Gerusalemme liberata, canti 18-19 e 20

POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA

canto DICIOTTESIMO


1       Giunto Rinaldo ove Goffredo è sorto
      ad incontrarlo, incominciò: "Signore,
      a vendicarmi del guerrier ch'è morto
      cura mi spinse di geloso onore;
      e s'io n'offesi te, ben disconforto
      ne sentii poscia e penitenza al core.
      Or vegno a' tuoi richiami, ed ogni emenda
      son pronto a far, che grato a te mi renda."

2       A lui ch'umil gli s'inchinò, le braccia
      stese al collo Goffredo e gli rispose:
      "Ogni trista memoria omai si taccia,
      e pongansi in oblio l'andate cose.
      E per emenda io vorrò sol che faccia
      quai per uso faresti, opre famose;
      e 'n danno de' nemici e 'n pro de' nostri
      vincer convienti de la selva i mostri.

3       L'antichissima selva, onde fu inanti
      de' nostri ordigni la materia tratta,
      qual si sia la cagione, ora è d'incanti
      secreta stanza e formidabil fatta,
      né v'è chi legno di troncar si vanti,
      né vuol ragion che la città si batta
      senza tali instrumenti: or colà dove
      paventan gli altri, il tuo valor si prove."

4       Cosí disse egli, e il cavalier s'offerse
      con brevi detti al rischio, a la fatica;
      ma ne gli atti magnanimi si scerse
      ch'assai farà, benché non molto ei dica.
      E verso gli altri poi lieto converse
      la destra e 'l volto a l'accoglienza amica:
      qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti
      s'eran de l'oste i principi ridutti.

5       Poi che le dimostranze oneste e care
      con que' soprani egli iterò piú volte,
      placido affabilmente e popolare
      l'altre genti minori ebbe raccolte.
      Non saria già piú allegro il militare
      grido o le turbe intorno a lui piú folte
      se, vinto l'Oriente e 'l Mezzogiorno,
      trionfando n'andasse in carro adorno.

6       Cosí ne va sino al suo albergo, e siede,
      in cerchio quivi a i cari amici a canto,
      e molto lor risponde e molto chiede
      or de la guerra, or del silvestre incanto.
      Ma quando ognun partendo agio lor diede,
      cosí gli disse l'Eremita santo:
      "Ben gran cose, signor, e lungo corso
      (mirabil peregrino) errando hai scorso.

7       Quanto devi al gran Re che 'l mondo regge!
      Tratto egli t'ha da l'incantate soglie:
      ei te smarrito agnel fra le sue gregge
      or riconduce e nel suo ovil accoglie,
      e per la voce del Buglion t'elegge
      secondo essecutor de le sue voglie.
      Ma non conviensi già ch'ancor profano
      ne' suoi gran magisteri armi la mano,

8       ché sei de la caligine del mondo
      e de la carne tu di modo asperso
      che 'l Nilo e 'l Gange o l'ocean profondo
      non ti potrebbe far candido e terso.
      Sol la grazia del Ciel quanto hai d'immondo
      può render puro: al Ciel dunque converso,
      riverente perdon richiedi e spiega
      le tue tacite colpe, e piangi e prega."

9       Cosí gli disse; e quel prima in se stesso
      pianse i superbi sdegni e i folli amori,
      poi chinato a' suoi piè mesto e dimesso
      tutti scoprigli i giovenili errori.
      Il ministro del Ciel, dopo il concesso
      perdono, a lui dicea: "Co' novi albori
      ad orar te n'andrai là su quel monte
      ch'al raggio matutin volge la fronte.

10      Quivi al bosco t'invia, dove cotanti
      son fantasmi ingannevoli e bugiardi.
      Vincerai (questo so) mostri e giganti,
      pur ch'altro folle error non ti ritardi.
      Deh! né voce che dolce o pianga o canti,
      né beltà che soave o rida o guardi,
      con tenere lusinghe il cor ti pieghi,
      ma sprezza i finti aspetti e i finti preghi."

11      Cosí il consiglia; e 'l cavalier s'appresta,
      desiando e sperando, a l'alta lmpresa.
      Passa pensoso il dí, pensosa e mesta
      la notte; e pria ch'in ciel sia l'alba accesa,
      le belle arme si cinge, e sopravesta
      nova ed estrania di color s'ha presa,
      e tutto solo e tacito e pedone
      lascia i compagni e lascia il padiglione.

12      Era ne la stagion ch'anco non cede
      libero ogni confin la notte al giorno,
      ma l'oriente rosseggiar si vede
      ed anco è il ciel d'alcuna stella adorno;
      quando ei drizzò vèr l'Oliveto il piede,
      con gli occhi alzati contemplando intorno
      quinci notturne e quindi mattutine
      bellezze incorrottibili e divine.

13      Fra se stesso pensava: "O quante belle
      luci il tempio celeste in sé raguna!
      Ha il suo gran carro il dí, l'aurate stelle
      spiega la notte e l'argentata luna;
      ma non è chi vagheggi o questa o quelle,
      e miriam noi torbida luce e bruna
      ch'un girar d'occhi, un balenar di riso,
      scopre in breve confin di fragil viso."

14      Cosí pensando, a le piú eccelse cime
      ascese; e quivi, inchino e riverente,
      alzò il pensier sovra ogni ciel sublime
      e le luci fissò ne l'oriente:
      "La prima vita e le mie colpe prime
      mira con occhio di pietà clemente,
      Padre e Signor, e in me tua grazia piovi,
      sí che 'l mio vecchio Adam purghi e rinovi."

15      Cosí pregava, e gli sorgeva a fronte
      fatta già d'auro la vermiglia aurora
      che l'elmo e l'arme e intorno a lui del monte
      le verdi cime illuminando indora;
      e ventillar nel petto e ne la fronte
      sentia gli spirti di piacevol òra,
      che sovra il capo suo scotea dal grembo
      de la bell'alba un rugiadoso nembo.

16      La rugiada del ciel su le sue spoglie
      cade, che parean cenere al colore,
      e sí l'asperge che 'l pallor ne toglie
      e induce in esse un lucido candore;
      tal rabbellisce le smarrite foglie
      a i matutini geli arido fiore,
      e tal di vaga gioventú ritorna
      lieto il serpente e di novo or s'adorna.

17      Il bel candor de la mutata vesta
      egli medesmo riguardando ammira,
      poscia verso l'antica alta foresta
      con secura baldanza i passi gira.
      Era là giunto ove i men forti arresta
      solo il terror che di sua vista spira;
      pur né spiacente a lui né pauroso
      il bosco par, ma lietamente ombroso.

18      Passa piú oltre, e ode un suono intanto
      che dolcissimamente si diffonde.
      Vi sente d'un ruscello il roco pianto
      e 'l sospirar de l'aura infra le fronde
      e di musico cigno il flebil canto
      e l'usignol che plora e gli risponde,
      organi e cetre e voci umane in rime:
      tanti e sí fatti suoni un suono esprime.

19      Il cavalier, pur come a gli altri aviene,
      n'attendeva un gran tuon d'alto spavento,
      e v'ode poi di ninfe e di sirene,
      d'aure, d'acque, d'augei dolce concento,
      onde meravigliando il piè ritiene,
      e poi se 'n va tutto sospeso e lento;
      e fra via non ritrova altro divieto
      che quel d'un fiume trapassante e cheto.

20      L'un margo e l'altro del bel fiume, adorno
      di vaghezze e d'odori, olezza e ride.
      Ei stende tanto il suo girevol corno
      che tra 'l suo giro il gran bosco s'asside,
      né pur gli fa dolce ghirlanda intorno,
      ma un canaletto suo v'entra e 'l divide:
      bagna egli il bosco e 'l bosco il fiume adombra
      con bel cambio fra lor d'umore e d'ombra.

21      Mentre mira il guerriero ove si guade,
      ecco un ponte mirabile appariva:
      un ricco ponte d'or che larghe strade
      su gli archi stabilissimi gli offriva.
      Passa il dorato varco, e quel giú cade
      tosto che 'l piè toccata ha l'altra riva;
      e se ne 'l porta in giú l'acqua repente,
      l'acqua ch'è d'un bel rio fatta un torrente.

22      Ei si rivolge e dilatato il mira
      e gonfio assai quasi per nevi sciolte,
      che 'n se stesso volubil si raggira
      con mille rapidissime rivolte.
      Ma pur desio di novitade il tira
      a spiar tra le piante antiche e folte,
      e 'n quelle solitudini selvagge
      sempre a sé nova meraviglia il tragge.

23      Dove in passando le vestigia ei posa,
      par ch'ivi scaturisca o che germoglie:
      là s'apre il giglio e qui spunta la rosa,
      qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie,
      e sovra e intorno a lui la selva annosa
      tutte parea ringiovenir le foglie;
      s'ammolliscon le scorze e si rinverde
      piú lietamente in ogni pianta il verde.

24      Rugiadosa di manna era ogni fronda,
      e distillava de le scorze il mèle,
      e di novo s'udia quella gioconda
      strana armonia di canto e di querele;
      ma il coro uman, ch'a i cigni, a l'aura, a l'onda
      facea tenor, non sa dove si cele:
      non sa veder chi formi umani accenti,
      né dove siano i musici stromenti.

25      Mentre riguarda, e fede il pensier nega
      a quel che 'l senso gli offeria per vero,
      vede un mirto in disparte, e là si piega
      ove in gran piazza termina un sentiero.
      L'estranio mirto i suoi gran rami spiega,
      piú del cipresso e de la palma altero,
      e sovra tutti gli arbori frondeggia;
      ed ivi par del bosco esser la reggia.

26      Fermo il guerrier ne la gran piazza, affisa
      a maggior novitate allor le ciglia.
      Quercia gli appar che per se stessa incisa
      apre feconda il cavo ventre e figlia,
      e n'esce fuor vestita in strana guisa
      ninfa d'età cresciuta (oh meraviglia!);
      e vede insieme poi cento altre piante
      cento ninfe produr dal sen pregnante.

27      Quai le mostra la scena o quai dipinte
      tal volta rimiriam dèe boscareccie,
      nude le braccia e l'abito succinte,
      con bei coturni e con disciolte treccie,
      tali in sembianza si vedean le finte
      figlie de le selvatiche corteccie;
      se non che in vece d'arco o di faretra,
      chi tien leuto, e chi viola o cetra.

28      E cominciàr costor danze e carole,
      e di se stesse una corona ordiro
      e cinsero il guerrier, sí come sòle
      esser punto rinchiuso entro il suo giro.
      Cinser la pianta ancora, e tai parole
      nel dolce canto lor da lui s'udiro:
      "Ben caro giungi in queste chiostre amene
      o de la donna nostra amore e spene.

29      Giungi aspettato a dar salute a l'egra,
      d'amoroso pensiero arsa e ferita.
      Questa selva che dianzi era sí negra,
      stanza conforme a la dolente vita,
      vedi che tutta al tuo venir s'allegra
      e 'n piú leggiadre forme è rivestita."
      Tale era il canto; e poi dal mirto uscia
      un dolcissimo tuono, e quel s'apria.

30      Già ne l'aprir d'un rustico sileno
      meraviglie vedea l'antica etade,
      ma quel gran mirto da l'aperto seno
      imagini mostrò piú belle e rade:
      donna mostrò ch'assomigliava a pieno
      nel falso aspetto angelica beltade.
      Rinaldo guata, e di veder gli è aviso
      le sembianze d'Armida e il dolce viso.

31      Quella lui mira in un lieta e dolente:
      mille affetti in un guardo appaion misti.
      Poi dice: "Io pur ti veggio, e finalmente
      pur ritorni a colei da chi fuggisti.
      A che ne vieni? a consolar presente
      le mie vedove notti e i giorni tristi?
      o vieni a mover guerra, a discacciarme,
      che mi celi il bel volto e mostri l'arme?

32      giungi amante o nemico? Il ricco ponte
      io già non preparava ad uom nemico,
      né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte,
      sgombrando i dumi e ciò ch'a' passi è intrico.
      Togli questo elmo omai, scopri la fronte
      e gli occhi a gli occhi miei, s'arrivi amico;
      giungi i labri a le labra, il seno al seno,
      porgi la destra a la mia destra almeno."

33      Seguia parlando, e in bei pietosi giri
      volgeva i lumi e scoloria i sembianti,
      falseggiando i dolcissimi sospiri
      e i soavi singulti e i vaghi pianti,
      tal che incauta pietade a quei martíri
      intenerir potea gli aspri diamanti;
      ma il cavaliero, accorto sí, non crudo,
      piú non v'attende, e stringe il ferro ignudo.

34      Vassene al mirto; allor colei s'abbraccia
      al caro tronco, e s'interpone e grida:
      "Ah non sarà mai ver che tu mi faccia
      oltraggio tal, che l'arbor mio recida!
      Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia
      pria ne le vene a l'infelice Armida:
      per questo sen, per questo cor la spada
      solo al bel mirto mio trovar può strada."

35      Egli alza il ferro, e 'l suo pregar non cura;
      ma colei si trasmuta (oh novi mostri!)
      sí come avien che d'una altra figura,
      trasformando repente, il sogno mostri.
      Cosí ingrossò le membra, e tornò oscura
      la faccia e vi sparír gli avori e gli ostri;
      crebbe in gigante altissimo, e si feo
      con cento armate braccia un Briareo.

36      Cinquanta spade impugna e con cinquanta
      scudi risuona, e minacciando freme.
      Ogn'altra ninfa ancor d'arme s'ammanta,
      fatta un ciclope orrendo; ed ei non teme:
      raddoppia i colpi e la difesa pianta
      che pur, come animata, a i colpi geme.
      Sembran de l'aria i campi i campi stigi,
      tanti appaion in lor mostri e prodigi.

37      Sopra il turbato ciel, sotto la terra
      tuona: e fulmina quello, e trema questa;
      vengono i venti e le procelle in guerra,
      e gli soffiano al volto aspra tempesta.
      Ma pur mai colpo il cavalier non erra,
      né per tanto furor punto s'arresta;
      tronca la noce: è noce, e mirto parve.
      Qui l'incanto forní, sparír le larve.

38      Tornò sereno il cielo e l'aura cheta,
      tornò la selva al natural suo stato:
      non d'incanti terribile né lieta,
      piena d'orror ma de l'orror innato.
      Ritenta il vincitor s'altro piú vieta
      ch'esser non possa il bosco omai troncato;
      poscia sorride, e fra sé dice: "Oh vane
      sembianze! e folle chi per voi rimane!"

39      Quinci s'invia verso le tende, e intanto
      colà gridava il solitario Piero:
      "Già vinto è de la selva il fero incanto,
      già se 'n ritorna il vincitor guerriero:
      vedilo." Ed ei da lunge in bianco manto
      comparia venerabile e severo,
      e de l'aquila sua l'argentee piume
      splendeano al sol d'inusitato lume.

40      Ei dal campo gioioso alto saluto
      ha con sonoro replicar di gridi;
      e poi con lieto onore è ricevuto
      dal pio Buglione, e non è chi l'invídi.
      Disse al duce il guerriero: "A quel temuto
      bosco n'andai, come imponesti, e 'l vidi:
      vidi, e vinsi gli incanti; or vadan pure
      le genti là, ché son le vie secure."

41      Vassi a l'antica selva, e quindi è tolta
      materia tal qual buon giudicio elesse;
      e bench'oscuro fabro arte non molta
      por ne le prime machine sapesse,
      pur artefice illustre a questa volta
      è colui ch'a le travi i vinchi intesse:
      Guglielmo, il duce ligure, che pria
      signor del mare corseggiar solia,

42      poi sforzato a ritrarsi ei cesse i regni
      al gran navilio saracin de' mari,
      ed ora al campo conducea da i legni
      e le maritime arme e i marinari;
      ed era questi infra i piú industri ingegni
      ne' mecanici ordigni uom senza pari,
      e cento seco avea fabri minori,
      di ciò ch'egli disegna essecutori.

43      Costui non solo incominciò a comporre
      catapulte, balliste ed arieti,
      onde a le mura le difese tòrre
      possa e spezzar le sode alte pareti;
      ma fece opra maggior: mirabil torre
      ch'entro di pin tessuta era e d'abeti,
      e ne le cuoia avolto ha quel di fuore
      per ischermirsi da lanciato ardore.

44      Si commette la mole e ricompone
      con sottili giunture in un congiunta,
      e la trave che testa ha di montone
      da l'ime parti sue cozzando spunta;
      lancia dal mezzo un ponte, e spesso il pone
      su l'opposta muraglia a prima giunta,
      e fuor da lei su per la cima n'esce
      torre minor ch'in suso è spinta e cresce.

45      Per le facili vie destra, e corrente
      sovra ben cento sue volubil rote,
      gravida d'arme e gravida di gente,
      senza molta fatica ella gir pote.
      Stanno le schiere in rimirando intente
      la prestezza de' fabri e l'arti ignote,
      e due torri in quel punto anco son fatte
      de la prima ad imagine ritratte.

46      Ma non eran fra tanto a i saracini
      l'opre ch'ivi si fean del tutto ascoste,
      perché ne l'alte mura a i piú vicini
      lochi le guardie ad ispiar son poste.
      Questi gran salmerie d'orni e di pini
      vedean dal bosco esser condotte a l'oste,
      e machine vedean; ma non a pieno
      riconoscer la forma indi potieno.

47      Fan lor machine anch'essi e con molt'arte
      rinforzano le torri e la muraglia,
      e l'alzaron cosí da quella parte
      ov'è men atta a sostener battaglia,
      ch'a lor credenza omai sforzo di Marte
      esser non può ch'ad espugnarla vaglia;
      ma sovra ogni difesa Ismen prepara
      copia di fochi inusitata e rara.

48      Mesce il mago fellon zolfi e bitume,
      che dal lago di Sodoma ha raccolto;
      e fu' credo, in inferno, e dal gran fiume
      che nove volte il cerchia anco n'ha tolto.
      Cosí fa che quel foco e puta e fume,
      e che s'aventi fiammeggiando al volto.
      E ben co' feri incendi egli s'avisa
      di vendicar la cara selva incisa.

