tosto che vide l'incredibil prove, e la gemina fiamma e i duo gran pini, tronca in mezzo le voci, e presto move a frenar il furor de' saracini; e tal del suo valor dà segno orrendo che chi vinse e fugò fugge or perdendo. 68 Cosí de la battaglia or qui lo stato co 'l variar de la fortuna è vòlto, e in questo mezzo il capitan piagato ne la gran tenda sua già s'è raccolto co 'l buon Sigier, con Baldovino a lato, de i mesti amici in gran concorso e folto; ei che s'affretta e di tirar s'affanna de la piaga lo stral, rompe la canna, 69 e la via piú vicina e piú spedita a la cura di lui vuol che si prenda, scoprasi ogni latebra a la ferita e largamente si risechi e fenda. "Rimandatemi in guerra, onde fornita non sia co 'l dí prima ch'a lei mi renda." Cosí dice; e premendo il lungo cerro d'una gran lancia, offre la gamba al ferro. 70 E già l'antico Eròtimo, che nacque in riva al Po, s'adopra in sua salute, il qual de l'erbe e de le nobil acque ben conosceva ogni uso, ogni virtute; caro a le Muse ancor, ma si compiacque ne la gloria minor de l'arti mute, sol curò tòrre a morte i corpi frali, e potea far i nomi anco immortali. 71 Stassi appoggiato, e con secura faccia freme immobile al pianto il capitano. Quegli in gonna succinto e da le braccia ripiegato il vestir, leggiero e piano or con l'erbe potenti in van procaccia trarne lo strale, or con la dotta mano; e con la destra il tenta e co 'l tenace ferro il va riprendendo, e nulla face. 72 L'arte sue non seconda ed al disegno par che per nulla via fortuna arrida; e nel piagato eroe giunge a tal segno l'aspro martír che n'è quasi omicida. Or qui l'angiol custode, al duol indegno mosso di lui, colse dittamo in Ida: erba crinita di purpureo fiore c'have in giovani foglie alto valore. 73 E ben mastra natura a le montane capre n'insegna la virtú celata, qualor vengon percosse e lor rimane nel fianco affissa la saetta alata. Ouesta, benché da parti assai lontane, in un momento l'angelo ha recata, e non veduto entro le mediche onde de gli apprestati bagni il succo infonde, 74 e del fonte di Lidia i sacri umori e l'odorata panacea vi mesce. Ne sparge il vecchio la ferita, e fuori volontario per sé lo stral se 'n esce e si ristagna il sangue; e già i dolori fuggono da la gamba e 'l vigor cresce. Grida Eròtimo allor: "L'arte maestra te non risana o la mortal mia destra, 75 maggior virtú ti salva: un angiol, credo, medico per te fatto, è sceso in terra, ché di celeste mano i segni vedo: prendi l'arme; che tardi? e riedi in guerra." Avido di battaglia il pio Goffredo già ne l'ostro le gambe avolge e serra, e l'asta crolla smisurata, e imbraccia il già deposto scudo e l'elmo allaccia. 76 Uscí dal chiuso vallo, e si converse con mille dietro a la città percossa: sopra di polve il ciel gli si coperse, tremò sotto la terra al moto scossa; e lontano appressar le genti averse d'alto il miraro, e corse lor per l'ossa un tremor freddo e strinse il sangue in gelo. Egli alzò tre fiate il grido al cielo. 77 Conosce il popol suo l'altera voce e 'l grido eccitator de la battaglia, e riprendendo l'impeto veloce di novo ancora a la tenzon si scaglia. Ma già la coppia de i pagan feroce nel rotto accolta s'è de la muraglia, difendendo ostinata il varco fesso dal buon Tancredi e da chi vien con esso. 78 Qui disdegnoso giunge e minacciante chiuso ne l'arme il capitan di Francia, e 'n su la prima giunta al fero Argante l'asta ferrata fulminando lancia. Nessuna mural machina si vante d'aventar con piú forza alcuna lancia. Tuona per l'aria la nodosa trave, v'oppon lo scudo Argante e nulla pave. 79 S'apre lo scudo al frassino pungente, né la dura corazza anco il sostiene, ché rompe tutte l'arme, e finalmente il sangue saracino a sugger viene. Ma si svelle il circasso (e il duol non sente) da l'arme il ferro affisso e da le vene, e 'n Goffredo il ritorce: "A te" dicendo "rimando il tronco, e l'armi tue ti rendo." 80 L'asta, ch'offesa or porta ed or vendetta, per lo noto sentier vola e rivola, ma già colui non fère ove è diretta, ch'egli si spiega e 'l capo al colpo invola; coglie il fedel Sigiero, il qual ricetta profondamente il ferro entro la gola, né gli rincresce, del suo caro duce morendo in vece, abbandonar la luce. 81 Quasi in quel punto Soliman percote con una scelce il cavalier normando; e questi al colpo si contorce e scote e cade in giú come paleo rotando. Or piú Goffredo sostener non pote l'ira di tante offese, e impugna il brando, e sovra la confusa alta ruina ascende, e move omai guerra vicina. 82 E ben ei vi facea mirabil cose, e contrasti seguiano aspri e mortali, ma fuor uscí la notte e 'l mondo ascose sotto il caliginoso orror de l'ali; e l'ombre sue pacifiche interpose fra tante ire de' miseri mortali, sí che cessò Goffredo e fe' ritorno. Cotal fine ebbe il sanguinoso giorno. 