Gerusalemme liberata, canti 18-19 e 20
POEMA DEL SIGNOR TORQUATO TASSO AL SERENISSIMO SIGNORE IL SIGNOR DONNO ALFONSO II D'ESTE DUCA DI FERRARA
canto DICIOTTESIMO
1 Giunto Rinaldo ove Goffredo è sorto ad incontrarlo, incominciò: "Signore, a vendicarmi del guerrier ch'è morto cura mi spinse di geloso onore; e s'io n'offesi te, ben disconforto ne sentii poscia e penitenza al core. Or vegno a' tuoi richiami, ed ogni emenda son pronto a far, che grato a te mi renda." 2 A lui ch'umil gli s'inchinò, le braccia stese al collo Goffredo e gli rispose: "Ogni trista memoria omai si taccia, e pongansi in oblio l'andate cose. E per emenda io vorrò sol che faccia quai per uso faresti, opre famose; e 'n danno de' nemici e 'n pro de' nostri vincer convienti de la selva i mostri. 3 L'antichissima selva, onde fu inanti de' nostri ordigni la materia tratta, qual si sia la cagione, ora è d'incanti secreta stanza e formidabil fatta, né v'è chi legno di troncar si vanti, né vuol ragion che la città si batta senza tali instrumenti: or colà dove paventan gli altri, il tuo valor si prove." 4 Cosí disse egli, e il cavalier s'offerse con brevi detti al rischio, a la fatica; ma ne gli atti magnanimi si scerse ch'assai farà, benché non molto ei dica. E verso gli altri poi lieto converse la destra e 'l volto a l'accoglienza amica: qui Guelfo, qui Tancredi, e qui già tutti s'eran de l'oste i principi ridutti. 5 Poi che le dimostranze oneste e care con que' soprani egli iterò piú volte, placido affabilmente e popolare l'altre genti minori ebbe raccolte. Non saria già piú allegro il militare grido o le turbe intorno a lui piú folte se, vinto l'Oriente e 'l Mezzogiorno, trionfando n'andasse in carro adorno. 6 Cosí ne va sino al suo albergo, e siede, in cerchio quivi a i cari amici a canto, e molto lor risponde e molto chiede or de la guerra, or del silvestre incanto. Ma quando ognun partendo agio lor diede, cosí gli disse l'Eremita santo: "Ben gran cose, signor, e lungo corso (mirabil peregrino) errando hai scorso. 7 Quanto devi al gran Re che 'l mondo regge! Tratto egli t'ha da l'incantate soglie: ei te smarrito agnel fra le sue gregge or riconduce e nel suo ovil accoglie, e per la voce del Buglion t'elegge secondo essecutor de le sue voglie. Ma non conviensi già ch'ancor profano ne' suoi gran magisteri armi la mano, 8 ché sei de la caligine del mondo e de la carne tu di modo asperso che 'l Nilo e 'l Gange o l'ocean profondo non ti potrebbe far candido e terso. Sol la grazia del Ciel quanto hai d'immondo può render puro: al Ciel dunque converso, riverente perdon richiedi e spiega le tue tacite colpe, e piangi e prega." 9 Cosí gli disse; e quel prima in se stesso pianse i superbi sdegni e i folli amori, poi chinato a' suoi piè mesto e dimesso tutti scoprigli i giovenili errori. Il ministro del Ciel, dopo il concesso perdono, a lui dicea: "Co' novi albori ad orar te n'andrai là su quel monte ch'al raggio matutin volge la fronte. 10 Quivi al bosco t'invia, dove cotanti son fantasmi ingannevoli e bugiardi. Vincerai (questo so) mostri e giganti, pur ch'altro folle error non ti ritardi. Deh! né voce che dolce o pianga o canti, né beltà che soave o rida o guardi, con tenere lusinghe il cor ti pieghi, ma sprezza i finti aspetti e i finti preghi." 11 Cosí il consiglia; e 'l cavalier s'appresta, desiando e sperando, a l'alta lmpresa. Passa pensoso il dí, pensosa e mesta la notte; e pria ch'in ciel sia l'alba accesa, le belle arme si cinge, e sopravesta nova ed estrania di color s'ha presa, e tutto solo e tacito e pedone lascia i compagni e lascia il padiglione. 