49      Mentre il campo e l'assalto e la cittade
      s'apparecchia in tal modo a le difese,
      una colomba per l'aeree strade
      vista è passar sovra lo stuol francese,
      che non dimena i presti vanni e rade
      quelle liquide vie con l'ali tese;
      e già la messaggiera peregrina
      da l'alte nubi a la città s'inchina,

50      quando di non so donde esce un falcone
      d'adunco rostro armato e di grand'ugna
      che fra 'l campo e le mura a lei s'oppone.
      Non aspetta ella del crudel la pugna;
      quegli, d'alto volando, al padiglione
      maggior l'incalza e par ch'omai l'aggiugna,
      ed al tenero capo il piede ha sovra:
      essa nel grembo al pio Buglion ricovra.

51      La raccoglie Goffredo, e la difende;
      poi scorge, in lei guardando, estrania cosa,
      ché dal collo ad un filo avinta pende
      rinchiusa carta, e sotto un'ala ascosa.
      La disserra e dispiega, e bene intende
      quella ch'in sé contien non lunga prosa:
      "Al signor di Giudea" dice lo scritto
      "invia salute il capitan d'Egitto.

52      Non sbigottir, signor: resisti e dura
      insino al quarto o insino al giorno quinto,
      ch'io vengo a liberar coteste mura,
      e vedrai tosto il tuo nemico vinto."
      Questo il secreto fu che la scrittura
      in barbariche note avea distinto
      dato in custodia al portator volante,
      ché tai messi in quel tempo usò il Levante.

53      Libera il prence la colomba; e quella,
      che de' secreti fu rivelatrice,
      come esser creda al suo signor rubella,
      non ardí piú tornar nunzia infelice.
      Ma il sopran duce i minor duci appella,
      e lor mostra la carta e cosí dice:
      "Vedete come il tutto a noi riveli
      la providenza del Signor de' cieli.

54      Già piú da ritardar tempo non parmi:
      nova spianata or cominciar potrassi,
      e fatica e sudor non si risparmi
      per superar d'inverso l'Austro i sassi.
      Duro fia sí far colà strada a l'armi,
      pur far si può: notato ho il loco e i passi.
      E ben quel muro che assecura il sito,
      d'arme e d'opre men deve esser munito.

55      Tu, Raimondo, vogl'io che da quel lato
      con le machine tue le mura offenda,
      vuo' che de l'arme mie l'alto apparato
      contra la porta Aquilonar si stenda
      sí che il nemico il vegga ed ingannato
      indi il maggior impeto nostro attenda;
      poi la gran torre mia, ch'agevol move,
      trascorra alquanto e porti guerra altrove.

56      Tu drizzarai, Camillo, al tempo stesso
      non lontana da me la terza torre."
      Tacque; e Raimondo, che gli siede appresso
      e che, parlando lui, fra sé discorre,
      disse: "Al consiglio da Goffredo espresso
      nulla giunger si pote e nulla tòrre.
      Lodo solo, oltra ciò, ch'alcun s'invii
      nel campo ostil ch'i suoi secreti spii,

57      e ne ridica il numero e 'l pensiero,
      quanto raccòr potrà, certo e verace."
      Sogiunge allor Tancredi: "Ho un mio scudiero
      che a questo uffizio di propor mi piace:
      uom pronto e destro e sovra i piè leggiero,
      audace sí, ma cautamente audace,
      che parla in molte lingue, e varia il noto
      suon de la voce e 'l portamento e 'l moto."

58      Venne colui, chiamato; e poi ch'intese
      ciò che Goffredo e 'l suo signor desia,
      alzò ridendo il volto ed intraprese
      la cura e disse: "Or or mi pongo in via.
      Tosto sarò dove quel campo tese
      le tende avrà, non conosciuta spia;
      vuo' penetrar di mezzodí nel vallo,
      e numerarvi ogn'uomo, ogni cavallo.

59      Quanta e qual sia quell'oste, e ciò che pensi
      il duce loro, a voi ridir prometto:
      vantomi in lui scoprir gli intimi sensi
      e i secreti pensier trargli del petto."
      Cosí parla Vafrino e non trattiensi,
      ma cangia in lungo manto il suo farsetto,
      e mostra fa del nudo collo, e prende
      d'intorno al capo attorcigliate bende;

60      la faretra s'adatta e l'arco siro,
      e barbarico sembra ogni suo gesto.
      Stupiron quei che favellar l'udiro
      ed in diverse lingue esser sí presto
      ch'egizio in Menfi o pur fenice in Tiro
      l'avria creduto e quel popolo e questo.
      Egli se 'n va sovra un destrier ch'a pena
      segna nel corso la piú molle arena.

61      Ma i Franchi, pria che 'l terzo dí sia giunto,
      appianaron le vie scoscese e rotte,
      e fornír gli instromenti anco in quel punto,
      ché non fur le fatiche unqua interrotte;
      anzi a l'opre de' giorni avean congiunto,
      togliendola al riposo, anco la notte,
      né cosa è piú che ritardar li possa
      dal far l'estremo omai d'ogni lor possa.

62      Del dí cui de l'assalto il dí successe,
      gran parte orando il pio Buglion dispensa;
      e impon ch'ogn'altro i falli suoi confesse
      e pasca il pan de l'alme a la gran mensa.
      Machine ed arme poscia ivi piú spesse
      dimostra ove adoprarle egli men pensa;
      e 'l deluso pagan si riconforta,
      ch'oppor le vede a la munita porta.

63      Co 'l buio de la notte è poi la vasta
      agil machina sua colà traslata
      ove è men curvo il muro e men contrasta,
      ch'angulosa non fa parte e piegata.
      E d'in su 'l colle e la città sovrasta
      Raimondo ancor con la sua torre armata,
      la sua Camillo a quel lato avicina
      che dal Borea a l'occaso alquanto inchina.

64      Ma come furo in oriente apparsi
      i matutini messaggier del sole,
      s'avidero i pagani (e ben turbàrsi)
      che la torre non è dove esser sòle;
      e miràr quinci e quindi anco inalzarsi
      non piú veduta una ed un'altra mole,
      e in numero infinito anco son viste
      catapulte, monton, gatti e balliste.

65      Non è la turba de' pagan già lenta
      a trasportarne là molte difese
      ove il Buglion le machine appresenta,
      da quella parte ove primier l'attese.
      Ma il capitan, ch'a tergo aver rammenta
      l'oste d'Egitto, ha quelle vie già prese;
      e Guelfo e i due Roberti a sé chiamati:
      "State" dice "a cavallo in sella armati,

66      e procurate voi che, mentre ascendo
      colà dove quel muro appar men forte,
      schiera non sia che súbita venendo
      s'atterghi a gli occupati e guerra porte."
      Tacque, e già da tre lati assalto orrendo
      movon le tre sí valorose scorte;
      e da tre lati ha il re sue genti opposte,
      che riprese quel dí l'arme deposte.

67      Egli medesmo al corpo omai tremante
      per gli anni, e grave del suo proprio pondo,
      l'arme che disusò gran tempo inante,
      circonda, e se ne va contra Raimondo.
      Solimano a Goffredo e 'l fero Argante
      al buon Camillo oppon, che di Boemondo
      seco ha il nipote; e lui fortuna or guida,
      perché 'l nemico a sé dovuto uccida.

68      Incominciaro a saettar gli arcieri
      infette di veneno arme mortali,
      ed adombrato il ciel par che s'anneri
      sotto un immenso nuvolo di strali.
      Ma con forza maggior colpi piú feri
      ne venian da le machine murali:
      indi gran palle uscian marmoree e gravi,
      e con punta d'acciar ferrate travi.

69      Par fulmine ogni sasso, e cosí trita
      l'armatura e le membra a chi n'è colto,
      che gli toglie non pur l'alma e la vita,
      ma la forma del corpo anco e del volto.
      Non si ferma la lancia a la ferita;
      dopo il colpo, del corso avanza molto:
      entra da un lato e fuor per l'altro passa
      fuggendo, e nel fuggir la morte lassa.

70      Ma non togliea però da la difesa
      tanto furor le saracine genti:
      contra quelle percosse avean già tesa
      pieghevol tela e cose altre cedenti;
      l'impeto, che 'n lor cade, ivi contesa
      non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti;
      essi, ove miran piú la calca esposta,
      fan con l'arme volanti aspra risposta.

71      Con tutto ciò d'andarne oltre non cessa
      l'assalitor, che tripartito move;
      e chi va sotto gatti, ove la spessa
      gragnuola di saette indarno piove,
      e chi le torri a l'alto muro appressa
      che da sé loro a suo poter rimove:
      tenta ogni torre omai lanciare il ponte,
      cozza il monton con la ferrata fronte.

72      Rinaldo intanto irresoluto bada,
      ché quel rischio di sé degno non era,
      e stima onor plebeo quand'egli vada
      per le comuni vie co 'l vulgo in schiera.
      E volge intorno gli occhi, e quella strada
      sol gli piace tentar ch'altri dispera.
      Là dove il muro piú munito ed alto
      in pace stassi, ei vuol portar assalto.

73      E volgendosi a quegli, i quai già furo
      guidati da Dudon, guerrier famosi:
      "Oh vergogna," dicea "che là quel muro
      fra cotant'arme in pace or si riposi!
      Ogni rischio al valor sempre è securo,
      tutte le vie son piane a gli animosi:
      moviam là guerra, e contra a i colpi crudi
      faciam densa testugine di scudi."

74      Giunsersi tutti seco a questo detto;
      tutti gli scudi alzàr sovra la testa,
      e gli uniron cosí che ferreo tetto
      facean contra l'orribile tempesta.
      Sotto il coperchio il fero stuol ristretto
      va di gran corso, e nulla il corso arresta,
      ché la soda testugine sostiene
      ciò che di ruinoso in giú ne viene.

75      Son già sotto le mura: allor Rinaldo
      scala drizzò di cento gradi e cento,
      e lei con braccio maneggiò sí saldo
      ch'agile è men picciola canna al vento.
      Or lancia o trave, or gran colonna o spaldo
      d'alto discende: ei non va su piú lento;
      ma, intrepido ed invitto ad ogni scossa,
      sprezzaria, se cadesse, Olimpo ed Ossa.

76      Una selva di strali e di ruine
      sostien su 'l dosso, e su lo scudo un monte:
      scote una man le mura a sé vicine,
      l'altra sospesa in guardia è de la fronte.
      L'essempio a l'opre ardite e pellegrine
      spinge i compagni: ei non è sol che monte,
      ché molti appoggian seco eccelse scale;
      ma 'l valore e la sorte è diseguale.

77      More alcuno, altri cade: egli sublime
      poggia, e questi conforta e quei minaccia;
      tanto è già in su che le merlate cime
      pote afferrar con le distese braccia.
      Gran gente allor vi trae; l'urta, il reprime,
      cerca precipitarlo, e pur no 'l caccia.
      Mirabil vista! a un grande e fermo stuolo
      resister può, sospeso in aria, un solo.

78      E resiste e s'avanza e si rinforza;
      e come palma suol cui pondo aggreva,
      suo valor combattuto ha maggior forza
      e ne la oppression piú si solleva.
      E vince alfin tutti i nemici, e sforza
      l'aste e gli intoppi che d'incontro aveva;
      e sale il muro e 'l signoreggia, e 'l rende
      sgombro e securo a chi diretro ascende.

79      Ed egli stesso a l'ultimo germano
      del pio Buglion, ch'è di cadere in forse,
      stesa la vincitrice amica mano,
      di salirne secondo aita porse.
      Fra tanto erano altrove al capitano
      varie fortune e perigliose occorse;
      ch'ivi non pur fra gli uomini si pugna,
      ma le machine insieme anco fan pugna.

80      Su 'l muro aveano i Siri un tronco alzato
      ch'antenna un tempo esser solea di nave,
      e sovra lui co 'l capo aspro e ferrato
      per traverso sospesa è grossa trave;
      e indietro quel da canapi tirato,
      poi torna inanti impetuoso e grave:
      talor rientra nel suo guscio, ed ora
      la testugin rimanda il collo fora.

81      Urtò la trave immensa, e cosí dure
      ne la torre addoppiò le sue percosse
      che le ben teste in lei salde giunture
      lentando aperse, e la respinse e scosse.
      La torre a quel bisogno armi secure
      avea già in punto, e due gran falci mosse
      ch'aventate con arte incontra al legno
      quelle funi tagliàr ch'eran sostegno.

82      Qual gran sasso talor, ch'o la vecchiezza
      solve da un monte o svelle ira de' venti,
      ruinoso dirupa, e porta e spezza
      le selve e con le case anco gli armenti,
      tal giú traea da la sublime altezza
      l'orribil trave e merli ed arme e genti;
      diè la torre a quel moto uno e duo crolli,
      tremàr le mura e rimbombaro i colli.

83      Passa il Buglion vittorioso inanti
      e già le mura d'occupar si crede,
      ma fiamme allora fetide e fumanti
      lanciarsi incontra immantinente ei vede;
      né dal sulfureo sen fochi mai tanti
      il cavernoso Mongibel fuor diede,
      né mai cotanti ne gli estivi ardori
      piovve l'indico ciel caldi vapori.

84      Qui vasi e cerchi ed aste ardenti sono,
      qual fiamma nera e qual sanguigna splende.
      L'odore appuzza, assorda il bombo e 'l tuono
      accieca il fumo, il foco arde e s'apprende.
      L'umido cuoio alfin saria mal buono
      schermo a la torre, a pena or la difende.
      Già suda e si rincrespa; e se piú tarda
      il soccorso del Ciel, conven pur ch'arda.

85      Il magnanimo duce inanzi a tutti
      stassi, e non muta né color né loco;
      e quei conforta che su i cuoi asciutti
      versan l'onde apprestate incontra al foco.
      In tale stato eran costor ridutti,
      e già de l'acque rimanea lor poco,
      quando ecco un vento, ch'improviso spira,
      contra gli autori suoi l'incendio gira.

86      Vien contro al foco il turbo; e indietro vòlto
      il foco ove i pagan le tele alzaro,
      quella molle materia in sé raccolto
      l'ha immantinente, e n'arde ogni riparo.
      Oh glorioso capitano! oh molto
      dal gran Dio custodito, al gran Dio caro!
      A te guerreggia il Cielo; ed ubidienti
      vengon, chiamati a suon di trombe, i venti.

87      Ma l'empio Ismen, che le sulfuree faci
      vide da Borea incontra sé converse,
      ritentar volle l'arti sue fallaci
      per sforzar la natura e l'aure averse,
      e fra due maghe, che di lui seguaci
      si fèr, su 'l muro a gli occhi altrui s'offerse;
      e torvo e nero e squallido e barbuto
      fra due furie parea Caronte o Pluto.

88      Già il mormorar s'udia de le parole
      di cui teme Cocito e Flegetonte,
      già si vedea l'aria turbar e 'l sole
      cinger d'oscuri nuvoli la fronte,
      quando aventato fu da l'alta mole
      un gran sasso, che fu parte d'un monte;
      e tra lor colse sí ch'una percossa
      sparse di tutti insieme il sangue e l'ossa.

89      In pezzi minutissimi e sanguigni
      si disperser cosí l'inique teste,
      che di sotto a i pesanti aspri macigni
      soglion poco le biade uscir piú peste.
      Lasciàr gemendo i tre spirti maligni
      l'aria serena e 'l bel raggio celeste,
      e se 'n fuggìr tra l'ombre empie infernali.
      Apprendete pietà quinci, o mortali.

90      In questo mezzo, a la città la torre,
      cui da l'incendio il turbine assecura,
      s'avicina cosí che può ben porre
      e fermare il suo ponte in su le mura;
      ma Solimano intrepido v'accorre,
      e 'l passo angusto di tagliar procura,
      e doppia i colpi: e ben l'avria reciso;
      ma un'altra torre apparse a l'improviso.

91      La gran mole crescente oltra i confini
      de' piú alti edifici in aria passa.
      Attoniti a quel mostro i saracini
      restàr, vedendo la città piú bassa.
      Ma il fero turco, ancor ch'in lui ruini
      di pietre un nembo, il loco suo non lassa;
      né di tagliar il ponte anco diffida,
      e gli altri che temean rincora e sgrida.

92      S'offerse a gli occhi di Goffredo allora,
      invisibile altrui, l'agnol Michele
      cinto d'armi celesti; e vinto fòra
      il sol da lui, cui nulla nube vele.
      "Ecco," disse "Goffredo, è giunta l'ora
      ch'esca Siòn di servitú crudele.
      Non chinar, non chinar gli occhi smarriti;
      mira con quante forze il Ciel t'aiti.

93      Drizza pur gli occhi a riguardar l'immenso
      essercito immortal ch'è in aria accolto,
      ch'io dinanzi torrotti il nuvol denso
      di vostra umanità, ch'intorno avolto
      adombrando t'appanna il mortal senso,
      sí che vedrai gli ignudi spirti in volto;
      e sostener per breve spazio i rai
      de l'angeliche forme anco potrai.

94      Mira di quei che fur campion di Cristo
      l'anime fatte in Cielo or cittadine,
      che pugnan teco e di sí alto acquisto
      si trovan teco al glorioso fine.
      Là 've ondeggiar la polve e 'l fumo misto
      vedi e di rotte moli alte ruine,
      tra quella folta nebbia Ugon combatte
      e de le torri i fondamenti abbatte.

95      Ecco poi là Dudon, che l'alta porta
      Aquilonar con ferro e fiamma assale:
      ministra l'arme a i combattenti, essorta
      ch'altrui su monti, e drizza e tien le scale.
      Quel ch'è su 'l colle, e 'l sacro abito porta
      e la corona a i crin sacerdotale,
      è il pastore Ademaro, alma felice:
      vedi ch'ancor vi segna e benedice.

96      Leva piú in su l'ardite luci, e tutta
      la grande oste del ciel congiunta guata."
      Egli alzò il guardo, e vide in un ridutta
      milizia innumerabile ed alata.
      Tre folte squadre, ed ogni squadra instrutta
      in tre ordini gira e si dilata;
      ma si dilata piú quanto piú in fòri
      i cerchi son: son gli intimi i minori.