83 Ma pria che 'l pio Buglione il campo ceda, fa indietro riportar gli egri e i languenti, e già non lascia a' suoi nemici in preda l'avanzo de' suoi bellici tormenti; pur salva la gran torre avien che rieda, primo terror de le nemiche genti, come che sia da l'orrida tempesta sdruscita anch'essa in alcun loco e pesta. 84 Da' gran perigli uscita ella se 'n viene giungendo a loco omai di sicurezza. Ma qual nave talor ch'a vele piene corre il mar procelloso e l'onde sprezza, poscia in vista del porto o su l'arene o su i fallaci scogli un fianco spezza; o qual destrier passa le dubbie strade e presso al dolce albergo incespa e cade; 85 tale inciampa la torre, e tal da quella parte che volse a l'impeto de' sassi frange due rote debili, sí ch'ella ruinosa pendendo arresta i passi. Ma le suppone appoggi e la puntella lo stuol che la conduce e seco stassi, insin che i pronti fabri intorno vanno saldando in lei d'ogni sua piaga il danno, 86 Cosí Goffredo impone, il qual desia che si racconci inanzi al novo sole, ed occupando questa e quella via dispon le guardie intorno a l'alta mole; ma 'l suon ne la città chiaro s'udia di fabrili instrumenti e di parole, e mille si vedean fiaccole accese, onde seppesi il tutto o si comprese.
canto DODICESIMO
1 Era la notte, e non prendean ristoro co 'l sonno ancor le faticose genti: ma qui vegghiando nel fabril lavoro stavano i Franchi a la custodia intenti, e là i pagani le difese loro gian rinforzando tremule e cadenti e reintegrando le già rotte mura, e de' feriti era comun la cura. 2 Curate al fin le piaghe, e già fornita de l'opere notturne era qualcuna; e rallentando l'altre, al sonno invita l'ombra omai fatta piú tacita e bruna. Pur non accheta la guerriera ardita l'alma d'onor famelica e digiuna, e sollecita l'opre ove altri cessa. Va seco Argante, e dice ella a se stessa: 3 "Ben oggi il re de' Turchi e 'l buon Argante fèr meraviglie inusitate e strane, ché soli uscír fra tante schiere e tante e vi spezzàr le machine cristiane. Io (questo è il sommo pregio onde mi vante) d'alto rinchiusa oprai l'arme lontane, sagittaria, no 'l nego, assai felice. Dunque sol tanto a donna e piú non lice? 4 Quanto me' fòra in monte od in foresta a le fère aventar dardi e quadrella, ch'ove il maschio valor si manifesta mostrarmi qui tra cavalier donzella! Ché non riprendo la feminea vesta, s'io ne son degna e non mi chiudo in cella?" Cosí parla tra sé; pensa e risolve al fin gran cose ed al guerrier si volve: 5 "Buona pezza è, signor, che in sé raggira un non so che d'insolito e d'audace la mia mente inquieta: o Dio l'inspira, o l'uom del suo voler suo Dio si face. Fuor del vallo nemico accesi mira i lumi; io là n'andrò con ferro e face e la torre arderò: vogl'io che questo effetto segua, il Ciel poi curi il resto. 6 Ma s'egli averrà pur che mia ventura nel mio ritorno mi rinchiuda il passo, d'uom che 'n amor m'è padre a te la cura e de le care mie donzelle io lasso. Tu ne l'Egitto rimandar procura le donne sconsolate e 'l vecchio lasso. Fallo per Dio, signor, ché di pietate ben è degno quel sesso e quella etate." 7 Stupisce Argante, e ripercosso il petto da stimoli di gloria acuti sente. "Tu là n'andrai," rispose "e me negletto qui lascierai tra la vulgare gente? E da secura parte avrò diletto mirar il fumo e la favilla ardente? No, no; se fui ne l'arme a te consorte, esser vo' ne la gloria e ne la morte. 8 Ho core anch'io che morte sprezza e crede che ben si cambi con l'onor la vita." "Ben ne fèsti" diss'ella "eterna fede con quella tua sí generosa uscita. Pure io femina sono, e nulla riede mia morte in danno a la città smarrita; ma se tu cadi (tolga il Ciel gli augúri), or chi sarà che piú difenda i muri?" 9 Replicò il cavaliero: "Indarno adduci al mio fermo voler fallaci scuse. Seguirò l'orme tue, se mi conduci; ma le precorrerò, se mi ricuse." Concordi al re ne vanno, il qual fra i duci e fra i piú saggi suoi gli accolse e chiuse. Incominciò Clorinda: "O sire, attendi a ciò che dir voglianti, e in grado il prendi. 10 Argante qui (né sarà vano il vanto) quella macchina eccelsa arder promette. Io sarò seco, ed aspettiam sol tanto che stanchezza maggiore il sonno allette." Sollevò il re le palme, e un lieto pianto giú per le crespe guancie a lui cadette; e: "Lodato sia tu," disse "che a i servi tuoi volgi gli occhi e 'l regno anco mi servi. 11 Né già sí tosto caderà, se tali animi forti in sua difesa or sono. Ma qual poss'io, coppia onorata, eguali dar a i meriti vostri o laude o dono? Laudi la fama voi con immortali voci di gloria, e 'l mondo empia del suono. Premio v'è l'opra stessa, e premio in parte vi fia del regno mio non poca parte." 12 Sí parla il re canuto, e si ristringe or questa or quel teneramente al seno. Il Soldan, ch'è presente e non infinge la generosa invidia onde egli è pieno, disse: "Né questa spada in van si cinge; verravvi a paro o poco dietro almeno." "Ah!" rispose Clorinda "andremo a questa impresa tutti? e se tu vien, chi resta?" 