12 Era ne la stagion ch'anco non cede libero ogni confin la notte al giorno, ma l'oriente rosseggiar si vede ed anco è il ciel d'alcuna stella adorno; quando ei drizzò vèr l'Oliveto il piede, con gli occhi alzati contemplando intorno quinci notturne e quindi mattutine bellezze incorrottibili e divine. 13 Fra se stesso pensava: "O quante belle luci il tempio celeste in sé raguna! Ha il suo gran carro il dí, l'aurate stelle spiega la notte e l'argentata luna; ma non è chi vagheggi o questa o quelle, e miriam noi torbida luce e bruna ch'un girar d'occhi, un balenar di riso, scopre in breve confin di fragil viso." 14 Cosí pensando, a le piú eccelse cime ascese; e quivi, inchino e riverente, alzò il pensier sovra ogni ciel sublime e le luci fissò ne l'oriente: "La prima vita e le mie colpe prime mira con occhio di pietà clemente, Padre e Signor, e in me tua grazia piovi, sí che 'l mio vecchio Adam purghi e rinovi." 15 Cosí pregava, e gli sorgeva a fronte fatta già d'auro la vermiglia aurora che l'elmo e l'arme e intorno a lui del monte le verdi cime illuminando indora; e ventillar nel petto e ne la fronte sentia gli spirti di piacevol òra, che sovra il capo suo scotea dal grembo de la bell'alba un rugiadoso nembo. 16 La rugiada del ciel su le sue spoglie cade, che parean cenere al colore, e sí l'asperge che 'l pallor ne toglie e induce in esse un lucido candore; tal rabbellisce le smarrite foglie a i matutini geli arido fiore, e tal di vaga gioventú ritorna lieto il serpente e di novo or s'adorna. 17 Il bel candor de la mutata vesta egli medesmo riguardando ammira, poscia verso l'antica alta foresta con secura baldanza i passi gira. Era là giunto ove i men forti arresta solo il terror che di sua vista spira; pur né spiacente a lui né pauroso il bosco par, ma lietamente ombroso. 18 Passa piú oltre, e ode un suono intanto che dolcissimamente si diffonde. Vi sente d'un ruscello il roco pianto e 'l sospirar de l'aura infra le fronde e di musico cigno il flebil canto e l'usignol che plora e gli risponde, organi e cetre e voci umane in rime: tanti e sí fatti suoni un suono esprime. 19 Il cavalier, pur come a gli altri aviene, n'attendeva un gran tuon d'alto spavento, e v'ode poi di ninfe e di sirene, d'aure, d'acque, d'augei dolce concento, onde meravigliando il piè ritiene, e poi se 'n va tutto sospeso e lento; e fra via non ritrova altro divieto che quel d'un fiume trapassante e cheto. 20 L'un margo e l'altro del bel fiume, adorno di vaghezze e d'odori, olezza e ride. Ei stende tanto il suo girevol corno che tra 'l suo giro il gran bosco s'asside, né pur gli fa dolce ghirlanda intorno, ma un canaletto suo v'entra e 'l divide: bagna egli il bosco e 'l bosco il fiume adombra con bel cambio fra lor d'umore e d'ombra. 21 Mentre mira il guerriero ove si guade, ecco un ponte mirabile appariva: un ricco ponte d'or che larghe strade su gli archi stabilissimi gli offriva. Passa il dorato varco, e quel giú cade tosto che 'l piè toccata ha l'altra riva; e se ne 'l porta in giú l'acqua repente, l'acqua ch'è d'un bel rio fatta un torrente. 22 Ei si rivolge e dilatato il mira e gonfio assai quasi per nevi sciolte, che 'n se stesso volubil si raggira con mille rapidissime rivolte. Ma pur desio di novitade il tira a spiar tra le piante antiche e folte, e 'n quelle solitudini selvagge sempre a sé nova meraviglia il tragge. 23 Dove in passando le vestigia ei posa, par ch'ivi scaturisca o che germoglie: là s'apre il giglio e qui spunta la rosa, qui sorge un fonte, ivi un ruscel si scioglie, e sovra e intorno a lui la selva annosa tutte parea ringiovenir le foglie; s'ammolliscon le scorze e si rinverde piú lietamente in ogni pianta il verde. 