97      Qui chinò vinti i lumi e gli alzò poi,
      né lo spettacol grande ei piú rivide;
      ma riguardando d'ogni parte i suoi,
      scorge che a tutti la vittoria arride.
      Molti dietro a Rinaldo illustri eroi
      saliano; ei già salito i Siri uccide.
      Il capitan, che piú indugiar si sdegna,
      toglie di mano al fido alfier l'insegna,

98      e passa primo il ponte, ed impedita
      gli è a mezzo il corso dal Soldan la via.
      Un picciol ponte è campo ad infinita
      virtú, ch'in pochi colpi ivi apparia.
      Grida il fer Solimano: "A l'altrui vita
      dono e consacro io la vita mia.
      Tagliate, amici, a le mie spalle or questo
      ponte, ché qui non facil preda i' resto."

99      Ma venirne Rinaldo in volto orrendo
      e fuggirne ciascun vedea lontano:
      "Or che farò? se qui la vita spendo,
      la spando" disse "e la disperdo invano."
      E, in sé nove difese anco volgendo,
      cedea libero il passo al capitano,
      che minacciando il segue e de la santa
      Croce il vessillo in su le mura pianta.

100     La vincitrice insegna in mille giri
      alteramente si rivolge intorno;
      e par che in lei piú riverente spiri
      l'aura, e che splenda in lei piú chiaro il giorno;
      ch'ogni dardo, ogni stral ch'in lei si tiri,
      o la declini, o faccia indi ritorno:
      par che Siòn, par che l'opposto monte
      lieto l'adori, e inchini a lei la fronte.

101     Allor tutte le squadre il grido alzaro
      de la vittoria altissimo e festante,
      e risonaro i monti e replicaro
      gli ultimi accenti; e quasi in quello istante
      ruppe e vinse Tancredi ogni riparo
      che gli aveva a l'incontro opposto Argante,
      e lanciando il suo ponte anch'ei veloce
      passò nel muro e v'inalzò la Croce.

102     Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto
      Raimondo pugna e 'l palestin tiranno,
      i guerrier di Guascogna anco potuto
      giunger la torre a la città non hanno,
      ché 'l nerbo de le genti ha il re in aiuto
      ed ostinati a la difesa stanno;
      e se ben quivi il muro era men fermo,
      di machine v'avea maggior lo schermo.

103     Oltra che men ch'altrove in questo canto
      la gran mole il sentier trovò spedito,
      né tanto arte poté che pur alquanto
      di sua natura non ritegna il sito.
      Fu l'alto segno di vittoria intanto
      da i difensori e da i Guasconi udito,
      ed avisò il tiranno e 'l tolosano
      che la città già presa è verso il piano.

104     Onde Raimondo a i suoi: "Da l'altra parte,"
      grida "o compagni, è la città già presa.
      Vinta ancor ne resiste? or soli a parte
      non sarem noi di sí onorata presa?"
      Ma il re cedendo alfin di là si parte
      perch'ivi disperata è la difesa,
      e se 'n rifugge in loco forte ed alto
      ove egli spera sostener l'assalto.

105     Entra allor vincitore il campo tutto
      per le mura non sol, ma per le porte;
      ch'è già aperto, abbattuto, arso e destrutto
      ciò che lor s'opponea rinchiuso e forte.
      Spazia l'ira del ferro; e va co 'l lutto
      e con l'orror, compagni suoi, la morte.
      Ristagna il sangue in gorghi, e corre in rivi
      pieni di corpi estinti e di mal vivi.



canto DICIANNOVESIMO


1       Già la morte o il consiglio o la paura
      da le difese ogni pagano ha tolto,
      e sol non s'è da l'espugnate mura
      il pertinace Argante anco rivolto.
      Mostra ei la faccia intrepida e secura
      e pugna pur fra gli inimici avolto,
      piú che morir temendo esser respinto;
      e vuol morendo anco parer non vinto.

2       Ma sovra ogn'altro feritore infesto
      sovragiunge Tancredi e lui percote.
      Ben è il circasso a riconoscer presto
      al portamento, a gli atti, a l'arme note,
      lui che pugnò già seco, e 'l giorno sesto
      tornar promise, e le promesse ír vòte.
      Onde gridò: "Cosí la fé, Tancredi,
      mi servi tu? cosí a la pugna or riedi?

3       Tardi riedi, e non solo; io non rifiuto
      però combatter teco e riprovarmi,
      benché non qual guerrier, ma qui venuto
      quasi inventor di machine tu parmi.
      Fatti scudo de' tuoi, trova in aiuto
      novi ordigni di guerra e insolite armi,
      ché non potrai da le mie mani, o forte
      de le donne uccisor, fuggir la morte."

4       Sorrise il buon Tancredi un cotal riso
      di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto:
      "Tardo è il ritorno mio, ma pur aviso
      che frettoloso ti parrà ben tosto,
      e bramerai che te da me diviso
      o l'alpe avesse o fosse il mar fraposto;
      e che del mio indugiar non fu cagione
      tema o viltà, vedrai co 'l paragone.

5       Vienne in disparte pur tu ch'omicida
      sei de' giganti solo e de gli eroi:
      l'uccisor de le femine ti sfida."
      Cosí gli dice; indi si volge a i suoi
      e fa ritrarli da l'offesa, e grida:
      "Cessate pur di molestarlo or voi,
      ch'è proprio mio piú che comun nemico
      questi, ed a lui mi stringe obligo antico."

6       "Or discendine giú, solo o seguito
      come piú vuoi"; ripiglia il fer circasso
      "va' in frequentato loco od in romito,
      ché per dubbio o svantaggio io non ti lasso."
      Sí fatto ed accettato il fero invito,
      movon concordi a la gran lite il passo:
      l'odio in un gli accompagna, e fa il rancore
      l'un nemico de l'altro or difensore.

7       Grande è il zelo d'onor, grande il desire
      che Tancredi del sangue ha del pagano,
      né la sete ammorzar crede de l'ire
      se n'esce stilla fuor per l'altrui mano;
      e con lo scudo il copre, e: "Non ferire"
      grida a quanti rincontra anco lontano;
      sí che salvo il nimico infra gli amici
      tragge da l'arme irate e vincitrici.

8       Escon de la cittade e dan le spalle
      a i padiglion de le accampate genti,
      e se ne van dove un girevol calle
      li porta per secreti avolgimenti;
      e ritrovano ombrosa angusta valle
      tra piú colli giacer, non altrimenti
      che se fosse un teatro o fosse ad uso
      di battaglie e di caccie intorno chiuso.

9       Qui si fermano entrambi, e pur sospeso
      volgeasi Argante a la cittade afflitta.
      Vede Tancredi che 'l pagan difeso
      non è di scudo, e 'l suo lontano ei gitta.
      Poscia lui dice: "Or qual pensier t'ha preso?
      pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta?
      S'antivedendo ciò timido stai,
      è 'l tuo timore intempestivo omai."

10      "Penso" risponde "a la città del regno
      di Giudea antichissima regina,
      che vinta or cade, e indarno esser sostegno
      io procurai de la fatal ruina,
      e ch'è poca vendetta al mio disdegno
      il capo tuo che 'l Cielo or mi destina."
      Tacque, e incontra si van con gran risguardo,
      ché ben conosce l'un l'altro gagliardo.

11      È di corpo Tancredi agile e sciolto,
      e di man velocissimo e di piede;
      sovrasta a lui con l'alto capo, e molto
      di grossezza di membra Argante eccede.
      Girar Tancredi inchino in sé raccolto
      per aventarsi e sottentrar si vede;
      e con la spada sua la spada trova
      nemica, e 'n disviarla usa ogni prova.

12      Ma disteso ed eretto il fero Argante
      dimostra arte simile, atto diverso.
      Quanto egli può, va co 'l gran braccio inante
      e cerca il ferro no, ma il corpo averso.
      Quel tenta aditi novi in ogni istante,
      questi gli ha il ferro al volto ognor converso:
      minaccia, e intento a proibirgli stassi
      furtive entrate e súbiti trapassi.

13      Cosí pugna naval, quando non spira
      per lo piano del mare Africo o Noto,
      fra due legni ineguali egual si mira,
      ch'un d'altezza preval, l'altro di moto:
      l'un con volte e rivolte assale e gira
      da prora a poppa, e si sta l'altro immoto;
      e quando il piú leggier se gli avicina.
      d'alta parte minaccia alta ruina.

14      Mentre il latin di sottentrar ritenta
      sviando il ferro che si vede opporre,
      vibra Argante la spada e gli appresenta
      la punta a gli occhi; egli al riparo accorre,
      ma lei sí presta allor, sí violenta
      cala il pagan che 'l difensor precorre
      e 'l fère al fianco; e visto il fianco infermo,
      grida: "Lo schermitor vinto è di schermo."

15      Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna
      si rode, e lascia i soliti riguardi,
      e in cotal guisa la vendetta agogna
      che sua perdita stima il vincer tardi.
      Sol risponde co 'l ferro a la rampogna
      e 'l drizza a l'elmo. Ove apre il passo a i guardi.
      Ribatte Argante il colpo, e risoluto
      Tancredi a mezza spada è già venuto.

16      Passa veloce allor co 'l piè sinestro
      e con la manca al dritto braccio il prende,
      e con la destra intanto il lato destro
      di punte mortalissime gli offende.
      "Questa" diceva "al vincitor maestro
      il vinto schermidor risposta rende."
      Freme il circasso e si contorce e scote,
      ma il braccio prigionier ritrar non pote.

17      Alfin lasciò la spada a la catena
      pendente, e sotto al buon latin si spinse.
      Fe' l'istesso Tancredi, e con gran lena
      l'un calcò l'altro e l'un l'altro recinse;
      né con piú forza da l'adusta arena
      sospese Alcide il gran gigante e strinse,
      di quella onde facean tenaci nodi
      le nerborute braccia in vari modi.

18      Tai fur gli avolgimenti e tai le scosse
      ch'ambi in un tempo il suol presser co 'l fianco.
      Argante, od arte o sua ventura fosse,
      sovra ha il braccio migliore e sotto il manco.
      Ma la man ch'è piú atta a le percosse
      sottogiace impedita al guerrier franco;
      ond'ei, che 'l suo svantaggio e 'l rischio vede,
      si sviluppa da l'altro e salta in piede.

19      Sorge piú tardi e un gran fendente, in prima
      che sorto ei sia, vien sopra al saracino.
      Ma come a l'Euro la frondosa cima
      piega e in un tempo la solleva il pino,
      cosí lui sua virtute alza e sublima
      quando ei n'è già per ricader piú chino.
      Or ricomincian qui colpi a vicenda:
      la pugna ha manco d'arte ed è piú orrenda.

20      Esce a Tancredi in piú d'un loco il sangue,
      ma ne versa il pagan quasi torrenti.
      Già ne le sceme forze il furor langue,
      sí come fiamma in deboli alimenti.
      Tancredi che 'l vedea co 'l braccio essangue
      girar i colpi ad or ad or piú lenti,
      dal magnanimo cor deposta l'ira,
      placido gli ragiona e 'l piè ritira:

21      "Cedimi, uom forte, o riconoscer voglia
      me per tuo vincitore o la fortuna;
      né ricerco da te trionfo o spoglia,
      né mi riserbo in te ragione alcuna."
      Terribile il pagan piú che mai soglia,
      tutte le furie sue desta e raguna;
      risponde: "Or dunque il meglio aver ti vante
      ed osi di viltà tentare Argante?

22      Usa la sorte tua, ché nulla io temo
      né lascierò la tua follia impunita."
      Come face rinforza anzi l'estremo
      le fiamme, e luminosa esce di vita,
      tal riempiendo ei d'ira il sangue scemo
      rinvigorí la gagliardia smarrita,
      e l'ore de la morte omai vicine
      volse illustrar con generoso fine.

23      La man sinistra a la compagna accosta,
      e con ambe congiunte il ferro abbassa;
      cala un fendente, e benché trovi opposta
      la spada ostil, la sforza ed oltre passa,
      scende a la spalla, e giú di costa in costa
      molte ferite in un sol punto lassa.
      Se non teme Tancredi, il petto audace
      non fe' natura di timor capace.

24      Quel doppia il colpo orribile, ed al vento
      le forze e l'ire inutilmente ha sparte,
      perché Tancredi, a la percossa intento,
      se ne sottrasse e si lanciò in disparte.
      Tu, dal tuo peso tratto, in giú co 'l mento
      n'andasti, Argante, e non potesti aitarte:
      per te cadesti, aventuroso in tanto
      ch'altri non ha di tua caduta il vanto.

25      Il cader dilatò le piaghe aperte,
      e 'l sangue espresso dilagando scese.
      Punta ei la manca in terra, e si converte
      ritto sovra un ginocchio a le difese.
      "Renditi" grida, e gli fa nove offerte,
      senza noiarlo, il vincitor cortese.
      Quegli di furto intanto il ferro caccia
      e su 'l tallone il fiede, indi il minaccia.

26      Infuriossi allor Tancredi, e disse:
      "Cosí abusi, fellon, la pietà mia?"
      Poi la spada gli fisse e gli rifisse
      ne la visiera, ove accertò la via.
      Moriva Argante, e tal moria qual visse:
      minacciava morendo e non languia.
      Superbi, formidabili e feroci
      gli ultimi moti fur, l'ultime voci.

27      Ripon Tancredi il ferro, e poi devoto
      ringrazia Dio del trionfal onore;
      ma lasciato di forze ha quasi vòto
      la sanguigna vittoria il vincitore.
      Teme egli assai che del viaggio al moto
      durar non possa il suo fievol vigore;
      pur s'incamina, e cosí passo passo
      per le già corse vie move il piè lasso.

28      Trar molto il debil fianco oltra non pote
      e quanto piú si sforza piú s'affanna,
      onde in terra s'asside e pon le gote
      su la destra che par tremula canna.
      Ciò che vedea pargli veder che rote,
      e di tenebre il dí già gli s'appanna.
      Al fin isviene; e 'l vincitor dal vinto
      non ben saria nel rimirar distinto.

29      Mentre qui segue la solinga guerra,
      che privata cagion fe' cosí ardente,
      l'ira de' vincitor trascorre ed erra
      per la città su 'l popolo nocente.
      Or chi giamai de l'espugnata terra
      potrebbe a pien l'imagine dolente
      ritrarre in carte od adeguar parlando
      lo spettacolo atroce e miserando?

30      Ogni cosa di strage era già pieno,
      vedeansi in mucchi e in monti i corpi avolti:
      là i feriti su i morti, e qui giacieno
      sotto morti insepolti egri sepolti.
      Fuggian premendo i pargoletti al seno
      le meste madri co' capegli sciolti,
      e 'l predator, di spoglie e di rapine
      carco, stringea le vergini nel crine.

31      Ma per le vie ch'al piú sublime colle
      saglion verso occidente, ond'è il gran tempio,
      tutto del sangue ostile orrido e molle
      Rinaldo corre e caccia il popolo empio.
      La fera spada il generoso estolle
      sovra gli armati capi e ne fa scempio;
      è schermo frale ogn'elmo ed ogni scudo:
      difesa è qui l'esser de l'arme ignudo.

32      Sol contra il ferro il nobil ferro adopra,
      e sdegna ne gli inermi esser feroce;
      e que' ch'ardir non armi, arme non copra,
      caccia co l' guardo e con l'orribil voce.
      Vedresti, di valor mirabil opra,
      come or disprezza, ora minaccia, or noce,
      come con rischio disegual fugati
      sono egualmente pur nudi ed armati.

33      Già co 'l piú imbelle vulgo anco ritratto
      s'è non picciolo stuol del piú guerriero
      nel tempio che, piú volte arso e disfatto,
      si noma ancor, dal fondator primiero,
      di Salamone; e fu per lui già fatto
      di cedri, d'oro e di bei marmi altero.
      Or non sí ricco già, pur saldo e forte
      è d'alte torri e di ferrate porte.

34      Giunto il gran cavaliero ove raccolte
      s'eran le turbe in loco ampio e sublime,
      trovò chiuse le porte e trovò molte
      difese apparecchiate in su le cime.
      Alzò lo sguardo orribile e due volte
      tutto il mirò da l'alte parti a l'ime,
      varco angusto cercando, ed altrettante
      il circondò con le veloci piante.

35      Qual lupo predatore a l'aer bruno
      le chiuse mandre insidiando aggira,
      secco l'avide fauci, e nel digiuno
      da nativo odio stimulato e d'ira,
      tale egli intorno spia s'adito alcuno
      (piano od erto che siasi) aprir si mira;
      si ferma alfin ne la gran piazza, e d'alto
      stanno aspettando i miseri l'assalto.

36      In disparte giacea (qual che si fosse
      l'uso a cui si serbava) eccelsa trave,
      né cosí alte mai, né cosí grosse
      spiega l'antenne sue ligura nave.
      Vèr la gran porta il cavalier la mosse
      con quella man cui nessun pondo è grave,
      e recandosi lei di lancia in modo
      urtò d'incontro impetuoso e sodo.

37      Restar non può marmo o metallo inanti
      al duro urtare, al riurtar piú forte.
      Svelse dal sasso i cardini sonanti,
      ruppe i serragli ed abbatté le porte.
      Non l'ariete di far piú si vanti,
      non la bombarda, fulmine di morte.
      Per la dischiusa via la gente inonda
      quasi un diluvio, e 'l vincitor seconda.

38      Rende misera strage atra e funesta
      l'alta magion che fu magion di Dio.
      O giustizia del Ciel, quanto men presta
      tanto piú grave sovra il popol rio!
      Dal tuo secreto proveder fu desta
      l'ira ne' cor pietosi, e incrudelio.
      Lavò co 'l sangue suo l'empio pagano
      quel tempio che già fatto avea profano.