13 Cosí gli disse, e con rifiuto altero già s'apprestava a ricusarlo Argante; ma 'l re il prevenne, e ragionò primiero a Soliman con placido sembiante: "Ben sempre tu, magnanimo guerriero, ne ti mostrasti a te stesso sembiante, cui nulla faccia di periglio unquanco sgomentò, né mai fosti in guerra stanco. 14 E so che fuora andando opre faresti degne di te; ma sconvenevol parmi che tutti usciate, e dentro alcun non resti di voi che sète i piú famosi in armi. Né men consentirei ch'andasser questi (ché degno è il sangue lor che si risparmi), s'o men util tal opra o mi paresse che fornita per altri esser potesse. 15 Ma poi che la gran torre in sua difesa d'ogni intorno le guardie ha cosí folte che da poche mie genti esser offesa non pote, e inopportuno è uscir con molte, la coppia che s'offerse a l'alta impresa, e 'n simil rischio si trovò piú volte, vada felice pur, ch'ella è ben tale che sola piú che mille insieme vale. 16 Tu, come al regio onor piú si conviene, con gli altri, prego, in su le porte attendi; e quando poi (ché n'ho secura spene) ritornino essi e desti abbian gli incendi, se stuol nemico seguitando viene, lui risospingi e lor salva e difendi." Cosí l'un re diceva, e l'altro cheto rimaneva al suo dir, ma non già lieto. 17 Soggiunse allora Ismeno: "Attender piaccia a voi, ch'uscir dovete, ora piú tarda, sin che di varie tempre un misto i' faccia ch'a la machina ostil s'appigli e l'arda. Forse allora averrà che parte giaccia di quello stuol che la circonda e guarda." Ciò fu concluso, e in sua magion ciascuno aspetta il tempo al gran fatto opportuno. 18 Depon Clorinda le sue spoglie inteste d'argento e l'elmo adorno e l'arme altere, e senza piuma o fregio altre ne veste (infausto annunzio!) ruginose e nere, però che stima agevolmente in queste occulta andar fra le nemiche schiere. È quivi Arsete eunuco, il qual fanciulla la nudrí da le fasce e da la culla, 19 e per l'orme di lei l'antico fianco d'ogni intorno traendo, or la seguia. Vede costui l'arme cangiate, ed anco del gran rischio s'accorge ove ella gía, e se n'affligge, e per lo crin che bianco in lei servendo ha fatto e per la pia memoria de' suo' uffici instando prega che da l'impresa cessi; ed ella il nega. 20 Onde ei le disse alfin: "Poi che ritrosa sí la tua mente nel suo mal s'indura che né la stanca età, né la pietosa voglia, né i preghi miei, né il pianto cura, ti spiegherò piú oltre, e saprai cosa di tua condizion che t'era oscura; poi tuo desir ti guidi o mio consiglio." Ei segue, ed ella inalza attenta il ciglio. 21 "Resse già l'Etiopia, e forse regge Senapo ancor con fortunato impero, il qual del figlio di Maria la legge osserva, e l'osserva anco il popol nero. Quivi io pagan fui servo e fui tra gregge d'ancelle avolto in feminil mestiero, ministro fatto de la regia moglie che bruna è sí, ma il bruno il bel non toglie. 22 N'arde il marito, e de l'amore al foco ben de la gelosia s'agguaglia il gelo. Si va in guisa avanzando a poco a poco nel tormentoso petto il folle zelo che da ogn'uom la nasconde, e in chiuso loco vorria celarla a i tanti occhi del cielo. Ella, saggia ed umil, di ciò che piace al suo signor fa suo diletto e pace. 23 D'una pietosa istoria e di devote figure la sua stanza era dipinta. Vergine, bianca il bel volto e le gote vermiglia, è quivi presso un drago avinta. Con l'asta il mostro un cavalier percote: giace la fèra nel suo sangue estinta. Quivi sovente ella s'atterra, e spiega le sue tacite colpe e piange e prega. 24 Ingravida fra tanto, ed espon fuori (e tu fosti colei) candida figlia. Si turba; e de gli insoliti colori, quasi d'un novo mostro, ha meraviglia. Ma perché il re conosce e i suoi furori, celargli il parto alfin si riconsiglia, ch'egli avria dal candor che in te si vede argomentato in lei non bianca fede. 25 Ed in tua vece una fanciulla nera pensa mostrargli, poco inanzi nata. E perché fu la torre, ove chius'era, da le donne e da me solo abitata, a me, che le fui servo e con sincera mente l'amai, ti diè non battezzata; né già poteva allor battesmo darti, ché l'uso no 'l sostien di quelle parti. 26 Piangendo a me ti porse, e mi commise ch'io lontana a nudrir ti conducessi. Chi può dire il suo affanno, e in quante guise lagnossi e raddoppiò gli ultimi amplessi? Bagnò i baci di pianto, e fur divise le sue querele da i singulti spessi. Levò alfin gli occhi, e disse: "O Dio, che scerni l'opre piú occulte, e nel mio cor t'interni, 27 s'immaculato è questo cor, s'intatte son queste membra e 'l marital mio letto, per me non prego, che mille altre ho fatte malvagità: son vile al tuo cospetto; salva il parto innocente, al qual il latte nega la madre del materno petto. Viva, e sol d'onestate a me somigli; l'essempio di fortuna altronde pigli. 