24 Rugiadosa di manna era ogni fronda, e distillava de le scorze il mèle, e di novo s'udia quella gioconda strana armonia di canto e di querele; ma il coro uman, ch'a i cigni, a l'aura, a l'onda facea tenor, non sa dove si cele: non sa veder chi formi umani accenti, né dove siano i musici stromenti. 25 Mentre riguarda, e fede il pensier nega a quel che 'l senso gli offeria per vero, vede un mirto in disparte, e là si piega ove in gran piazza termina un sentiero. L'estranio mirto i suoi gran rami spiega, piú del cipresso e de la palma altero, e sovra tutti gli arbori frondeggia; ed ivi par del bosco esser la reggia. 26 Fermo il guerrier ne la gran piazza, affisa a maggior novitate allor le ciglia. Quercia gli appar che per se stessa incisa apre feconda il cavo ventre e figlia, e n'esce fuor vestita in strana guisa ninfa d'età cresciuta (oh meraviglia!); e vede insieme poi cento altre piante cento ninfe produr dal sen pregnante. 27 Quai le mostra la scena o quai dipinte tal volta rimiriam dèe boscareccie, nude le braccia e l'abito succinte, con bei coturni e con disciolte treccie, tali in sembianza si vedean le finte figlie de le selvatiche corteccie; se non che in vece d'arco o di faretra, chi tien leuto, e chi viola o cetra. 28 E cominciàr costor danze e carole, e di se stesse una corona ordiro e cinsero il guerrier, sí come sòle esser punto rinchiuso entro il suo giro. Cinser la pianta ancora, e tai parole nel dolce canto lor da lui s'udiro: "Ben caro giungi in queste chiostre amene o de la donna nostra amore e spene. 29 Giungi aspettato a dar salute a l'egra, d'amoroso pensiero arsa e ferita. Questa selva che dianzi era sí negra, stanza conforme a la dolente vita, vedi che tutta al tuo venir s'allegra e 'n piú leggiadre forme è rivestita." Tale era il canto; e poi dal mirto uscia un dolcissimo tuono, e quel s'apria. 30 Già ne l'aprir d'un rustico sileno meraviglie vedea l'antica etade, ma quel gran mirto da l'aperto seno imagini mostrò piú belle e rade: donna mostrò ch'assomigliava a pieno nel falso aspetto angelica beltade. Rinaldo guata, e di veder gli è aviso le sembianze d'Armida e il dolce viso. 31 Quella lui mira in un lieta e dolente: mille affetti in un guardo appaion misti. Poi dice: "Io pur ti veggio, e finalmente pur ritorni a colei da chi fuggisti. A che ne vieni? a consolar presente le mie vedove notti e i giorni tristi? o vieni a mover guerra, a discacciarme, che mi celi il bel volto e mostri l'arme? 32 giungi amante o nemico? Il ricco ponte io già non preparava ad uom nemico, né gli apriva i ruscelli, i fior, la fonte, sgombrando i dumi e ciò ch'a' passi è intrico. Togli questo elmo omai, scopri la fronte e gli occhi a gli occhi miei, s'arrivi amico; giungi i labri a le labra, il seno al seno, porgi la destra a la mia destra almeno." 33 Seguia parlando, e in bei pietosi giri volgeva i lumi e scoloria i sembianti, falseggiando i dolcissimi sospiri e i soavi singulti e i vaghi pianti, tal che incauta pietade a quei martíri intenerir potea gli aspri diamanti; ma il cavaliero, accorto sí, non crudo, piú non v'attende, e stringe il ferro ignudo. 34 Vassene al mirto; allor colei s'abbraccia al caro tronco, e s'interpone e grida: "Ah non sarà mai ver che tu mi faccia oltraggio tal, che l'arbor mio recida! Deponi il ferro, o dispietato, o il caccia pria ne le vene a l'infelice Armida: per questo sen, per questo cor la spada solo al bel mirto mio trovar può strada." 35 Egli alza il ferro, e 'l suo pregar non cura; ma colei si trasmuta (oh novi mostri!) sí come avien che d'una altra figura, trasformando repente, il sogno mostri. Cosí ingrossò le membra, e tornò oscura la faccia e vi sparír gli avori e gli ostri; crebbe in gigante altissimo, e si feo con cento armate braccia un Briareo. 