39      Ma intanto Soliman vèr la gran torre
      ito se n'è che di David s'appella,
      e qui fa de' guerrier l'avanzo accòrre,
      e sbarra intorno a questa strada e quella;
      e 'l tiranno Aladino anco vi corre.
      Come il Soldan lui vede, a lui favella:
      "Vieni, o famoso re, vieni; e là sovra
      a la rocca fortissima ricovra,

40      ché dal furor de le nemiche spade
      guardar vi puoi la tua salute e 'l regno."
      "Oimè," risponde "oimè, che la cittade
      strugge dal fondo suo barbaro sdegno,
      e la mia vita e 'l nostro imperio cade.
      Vissi, e regnai; non vivo piú, né regno.
      Ben si può dir: `Noi fummo.' A tutti è giunto
      l'ultimo dí, l'inevitabil punto."

41      "Ov'è, signor la tua virtute antica?"
      disse il Soldan tutto cruccioso allora.
      "Tolgaci i regni pur sorte nemica,
      ché 'l regal pregio è nostro e 'n noi dimora.
      Ma colà dentro omai da la fatica
      le stanche e gravi tue membra ristora."
      Cosí gli parla, e fa che si raccoglia
      il vecchio re ne la guardata soglia.

42      Egli ferrata mazza a due man prende
      e si ripon la fida spada al fianco,
      e stassi al varco intrepido e difende
      il chiuso de le strade al popol franco.
      Eran mortali le percosse orrende:
      quella che non uccide, atterra almanco.
      Già fugge ognun da la sbarrata piazza,
      dove appressar vede l'orribil mazza.

43      Ecco da fera compagnia seguito
      sopragiungeva il tolosan Raimondo.
      Al periglioso passo il vecchio ardito
      corse, e sprezzò di quei gran colpi il pondo.
      Primo ei ferí, ma invano ebbe ferito;
      non ferí invano il feritor secondo,
      ch'in fronte il colse, e l'atterrò co 'l peso
      supin, tremante, a braccia aperte e steso.

44      Finalmente ritorna anco ne' vinti
      la virtú che 'l timore avea fugata,
      e i Franchi vincitori o son respinti
      o pur caggiono uccisi in su l'entrata.
      Ma il Soldan, che giacere infra gli estinti
      il tramortito duce a i piè si guata,
      grida a i suoi cavalier: "Costui sia tratto
      dentro a le sbarre e prigionier sia fatto."

45      Si movon quegli ad esseguir l'effetto,
      ma trovan dura e faticosa impresa
      perché non è d'alcun de' suoi negletto
      Raimondo, e corron tutti in sua difesa.
      Quinci furor, quindi pietoso affetto
      pugna, né vil cagione è di contesa:
      di sí grand'uom la libertà, la vita,
      questi a guardar, quegli a rapir invita.

46      Pur vinto avrebbe a lungo andar la prova
      il Soldano ostinato a la vendetta,
      ch'a la fulminea mazza oppor non giova
      o doppio scudo o tempra d'elmo eletta;
      ma grande aita a i suoi nemici e nova
      di qua di là vede arrivare in fretta,
      ché da duo lati opposti in un sol punto
      il sopran duce e 'l gran guerriero è giunto.

47      Come pastor, quando fremendo intorno
      il vento e i tuoni e balenando i lampi
      vede oscurar di mille nubi il giorno,
      ritrae le greggie da gli aperti campi,
      e sollecito cerca alcun soggiorno
      ove l'ira del ciel securo scampi,
      ei co 'l grido indrizzando e con la verga
      le mandre inanti, a gli ultimi s'atterga;

48      cosí il pagan, che già venir sentia
      l'irreparabil turbo e la tempesta
      che di fremiti orrendi il ciel feria
      d'arme ingombrando e quella parte e questa
      le custodite genti inanzi invia
      ne la gran torre, ed egli ultimo resta:
      ultimo parte, e sí cede al periglio
      ch'audace appare in provido consiglio.

49      Pur a fatica avien che si ripari
      dentro a le porte, e le riserra a pena
      che già, rotte le sbarre, a i limitari
      Rinaldo vien, né quivi anco s'affrena.
      Desio di superar chi non ha pari
      in opra d'arme, e giuramento il mena;
      ché non oblia che in voto egli promise
      di dar morte a colui che 'l dano uccise.

50      E ben allor allor l'invitta mano
      tentato avria l'inespugnabil muro,
      né forse colà dentro era il Soldano
      dal fatal suo nemico assai securo;
      ma già suona a ritratta il capitano,
      già l'orizonte d'ogni intorno è scuro.
      Goffredo alloggia ne la terra, e vòle
      rinovar poi l'assalto al novo sole.

51      Diceva a i suoi lietissimo in sembienza:
      "Favorito ha il gran Dio l'armi cristiane:
      fatto è il sommo de' fatti, e poco avanza
      de l'opra e nulla del timor rimane.
      La torre (estrema e misera speranza
      degli infedeli) espugnarem dimane.
      Pietà fra tanto a confortar v'inviti
      con sollecito amor gli egri e i feriti.

52      Ite, e curate quei c'han fatto acquisto
      di questa patria a noi co 'l sangue loro.
      Ciò piú conviensi a i cavalier di Cristo,
      che desio di vendetta o di tesoro.
      Troppo, ahi! troppo di strage oggi s'è visto,
      troppa in alcuni avidità de l'oro;
      rapir piú oltra, e incrudelir i' vieto.
      Or divulghin le trombe il mio divieto."

53      Tacque, e poi se n'andò là dove il conte
      riavuto dal colpo anco ne geme.
      Né Soliman con meno ardita fronte
      a i suoi ragiona, e 'l duol ne l'alma preme:
      "Siate, o compagni, di fortuna a l'onte
      invitti insin che verde è fior di speme,
      ché sotto alta apparenza di fallace
      spavento oggi men grave il danno giace.

54      Prese i nemici han sol le mura e i tetti
      e 'l vulgo umil, né la cittade han presa,
      ché nel capo del re, ne' vostri petti,
      ne le man vostre è la città compresa.
      Veggio il re salvo e salvi i suoi piú eletti,
      veggio che ne circonda alta difesa.
      Vano trofeo d'abbandonata terra
      abbiansi i Franchi; alfin perdran la guerra.

55      E certo i' son che perderanla alfine,
      ché ne la sorte prospera insolenti
      fian vòlti a gli omicidi, a le rapine
      ed a gli ingiuriosi abbracciamenti;
      e saran di leggier tra le ruine,
      tra gli stupri e le prede, oppressi e spenti,
      se in tanta tracotanza omai sorgiunge
      l'oste d'Egitto, e non pote esser lunge.

56      Intanto noi signoreggiar co' sassi
      potrem de la città gli alti edifici,
      ed ogni calle onde al Sepolcro vassi
      torràn le nostre machine a i nemici.
      Cosí, vigor porgendo a i cor già lassi,
      la speme rinovò ne gli infelici.
      Or mentre qui tai cose eran passate,
      errò Vafrin tra mille schiere armate.

57      A l'essercito avverso eletto in spia,
      già dechinando il sol, partí Vafrino;
      e corse oscura e solitaria via
      notturno e sconosciuto peregrino.
      Ascalona passò che non uscia
      dal balcon d'oriente anco il mattino;
      poi quando è nel meriggio il solar lampo,
      a vista fu del poderoso campo.

58      Vide tende infinite e ventillanti
      stendardi in cima azzurri e persi e gialli,
      e tante udí lingue discordi e tanti
      timpani e corni e barbari metalli
      e voci di cameli e d'elefanti,
      tra 'l nitrir de' magnanimi cavalli,
      che fra sé disse: "Qui l'Africa tutta
      translata viene e qui l'Asia è condutta."

59      Mira egli alquanto pria come sia forte
      del campo il sito, e qual vallo il circonde;
      poscia non tenta vie furtive e torte,
      né dal frequente popolo s'asconde,
      ma per dritto sentier tra regie porte
      trapassa, ed or dimanda ed or risponde.
      A dimande, a risposte astute e pronte
      accoppia baldanzosa audace fronte.

60      Di qua di là sollecito s'aggira
      per le vie, per le piazze e per le tende.
      I guerrier, i destrier, l'arme rimira,
      l'arti e gli ordini osserva e i nomi apprende.
      Né di ciò pago, a maggior cose aspira:
      spia gli occulti disegni e parte intende.
      Tanto s'avolge, e cosí destro e piano,
      ch'adito s'apre al padiglion soprano.

61      Vede, mirando qui, sdruscita tela,
      ond'ha varco la voce, onde si scerne,
      che là proprio risponde ove son de la
      stanza regal le ritirate interne,
      sí che i secreti del signor mal cela
      ad uom ch'ascolti da le parti esterne.
      Vafrin vi guata e par ch'ad altro intenda,
      come sia cura sua conciar la tenda.

62      Stavasi il capitan la testa ignudo,
      le membra armato e con purpureo ammanto.
      Lunge due paggi avean l'elmo e lo scudo:
      preme egli un'asta e vi s'appoggia alquanto.
      Guardava un uom di torvo aspetto e crudo,
      membruto ed alto, il qual gli era da canto.
      Vafrino è attento e, di Goffredo a nome
      parlar sentendo, alza gli orecchi al nome.

63      Parla il duce a colui: "Dunque securo
      sei cosí tu di dar morte a Goffredo?"
      Risponde quegli: "Io sonne, e 'n corte giuro
      non tornar mai se vincitor non riedo.
      Preverrò ben color che meco furo
      al congiurare; e premio altro non chiedo
      se non ch'io possa un bel trofeo de l'armi
      drizzar nel Cairo, e sottopor tai carmi:

64      `Queste arme in guerra al capitan francese,
      distruggitor de l'Asia, Ormondo trasse
      quando gli trasse l'alma, e le sospese
      perché memoria ad ogni età ne passe.'"
      "Non fia" l'altro dicea "che 'l re cortese
      l'opera grande inonorata lasse:
      ben ei darà ciò che per te si chiede,
      ma congiunta l'avrai d'alta mercede.

65      Or apparecchia pur l'arme mentite,
      ché 'l giorno omai de la battaglia è presso.
      "Son" rispose "già preste." E qui, fornite
      queste parole, e 'l duce tacque ed esso.
      Restò Vafrino a le gran cose udite
      sospeso e dubbio, e rivolgea in se stesso
      qual arti di congiura e quali sieno
      le mentite arme, e no 'l comprese a pieno.

66      Indi partissi e quella notte intera
      desto passò, ch'occhio serrar non volse;
      ma quando poi di novo ogni bandiera
      a l'aure matutine il campo sciolse,
      anch'ei marciò con l'altra gente in schiera,
      fermossi anch'egli ov'ella albergo tolse,
      e pur anco tornò di tenda in tenda
      per udir cosa onde il ver meglio intenda.

67      Cercando, trova in sede alta e pomposa
      fra cavalieri Armida e fra donzelle,
      che stassi in sé romita e sospirosa:
      fra sé co' suoi pensier par che favelle.
      Su la candida man la guancia posa,
      e china a terra l'amorose stelle.
      Non sa se pianga o no: ben può vederle
      umidi gli occhi e gravidi di perle.

68      Vedele incontra il fero Adrasto assiso
      che par ch'occhio non batta e che non spiri,
      tanto da lei pendea, tanto in lei fiso
      pasceva i suoi famelici desiri.
      Ma Tisaferno, or l'uno or l'altro in viso
      guardando, or vien che brami, or che s'adiri;
      e segna il nobil volto or di colore
      di rabbioso disdegno ed or d'amore.

69      Scorge poscia Altamor, ch'in cerchio accolto
      fra le donzelle alquanto era in disparte.
      Non lascia il desir vago a freno sciolto,
      ma gira gli occhi cupidi con arte:
      volge un guardo a la mano, uno al bel volto,
      talora insidia piú guardata parte,
      e là s'interna ove mal cauto apria
      fra due mamme un bel vel secreta via.

70      Alza alfin gli occhi Armida, e pur alquanto
      la bella fronte sua torna serena;
      e repente fra i nuvoli del pianto
      un soave sorriso apre e balena.
      "Signor," dicea "membrando il vostro vanto
      l'anima mia pote scemar la pena,
      ché d'esser vendicata in breve aspetta,
      e dolce è l'ira in aspettar vendetta."

71      Risponde l'indian: "La fronte mesta
      deh, per Dio! rasserena, e 'l duolo alleggia,
      ch'assai tosto averrà che l'empia testa
      di quel Rinaldo a piè tronca ti veggia,
      o menarolti prigionier con questa
      ultrice mano, ove prigion tu 'l chieggia.
      Cosí promisi in vòto." Or l'altro ch'ode,
      moto non fa, ma tra suo cor si rode.

72      Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo:
      "Tu, che dici, signor?" colei soggiunge.
      Risponde egli infingendo: "Io che son tardo
      seguiterò il valor cosí da lunge
      di questo tuo terribile e gagliardo."
      E con tai detti amaramente il punge.
      Ripiglia l'indo allor: "Ben è ragione
      che lunge segua e tema il paragone."

73      Crollando Tisaferno il capo altero,
      disse: "Oh foss'io signor del mio talento!
      libero avessi in questa spada impero!
      ché tosto ei si parria chi sia piú lento.
      Non temo io te né tuoi gran vanti, o fero;
      ma il Cielo e l'inimico Amor pavento."
      Tacque; e sorgeva Adrasto a far disfida,
      ma la prevenne e s'interpose Armida.

74      Diss'ella: "O cavalier, perché quel dono,
      donatomi piú volte, anco togliete?
      Miei campion sète voi, pur esser buono
      dovria tal nome a por tra voi quiete.
      Meco s'adira chi s'adira: io sono
      ne l'offese l'offesa, e voi 'l sapete."
      Cosí lor parla, e cosí avien che accordi
      sotto giogo di ferro alme discordi.

75      È presente Vafrino e 'l tutto ascolta,
      e sottrattone il vero indi si toglie.
      Spia de l'alta congiura, e lei ravvolta
      trova in silenzio e nulla ne raccoglie.
      Chiedene improntamente anco tal volta,
      e la difficoltà cresce le voglie.
      O qui lasciar la vita egli è disposto,
      o riportarne il gran secreto ascosto.

76      Mille e piú vie d'accorgimento ignote,
      mille ripensa inusitate frodi,
      e pur con tutto ciò non gli son note
      de l'occulta congiura e l'arme e i modi.
      Fortuna alfin (quel che per sé non pote)
      isviluppò d'ogni suo dubbio i nodi,
      si ch'ei distinto e manifesto intese
      come l'insidie al pio Buglion sian tese.

77      Era tornato ov'è pur anco assisa
      fra' suoi campioni la nemica amante,
      ch'ivi opportun l'investigarne avisa
      ove traean genti sí varie e tante.
      Or qui s'accosta a una donzella, in guisa
      che par che v'abbia conoscenza inante;
      par v'abbia d'amistade antica usanza,
      e ragiona in affabile sembianza.

78      Egli dicea, quasi per gioco: " Anch'io
      vorrei d'alcuna bella esser campione,
      e troncar pensarei co 'l ferro mio
      il capo o di Rinaldo o del Buglione.
      Chiedila pure a me, se n'hai desio,
      la testa d'alcun barbaro barone."
      Cosí comincia, e pensa a poco a poco
      a piú grave parlar ridur il gioco.

79      Ma in questo dir sorrise, e fe' ridendo
      un cotal atto suo nativo usato.
      Una de l'altre allor qui sorgiungendo
      l'udí, guardollo, e poi gli venne a lato;
      disse: "Involarti a ciascun'altra intendo,
      né ti dorrai d'amor male impiegato.
      In mio campion t'eleggo; ed in disparte,
      come a mio cavalier, vuo' ragionarte."

80      Ritirollo, e parlò: "Riconosciuto
      ho te, Vafrin; tu me conoscer déi."
      Nel cor turbossi lo scudiero astuto,
      pur si rivolse sorridendo a lei:
      "Non t'ho (che mi sovenga) unqua veduto,
      e degna pur d'esser mirata sei.
      Questo so ben, ch'assai vario da quello
      che tu dicesti è il nome ond'io m'appello.

81      Me su la piaggia di Biserta aprica
      Lesbin produsse, e mi nomò Almanzorre."
      Tosto disse ella: "Ho conoscenza antica
      d'ogn'esser tuo, né già mi voglio apporre.
      Non ti celar da me, ch'io sono amica,
      ed in tuo pro vorrei la vita esporre.
      Erminia son, già di re figlia, e serva
      poi di Tancredi un tempo, e tua conserva.

82      Ne la dolce prigion due lieti mesi
      pietoso prigionier m'avesti in guarda,
      e mi servisti in bei modi cortesi.
      Ben dessa i' son, ben dessa i' son; riguarda."
      Lo scudier, come pria v'ha gli occhi intesi,
      la bella faccia a ravvisar non tarda.
      "Vivi" ella soggiungea "da me securo:
      per questo ciel, per questo sol te 'l giuro.

83      Anzi pregar ti vo' che, quando torni,
      mi riconduca a la prigion mia cara.
      Torbide notti e tenebrosi giorni,
      misera, vivo in libertate amara.
      E se qui per ispia forse soggiorni,
      ti si fa incontro alta fortuna e rara:
      saprai da me congiure, e ciò ch'altrove
      malagevol sarà che tu ritrove."

84      Cosí gli parla, e intanto ei mira e tace;
      pensa a l'essempio de la falsa Armida.
      "Femina è cosa garrula e fallace:
      vòle e disvòle; è folle uom che se 'n fida."
      Sí tra sé volge. "Or, se venir ti piace,"
      alfin le disse "io ne sarò tua guida.
      Sia fermato tra noi questo e conchiuso,
      serbisi il parlar d'altro a miglior uso."

85      Gli ordini danno di salire in sella
      anzi il mover del campo allora allora.
      Parte Vafrin dal padiglione, ed ella
      si torna a l'altre e alquanto ivi dimora.
      Di scherzar fa sembianza e pur favella
      del campion novo, e se ne vien poi fora;
      viene al loco prescritto e s'accompagna,
      ed escon poi del campo a la campagna.

86      Già eran giunti in parte assai romita
      e già sparian le saracine tende,
      quando ei le disse: "Or di' come a la vita
      del pio Goffredo altri l'insidie tende."
      Allor colei de la congiura ordita
      l'iniqua tela a lui dispiega e stende.
      "Son" gli divisa "otto guerrier di corte,
      tra' quali il piú famoso è Ormondo il forte.