28 Tu, celeste guerrier, che la donzella togliesti del serpente a gli empi morsi, s'accesi ne' tuo' altari umil facella, s'auro o incenso odorato unqua ti porsi, tu per lei prega, sí che fida ancella possa in ogni fortuna a te raccòrsi." Qui tacque; e 'l cor le si rinchiuse e strinse, e di pallida morte si dipinse. 29 Io piangendo ti presi, e in breve cesta fuor ti portai, tra fiori e frondi ascosa; ti celai da ciascun, che né di questa diedi sospizion né d'altra cosa. Me n'andai sconosciuto; e per foresta caminando di piante orride ombrosa, vidi una tigre, che minaccie ed ire avea ne gli occhi, incontr'a me venire. 30 Sovra un arbore i' salsi e te su l'erba lasciai, tanta paura il cor mi prese. Giunse l'orribil fèra, e la superba testa volgendo, in te lo sguardo intese. Mansuefece e raddolcio l'acerba vista con atto placido e cortese; lenta poi s'avicina e ti fa vezzi con la lingua, e tu ridi e l'accarezzi; 31 ed ischerzando seco, al fero muso la pargoletta man secura stendi. Ti porge ella le mamme e, come è l'uso di nutrice, s'adatta, e tu le prendi. Intanto io miro timido e confuso, come uom faria novi prodigi orrendi. Poi che sazia ti vede omai la belva del suo latte, ella parte e si rinselva; 32 ed io giú scendo e ti ricolgo, e torno là 've prima fur vòlti i passi miei, e preso in picciol borgo alfin soggiorno, celatamente ivi nutrir ti fei. Vi stetti insin che 'l sol correndo intorno portò a i mortali e diece mesi e sei. Tu con lingua di latte anco snodavi voci indistinte, e incerte orme segnavi. 33 Ma sendo io colà giunto ove dechina l'etate omai cadente a la vecchiezza, ricco e sazio de l'or che la regina nel partir diemmi con regale ampiezza, da quella vita errante e peregrina ne la patria ridurmi ebbi vaghezza, e tra gli antichi amici in caro loco viver, temprando il verno al proprio foco. 34 Partomi, e vèr l'Egitto onde son nato, te conducendo meco, il corso invio, e giungo ad un torrente, e riserrato quinci da i ladri son, quindi dal rio. Che debbo far? te, dolce peso amato, lasciar non voglio, e di campar desio. Mi gitto a nuoto, ed una man ne viene rompendo l'onda e te l'altra sostiene. 35 Rapidissimo è il corso, e in mezzo l'onda in se medesma si ripiega e gira; ma, giunto ove piú volge e si profonda, in cerchio ella mi torce e giú mi tira. Ti lascio allor, ma t'alza e ti seconda l'acqua, e secondo a l'acqua il vento spira, e t'espon salva in su la molle arena; stanco, anelando, io poi vi giungo a pena. 36 Lieto ti prendo; e poi la notte, quando tutte in alto silenzio eran le cose, vidi in sogno un guerrier che minacciando a me su 'l volto il ferro ignudo pose. Imperioso disse: 'Io ti comando ciò che la madre sua primier t'impose: che battezzi l'infante; ella è diletta del Cielo, e la sua cura a me s'aspetta. 37 Io la guardo e difendo, io spirto diedi di pietate a le fère e mente a l'acque. Misero te s'al sogno tuo non credi, ch'è del Ciel messaggiero.' E qui si tacque. Svegliaimi e sorsi, e di là mossi i piedi come del giorno il primo raggio nacque; ma perché mia fé vera e l'ombre false stimai, di tuo battesmo non mi calse, 38 né de i preghi materni; onde nudrita pagana fosti, e 'l vero a te celai. Crescesti, e in arme valorosa e ardita vincesti il sesso e la natura assai: fama e terre acquistasti, e qual tua vita sia stata poscia tu medesma il sai; e sai non men che servo insieme e padre io t'ho seguita fra guerriere squadre. 39 Ier poi su l'alba, a la mia mente oppressa d'alta quiete e simile a la morte, nel sonno s'offerí l'imago stessa, ma in piú turbata vista e in suon piú forte: 'Ecco,' dicea 'fellon, l'ora s'appressa che dée cangiar Clorinda e vita e sorte: mia sarà mal tuo grado, e tuo fia il duolo.' Ciò disse, e poi n'andò per l'aria a volo. 40 Or odi dunque tu che 'l Ciel minaccia a te, diletta mia, strani accidenti. Io non so; forse a lui vien che dispiaccia ch'altri impugni la fé de' suoi parenti. Forse è la vera fede. Ah! giú ti piaccia depor quest'arme e questi spirti ardenti." Qui tace e piagne; ed ella pensa e teme, ch'un altro simil sogno il cor le preme. 41 Rasserenando il volto, al fin gli dice: "Quella fé seguirò che vera or parmi, che tu co 'l latte già de la nutrice sugger mi fèsti e che vuoi dubbia or farmi; né per temenza lascierò, né lice a magnanimo cor, l'impresa e l'armi, non se la morte nel piú fer sembiante che sgomenti i mortali avessi inante." 42 Poscia il consola; e perché il tempo giunge ch'ella deve ad effetto il vanto porre, parte e con quel guerrier si ricongiunge che si vuol seco al gran periglio esporre. Con lor s'aduna Ismeno, e instiga e punge quella virtú che per se stessa corre; e lor porge di zolfo e di bitumi due palle, e 'n cavo rame ascosi lumi. 43 Escon notturni e piani, e per lo colle uniti vanno a passo lungo e spesso, tanto che a quella parte ove s'estolle la machina nemica omai son presso. Lor s'infiamman gli spirti, e 'l cor ne bolle né può tutto capir dentro se stesso: gli invita al foco, al sangue, un fero sdegno. Grida la guardia, e lor dimanda il segno. 