36 Cinquanta spade impugna e con cinquanta scudi risuona, e minacciando freme. Ogn'altra ninfa ancor d'arme s'ammanta, fatta un ciclope orrendo; ed ei non teme: raddoppia i colpi e la difesa pianta che pur, come animata, a i colpi geme. Sembran de l'aria i campi i campi stigi, tanti appaion in lor mostri e prodigi. 37 Sopra il turbato ciel, sotto la terra tuona: e fulmina quello, e trema questa; vengono i venti e le procelle in guerra, e gli soffiano al volto aspra tempesta. Ma pur mai colpo il cavalier non erra, né per tanto furor punto s'arresta; tronca la noce: è noce, e mirto parve. Qui l'incanto forní, sparír le larve. 38 Tornò sereno il cielo e l'aura cheta, tornò la selva al natural suo stato: non d'incanti terribile né lieta, piena d'orror ma de l'orror innato. Ritenta il vincitor s'altro piú vieta ch'esser non possa il bosco omai troncato; poscia sorride, e fra sé dice: "Oh vane sembianze! e folle chi per voi rimane!" 39 Quinci s'invia verso le tende, e intanto colà gridava il solitario Piero: "Già vinto è de la selva il fero incanto, già se 'n ritorna il vincitor guerriero: vedilo." Ed ei da lunge in bianco manto comparia venerabile e severo, e de l'aquila sua l'argentee piume splendeano al sol d'inusitato lume. 40 Ei dal campo gioioso alto saluto ha con sonoro replicar di gridi; e poi con lieto onore è ricevuto dal pio Buglione, e non è chi l'invídi. Disse al duce il guerriero: "A quel temuto bosco n'andai, come imponesti, e 'l vidi: vidi, e vinsi gli incanti; or vadan pure le genti là, ché son le vie secure." 41 Vassi a l'antica selva, e quindi è tolta materia tal qual buon giudicio elesse; e bench'oscuro fabro arte non molta por ne le prime machine sapesse, pur artefice illustre a questa volta è colui ch'a le travi i vinchi intesse: Guglielmo, il duce ligure, che pria signor del mare corseggiar solia, 42 poi sforzato a ritrarsi ei cesse i regni al gran navilio saracin de' mari, ed ora al campo conducea da i legni e le maritime arme e i marinari; ed era questi infra i piú industri ingegni ne' mecanici ordigni uom senza pari, e cento seco avea fabri minori, di ciò ch'egli disegna essecutori. 43 Costui non solo incominciò a comporre catapulte, balliste ed arieti, onde a le mura le difese tòrre possa e spezzar le sode alte pareti; ma fece opra maggior: mirabil torre ch'entro di pin tessuta era e d'abeti, e ne le cuoia avolto ha quel di fuore per ischermirsi da lanciato ardore. 44 Si commette la mole e ricompone con sottili giunture in un congiunta, e la trave che testa ha di montone da l'ime parti sue cozzando spunta; lancia dal mezzo un ponte, e spesso il pone su l'opposta muraglia a prima giunta, e fuor da lei su per la cima n'esce torre minor ch'in suso è spinta e cresce. 45 Per le facili vie destra, e corrente sovra ben cento sue volubil rote, gravida d'arme e gravida di gente, senza molta fatica ella gir pote. Stanno le schiere in rimirando intente la prestezza de' fabri e l'arti ignote, e due torri in quel punto anco son fatte de la prima ad imagine ritratte. 46 Ma non eran fra tanto a i saracini l'opre ch'ivi si fean del tutto ascoste, perché ne l'alte mura a i piú vicini lochi le guardie ad ispiar son poste. Questi gran salmerie d'orni e di pini vedean dal bosco esser condotte a l'oste, e machine vedean; ma non a pieno riconoscer la forma indi potieno. 