87      Questi (che che lor mova, odio o disegno)
      han conspirato, e l'arte lor fia tale:
      quel dí ch'in lite verrà d'Asia il regno
      tra' due gran campi in gran pugna campale,
      avran su l'arme de la Croce il segno,
      e l'arme avranno a la francesca; e quale
      la guardia di Goffredo ha bianco e d'oro
      il suo vestir, sarà l'abito loro.

88      Ma ciascun terrà cosa in su l'elmetto
      che noto a i suoi per uom pagano il faccia.
      Quando fia poi rimescolato e stretto
      l'un campo e l'altro, elli porransi in traccia,
      e insidieranno al valoroso petto
      mostrando di custodi amica faccia;
      e 'l ferro armato di veneno avranno,
      perché mortal sia d'ogni piaga il danno.

89      E perché fra' pagani anco risassi
      ch'io so vostr'usi ed arme e sopraveste,
      fèr che le false insegne io divisassi;
      e fui costretta ad opere moleste.
      Queste son le cagion che 'l campo io lassi:
      fuggo l'imperiose altrui richieste;
      schivo ed aborro in qual si voglia modo
      contaminarmi in atto alcun di frodo.

90      Queste son le cagion, ma non già sole."
      E qui si tacque, e di rossor si tinse
      e chinò gli occhi, e l'ultime parole
      ritener volle e non ben le distinse.
      Lo scudier, che da lei ritrar pur vòle
      ciò ch'ella vergognando in sé ristrinse,
      "Di poca fede," disse "or perché cele
      le piú vere cagioni al tuo fedele?"

91      Ella dal petto un gran sospiro apriva,
      e parlava con suon tremante e roco:
      "Mal guardata vergogna intempestiva,
      vattene omai, non hai tu qui piú loco;
      a che pur tenti, o in van ritrosa, o schiva,
      celar co 'l fuoco tuo d'amor il foco?
      Debiti fur questi rispetti inante,
      non or che fatta son donzella errante."

92      Soggiunse poi: "La notte a me fatale
      ed a la patria mia che giacque oppressa,
      perdei piú che non parve; e 'l mio gran male
      non ebbi in lei, ma derivò da essa.
      Leve perdita è il regno, io co 'l regale
      mio alto stato anco perdei me stessa:
      per mai non ricovrarla, allor perdei
      la mente, folle, e 'l core e i sensi miei.

93      Vafrin, tu sai che timidetta accorsi,
      tanta strage vedendo e tante prede,
      al tuo signor e mio, che prima i' scorsi
      armato por ne la mia reggia il piede;
      e chinandomi a lui tai voci porsi:
      `Invitto vincitor, pietà, mercede!
      non prego io te per la mia vita: il fiore
      salvami sol del verginale onore.'

94      Egli, la sua porgendo a la mia mano,
      non aspettò che 'l mio pregar fornisse:
      `Vergine bella, non ricorri in vano,
      io ne sarò tuo difensor' mi disse.
      Allor un non so che soave e piano
      sentii ch'al cor mi scese e vi s'affisse,
      che serpendomi poi per l'alma vaga,
      non so come, divenne incendio e piaga.

95      Visitommi poi spesso e 'n dolce suono
      consolando il mio duol, meco si dolse.
      Dicea: `L'intera libertà ti dono'
      e de le spoglie mie spoglia non volse.
      Oimè! che fu rapina e parve dono,
      ché rendendomi a me da me mi tolse.
      Quel mi rendé ch'è via men caro e degno,
      ma s'usurpò del core a forza il regno.

96      Mal amor si nasconde. A te sovente
      desiosa chiedea del mio signore.
      Veggendo i segni tu d'inferma mente:
      `Erminia,' mi dicesti `ardi d'amore.'
      Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente
      fu piú verace testimon del core;
      e 'n vece forse della lingua, il guardo
      manifestava il foco onde tutt'ardo.

97      Sfortunato silenzio! avessi almeno
      chiesta allor medicina al gran martire,
      s'esser poscia dovea lentato il freno,
      quando non giovarebbe, ai mio desire.
      Partimmi in somma, e le mie piaghe in seno
      portai celate e ne credei morire.
      Al fin cercando al viver mio soccorso,
      mi sciolse amor d'ogni rispetto il morso;

98      sí ch'a trovarne il mio signor io mossi
      ch'egra mi fece e mi potea far sana.
      Ma tra via fero intoppo attraversossi
      di gente inclementissima e villana.
      Poco mancò che preda lor non fossi,
      pur in parte fuggimmi erma e lontana;
      e colà vissi in solitaria cella,
      cittadina de' boschi e pastorella.

99      Ma poi che quel desio che fu ripresso
      molti dí per la tema anco risorse,
      tornarmi ritentando al loco stesso,
      la medesma sciagura anco m'occorse.
      Fuggir non potei già, ch'era omai presso
      predatrice masnada e troppo corse.
      Cosí fui presa, e quei che mi rapiro
      Egizi fur ch'a Gaza indi se 'n giro,

100     e 'n don menàrmi al capitano, a cui
      diedi di me contezza, e 'l persuasi
      sí ch'onorata e inviolata fui
      quei dí che con Armida ivi rimasi.
      Cosí venni piú volte in forza altrui,
      e me 'n sottrassi. Ecco i miei duri casi.
      Pur le prime catene anco riserva
      la tante volte liberata e serva.

101     Oh, pur colui che circondolle intorno
      a l'alma, sí che non fia chi le scioglia,
      non dica: `Errante ancella, altro soggiorno
      cércati pure,' e me seco non voglia;
      ma pietoso gradisca il mio ritorno
      e ne l'antica mia prigion m'accoglia!"
      Cosí diceagli Erminia, e insieme andaro
      la notte e 'l giorno ragionando a paro.

102     Il piú usato sentier lasciò Vafrino,
      calle cercando o piú securo o corto.
      Giunsero in loco a la città vicino
      quando è il sol ne l'occaso e imbruna l'orto,
      e trovaron di sangue atro il camino;
      e poi vider nel sangue un guerrier morto
      che le vie tutte ingombra, e la gran faccia
      tien volta ai cielo e morto anco minaccia.

103     L'uso de l'arme e 'l portamento estrano
      pagàn mostràrlo, e lo scudier trascorse;
      un altro alquanto ne giacea lontano
      che tosto a gli occhi di Vafrino occorse.
      Egli disse fra sé: "Questi è cristiano."
      Piú il mise poscia il vestir bruno in forse.
      Salta di sella e gli discopre il viso,
      ed: "Oimè," grida "è qui Tancredi ucciso."

104     A riguardar sovra il guerrier feroce
      la male aventurosa era fermata,
      quando dal suon de la dolente voce
      per lo mezzo del cor fu saettata.
      Al nome di Tancredi ella veloce
      accorse in guisa d'ebra e forsennata.
      Vista la faccia scolorita e bella,
      non scese no, precipitò di sella;

105     e in lui versò d'inessicabil vena
      lacrime e voce di sospiri mista:
      "In che misero punto or qui mi mena
      fortuna? a che veduta amara e trista?
      Dopo gran tempo i' ti ritrovo a pena,
      Tancredi, e ti riveggio e non son vista:
      vista non son da te benché presente,
      e trovando ti perdo eternamente.

106     Misera! non credea ch'a gli occhi miei
      potessi in alcun tempo esser noioso.
      Or cieca farmi volentier torrei
      per non vederti, e riguardar non oso.
      Oimè, de' lumi già sí dolci e rei
      ov'è la fiamma? ov'è il bel raggio ascoso?
      de le fiorite guancie il bel vermiglio
      ov'è fuggito? ov'è il seren del ciglio?

107     Ma che? squallido e scuro anco mi piaci.
      Anima bella, se quinci entro gire,
      s'odi il mio pianto, a le mie voglie audaci
      perdona il furto e 'l temerario ardire:
      da le pallide labra i freddi baci,
      che piú caldi sperai, vuo' pur rapire;
      parte torrò di sue ragioni a morte,
      baciando queste labra essangui e smorte.

108     Pietosa bocca che solevi in vita
      consolar il mio duol di tue parole,
      lecito sia ch'anzi la mia partita
      d'alcun tuo caro bacio io mi console;
      e forse allor, s'era a cercarlo ardita,
      quel davi tu ch'ora conven ch'invole.
      Lecito sia ch'ora ti stringa e poi
      versi lo spirto mio fra i labri tuoi.

109     Raccogli tu l'anima mia seguace,
      drizzala tu dove la tua se 'n gio."
      Cosí parla gemendo, e si disface
      quasi per gli occhi, e par conversa in rio.
      Rivenne quegli a quell'umor vivace
      e le languide labra alquanto aprio:
      aprí le labra e con le luci chiuse
      un suo sospir con que' di lei confuse.

110     Sente la donna il cavalier che geme,
      e forza è pur che si conforti alquanto:
      "Apri gli occhi, Tancredi, a queste estreme
      essequie" grida "ch'io ti fo co 'l pianto;
      riguarda me che vuo' venirne insieme
      la lunga strada e vuo' morirti a canto.
      Riguarda me, non te 'n fuggir sí presto:
      l'ultimo don ch'io ti dimando è questo."

111     Apre Tancredi gli occhi e poi gli abbassa
      torbidi e gravi, ed ella pur si lagna.
      Dice Vafrino a lei: "Questi non passa:
      curisi adunque prima, e poi si piagna."
      Egli il disarma, ella tremante e lassa
      porge la mano a l'opere compagna,
      mira e tratta le piaghe e, di ferute
      giudice esperta, spera indi salute.

112     Vede che 'l mal da la stanchezza nasce
      e da gli umori in troppa copia sparti.
      Ma non ha fuor ch'un velo onde gli fasce
      le sue ferite, in sí solinghe parti.
      Amor le trova inusitate fasce,
      e di pietà le insegna insolite arti:
      l'asciugò con le chiome e rilegolle
      pur con le chiome che troncar si volle,

113     però che 'l velo suo bastar non pote
      breve e sottile a le sí spesse piaghe.
      Dittamo e croco non avea, ma note
      per uso tal sapea potenti e maghe.
      Già il mortifero sonno ei da sé scote,
      già può le luci alzar mobili e vaghe.
      Vede il suo servo, e la pietosa donna
      sopra si mira in peregrina gonna.

114     Chiede: "O Vafrin, qui come giungi e quando?
      E tu chi sei, medica mia pietosa?"
      Ella, fra lieta e dubbia sospirando,
      tinse il bel volto di color di rosa:
      "Saprai" rispose "il tutto, or (te 'l comando
      come medica tua) taci e riposa.
      Salute avrai, prepara il guiderdone."
      Ed al suo capo il grembo indi suppone.

115     Pensa intanto Vafrin come a l'ostello
      agiato il porti anzi piú fosca sera,
      ed ecco di guerrier giunge un drapello:
      conosce ei ben che di Tancredi è schiera.
      Quando affrontò il circasso e per appello
      di battaglia chiamollo, insieme egli era;
      non seguí lui perché non volse allora,
      poi dubbioso il cercò de la dimora.

116     Seguian molti altri la medesma inchiesta,
      ma ritrovarlo avien che lor succeda.
      De le stesse lor braccia essi han contesta
      quasi una sede ov'ei s'appoggi e sieda.
      Disse Tancredi allora: "Adunque resta
      il valoroso Argante a i corvi in preda?
      Ah per Dio non si lasci, e non si frodi
      o de la sepoltura o de le lodi.

117     Nessuna a me co 'l busto essangue e muto
      riman piú guerra; egli morí qual forte,
      onde a ragion gli è quell'onor devuto
      che solo in terra avanzo è de la morte."
      Cosí da molti ricevendo aiuto
      fa che 'l nemico suo dietro si porte.
      Vafrino al fianco di colei si pose,
      sí come uom sòle a le guardate cose.

118     Soggiunse il prence: "A la città regale,
      non a le tende mie, vuo' che si vada,
      ché s'umano accidente a questa frale
      vita sovrasta, è ben ch'ivi m'accada;
      ché 'l loco ove morí l'Uomo immortale
      può forse al Cielo agevolar la strada,
      e sarà pago un mio pensier devoto
      d'aver peregrinato al fin del voto."

119     Disse, e colà portato egli fu posto
      sovra le piume, e 'l prese un sonno cheto.
      Vafrino a la donzella, e non discosto,
      ritrova albergo assai chiuso e secreto.
      Quinci s'invia dov'è Goffredo, e tosto
      entra, ché non gli è fatto alcun divieto,
      se ben allor de la futura impresa
      in bilance i consigli appende e pesa.

120     Del letto, ove la stanca egra persona
      posa Raimondo, il duce è su la sponda,
      e d'ogn'intorno nobile corona
      de' piú potenti e piú saggi il circonda.
      Or, mentre lo scudiero a lui ragiona,
      non v'è chi d'altro chieda o chi risponda.
      "Signor," dicea "come imponesti, andai
      tra gli infedeli e 'l campo lor cercai.

121     Ma non aspettar già che di quell'oste
      l'innumerabil numero ti conti.
      I' vidi ch'al passar le valli ascoste
      sotto e' teneva e i piani tutti e i monti;
      vidi che dove giunga, ove s'accoste,
      spoglia la terra e secca i fiumi e i fonti,
      perché non bastan l'acque a la lor sete,
      e poco è lor ciò che la Siria miete.

122     Ma sí de' cavalier, sí de' pedoni
      sono in gran parte inutili le schiere:
      gente che non intende ordini o suoni,
      né stringe ferro e di lontan sol fère.
      Ben ve ne sono alquanti eletti e buoni
      che seguite di Persia han le bandiere,
      e forse squadra anco migliore è quella
      che la squadra immortal del re s'appella.

123     Ella è detta immortal perché difetto
      in quel numero mai non fu pur d'uno,
      ma empie il loco vòto e sempre eletto
      sottentra uom novo ove ne manchi alcuno.
      Il capitan del campo, Emiren detto,
      pari ha in senno e valor pochi o nessuno,
      e gli commanda il re che provocarti
      debba a pugna campal con tutte l'arti.

124     Né credo già ch'al dí secondo tardi
      l'essercito nemico a comparire.
      Ma tu, Rinaldo, assai conven che guardi
      il capo, ond'è fra lor tanto desire,
      ché i piú famosi in arme e i piú gagliardi
      gli hanno incontra arrotato il ferro e l'ire;
      perché Armida se stessa in guiderdone
      a qual di loro il troncherà propone.

125     Fra questi è il valoroso e nobil perso:
      dico Altamoro, il re di Sarmacante,
      Adrasto v'è, c'ha il regno suo là verso
      i confin de l'aurora ed è gigante,
      uom d'ogni umanità cosí diverso
      che frena per cavallo un elefante.
      V'è Tisaferno, a cui ne l'esser prode
      concorde fama dà sovrana lode."

126     Cosí dice egli, e 'l giovenetto in volto
      tutto scintilla ed ha negli occhi il foco.
      Vorria già tra' nemici essere avolto,
      né cape in sé, né ritrovar può loco.
      Quinci Vafrino al capitan rivolto:
      "Signor," soggiunse "il sin qui detto è poco;
      la somma de le cose or qui si chiuda:
      impugneransi in te l'arme di Giuda."

127     Di parte in parte poi tutto gli espose
      ciò che di fraudolente in lui si tesse:
      l'arme e 'l venen, l'insegne insidiose,
      il vanto udito, i premi e le promesse.
      Molto chiesto gli fu, molto rispose;
      breve tra lor silenzio indi successe,
      poscia inalzando il capitano il ciglio
      chiede a Raimondo: "Or qual è il tuo consiglio?"

128     Ed egli: "È mio parer ch'a i novi albori,
      come concluso fu, piú non s'assaglia,
      ma si stringa la torre, onde uscir fuori
      quel ch'è là dentro a suo piacer non vaglia,
      e posi il nostro campo e si ristori
      fra tanto ad uopo di maggior battaglia.
      Pensa poi tu s'è meglio usar la spada
      con forza aperta o 'l gir tenendo a bada.

129     Mio giudizio è però che a te convegna
      di te stesso curar sovra ogni cura,
      ché per te vince l'oste e per te regna.
      Chi senza te l'indrizza e l'assecura?
      E perché i traditor non celi insegna,
      mutar l'insegne a' tuoi guerrier procura.
      Cosí la fraude a te palese fatta
      sarà da quel medesmo in chi s'appiatta."

130     Risponde il capitan: "Come hai per uso,
      mostri amico voler e saggia mente;
      ma quel che dubbio lasci, or fia conchiuso.
      Uscirem contra a la nemica gente,
      né già star deve in muro o 'n vallo chiuso
      il campo domator de l'Oriente.
      Sia da quegli empi il valor nostro esperto
      ne la piú aperta luce, in loco aperto.

131     Non sosterran de le vittorie il nome,
      non che de' vincitor l'aspetto altero,
      non che l'arme; e lor forze saran dome,
      fermo stabilimento al nostro impero.
      La torre o tosto renderassi o, come
      altri no 'l vieti, il prenderla è leggiero."
      Qui il magnanimo tace e fa partita,
      ché 'l cader de le stelle al sonno invita.



canto VENTESIMO


1       Già il sole avea desti i mortali a l'opre,
      già diece ore del giorno eran trascorse,
      quando lo stuol ch'a la gran torre è sopre
      un non so che da lunge ombroso scorse,
      quasi nebbia ch'a sera il mondo copre,
      e ch'era il campo amico al fin s'accorse,
      che tutto intorno il ciel di polve adombra
      e i colli sotto e le campagne ingombra.

2       Alzano allor da l'alta cima i gridi
      insino al ciel l'assediate genti,
      con quel romor con che da i traci nidi
      vanno a stormi le gru ne' giorni algenti
      e tra le nubi a piú tepidi lidi
      fuggon stridendo inanzi a i freddi venti,
      ch'or la giunta speranza in lor fa pronte
      la mano al saettar, la lingua a l'onte.

3       Ben s'avisaro i Franchi onde de l'ire
      l'impeto novo e 'l minacciar procede,
      e miran d'alta parte; ed apparire
      il poderoso campo indi si vede.
      Súbito avampa il generoso ardire
      in que' petti feroci e pugna chiede.
      La gioventute altera accolta insieme:
      "Dà" grida "il segno, invitto duce," e freme.