44 Essi van cheti inanzi, onde la guarda "A l'arme! a l'arme!" in alto suon raddoppia; ma piú non si nasconde e non è tarda al corso allor la generosa coppia. In quel modo che fulmine o bombarda co 'l lampeggiar tuona in un punto e scoppia, movere ed arrivar, ferir lo stuolo, aprirlo e penetrar, fu un punto solo. 45 E forza è pur che fra mill'arme e mille percosse il lor disegno al fin riesca. Scopriro i chiusi lumi, e le faville s'appreser tosto a l'accensibil esca, ch'a i legni poi l'avolse e compartille. Chi può dir come serpa e come cresca già da piú lati il foco? e come folto turbi il fumo a le stelle il puro volto? 46 Vedi globi di fiamme oscure e miste fra le rote del fumo in ciel girarsi. Il vento soffia, e vigor fa ch'acquiste l'incendio e in un raccolga i fochi sparsi. Fère il gran lume con terror le viste de' Franchi, e tutti son presti ad armarsi. La mole immensa, e sí temuta in guerra, cade, e breve ora opre sí lunghe atterra. 47 Due squadre de' cristiani intanto al loco dove sorge l'incendio accorron pronte. Minaccia Argante: "Io spegnerò quel foco co 'l vostro sangue", e volge lor la fronte. Pur ristretto a Clorinda, a poco a poco cede, e raccoglie i passi a sommo il monte. Cresce piú che torrente a lunga pioggia la turba, e li rincalza e con lor poggia. 48 Aperta è l'Aurea porta, e quivi tratto è il re, ch'armato il popol suo circonda, per raccòrre i guerrier da sí gran fatto, quando al tornar fortuna abbian seconda. Saltano i due su 'l limitare, e ratto diretro ad essi il franco stuol v'inonda, ma l'urta e scaccia Solimano; e chiusa è poi la porta, e sol Clorinda esclusa. 49 Sola esclusa ne fu perché in quell'ora ch'altri serrò le porte ella si mosse, e corse ardente e incrudelita fora a punir Arimon che la percosse. Punillo; e 'l fero Argante avisto ancora non s'era ch'ella sí trascorsa fosse, ché la pugna e la calca e l'aer denso a i cor togliea la cura, a gli occhi il senso. 50 Ma poi che intepidí la mente irata nel sangue del nemico e in sé rivenne, vide chiuse le porte e intorniata sé da' nemici, e morta allor si tenne. Pur veggendo ch'alcuno in lei non guata, nov'arte di salvarsi le sovenne. Di lor gente s'infinge, e fra gli ignoti cheta s'avolge; e non è chi la noti. 51 Poi, come lupo tacito s'imbosca dopo occulto misfatto, e si desvia, da la confusion, da l'aura fosca favorita e nascosa, ella se 'n gía. Solo Tancredi avien che lei conosca; egli quivi è sorgiunto alquanto pria; vi giunse allor ch'essa Arimon uccise: vide e segnolla, e dietro a lei si mise. 52 Vuol ne l'armi provarla: un uom la stima degno a cui sua virtú si paragone. Va girando colei l'alpestre cima verso altra porta, ove d'entrar dispone. Segue egli impetuoso, onde assai prima che giunga, in guisa avien che d'armi suone, ch'ella si volge e grida: "O tu, che porte, che corri sí?" Risponde: "E guerra e morte." 53 "Guerra e morte avrai;" disse "io non rifiuto darlati, se la cerchi", e ferma attende. Non vuol Tancredi, che pedon veduto ha il suo nemico, usar cavallo, e scende. E impugna l'uno e l'altro il ferro acuto, ed aguzza l'orgoglio e l'ire accende; e vansi a ritrovar non altrimenti che duo tori gelosi e d'ira ardenti. 54 Degne d'un chiaro sol, degne d'un pieno teatro, opre sarian sí memorande. Notte, che nel profondo oscuro seno chiudesti e ne l'oblio fatto sí grande, piacciati ch'io ne 'l tragga e 'n bel sereno a le future età lo spieghi e mande. Viva la fama loro; e tra lor gloria splenda del fosco tuo l'alta memoria. 55 Non schivar, non parar, non ritirarsi voglion costor, né qui destrezza ha parte. Non danno i colpi or finti, or pieni, or scarsi: toglie l'ombra e 'l furor l'uso de l'arte. Odi le spade orribilmente urtarsi a mezzo il ferro, il piè d'orma non parte; sempre è il piè fermo e la man sempre 'n moto, né scende taglio in van, né punta a vòto. 56 L'onta irrita lo sdegno a la vendetta, e la vendetta poi l'onta rinova; onde sempre al ferir, sempre a la fretta stimol novo s'aggiunge e cagion nova. D'or in or piú si mesce e piú ristretta si fa la pugna, e spada oprar non giova: dansi co' pomi, e infelloniti e crudi cozzan con gli elmi insieme e con gli scudi. 57 Tre volte il cavalier la donna stringe con le robuste braccia, ed altrettante da que' nodi tenaci ella si scinge, nodi di fer nemico e non d'amante. Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tinge con molte piaghe; e stanco ed anelante e questi e quegli al fin pur si ritira, e dopo lungo faticar respira. 