47 Fan lor machine anch'essi e con molt'arte rinforzano le torri e la muraglia, e l'alzaron cosí da quella parte ov'è men atta a sostener battaglia, ch'a lor credenza omai sforzo di Marte esser non può ch'ad espugnarla vaglia; ma sovra ogni difesa Ismen prepara copia di fochi inusitata e rara. 48 Mesce il mago fellon zolfi e bitume, che dal lago di Sodoma ha raccolto; e fu' credo, in inferno, e dal gran fiume che nove volte il cerchia anco n'ha tolto. Cosí fa che quel foco e puta e fume, e che s'aventi fiammeggiando al volto. E ben co' feri incendi egli s'avisa di vendicar la cara selva incisa. 49 Mentre il campo e l'assalto e la cittade s'apparecchia in tal modo a le difese, una colomba per l'aeree strade vista è passar sovra lo stuol francese, che non dimena i presti vanni e rade quelle liquide vie con l'ali tese; e già la messaggiera peregrina da l'alte nubi a la città s'inchina, 50 quando di non so donde esce un falcone d'adunco rostro armato e di grand'ugna che fra 'l campo e le mura a lei s'oppone. Non aspetta ella del crudel la pugna; quegli, d'alto volando, al padiglione maggior l'incalza e par ch'omai l'aggiugna, ed al tenero capo il piede ha sovra: essa nel grembo al pio Buglion ricovra. 51 La raccoglie Goffredo, e la difende; poi scorge, in lei guardando, estrania cosa, ché dal collo ad un filo avinta pende rinchiusa carta, e sotto un'ala ascosa. La disserra e dispiega, e bene intende quella ch'in sé contien non lunga prosa: "Al signor di Giudea" dice lo scritto "invia salute il capitan d'Egitto. 52 Non sbigottir, signor: resisti e dura insino al quarto o insino al giorno quinto, ch'io vengo a liberar coteste mura, e vedrai tosto il tuo nemico vinto." Questo il secreto fu che la scrittura in barbariche note avea distinto dato in custodia al portator volante, ché tai messi in quel tempo usò il Levante. 53 Libera il prence la colomba; e quella, che de' secreti fu rivelatrice, come esser creda al suo signor rubella, non ardí piú tornar nunzia infelice. Ma il sopran duce i minor duci appella, e lor mostra la carta e cosí dice: "Vedete come il tutto a noi riveli la providenza del Signor de' cieli. 54 Già piú da ritardar tempo non parmi: nova spianata or cominciar potrassi, e fatica e sudor non si risparmi per superar d'inverso l'Austro i sassi. Duro fia sí far colà strada a l'armi, pur far si può: notato ho il loco e i passi. E ben quel muro che assecura il sito, d'arme e d'opre men deve esser munito. 55 Tu, Raimondo, vogl'io che da quel lato con le machine tue le mura offenda, vuo' che de l'arme mie l'alto apparato contra la porta Aquilonar si stenda sí che il nemico il vegga ed ingannato indi il maggior impeto nostro attenda; poi la gran torre mia, ch'agevol move, trascorra alquanto e porti guerra altrove. 56 Tu drizzarai, Camillo, al tempo stesso non lontana da me la terza torre." Tacque; e Raimondo, che gli siede appresso e che, parlando lui, fra sé discorre, disse: "Al consiglio da Goffredo espresso nulla giunger si pote e nulla tòrre. Lodo solo, oltra ciò, ch'alcun s'invii nel campo ostil ch'i suoi secreti spii, 57 e ne ridica il numero e 'l pensiero, quanto raccòr potrà, certo e verace." Sogiunge allor Tancredi: "Ho un mio scudiero che a questo uffizio di propor mi piace: uom pronto e destro e sovra i piè leggiero, audace sí, ma cautamente audace, che parla in molte lingue, e varia il noto suon de la voce e 'l portamento e 'l moto." 58 Venne colui, chiamato; e poi ch'intese ciò che Goffredo e 'l suo signor desia, alzò ridendo il volto ed intraprese la cura e disse: "Or or mi pongo in via. Tosto sarò dove quel campo tese le tende avrà, non conosciuta spia; vuo' penetrar di mezzodí nel vallo, e numerarvi ogn'uomo, ogni cavallo. 