4       Ma nega il saggio offrir battaglia inante
      a i novi albori e tien gli audaci a freno,
      né pur con pugna instabile e vagante
      vuol che si tentin gl'inimici almeno.
      "Ben è ragion" dicea "che dopo tante
      fatiche un giorno io vi ristori a pieno."
      Forse ne' suoi nemici anco la folle
      credenza di se stessi ei nudrir volle.

5       Si prepara ciascun, de la novella
      luce aspettando cupido il ritorno.
      Non fu mai l'aria sí serena e bella
      come a l'uscir del memorabil giorno:
      l'alba lieta rideva, e parea ch'ella
      tutti i raggi del sole avesse intorno;
      e 'l lume usato accrebbe, e senza velo
      volse mirar l'opere grandi il cielo.

6       Come vide spuntar l'aureo mattino,
      mena fuori Goffredo il campo instrutto.
      Ma pon Raimondo intorno al palestino
      tiranno e de' fedeli il popol tutto
      che dal paese di Soria vicino
      a' suoi liberator s'era condutto:
      numero grande; e pur non questo solo,
      ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo.

7       Vassene, e tal è in vista il sommo duce
      ch'altri certa vittoria indi presume.
      Novo favor del Cielo in lui riluce
      e 'l fa grande ed augusto oltra il costume:
      gli empie d'onor la faccia e vi riduce
      di giovenezza il bel purpureo lume,
      e ne l'atto de gli occhi e de le membra
      altro che mortal cosa egli rassembra.

8       Ma non lunge se 'n va che giunge a fronte
      de l'attendato essercito pagano,
      e prender fa, ne l'arrivar, un monte
      ch'egli ha da tergo e da sinistra mano;
      e l'ordinanza poi, larga di fronte,
      di fianchi angusta, spiega inverso il piano,
      stringe in mezzo i pedoni e rende alati
      con l'ale de' cavalli entrambi i lati.

9       Nel corno manco, il qual s'appressa a l'erto
      de l'occupato colle e s'assecura,
      pon l'un e l'altro prencipe Roberto,
      dà le parti di mezzo al frate in cura.
      Egli a destra s'alluoga, ove è l'aperto
      e 'l periglioso piú de la pianura,
      ove il nemico, che di gente avanza,
      di circondarlo aver potea speranza.

10      E qui i suoi Loteringhi e qui dispone
      le meglio armate genti e le piú elette,
      qui tra cavalli arcieri alcun pedone
      uso a pugnar tra' cavalier framette.
      Poscia d'aventurier forma un squadrone
      e d'altri altronde scelti, e presso il mette;
      mette loro in disparte al lato destro.
      e Rinaldo ne fa duce e maestro.

11      Ed a lui dice: "In te, signor, riposta
      la vittoria e la somma è de le cose.
      Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta
      dietro a queste ali grandi e spaziose.
      Quando appressa il nemico, e tu di costa
      l'assali e rendi van quanto e' propose.
      Proposto avrà, se 'l mio pensier non falle,
      girando a i fianchi urtarci ed a le spalle."

12      Quindi sovra un corsier di schiera in schiera
      parea volar tra' cavalier, tra' fanti.
      Tutto il volto scopria per la visiera:
      fulminava ne gli occhi e ne' sembianti.
      Confortò il dubbio e confermò chi spera
      ed a l'audace rammentò i suoi vanti
      e le sue prove al forte: a chi maggiori
      gli stipendi promise, a chi gli onori.

13      Al fin colà fermossi ove le prime
      e piú nobili squadre erano accolte,
      e cominciò da loco assai sublime
      parlare, ond'è rapito ogn'uom ch'ascolte.
      Come in torrenti da l'alpestri cime
      soglion giú derivar le nevi sciolte,
      cosí correan volubili e veloci
      da la sua bocca le canore voci.

14      "O de' nemici di Giesú flagello,
      campo mio, domator de l'Oriente,
      ecco l'ultimo giorno, ecco pur quello
      che già tanto bramaste omai presente.
      Né senza alta cagion ch'il suo rubello
      popolo or si raccolga il Ciel consente:
      ogni vostro nimico ha qui congiunto
      per fornir molte guerre in un sol punto.

15      Noi raccorrem molte vittorie in una,
      né fia maggiore il rischio o la fatica.
      Non sia, non sia tra voi temenza alcuna
      in veder cosí grande oste nimica,
      ché discorde fra sé mai si raguna
      e ne gli ordini suoi se stessa intrica,
      e di chi pugni il numero fia poco:
      mancherà il core a molti, a molti il loco.

16      Quei che incontra verranci, uomini ignudi
      fian per lo piú senza vigor, senz'arte,
      che dal lor ozio o da i servili studi
      sol violenza or allontana e parte.
      Le spade omai tremar, tremar gli scudi,
      tremar veggio l'insegne in quella parte,
      conosco i suoni incerti e i dubbi moti:
      veggio la morte loro a i segni noti.

17      Quel capitan che cinto d'ostro e d'oro
      dispon le squadre, e par sí fero in vista,
      vinse forse talor l'Arabo o 'l Moro,
      ma il suo valor non fia ch'a noi resista.
      Che farà, benché saggio, in tanta loro
      confusione e sí torbida e mista?
      Mai noto è, credo, e mai conosce i sui,
      ed a pochi può dir: `Tu fosti, io fui.'

18      Ma capitano i' son di gente eletta:
      pugnammo un tempo e trionfammo insieme,
      e poscia un tempo a mio voler l'ho retta.
      Di chi di voi non so la patria o 'l seme?
      quale spada m'è ignota? o qual saetta,
      benché per l'aria ancor sospesa treme,
      non saprei dir se franca o se d'Irlanda,
      e quale a punto il braccio è che la manda?

19      Chiedo solite cose: ognun qui sembri
      quel medesmo ch'altrove i' l'ho già visto;
      e l'usato suo zelo abbia, e rimembri
      l'onor suo, l'onor mio, l'onor di Cristo.
      Ite, abbattete gli empi; e i tronchi membri
      calcate, e stabilite il santo acquisto.
      Ché piú vi tengo a bada? assai distinto
      ne gli occhi vostri il veggio: avete vinto."

20      Parve che nel fornir di tai parole
      scendesse un lampo lucido e sereno,
      come tal volta estiva notte sòle
      scoter dal manto suo stella o baleno.
      Ma questo creder si potea che 'l sole
      giuso il mandasse dal piú interno seno;
      e parve al capo irgli girando, e segno
      alcun pensollo di futuro regno.

21      Forse (se deve infra celesti arcani
      prosuntuosa entrar lingua mortale)
      agnol custode fu che da i soprani
      cori discese, e 'l circondò con l'ale.
      Mentre ordinò Goffredo i suoi cristiani
      e parlò fra le schiere in guisa tale,
      l'egizio capitan lento non fue
      ad ordinare, a confortar le sue.

22      Trasse le squadre fuor, come veduto
      fu da lunge venirne il popol franco,
      e fece anch'ei l'essercito cornuto,
      co' fanti in mezzo e i cavalieri al fianco.
      E per sé il corno destro ha ritenuto,
      e prepose Altamoro al lato manco;
      Muleasse fra loro i fanti guida,
      e in mezzo è poi de la battaglia Armida.

23      Co 'l duce a destra è il re de gli Indiani
      e Tisaferno e tutto il regio stuolo.
      Ma dove stender può ne' larghi piani
      l'ala sinistra piú spedito il volo,
      Altamoro ha i re persi e i re africani
      e i duo che manda il piú fervente suolo.
      Quinci le frombe e le balestre e gli archi
      esser tutti dovean rotati e scarchi.

24      Cosí Emiren gli schiera, e corre anch'esso
      per le parti di mezzo e per gli estremi:
      per interpreti or parla, or per se stesso,
      mesce lodi e rampogne e pene e premi.
      Talor dice ad alcun: "Perché dimesso
      mostri, soldato, il volto? e di che temi?
      che pote un contra cento? io mi confido
      sol con l'ombra fugarli e sol co 'l grido."

25      Ad altri: "O valoroso, or via con questa
      faccia a ritòr la preda a noi rapita."
      L'imagine ad alcuno in mente desta,
      glie la figura quasi e glie l'addita,
      de la pregante patria e de la mesta
      supplice famigliuola sbigottita.
      "Credi" dicea "che la tua patria spieghi
      per la mia lingua in tai parole i preghi:

26      `Guarda tu le mie leggi e i sacri tèmpi
      fa' ch'io del sangue mio non bagni e lavi;
      assecura le vergini da gli empi,
      e i sepolcri e le ceneri de gli avi.'
      A te, piangendo i lor passati tempi,
      mostran la bianca chioma i vecchi gravi,
      a te la moglie le mammelle e 'l petto,
      le cune e i figli e 'l marital suo letto."

27      A molti poi dicea: "L'Asia campioni
      vi fa de l'onor suo; da voi s'aspetta
      contra que' pochi barbari ladroni
      acerba, ma giustissima vendetta.
      Cosí con arti varie, in vari suoni
      le varie genti a la battaglia alletta.
      Ma già tacciono i duci, e le vicine
      schiere non parte omai largo confine.

28      Grande e mirabil cosa era il vedere
      quando quel campo e questo a fronte venne
      come, spiegate in ordine le schiere,
      di mover già, già d'assalire accenne;
      sparse al vento ondeggiando ir le bandiere
      e ventolar su i gran cimier le penne:
      abiti e fregi, imprese, arme e colori,
      d'oro e di ferro al sol lampi e fulgori.

29      Sembra d'alberi densi alta foresta
      l'un campo e l'altro, di tant'aste abbonda.
      Son tesi gli archi e son le lancie in resta,
      vibransi i dardi e rotasi ogni fionda;
      ogni cavallo in guerra anco s'appresta;
      gli odii e 'l furor del suo signor seconda,
      raspa, batte, nitrisce e si raggira,
      gonfia le nari e fumo e foco spira.

30      Bello in sí bella vista anco è l'orrore,
      e di mezzo la tema esce il diletto.
      Né men le trombe orribili e canore
      sono a gli orecchi lieto e fero oggetto.
      Pur il campo fedel, benché minore,
      par di suon piú mirabile e d'aspetto,
      e canta in piú guerriero e chiaro carme
      ogni sua tromba, e maggior luce han l'arme.

31      Fèr le trombe cristiane il primo invito,
      risposer l'altre ed accettàr la guerra.
      S'inginocchiaro i Franchi e riverito
      da lor fu il Cielo, indi baciàr la terra.
      Decresce in mezzo il campo; ecco è sparito:
      l'un con l'altro nemico omai si serra.
      Già fera zuffa è ne le corna, e inanti
      spingonsi già con lor battaglia i fanti.

32      Or chi fu il primo feritor cristiano
      che facesse d'onor lodati acquisti?
      Fosti, Gildippe, tu che 'l grande ircano,
      che regnava in Ormús, prima feristi
      (tanto di gloria a la feminea mano
      concesse il Cielo) e 'l petto a lui partisti.
      Cade il trafitto, e nel cadere egli ode
      dar gridando i nemici al colpo lode.

33      Con la destra viril la donna stringe,
      poi c'ha rotto il troncon, la buona spada,
      e contra i Persi il corridor sospinge
      e 'l folto de le schiere apre e dirada.
      Coglie Zopiro là dove uom si cinge
      e fa che quasi bipartito ei cada,
      poi fèr la gola e tronca al crudo Alarco
      de la voce e del cibo il doppio varco.

34      D'un mandritto Artaserse, Argeo di punta,
      l'uno atterra stordito e l'altro uccide.
      Poscia i pieghevol nodi, ond'è congiunta
      la manca al braccio, ad Ismael recide.
      Lascia, cadendo, il fren la man disgiunta,
      su gli orecchi al destriero il colpo stride;
      ei, che si sente in suo poter la briglia,
      fugge a traverso e gli ordini scompiglia.

35      Questi e molti altri, ch'in silenzio preme
      l'età vetusta, ella di vita toglie.
      Stringonsi i Persi e vanle adosso insieme,
      vaghi d'aver le gloriose spoglie.
      Ma lo sposo fedel, che di lei teme,
      corre in soccorso a la diletta moglie.
      Cosí congiunta, la concorde coppia
      ne la fida union le forze addoppia.

36      Arte di schermo nova e non piú udita
      a i magnanimi amanti usar vedresti:
      oblia di sé la guardia, e l'altrui vita
      difende intentamente a quella e questi.
      Ribatte i colpi la guerriera ardita
      che vengono al suo caro aspri e molesti;
      egli a l'arme a lei dritte oppon lo scudo,
      v'opporria, s'uopo fosse, il capo ignudo.

37      Propria l'altrui difesa, e propria face
      l'uno e l'altro di lor l'altrui vendetta.
      Egli dà morte ad Artabano audace,
      per cui di Boecàn l'isola è retta,
      e per l'istessa mano Alvante giace,
      ch'osò pur di colpir la sua diletta.
      Ella fra ciglio e ciglio ad Arimonte,
      che 'l suo fedel battea, partí la fronte.

38      Tal fean de' Persi strage, e via maggiore
      la fea de' Franchi il re di Sarmacante,
      ch'ove il ferro volgeva o 'l corridore,
      uccideva, abbattea cavallo o fante.
      Felice è qui colui che prima more,
      né geme poi sotto il destrier pesante,
      perché il destrier, se da la spada resta
      alcun mal vivo avanzo, il morde e pesta.

39      Riman da i colpi d'Altamoro ucciso
      Brunellone il membruto, Ardonio il grande.
      L'elmetto a l'uno e 'l capo è sí diviso
      ch'ei ne pende su gli omeri a due bande.
      Trafitto è l'altro insin là dove il riso
      ha suo principio, e 'l cor dilata e spande,
      talché (strano spettacolo ed orrendo!)
      ridea sforzato e si moria ridendo.

40      Né solamente discacciò costoro
      la spada micidial dal dolce mondo,
      ma spinti insieme a crudel morte foro
      Gentonio, Guasco, Guido e 'l buon Rosmondo.
      Or chi narrar potria quanti Altamoro
      n'abbatte, e frange il suo destrier co 'l pondo?
      chi dire i nomi de le genti uccise?
      chi del ferir, chi del morir le guise?

41      Non è chi con quel fero omai s'affronte,
      né chi pur lunge d'assalirlo accenne.
      Sol rivolse Gildippe in lui la fronte,
      né da quel dubbio paragon s'astenne.
      Nulla Amazone mai su 'l Termodonte
      imbracciò scudo o maneggiò bipenne
      audace sí, com'ella audace inverso
      al furor va del formidabil perso.

42      Ferillo ove splendea d'oro e di smalto
      barbarico diadema in su l'elmetto,
      e 'l ruppe e sparse, onde il superbo ed alto
      suo capo a forza egli è chinar constretto.
      Ben di robusta man parve l'assalto
      al re pagano, e n'ebbe onta e dispetto,
      né tardò in vendicar l'ingiurie sue,
      ché l'onta e la vendetta a un tempo fue.

43      Quasi in quel punto in fronte egli percosse
      la donna di percossa in modo fella
      che d'ogni senso e di vigor la scosse:
      cadea, ma 'l suo fedel la tenne in sella.
      Fortuna loro o sua virtú pur fosse,
      tanto bastogli e non ferí piú in ella,
      quasi leon magnanimo che lassi,
      sdegnando, uom che si giaccia, e guardi e passi.

44      Ormondo intanto, a le cui fere mani
      era commessa la spietata cura,
      misto con false insegne è fra' cristiani,
      e i compagni con lui di sua congiura;
      cosí lupi notturni, i quai di cani
      mostrin sembianza, per la nebbia oscura
      vanno a le mandre e spian come in lor s'entre,
      la dubbia coda ristringendo al ventre.

45      Giansi appressando, e non lontano al fianco
      del pio Goffredo il fer pagan si mise.
      Ma come il capitan l'orato e 'l bianco
      vide apparir de le sospette assise:
      "Ecco" gridò "quel traditor che franco
      cerca mostrarsi in simulate guise,
      ecco i suoi conguirati in me già mossi."
      Cosí dicendo, al perfido aventossi.

46      Mortalmente piagollo, e quel fellone
      non fère, non fa schermo e non s'arretra;
      ma, come inanzi a gli occhi abbia 'l Gorgone
      (e fu contanto audace), or gela e impètra.
      Ogni spada ed ogn'asta a lor s'oppone,
      e si vòta in lor soli ogni faretra.
      Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti,
      che 'l cadavero pur non resta a i morti.

47      Poi che di sangue ostil si vede asperso,
      entra in guerra Goffredo, e là si volve
      ove appresso vedea che 'l duce perso
      le piú ristrette squadre apre e dissolve,
      sí che 'l suo stuolo omai n'andria disperso
      come anzi l'Austro l'africana polve.
      Vèr lui si drizza, e i suoi sgrida e minaccia;
      e fermando chi fugge, assal chi caccia.

48      Comincian qui le due feroci destre
      pugna qual mai non vide Ida né Xanto.
      Ma segue altrove aspra tenzon pedestre
      fra Baldovino e Muleasse intanto,
      né ferve men l'altra battaglia equestre
      appresso il colle, a l'altro estremo canto,
      ove il barbaro duce de le genti
      pugna in persona e seco ha i duo potenti.

49      Il rettor de le turbe e l'un Roberto
      fan crudel zuffa, e lor virtú s'agguaglia.
      Ma l'indian de l'altro ha l'elmo aperto,
      e l'arme tuttavia gli fende e smaglia.
      Tisaferno non ha nemico certo
      che gli sia paragon degno in battaglia,
      ma scorre ove la calca appar piú folta,
      e mesce varia uccisione e molta.

50      Cosí si combatteva, e 'n dubbia lance
      co 'l timor le speranze eran sospese.
      Pien tutto il campo è di spezzate lance,
      di rotti scudi e di troncato arnese,
      di spade a i petti, a le squarciate pance
      altre confitte, altre per terra stese,
      di corpi, altri supini, altri co' volti,
      quasi mordendo il suolo, al suo, rivolti.