58 L'un l'altro guarda, e del suo corpo essangue su 'l pomo de la spada appoggia il peso. Già de l'ultima stella il raggio langue al primo albor ch'è in oriente acceso. Vede Tancredi in maggior copia il sangue del suo nemico, e sé non tanto offeso. Ne gode e superbisce. Oh nostra folle mente ch'ogn'aura di fortuna estolle! 59 Misero, di che godi? oh quanto mesti fiano i trionfi ed infelice il vanto! Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti) di quel sangue ogni stilla un mar di pianto. Cosí tacendo e rimirando, questi sanguinosi guerrier cessaro alquanto. Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse, perché il suo nome a lui l'altro scoprisse: 60 "Nostra sventura è ben che qui s'impieghi tanto valor, dove silenzio il copra. Ma poi che sorte rea vien che ci neghi e lode e testimon degno de l'opra, pregoti (se fra l'arme han loco i preghi) che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra, acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore, chi la mia morte o la vittoria onore." 61 Risponde la feroce: "Indarno chiedi quel c'ho per uso di non far palese. Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi un di quei due che la gran torre accese." Arse di sdegno a quel parlar Tancredi, e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese "il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta, barbaro discortese, a la vendetta." 62 Torna l'ira ne' cori, e li trasporta, benché debili in guerra. Oh fera pugna, u' l'arte in bando, u' già la forza è morta, ove, in vece, d'entrambi il furor pugna! Oh che sanguigna e spaziosa porta fa l'una e l'altra spada, ovunque giugna, ne l'arme e ne le carni! e se la vita non esce, sdegno tienla al petto unita. 63 Qual l'alto Egeo, perché Aquilone o Noto cessi, che tutto prima il volse e scosse, non s'accheta ei però, ma 'l suono e 'l moto ritien de l'onde anco agitate e grosse, tal, se ben manca in lor co 'l sangue vòto quel vigor che le braccia a i colpi mosse, serbano ancor l'impeto primo, e vanno da quel sospinti a giunger danno a danno. 64 Ma ecco omai l'ora fatale è giunta che 'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e 'l sangue avido beve; e la veste, che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e 'l piè le manca egro e languente. 65 Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch'a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtú ch'or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella. 66 "Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sí; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave." In queste voci languide risuona un non so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza. 67 Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentí la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! 68 Non morí già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise. Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace." 69 D'un bel pallore ha il bianco volto asperso, come a' gigli sarian miste viole, e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso sembra per la pietate il cielo e 'l sole; e la man nuda e fredda alzando verso il cavaliero in vece di parole gli dà pegno di pace. In questa forma passa la bella donna, e par che dorma. 70 Come l'alma gentile uscita ei vede, rallenta quel vigor ch'avea raccolto; e l'imperio di sé libero cede al duol già fatto impetuoso e stolto, ch'al cor si stringe e, chiusa in breve sede la vita, empie di morte i sensi e 'l volto. Già simile a l'estinto il vivo langue al colore, al silenzio, a gli atti, al sangue. 71 E ben la vita sua sdegnosa e schiva, spezzando a forza il suo ritegno frale, la bella anima sciolta al fin seguiva, che poco inanzi a lei spiegava l'ale; ma quivi stuol de' Franchi a caso arriva, cui trae bisogno d'acqua o d'altro tale, e con la donna il cavalier ne porta, in sé mal vivo e morto in lei ch'è morta. 72 Però che 'l duce loro ancor discosto conosce a l'arme il principe cristiano, onde v'accorre, e poi ravisa tosto la vaga estinta, e duolsi al caso strano. E già lasciar non volle a i lupi esposto il bel corpo che stima ancor pagano, ma sovra l'altrui braccia ambi li pone, e ne vien di Tancredi al padiglione. 73 A fatto ancor nel piano e lento moto non si risente il cavalier ferito; pur fievolmente geme, e quinci è noto che 'l suo corso vital non è fornito. Ma l'altro corpo tacito ed immoto dimostra ben che n'è lo spirto uscito. Cosí portati, è l'uno e l'altro appresso; ma in differente stanza al fine è messo. 74 I pietosi scudier già sono intorno con vari uffici al cavalier giacente, e già se 'n riede a i languidi occhi il giorno, e le mediche mani e i detti ei sente; ma pur dubbiosa ancor del suo ritorno, non s'assecura attonita la mente. Stupido intorno ei guarda, e i servi e 'l loco al fin conosce; e dice afflitto e fioco: 75 "Io vivo? io spiro ancora? e gli odiosi rai miro ancor di questo infausto die? Dí testimon de' miei misfatti ascosi, che rimprovera a me le colpe mie! Ahi! man timida e lenta, or ché non osi, tu che sai tutte del ferir le vie, tu, ministra di morte empia ed infame, di questa vita rea troncar lo stame? 