59 Quanta e qual sia quell'oste, e ciò che pensi il duce loro, a voi ridir prometto: vantomi in lui scoprir gli intimi sensi e i secreti pensier trargli del petto." Cosí parla Vafrino e non trattiensi, ma cangia in lungo manto il suo farsetto, e mostra fa del nudo collo, e prende d'intorno al capo attorcigliate bende; 60 la faretra s'adatta e l'arco siro, e barbarico sembra ogni suo gesto. Stupiron quei che favellar l'udiro ed in diverse lingue esser sí presto ch'egizio in Menfi o pur fenice in Tiro l'avria creduto e quel popolo e questo. Egli se 'n va sovra un destrier ch'a pena segna nel corso la piú molle arena. 61 Ma i Franchi, pria che 'l terzo dí sia giunto, appianaron le vie scoscese e rotte, e fornír gli instromenti anco in quel punto, ché non fur le fatiche unqua interrotte; anzi a l'opre de' giorni avean congiunto, togliendola al riposo, anco la notte, né cosa è piú che ritardar li possa dal far l'estremo omai d'ogni lor possa. 62 Del dí cui de l'assalto il dí successe, gran parte orando il pio Buglion dispensa; e impon ch'ogn'altro i falli suoi confesse e pasca il pan de l'alme a la gran mensa. Machine ed arme poscia ivi piú spesse dimostra ove adoprarle egli men pensa; e 'l deluso pagan si riconforta, ch'oppor le vede a la munita porta. 63 Co 'l buio de la notte è poi la vasta agil machina sua colà traslata ove è men curvo il muro e men contrasta, ch'angulosa non fa parte e piegata. E d'in su 'l colle e la città sovrasta Raimondo ancor con la sua torre armata, la sua Camillo a quel lato avicina che dal Borea a l'occaso alquanto inchina. 64 Ma come furo in oriente apparsi i matutini messaggier del sole, s'avidero i pagani (e ben turbàrsi) che la torre non è dove esser sòle; e miràr quinci e quindi anco inalzarsi non piú veduta una ed un'altra mole, e in numero infinito anco son viste catapulte, monton, gatti e balliste. 65 Non è la turba de' pagan già lenta a trasportarne là molte difese ove il Buglion le machine appresenta, da quella parte ove primier l'attese. Ma il capitan, ch'a tergo aver rammenta l'oste d'Egitto, ha quelle vie già prese; e Guelfo e i due Roberti a sé chiamati: "State" dice "a cavallo in sella armati, 66 e procurate voi che, mentre ascendo colà dove quel muro appar men forte, schiera non sia che súbita venendo s'atterghi a gli occupati e guerra porte." Tacque, e già da tre lati assalto orrendo movon le tre sí valorose scorte; e da tre lati ha il re sue genti opposte, che riprese quel dí l'arme deposte. 67 Egli medesmo al corpo omai tremante per gli anni, e grave del suo proprio pondo, l'arme che disusò gran tempo inante, circonda, e se ne va contra Raimondo. Solimano a Goffredo e 'l fero Argante al buon Camillo oppon, che di Boemondo seco ha il nipote; e lui fortuna or guida, perché 'l nemico a sé dovuto uccida. 68 Incominciaro a saettar gli arcieri infette di veneno arme mortali, ed adombrato il ciel par che s'anneri sotto un immenso nuvolo di strali. Ma con forza maggior colpi piú feri ne venian da le machine murali: indi gran palle uscian marmoree e gravi, e con punta d'acciar ferrate travi. 69 Par fulmine ogni sasso, e cosí trita l'armatura e le membra a chi n'è colto, che gli toglie non pur l'alma e la vita, ma la forma del corpo anco e del volto. Non si ferma la lancia a la ferita; dopo il colpo, del corso avanza molto: entra da un lato e fuor per l'altro passa fuggendo, e nel fuggir la morte lassa. 70 Ma non togliea però da la difesa tanto furor le saracine genti: contra quelle percosse avean già tesa pieghevol tela e cose altre cedenti; l'impeto, che 'n lor cade, ivi contesa non trova, e vien che vi si fiacchi e lenti; essi, ove miran piú la calca esposta, fan con l'arme volanti aspra risposta. 