51      Giace il cavallo al suo signore appresso,
      giace il compagno appo il compagno estinto,
      giace il nemico appo il nemico, e spesso
      su 'l morto il vivo, il vincitor su 'l vinto.
      Non v'è silenzio e non v'è grido espresso,
      ma odi un non so che roco e indistinto:
      fremiti di furor, mormori d'ira,
      gemiti di chi langue e di chi spira.

52      L'arme, che già sí liete in vista foro,
      faceano or mostra paventosa e mesta:
      perduti ha i lampi il ferro, i raggi l'oro,
      nulla vaghezza a i bei color piú resta.
      Quanto apparia d'adorno e di decoro
      ne' cimieri e ne' fregi, or si calpesta;
      la polve ingombra ciò ch'al sangue avanza,
      tanto i campi mutata avean sembianza.

53      Gli Arabi allora, e gli Etiòpi e i Mori,
      che l'estremo tenean del lato manco,
      giansi spiegando e distendendo in fòri,
      giravan poi de gli inimici al fianco;
      ed omai saggittari e frombatori
      molestavan da lunge il popol franco,
      quando Rinaldo e 'l suo drapel si mosse,
      e parve che tremoto e tuono fosse.

54      Assimiro di Mèroe infra l'adusto
      stuol d'Etiopia era il primier de' forti.
      Rinaldo il colse ove s'annoda al busto
      il nero collo, e 'l fe' cader tra' morti.
      Poich'eccitò de la vittoria il gusto
      l'appetito del sangue e de le morti
      nel fero vincitore, egli fe' cose
      incredibili, orrende e monstruose.

55      Diè piú morti che colpi, e pur frequente
      de' suoi gran colpi la tempesta cade.
      Qual tre lingue vibrar sembra il serpente,
      ché la prestezza d'una il persuade,
      tal credea lui la sbigottita gente
      con la rapida man girar tre spade.
      L'occhio al moto deluso il falso crede,
      e 'l terrore a que' mostri accresce fede.

56      I libici tiranni e i negri regi
      l'un nel sangue de l'altro a morte stese.
      Dièr sovra gli altri i suoi compagni egregi,
      che d'emulo furor l'essempio accese.
      Cadeane con orribili dispregi
      l'infedel plebe, e non facea difese.
      Pugna questa non è, ma strage sola,
      ché quinci oprano il ferro, indi la gola.

57      Ma non lunga stagion volgon la faccia,
      ricevendo le piaghe in nobil parte.
      Fuggon le turbe, e sí il timor le caccia
      ch'ogni ordinanza lor scompagna e parte.
      Ma segue pur senza lasciar la traccia
      sin che l'ha in tutto dissipate e sparte,
      poi si raccoglie il vincitor veloce
      che sovra i piú fugaci è men feroce.

58      Qual vento, a cui s'oppone o selva o colle,
      doppia ne la contesa i soffi e l'ira,
      ma con fiato piú placido e piú molle
      per le campagne libere poi spira;
      come fra scogli il mar spuma e ribolle,
      e ne l'aperto onde piú chete aggira,
      cosí quanto contrasto avea men saldo,
      tanto scemava il suo furor Rinaldo.

59      Poi che sdegnossi in fuggitivo dorso
      le nobil ire ir consumando invano,
      verso la fanteria voltò il suo corso,
      ch'ebbe l'Arabo al fianco e l'Africano,
      or nuda è da quel lato, e chi soccorso
      dar le doveva o giace od è lontano.
      Vien da traverso, e le pedestri schiere
      la gente d'arme impetuosa fère.

60      Ruppe l'aste e gli intoppi, il violento
      impeto vinse e penetrò fra esse,
      le sparse e l'atterrò; tempesta o vento
      men tosto abbatte la pieghevol messe.
      Lastricato co 'l sangue è il pavimento
      d'arme e di membra perforate e fesse;
      e la cavalleria correndo il calca
      senza ritegno, e fera oltra se 'n valca.

61      Giunse Rinaldo ove su 'l carro aurato
      stavasi Armida in militar sembianti,
      e nobil guardia avea da ciascun lato
      de' baroni seguaci e de gli amanti.
      Noto a piú segni, egli è da lei mirato
      con occhi d'ira e di desio tremanti:
      ei si tramuta in volto un cotal poco,
      ella si fa di gel, divien poi foco.

62      Declina il carro il cavaliero e passa,
      e fa sembiante d'uom cui d'altro cale;
      ma senza pugna già passar non lassa
      il drapel congiurato il suo rivale.
      Chi il ferro stringe in lui, chi l'asta abbassa;
      ella stessa in su l'arco ha già lo strale:
      spingea le mani, e incrudelia lo sdegno,
      ma le placava e n'era amor ritegno.

63      Sorse amor contra l'ira, e fe' palese
      che vive il foco suo ch'ascoso tenne.
      Le man tre volte a saettar distese,
      tre volte essa inchinolla, e si ritenne.
      Pur vinse al fin lo sdegno, e l'arco tese
      e fe' volar del suo quadrel le penne.
      Lo stral volò, ma con lo strale un voto
      súbito uscí, che vada il colpo a vòto.

64      Torria ben ella che il quadrel pungente
      tornasse indietro, e le tornasse al core;
      tanto poteva in lei, benché perdente
      (or che potria vittorioso?), Amore.
      Ma di tal suo pensier poi si ripente,
      e nel discorde sen cresce il furore.
      Cosí or paventa ed or desia che tocchi
      a pieno il colpo, e 'l segue pur con gli occhi.

65      Ma non fu la percossa in van diretta
      ch'al cavalier su 'l duro usbergo è giunta,
      duro ben troppo a feminil saetta,
      che di pungere in vece ivi si spunta.
      Egli le volge il fianco; ella, negletta
      esser credendo, e d'ira arsa e compunta,
      scocca l'arco piú volte e non fa piaga:
      e mentre ella saetta, Amor lei piaga.

66      "Sí dunque impenetrabile è costui,"
      fra sé dicea "che forza ostil non cura?
      Vestirebbe mai forse i membri sui
      di quel diaspro ond'ei l'alma ha sí dura?
      Colpo d'occhio o di man non pote in lui,
      di tai tempre è il rigor che lo assecura;
      e inerme io vinta sono, e vinta armata:
      nemica, amante, egualmente sprezzata.

67      Or qual arte novella e qual m'avanza
      nova forma in cui possa anco mutarmi?
      Misera! e nulla aver degg'io speranza
      ne' cavalieri miei, ché veder parmi,
      anzi pur veggio, a la costui possanza
      tutte le forze frali e tutte l'armi."
      E ben veda de' suoi campioni estinti
      altri giacerne, altri abbattuti e vinti.

68      Soletta a sua difesa ella non basta,
      e già le pare esser prigiona e serva;
      né s'assecura (e presso l'arco ha l'asta)
      ne l'arme di Diana o di Minerva.
      Qual è il timido cigno a cui sovrasta
      co 'l fero artiglio l'aquila proterva,
      ch'a terra si rannicchia e china l'ali,
      i suoi timidi moti eran cotali.

69      Ma il principe Altamor, che sino allora
      fermar de' Persi procurò lo stuolo
      (ch'era già in piega e 'n fuga ito se 'n fòra,
      ma 'l ritenea, bench'a fatica, ei solo),
      or tal veggendo lei ch'amando adora,
      là si volge di corso, anzi di volo,
      e 'l suo onor abbandona e la sua schiera:
      pur che costei si salvi, il mondo pèra.

70      Al mal difeso carro egli fa scorta
      e co 'l ferro le vie gli sgombra inante,
      ma da Rinaldo e da Goffredo è morta
      e fugata sua schiera in quell'istante.
      Il misero se 'l vede e se 'l comporta
      assai miglior che capitano, amante.
      Scorge Armida in securo, e torna poi,
      intempestiva aita, a i vinti suoi,

71      ché da quel lato de' pagani il campo
      irreparabilmente è sparso e sciolto;
      ma da l'opposto, abbandonando il campo
      a gli infedeli, i nostri il tergo han vòlto.
      Ebbe l'un de' Roberti a pena scampo,
      ferito dai nemico il petto e 'l volto,
      l'altro è prigion d'Adrasto. In cotal guisa
      la sconfitta egualmente era divisa.

72      Prende Goffredo allor tempo opportuno:
      riordina sue squadre e fa ritorno
      senza indugio a la pugna; e cosí l'uno
      viene ad urtar ne l'altro intero corno.
      Tinto se 'n vien di sangue ostil ciascuno,
      ciascun di spoglie trionfali adorno.
      La vittoria e l'onor vien da ogni parte,
      sta dubbia in mezzo la Fortuna e Marte.

73      Or mentre in guisa tal fera tenzone
      è tra 'l fedel essercito e 'l pagano,
      salse in cima a la torre ad un balcone
      e mirò, benché lunge, il fer Soldano;
      mirò, quasi in teatro od in agone,
      l'aspra tragedia de lo stato umano:
      i vari assalti e 'l fero orror di morte,
      e i gran giochi del caso e de la sorte.

74      Stette attonito alquanto e stupefatto
      a quelle prime viste; e poi s'accese,
      e desiò trovarsi anch'egli in atto
      nel periglioso campo a l'alte imprese.
      Né pose indugio al suo desir, ma ratto
      d'elmo s'armò, ch'aveva ogn'altro arnese:
      "Su su," gridò "non piú, non piú dimora:
      convien ch'oggi si vinca o che si mora."

75      O che sia forse il proveder divino
      che spira in lui la furiosa mente,
      perché quel giorno sian del palestino
      imperio le reliquie in tutto spente;
      o che sia ch'a la morte omai vicino
      d'andarle incontra stimolar si sente,
      impetuoso e rapido disserra
      la porta, e porta inaspettata guerra.

76      E non aspetta pur che i feri inviti
      accettino i compagni; esce sol esso,
      e sfida sol mille nimici uniti,
      e sol fra mille intrepido s'è messo.
      Ma da l'impeto suo quasi rapiti
      seguon poi gli altri ed Aladino stesso.
      Chi fu vil, chi fu cauto, or nulla teme:
      opera di furor piú che di speme.

77      Quel che prima ritrova il turco atroce
      caggiono a i colpi orribili improvisi,
      e in condur loro a morte è sí veloce
      ch'uom non li vede uccidere, ma uccisi.
      Da i primieri a i sezzai, di voce in voce,
      passa il terror, vanno i dolenti avisi,
      tal che 'l vulgo fedel de la Soria
      tumultuando già quasi fuggia.

78      Ma con men di terrore e di scompiglio
      l'ordine e 'l loco suo fu ritenuto
      dal Guascon, benché prossimo al periglio
      a l'improvviso ei sia colto e battuto.
      Nessun dente giamai, nessun artiglio
      o di silvestre o d'animal pennuto
      insanguinossi in mandra o tra gli augelli,
      come la spada del pagan tra quelli.

79      Sembra quasi famelica e vorace
      pasce le membra quasi e 'l sangue sugge.
      Seco Aladin, seco lo stuol seguace
      gli assediatori suoi percote e strugge.
      Ma il buon Raimondo accorre ove disface
      Soliman le sue squadre e già no 'l fugge,
      se ben la fera destra ei riconosce
      onde percosso ebbe mortali angosce.

80      Pur di novo l'affronta e pur ricade,
      pur ripercosso ove fu prima offeso;
      e colpa è sol de la soverchia etade,
      a cui soverchio è de' gran colpi il peso.
      Da cento scudi fu, da cento spade
      oppugnato in quel tempo anco e difeso.
      Ma trascorre il Soldano, o che se 'l creda
      morto del tutto, o 'l pensi agevol preda.

81      Sovra gli altri ferisce e tronca e svena,
      e 'n poca piazza fa mirabil prove;
      ricerca poi, come furor il mena,
      a nova uccision materia altrove.
      Qual da povera mensa a ricca cena
      uom stimolato dal digiun si move,
      tal vanne a maggior guerra ov'egli sbrame
      la sua di sangue infuriata fame.

82      Scende egli giú per le abbattute mura
      e s'indirizza a la gran pugna in fretta.
      Ma 'l furor ne' compagni e la paura
      riman ch'i suoi nemici han già concetta;
      e l'una schiera d'asseguir procura
      quella vittoria ch'ei lasciò imperfetta,
      l'altra resiste sí, ma non è senza
      segno di fuga omai la resistenza.

83      Il Guascon ritirandosi cedeva,
      ma se ne gía disperso il popoi siro.
      Eran presso a l'albergo ove giaceva
      il buon Tancredi, e i gridi entro s'udiro.
      Dal letto il fianco infermo egli solleva,
      vien su la vetta e volge gli occhi in giro;
      vede, giacendo il conte, altri ritrarsi,
      altri del tutto già fugati e sparsi.

84      Virtú, ch'à valorosi unqua non manca,
      perché languisca il corpo fral non langue,
      ma le piagate membra in lui rinfranca
      quasi in vece di spirito e di sangue.
      Del gravissimo scudo arma ei la manca,
      e non par grave il peso al braccio essangue.
      Prende con l'altra man l'ignuda spada
      (tanto basta a l'uom forte) e piú non bada,

85      ma giú se 'n viene e grida: "Ove fuggite,
      lasciando il signor vostro in preda altrui?
      dunque i barbari chiostri e le meschite
      spiegheran per trofeo l'arme di lui?
      Or, tornando in Guascogna, al figlio dite
      che morí il padre onde fuggiste vui."
      Cosí lor parla, e 'l petto nudo e infermo
      a mille armati e vigorosi è schermo.

86      E co 'l grave suo scudo, il qual di sette
      dure cuoia di tauro era composto
      e che a le terga poi di tempre elette
      un coperchio d'acciaio ha sopraposto,
      tien da le spade e tien da le saette,
      tien da tutte arme il buon Raimondo ascosto,
      e co 'l ferro i nemici intorno sgombra
      sí che giace securo e quasi a l'ombra.

87      Respirando risorge in tempo poco
      sotto il fido riparo il vecchio accolto,
      e si sente avampar di doppio foco,
      di sdegno il core e di vergogna il volto;
      e drizza gli occhi accesi a ciascun loco
      per riveder quel fero onde fu colto,
      ma no 'l vedendo freme, e far prepara
      ne' seguaci di lui vendetta amara.

88      Ritornan gli Aquitani e tutti insieme
      seguono il duce al vendicarsi intento.
      Lo stuol ch'inanzi osava tanto, or teme:
      audacia passa ov'era pria spavento.
      Cede chi rincalzò; chi cesse, or preme:
      cosí varian le cose in un momento.
      Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta
      pur di sua man con cento morti un'onta.

89      Mentre Raimondo il vergognoso sdegno
      ne' piú nobili capi sfogar tenta,
      vede l'usurpator del nobil regno,
      che fra' primi combatte, e gli s'aventa;
      e 'l fère in fronte e nel medesmo segno
      tocca e ritocca, e 'l suo colpir non lenta,
      onde il re cade e con singulto orrendo
      la terra ove regnò morde morendo.

90      Poich'una scorta è lunge e l'altra uccisa,
      in color che restàr vario è l'affetto:
      alcun, di belva infuriata in guisa,
      disperato nel ferro urta co 'l petto;
      altri, temendo, di campar s'avisa,
      e là rifugge ov'ebbe pria ricetto.
      Ma tra' fuggenti il vincitor commisto
      entra, e fin pone al glorioso acquisto.

91      Presa è la rocca, e su per l'alte scale
      chi fugge è morto o 'n su le prime soglie;
      e nel sommo di lei Raimondo sale
      e ne la destra il gran vessillo toglie,
      e incontra a i due gran campi il trionfale
      segno de la vittoria al vento scioglie.
      Ma non già il guarda il fer Soldan che lunge
      è di là fatto ed a la pugna giunge.

92      Giunge in campagna tepida e vermiglia
      che d'ora in ora piú di sangue ondeggia,
      sí che il regno di morte omai somiglia
      ch'ivi i trionfi suoi spiega e passeggia.
      Vede un destrier che con pendente briglia,
      senza rettor, trascorso è fuor di greggia;
      gli gitta al fren la mano e 'l vòto dorso
      montando preme e poi lo spinge al corso.

93      Grande ma breve aita apportò questi
      a i saracini impauriti e lassi.
      Grande ma breve fulmine il diresti
      ch'inaspettato sopragiunga e passi,
      ma del suo corso momentaneo resti
      vestigio eterno in dirupati sassi.
      Cento ei n'uccise e piú, pur di due soli
      non fia che la memoria il tempo involi.

94      Gildippe ed Odoardo, i casi vostri
      duri ed acerbi e i fatti onesti e degni
      (se tanto lice a i miei toscani inchiostri)
      consacrerò fra' peregrini ingegni,
      sí ch'ogn'età quasi ben nati mostri
      di virtude e d'amor v'additi e segni,
      e co 'l suo pianto alcun servo d'Amore
      la morte vostra e le mie rime onore.

95      La magnanima donna il destrier volse
      dove le genti distruggea quel crudo,
      e di due gran fendenti a pieno il colse:
      ferigli il fianco e gli partí lo scudo.
      Grida il crudel, ch'a l'abito raccolse
      chi costei fosse: "Ecco la putta e 'l drudo:
      meglio per te s'avessi il fuso e l'ago,
      ch'in tua difesa aver la spada e 'l vago."

96      Qui tacque, e di furor piú che mai pieno
      drizzò percossa temeraria e fera
      ch'osò, rompendo ogn'arme, entrar nel seno
      che de' colpi d'Amor segno sol era.
      Ella, repente abbandonando il freno,
      sembiante fa d'uom che languisca e pèra;
      e ben se 'l vede il misero Odoardo,
      mal fortunato difensor, non tardo.

97      Che far dée nel gran caso? Ira e pietade
      a varie parti in un tempo l'affretta:
      questa a l'appoggio del suo ben che cade,
      quella a pigliar del percussor vendetta.
      Amore indifferente il persuade
      che non sia l'ira o la pietà negletta.
      Con la sinistra man corre al sostegno,
      l'altra ministra ei fa del suo disdegno.