76 Passa pur questo petto, e feri scempi co 'l ferro tuo crudel fa' del mio core; ma forse, usata a' fatti atroci ed empi, stimi pietà dar morte al mio dolore. Dunque i' vivrò tra memorandi essempi misero mostro d'infelice amore: misero mostro, a cui sol pena è degna de l'immensa impietà la vita indegna. 77 Vivrò fra i miei tormenti e le mie cure, mie giuste furie, forsennato, errante; paventarò l'ombre solinghe e scure che 'l primo error mi recheranno inante, e del sol che scoprí le mie sventure, a schivo ed in orrore avrò il sembiante. Temerò me medesmo; e da me stesso sempre fuggendo, avrò me sempre appresso. 78 Ma dove, oh lasso me!, dove restaro le reliquie del corpo e bello e casto? Ciò ch'in lui sano i miei furor lasciaro, dal furor de le fère è forse guasto. Ahi troppo nobil preda! ahi dolce e caro troppo e pur troppo prezioso pasto! ahi sfortunato! in cui l'ombre e le selve irritaron me prima e poi le belve. 79 Io pur verrò là dove sète; e voi meco avrò, s'anco sète, amate spoglie. Ma s'egli avien che i vaghi membri suoi stati sian cibo di ferine voglie, vuo' che la bocca stessa anco me ingoi, e 'l ventre chiuda me che lor raccoglie: onorata per me tomba e felice, ovunque sia, s'esser con lor mi lice." 80 Cosí parla quel misero, e gli è detto ch'ivi quel corpo avean per cui si dole: rischiarar parve il tenebroso aspetto, qual le nube un balen che passe e vóle; e da i riposi sollevò del letto l'inferma de le membra e tarda mole; e traendo a gran pena il fianco lasso, colà rivolse vacillando il passo. 81 Ma come giunse, e vide in quel bel seno, opera di sua man, l'empia ferita, e quasi un ciel notturno anco sereno senza splendor la faccia scolorita, tremò cosí che ne cadea, se meno era vicina la fedele aita. Poi disse: "Oh viso che poi far la morte dolce, ma raddolcir non puoi mia sorte! 82 Oh bella destra che 'l soave pegno d'amicizia e di pace a me porgesti! quali or, lasso!, vi trovo? e qual ne vegno? E voi, leggiadre membra, or non son questi del mio ferino e scelerato sdegno vestigi miserabili e funesti? Oh di par con la man luci spietate: essa le piaghe fe', voi le mirate. 83 Asciutte le mirate? or corra, dove nega d'andare il pianto, il sangue mio." Qui tronca le parole, e come il move suo disperato di morir desio, squarcia le fasce e le ferite, e piove da le sue piaghe essacerbate un rio; e s'uccidea, ma quella doglia acerba, co 'l trarlo di se stesso, in vita il serba. 84 Posto su 'l letto, e l'anima fugace fu richiamata a gli odiosi uffici. Ma la garrula fama omai non tace l'aspre sue angoscie e i suoi casi infelici. Vi tragge il pio Goffredo, e la verace turba v'accorre de' piú degni amici. Ma né grave ammonir, né pregar dolce l'ostinato de l'alma affanno molce. 85 Qual in membro gentil piaga mortale tocca s'inaspra e in lei cresce il dolore, tal da i dolci conforti in sí gran male piú inacerbisce medicato il core. Ma il venerabil Piero, a cui ne cale come d'agnella inferma al buon pastore, con parole gravissime ripiglia il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia: 86 "O Tancredi, Tancredi, o da te stesso troppo diverso e da i princípi tuoi, chi sí t'assorda? e qual nuvol sí spesso di cecità fa che veder non puoi? Questa sciagura tua del Cielo è un messo; non vedi lui? non odi i detti suoi? che ti sgrida, e richiama a la smarrita strada che pria segnasti e te l'addita? 87 A gli atti del primiero ufficio degno di cavalier di Cristo ei ti rappella, che lasciasti per farti (ahi cambio indegno!) drudo d'una fanciuila a Dio rubella. Seconda aversità, pietoso sdegno con leve sferza di là su flagella tua folle colpa, e fa di tua salute te medesmo ministro; e tu 'l rifiute? 88 Rifiuti dunque, ahi sconoscente!, il dono del Ciel salubre e 'ncontra lui t'adiri? Misero, dove corri in abbandono a i tuoi sfrenati e rapidi martíri? Sei giunto, e pendi già cadente e prono su 'l precipizio eterno; e tu no 'l miri? Miralo, prego, e te raccogli, e frena quel dolor ch'a morir doppio ti mena." 89 Tace, e in colui de l'un morir la tema poté de l'altro intepidir la voglia. Nel cor dà loco a que' conforti, e scema l'impeto interno de l'interna doglia, ma non cosí che ad or ad or non gema e che la lingua a lamentar non scioglia, ora seco parlando, or con la sciolta anima che dal Ciel forse l'ascolta. 90 Lei nel partir, lei nel tornar del sole chiama con voce stanca, e prega e plora, come usignuol cui 'l villan duro invole dal nido i figli non pennuti ancora, che in miserabil canto afflitte e sole piange le notti, e n'empie i boschi e l'òra. Al fin co 'l novo dí rinchiude alquanto i lumi, e 'l sonno in lor serpe fra 'l pianto. 