71 Con tutto ciò d'andarne oltre non cessa l'assalitor, che tripartito move; e chi va sotto gatti, ove la spessa gragnuola di saette indarno piove, e chi le torri a l'alto muro appressa che da sé loro a suo poter rimove: tenta ogni torre omai lanciare il ponte, cozza il monton con la ferrata fronte. 72 Rinaldo intanto irresoluto bada, ché quel rischio di sé degno non era, e stima onor plebeo quand'egli vada per le comuni vie co 'l vulgo in schiera. E volge intorno gli occhi, e quella strada sol gli piace tentar ch'altri dispera. Là dove il muro piú munito ed alto in pace stassi, ei vuol portar assalto. 73 E volgendosi a quegli, i quai già furo guidati da Dudon, guerrier famosi: "Oh vergogna," dicea "che là quel muro fra cotant'arme in pace or si riposi! Ogni rischio al valor sempre è securo, tutte le vie son piane a gli animosi: moviam là guerra, e contra a i colpi crudi faciam densa testugine di scudi." 74 Giunsersi tutti seco a questo detto; tutti gli scudi alzàr sovra la testa, e gli uniron cosí che ferreo tetto facean contra l'orribile tempesta. Sotto il coperchio il fero stuol ristretto va di gran corso, e nulla il corso arresta, ché la soda testugine sostiene ciò che di ruinoso in giú ne viene. 75 Son già sotto le mura: allor Rinaldo scala drizzò di cento gradi e cento, e lei con braccio maneggiò sí saldo ch'agile è men picciola canna al vento. Or lancia o trave, or gran colonna o spaldo d'alto discende: ei non va su piú lento; ma, intrepido ed invitto ad ogni scossa, sprezzaria, se cadesse, Olimpo ed Ossa. 76 Una selva di strali e di ruine sostien su 'l dosso, e su lo scudo un monte: scote una man le mura a sé vicine, l'altra sospesa in guardia è de la fronte. L'essempio a l'opre ardite e pellegrine spinge i compagni: ei non è sol che monte, ché molti appoggian seco eccelse scale; ma 'l valore e la sorte è diseguale. 77 More alcuno, altri cade: egli sublime poggia, e questi conforta e quei minaccia; tanto è già in su che le merlate cime pote afferrar con le distese braccia. Gran gente allor vi trae; l'urta, il reprime, cerca precipitarlo, e pur no 'l caccia. Mirabil vista! a un grande e fermo stuolo resister può, sospeso in aria, un solo. 78 E resiste e s'avanza e si rinforza; e come palma suol cui pondo aggreva, suo valor combattuto ha maggior forza e ne la oppression piú si solleva. E vince alfin tutti i nemici, e sforza l'aste e gli intoppi che d'incontro aveva; e sale il muro e 'l signoreggia, e 'l rende sgombro e securo a chi diretro ascende. 79 Ed egli stesso a l'ultimo germano del pio Buglion, ch'è di cadere in forse, stesa la vincitrice amica mano, di salirne secondo aita porse. Fra tanto erano altrove al capitano varie fortune e perigliose occorse; ch'ivi non pur fra gli uomini si pugna, ma le machine insieme anco fan pugna. 80 Su 'l muro aveano i Siri un tronco alzato ch'antenna un tempo esser solea di nave, e sovra lui co 'l capo aspro e ferrato per traverso sospesa è grossa trave; e indietro quel da canapi tirato, poi torna inanti impetuoso e grave: talor rientra nel suo guscio, ed ora la testugin rimanda il collo fora. 81 Urtò la trave immensa, e cosí dure ne la torre addoppiò le sue percosse che le ben teste in lei salde giunture lentando aperse, e la respinse e scosse. La torre a quel bisogno armi secure avea già in punto, e due gran falci mosse ch'aventate con arte incontra al legno quelle funi tagliàr ch'eran sostegno. 82 Qual gran sasso talor, ch'o la vecchiezza solve da un monte o svelle ira de' venti, ruinoso dirupa, e porta e spezza le selve e con le case anco gli armenti, tal giú traea da la sublime altezza l'orribil trave e merli ed arme e genti; diè la torre a quel moto uno e duo crolli, tremàr le mura e rimbombaro i colli. 