98      Ma voler e poter che si divida
      bastar non può contra il pagan sí forte
      tal che non sostien lei, né l'omicida
      de la dolce alma sua conduce a morte.
      Anzi avien che 'l Soldano a lui recida
      il braccio, appoggio a la fedel consorte,
      onde cader lasciolla, ed egli presse
      le membra a lei con le sue membra stesse.

99      Come olmo a cui la pampinosa pianta
      cupida s'aviticchi e si marite,
      se ferro il tronca o turbine lo schianta
      trae seco a terra la compagna vite,
      ed egli stesso il verde onde s'ammanta
      le sfronda e pesta l'uve sue gradite,
      par che se 'n dolga, e piú che 'l proprio fato
      di lei gl'incresca che gli more a lato; 

100     cosí cade egli, e sol di lei gli duole
      che 'l cielo eterna sua compagna fece.
      Vorrian formar né pòn formar parole,
      forman sospiri di parole in vece:
      l'un mira l'altro, e l'un pur come sòle
      si stringe a l'altro, mentre ancor ciò lece:
      e si cela in un punto ad ambi il die,
      e congiunte se 'n van l'anime pie.

101     Allor scioglie la Fama i vanni al volo,
      le lingue al grido, e 'l duro caso accerta;
      né pur n'ode Rinaldo il romor solo,
      ma d'un messaggio ancor nova piú certa.
      Sdegno, dover, benivolenza e duolo
      fan ch'a l'alta vendetta ei si converta,
      ma il sentier gli attraversa e fa contrasto
      su gli occhi del Soldano il grande Adrasto.

102     Gridava il re feroce: "A i segni noti
      tu sei pur quegli al fin ch'io cerco e bramo:
      scudo non è che non riguardi e noti,
      ed a nome tutt'oggi invan ti chiamo.
      Or solverò de la vendetta i voti
      co 'l tuo capo al mio nume. Omai facciamo
      di valor, di furor qui paragone,
      tu nemico d'Armida ed io campione."

103     Cosí lo sfida, e di percosse orrende
      pria su la tempia il fère, indi nel collo.
      L'elmo fatal (ché non si può) non fende,
      ma lo scote in arcion con piú d'un crollo.
      Rinaldo lui su 'l fianco in guisa offende
      che vana vi saria l'arte d'Apollo:
      cade l'uom smisurato, il rege invitto,
      e n'è l'onore ad un sol colpo ascritto.

104     Lo stupor, di spavento e d'orror misto,
      il sangue e i cori a i circostanti agghiaccia,
      e Soliman, ch'estranio colpo ha visto,
      nel cor si turba e impallidisce in faccia,
      e chiaramente il suo morir previsto,
      non si risolve e non sa quel che faccia;
      cosa insolita in lui, ma che non regge
      de gli affari qua giú l'eterna legge?

105     Come vede talor torbidi sogni
      ne' brevi sonni suoi l'egro o l'insano,
      pargli ch'al corso avidamente agogni
      stender le membra, e che s'affanni invano,
      ché ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni
      non corrisponde il piè stanco e la mano,
      scioglier talor la lingua e parlar vòle,
      ma non seguon la voce o le parole;

106     cosí allora il Soldan vorria rapire
      pur se stesso a l'assalto e se ne sforza,
      ma non conosce in sé le solite ire,
      né sé conosce a la scemata forza.
      Quante scintille in lui sorgon d'ardire,
      tante un secreto suo terror n'ammorza:
      volgonsi nel suo cor diversi sensi,
      non che fuggir, non che ritrarsi pensi.

107     Giunge all'irresoluto il vincitore,
      e in arrivando (o che gli pare) avanza
      e di velocitade e di furore
      e di grandezza ogni mortal sembianza.
      Poco ripugna quel; pur mentre more,
      già non oblia la generosa usanza:
      non fugge i colpi e gemito non spande,
      né atto fa se non se altero e grande.

108     Poi che 'l Soldan, che spesso in lunga guerra
      quasi novello Anteo cadde e risorse
      piú fero ognora, al fin calcò la terra
      per giacer sempre, intorno il suon ne corse;
      e Fortuna, che varia e instabil erra,
      piú non osò por la vittoria in forse,
      ma fermò i giri, e sotto i duci stessi
      s'uní co' Franchi e militò con essi.

109     Fugge, non ch'altri, omai la regia schiera
      ov'è de l'Oriente accolto il nerbo.
      Già fu detta immortale, or vien che pèra
      ad onta di quel titolo superbo.
      Emireno a colui c'ha la bandiera
      tronca la fuga e parla in modo acerbo:
      "Or se' tu quel ch'a sostener gli eccelsi
      segni dei mio signor fra mille i' scelsi?

110     Rimedon, questa insegna a te non diedi
      acciò che indietro tu la riportassi.
      Dunque, codardo, il capitan tuo vedi
      in zuffa co' nemici, e solo il lassi?
      che brami? di salvarti? or meco riedi,
      ché per la strada presa a morte vassi.
      Combatta qui chi di campar desia:
      la via d'onor de la salute è via."

111     Riede in guerra colui ch'arde di scorno.
      Usa ei con gli altri poi sermon piú grave:
      talor minaccia e fère, onde ritorno
      fa contra il ferro chi del ferro pave.
      Cosí rintegra del fiaccato corno
      la miglior parte, e speme anco pur have.
      E Tisaferno piú ch'altri il rincora,
      ch'orma non torse per ritrarsi ancora.

112     Meraviglie quel dí fe' Tisaferno:
      i Normandi per lui furon disfatti,
      fe' di Fiammenghi strano empio governo,
      Gernier, Ruggier, Gherardo a morte ha tratti.
      Poi ch'a le mète de l'onor eterno
      la vita breve prolungò co' fatti,
      quasi di viver piú poco gli caglia,
      cerca il rischio maggior de la battaglia.

113     Vide ei Rinaldo; e benché omai vermigli
      gli azzurri suoi color sian divenuti,
      e insanguinati l'aquila gli artigli
      e 'l rostro s'abbia, i segni ha conosciuti.
      "Ecco" disse "i grandissimi perigli;
      qui prego il ciel che 'l mio ardimento aiuti,
      e veggia Armida il desiato scempio:
      Macon, s'io vinco, i' voto l'arme al tempio."

114     Cosí pregava, e le preghiere ír vòte.
      ché 'l sordo suo Macon nulla n'udiva.
      Qual il leon si sferza e si percote
      per isvegliar la ferità nativa,
      tale ei suoi sdegni desta, ed a la cote
      d'amor gli aguzza ed a le fiamme avviva.
      Tutte sue forze aduna e si ristringe
      sotto l'arme a l'assalto, e 'l destrier spinge.

115     Spinse il suo contra lui, che in atto scerse
      d'assalitore, il cavalier latino.
      Fe' lor gran piazza in mezzo e si converse
      a lo spettacol fero ogni vicino.
      Tante fur le percosse e sí diverse
      de l'italico eroe, del saracino,
      ch'altri per meraviglia obliò quasi
      l'ire e gli affetti propri e i propri casi.

116     Ma l'un percote sol; percote e impiaga
      l'altro, ch'ha maggior forza, armi piú ferme.
      Tisaferno di sangue il campo allaga,
      con l'elmo aperto e de lo scudo inerme.
      Mira del suo campion la bella maga
      rotti gli arnesi, e piú le membra inferme,
      e gli altri tutti impauriti in modo
      che frale omai gli stringe e debil nodo.

117     Già di tanti guerrier cinta e munita,
      or rimasa nel carro era soletta:
      teme di servitute, odia la vita,
      dispera la vittoria e la vendetta.
      Mezza tra furiosa e sbigottita
      scende, ed ascende un suo destriero in fretta;
      vassene e fugge, e van seco pur anco
      Sdegno ed Amor quasi due veltri al fianco.

118     Tal Cleopatra al secolo vetusto
      sola fuggia da la tenzon crudele
      lasciando incontra al fortunato Augusto
      ne' maritimi rischi il suo fedele,
      che per amor fatto a se stesso ingiusto
      tosto seguí le solitarie vele.
      E ben la fuga di costei secreta
      Tisaferno seguia, ma l'altro il vieta.

119     Al pagan, poi che sparve il suo conforto,
      sembra ch'insieme il giorno e 'l sol tramonte
      ed a lui che 'l ritiene a sí gran torto
      disperato si volge e 'l fiede in fronte.
      A fabricar il fulmine ritorto
      via piú leggier cade il martel di Bronte,
      e co 'l grave fendente in modo il carca
      che 'l percosso la testa al petto inarca.

120     Tosto Rinaldo si dirizza ed erge
      e vibra il ferro e, rotto il grosso usbergo,
      gli apre le coste e l'aspra punta immerge
      in mezzo 'l cor dove ha la vita albergo.
      Tanto oltra va che piaga doppia asperge
      quinci al pagano il petto e quindi il tergo,
      e largamente a l'anima fugace
      piú d'una via nel suo partir si face.

121     Allor si ferma a rimirar Rinaldo
      ove drizzi gli assalti, ove gli aiuti
      e de' pagan non vede ordine saldo,
      ma gli stendardi lor tutti caduti.
      Qui pon fine a le morti, e in lui quel caldo
      disdegno marzial par che s'attuti.
      Placido è fatto, e gli si reca a mente
      la donna che fuggia sola e dolente.

122     Ben rimirò la fuga; or da lui chiede
      pietà che n'abbia cura e cortesia,
      e gli sovien che si promise in fede
      suo cavalier quando da lei partia.
      Si drizza ov'ella fugge, ov'egli vede
      il piè del palafren segnar la via.
      Giunge ella intanto in chiusa opaca chiostra
      ch'a solitaria morte atta si mostra.

123     Piacquele assai che 'n quelle valli ombrose
      l'orme sue erranti il caso abbia condutte.
      Qui scese dal destriero e qui depose
      e l'arco e la faretra e l'armi tutte.
      "Armi infelici" disse "e vergognose,
      ch'usciste fuor de la battaglia asciutte,
      qui vi depongo; e qui sepolte state
      poiché l'ingiurie mie mal vendicate.

124     Ah! ma non fia che fra tant'armi e tante
      una di sangue oggi si bagni almeno?
      S'ogn'altro petto a voi par di diamante,
      osarete piagar feminil seno?
      In questo mio, che vi sta nudo avante,
      i pregi vostri e le vittorie sieno.
      Tenero a i colpi è questo mio: ben sallo
      Amor che mai non vi saetta in fallo.

125     Dimostratevi in me (ch'io vi perdono
      la passata viltà) forti ed acute.
      Misera Armida, in qual fortuna or sono,
      se sol da voi posso sperar salute?
      Poi ch'ogn'altro rimedio è in me non buono
      se non sol di ferute a le ferute,
      sani piaga di stral piaga d'amore,
      e sia la morte medicina al core.

126     Felice me, se nel morir non reco
      questa mia peste ad infettar l'inferno!
      Restine Amor; venga sol Sdegno or meco
      e sia de l'ombra mia compagno eterno,
      o ritorni con lui dal regno cieco
      a colui che di me fe' l'empio scherno,
      e se gli mostri tal che 'n fere notti
      abbia riposi orribili e 'nterrotti."

127     Qui tacque e, stabilito il suo pensiero,
      strale sceglieva il piú pungente e forte,
      quando giunse e mirolla il cavaliero
      tanto vicina a l'estrema sua sorte,
      già compostasi in atto atroce e fero,
      già tinta in viso di pallor di morte.
      Da tergo ei se le aventa e 'l braccio prende
      che già la fera punta al petto stende.

128     Si volse Armida e 'l rimirò improviso,
      ché no 'l sentí quando da prima ei venne:
      alzò le strida, e da l'amato viso
      torse le luci disdegnosa e svenne.
      Ella cadea, quasi fior mezzo inciso,
      piegando il lento collo; ei la sostenne,
      le fe' d'un braccio al bel fianco colonna
      e' ntanto al sen le rallentò la gonna,

129     e 'l bel volto e 'l bel seno a la meschina
      bagnò d'alcuna lagrima pietosa.
      Qual a pioggia d'argento e matutina
      si rabbellisce scolorita rosa,
      tal ella rivenendo alzò la china
      faccia, del non suo pianto or lagrimosa.
      Tre volte alzò le luci e tre chinolle
      dal caro oggetto, e rimirar no 'l volle.

130     E con man languidetta il forte braccio,
      ch'era sostegno suo, schiva respinse;
      tentò piú volte e non uscí d'impaccio,
      ché via piú stretta ei rilegolla e cinse.
      Al fin raccolta entro quel caro laccio,
      che le fu caro forse e se n'infinse,
      parlando incominciò di spander fiumi,
      senza mai dirizzargli al volto i lumi.

131     "O sempre, e quando parti e quando torni
      egualmente crudele, or chi ti guida?
      Gran meraviglia che 'l morir distorni
      e di vita cagion sia l'omicida.
      Tu di salvarmi cerchi? a quali scorni,
      a quali pene è riservata Armida?
      Conosco l'arti del fellone ignote,
      ma ben può nulla chi morir non pote.

132     Certo è scorno al tuo onor, se non s'addita
      incatenata al tuo trionfo inanti
      femina or presa a forza e pria tradita:
      quest'è 'l maggior de' titoli e de' vanti.
      Tempo fu ch'io ti chiesi e pace e vita,
      dolce or saria con morte uscir de' pianti;
      ma non la chiedo a te, ché non è cosa
      ch'essendo dono tuo non mi sia odiosa.

133     Per me stessa, crudel, spero sottrarmi
      a la tua feritade in alcun modo.
      E, s'a l'incatenata il tòsco e l'armi
      pur mancheranno e i precipizi e 'l nodo,
      veggio secure vie che tu vietarmi
      il morir non potresti, e 'l ciel ne lodo.
      Cessa omai da' tuoi vezzi. Ah! par ch'ei finga:
      deh, come le speranze egre lusinga!"

134     Cosí doleasi, e con le flebil onde,
      ch'amor e sdegno da' begli occhi stilla,
      l'affettuoso pianto egli confonde
      in cui pudica la pietà sfavilla;
      e con modi dolcissimi risponde:
      "Armida, il cor turbato omai tranquilla:
      non a gli scherni, al regno io ti riservo;
      nemico no, ma tuo campione e servo.

135     Mira ne gli occhi miei, s'al dir non vuoi
      fede prestar, de la mia fede il zelo.
      Nel soglio, ove regnàr gli avoli tuoi,
      riporti giuro; ed oh piacesse al Cielo
      ch'a la tua mente alcun de' raggi suoi
      del paganesmo dissolvesse il velo,
      com'io farei che 'n Oriente alcuna
      non t'agguagliasse di regal fortuna."

136     Sí parla e prega, e i preghi bagna e scalda
      or di lagrime rare, or di sospiri;
      onde sí come suol nevosa falda
      dov'arda il sole o tepid'aura spiri,
      cosí l'ira che 'n lei parea sí salda
      solvesi e restan sol gli altri desiri.
      "Ecco l'ancilla tua; d'essa a tuo senno
      dispon," gli disse "e le fia legge il cenno."

137     In questo mezzo il capitan d'Egitto
      a terra vede il suo regal stendardo,
      e vede a un colpo di Goffredo invitto
      cadere insieme Rimedon gagliardo
      e l'altro popol suo morto e sconfitto;
      né vuol nel duro fin parer codardo,
      ma va cercando (e non la cerca invano)
      illustre morte da famosa mano.

138     Contra il maggior Buglione il destrier punge,
      ché nemico veder non sa piú degno,
      e mostra, ove egli passa, ove egli giunge
      di valor disperato ultimo segno.
      Ma pria ch'arrivi a lui, grida da lunge:
      "Ecco, per le tue mani a morir vegno;
      ma tentarò ne la caduta estrema
      che la ruina mia ti colga e prema."

139     Cosí gli disse, e in un medesmo punto
      l'un verso l'altro per ferir si lancia.
      Rotto lo scudo, e disarmato e punto
      è 'l manco braccio al capitan di Francia;
      l'altro da lui con sí gran colpo è giunto
      sovra i confin de la sinistra guancia
      che ne stordisce in su la sella, e mentre
      risorger vuol, cade trafitto il ventre.

140     Morto il duce Emireno, omai sol resta
      picciol avanzo del gran campo, estinto.
      Segue i vinti Goffredo e poi s'arresta,
      ch'Altamor vede a piè di sangue tinto,
      con mezza spada e con mezzo elmo in testa
      da cento lancie ripercosso e cinto.
      Grida egli a' suoi: "Cessate; e tu, barone,
      renditi, io son Goffredo, a me prigione."

141     Colui che sino allor l'animo grande
      ad alcun atto d'umiltà non torse,
      ora ch'ode quel nome, onde si spande
      sí chiaro il suon da gli Etiòpi a l'Orse,
      gli risponde: "Farò quanto dimande,
      ché ne sei degno:" e l'arme in man gli porse
      "ma la vittoria tua sovra Altamoro
      né di gloria fia povera, né d'oro.

142     Me l'oro del mio regno e me le gemme
      ricompreran de la pietosa moglie."
      Replica a lui Goffredo: "Il ciel non diemme
      animo tal che di tesor s'invoglie.
      Ciò che ti vien da l'indiche maremme
      abbiti pure, e ciò che Persia accoglie,
      ché de la vita altrui prezzo non cerco:
      guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco."

143     Tace, ed a' suoi custodi in cura dallo
      e segue il corso poi de' fuggitivi.
      Fuggon quegli a i ripari, ed intervallo
      da la morte trovar non ponno quivi.
      Preso è repente e pien di strage il vallo,
      corre di tenda in tenda il sangue in rivi,
      e vi macchia le prede e vi corrompe
      gli ornamenti barbarici e le pompe.

144     Cosí vince Goffredo, ed a lui tanto
      avanza ancor de la diurna luce
      ch'a la città già liberata, al santo
      ostel di Cristo i vincitor conduce.
      Né pur deposto il sanguinoso manto,
      viene al tempio con gli altri il sommo duce;
      e qui l'arme sospende, e qui devoto
      il gran Sepolcro adora e scioglie il voto.