91 Ed ecco in sogno di stellata veste cinta gli appar la sospirata amica: bella assai piú, ma lo splendor celeste orna e non toglie la notizia antica; e con dolce atto di pietà le meste luci par che gli asciughi, e cosí dica: "Mira come son bella e come lieta, fedel mio caro, e in me tuo duolo acqueta. 92 Tale i' son, tua mercé: tu me da i vivi del mortal mondo, per error, togliesti; tu in grembo a Dio fra gli immortali e divi, per pietà, di salir degna mi fèsti. Quivi io beata amando godo, e quivi spero che per te loco anco s'appresti, ove al gran Sole e ne l'eterno die vagheggiarai le sue bellezze e mie. 93 Se tu medesmo non t'invidii il Cielo e non travii co 'l vaneggiar de' sensi, vivi e sappi ch'io t'amo, e non te 'l celo, quanto piú creatura amar conviensi." Cosí dicendo, fiammeggiò di zelo per gli occhi, fuor del mortal uso accensi; poi nel profondo de' suoi rai si chiuse e sparve, e novo in lui conforto infuse. 94 Consolato ei si desta e si rimette de' medicanti a la discreta aita, e intanto sepellir fa le dilette membra ch'informò già la nobil vita. E se non fu di ricche pietre elette la tomba e da man dedala scolpita, fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede figura, quanto il tempo ivi concede. 95 Quivi da faci in lungo ordine accese con nobil pompa accompagnar la feo, e le sue arme, a un nudo pin sospese, vi spiegò sovra in forma di trofeo. Ma come prima alzar le membra offese nel dí seguente il cavalier poteo, di riverenza pieno e di pietate visitò le sepolte ossa onorate. 96 Giunto a la tomba, ove al suo spirto vivo dolorosa prigione il Ciel prescrisse, pallido, freddo, muto, e quasi privo di movimento, al marmo gli occhi affisse. Al fin, sgorgando un lagrimoso rivo, in un languido: "oimè!" proruppe, e disse: "O sasso amato ed onorato tanto, che dentro hai le mie fiamme e fuori il pianto, 97 non di morte sei tu, ma di vivaci ceneri albergo, ove è riposto Amore; e ben sento io da te l'usate faci, men dolci sí, ma non men calde al core. Deh! prendi i miei sospiri, e questi baci prendi ch'io bagno di doglioso umore; e dalli tu, poi ch'io non posso, almeno a le amate reliquie c'hai nel seno. 98 Dalli lor tu, ché se mai gli occhi gira l'anima bella a le sue belle spoglie, tua pietate e mio ardir non avrà in ira, ch'odio o sdegno là su non si raccoglie. Perdona ella il mio fallo, e sol respira in questa speme il cor fra tante doglie. Sa ch'empia è sol la mano; e non l'è noia che, s'amando lei vissi, amando moia. 99 Ed amando morrò: felice giorno, quando che sia; ma piú felice molto se come errando or vado a te d'intorno, allor sarò dentro al tuo grembo accolto. Faccian l'anime amiche in Ciel soggiorno, sia l'un cenere e l'altro in un sepolto; ciò che 'l viver non ebbe, abbia la morte. Oh se sperar ciò lice, altera sorte!" 100 Confusamente si bisbiglia intanto del caso reo ne la rinchiusa terra. Poi s'accerta e divulga, e in ogni canto de la città smarrita il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che se presa in guerra tutta ruini, e 'l foco e i nemici empi volino per le case e per li tèmpi. 101 Ma tutti gli occhi Arsete in sé rivolve, miserabil di gemito e d'aspetto. Ei come gli altri in lagrime non solve il duol, ché troppo è d'indurato affetto; ma i bianchi crini suoi d'immonda polve si sparge e brutta, e fiede il volto e 'l petto. Or mentre in lui vòlte le turbe sono, va in mezzo Argante e parla in cotal suono: 102 "Ben volev'io, quando primier m'accorsi che fuor si rimanea la donna forte, seguirla immantinente; e ratto corsi per correr seco una medesma sorte. Che non feci o non dissi? o quai non porsi preghiere al re che fèsse aprir le porte? Ei me pregante, e contendente invano, con l'imperio affrenò c'ha qui soprano, 103 Ahi! che s'io allora usciva, o dal periglio qui ricondotta la guerriera avrei, o chiusi, ov'ella il terren fe' vermiglio, con memorabil fine i giorni miei. Ma che potevo io piú? parve al consiglio de gli uomini altramente e de gli dèi: ella morí di fatal morte, ed io quant'or conviensi a me già non oblio. 104 Odi, Gierusalem, ciò che prometta Argante; odi 'l tu, Cielo; e se in ciò manco, fulmina su 'l mio capo: io la vendetta giuro di far ne l'omicida franco, che per la costei morte a me s'aspetta, né questa spada mai depor dal fianco insin ch'ella a Tancredi il cor non passi e 'l cadavero infame a i corvi lassi." 105 Cosí disse egli, e l'aure popolari con applauso seguír le voci estreme; e imaginando sol, temprò gli amari l'aspettata vendetta in quel che geme. Oh vani giuramenti! ecco contrari seguir tosto gli effetti a l'alta speme, e cader questi in tenzon pari estinto sotto colui ch'ei fa già preso e vinto.
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