83 Passa il Buglion vittorioso inanti e già le mura d'occupar si crede, ma fiamme allora fetide e fumanti lanciarsi incontra immantinente ei vede; né dal sulfureo sen fochi mai tanti il cavernoso Mongibel fuor diede, né mai cotanti ne gli estivi ardori piovve l'indico ciel caldi vapori. 84 Qui vasi e cerchi ed aste ardenti sono, qual fiamma nera e qual sanguigna splende. L'odore appuzza, assorda il bombo e 'l tuono accieca il fumo, il foco arde e s'apprende. L'umido cuoio alfin saria mal buono schermo a la torre, a pena or la difende. Già suda e si rincrespa; e se piú tarda il soccorso del Ciel, conven pur ch'arda. 85 Il magnanimo duce inanzi a tutti stassi, e non muta né color né loco; e quei conforta che su i cuoi asciutti versan l'onde apprestate incontra al foco. In tale stato eran costor ridutti, e già de l'acque rimanea lor poco, quando ecco un vento, ch'improviso spira, contra gli autori suoi l'incendio gira. 86 Vien contro al foco il turbo; e indietro vòlto il foco ove i pagan le tele alzaro, quella molle materia in sé raccolto l'ha immantinente, e n'arde ogni riparo. Oh glorioso capitano! oh molto dal gran Dio custodito, al gran Dio caro! A te guerreggia il Cielo; ed ubidienti vengon, chiamati a suon di trombe, i venti. 87 Ma l'empio Ismen, che le sulfuree faci vide da Borea incontra sé converse, ritentar volle l'arti sue fallaci per sforzar la natura e l'aure averse, e fra due maghe, che di lui seguaci si fèr, su 'l muro a gli occhi altrui s'offerse; e torvo e nero e squallido e barbuto fra due furie parea Caronte o Pluto. 88 Già il mormorar s'udia de le parole di cui teme Cocito e Flegetonte, già si vedea l'aria turbar e 'l sole cinger d'oscuri nuvoli la fronte, quando aventato fu da l'alta mole un gran sasso, che fu parte d'un monte; e tra lor colse sí ch'una percossa sparse di tutti insieme il sangue e l'ossa. 89 In pezzi minutissimi e sanguigni si disperser cosí l'inique teste, che di sotto a i pesanti aspri macigni soglion poco le biade uscir piú peste. Lasciàr gemendo i tre spirti maligni l'aria serena e 'l bel raggio celeste, e se 'n fuggìr tra l'ombre empie infernali. Apprendete pietà quinci, o mortali. 90 In questo mezzo, a la città la torre, cui da l'incendio il turbine assecura, s'avicina cosí che può ben porre e fermare il suo ponte in su le mura; ma Solimano intrepido v'accorre, e 'l passo angusto di tagliar procura, e doppia i colpi: e ben l'avria reciso; ma un'altra torre apparse a l'improviso. 91 La gran mole crescente oltra i confini de' piú alti edifici in aria passa. Attoniti a quel mostro i saracini restàr, vedendo la città piú bassa. Ma il fero turco, ancor ch'in lui ruini di pietre un nembo, il loco suo non lassa; né di tagliar il ponte anco diffida, e gli altri che temean rincora e sgrida. 92 S'offerse a gli occhi di Goffredo allora, invisibile altrui, l'agnol Michele cinto d'armi celesti; e vinto fòra il sol da lui, cui nulla nube vele. "Ecco," disse "Goffredo, è giunta l'ora ch'esca Siòn di servitú crudele. Non chinar, non chinar gli occhi smarriti; mira con quante forze il Ciel t'aiti. 93 Drizza pur gli occhi a riguardar l'immenso essercito immortal ch'è in aria accolto, ch'io dinanzi torrotti il nuvol denso di vostra umanità, ch'intorno avolto adombrando t'appanna il mortal senso, sí che vedrai gli ignudi spirti in volto; e sostener per breve spazio i rai de l'angeliche forme anco potrai. 94 Mira di quei che fur campion di Cristo l'anime fatte in Cielo or cittadine, che pugnan teco e di sí alto acquisto si trovan teco al glorioso fine. Là 've ondeggiar la polve e 'l fumo misto vedi e di rotte moli alte ruine, tra quella folta nebbia Ugon combatte e de le torri i fondamenti abbatte. 95 Ecco poi là Dudon, che l'alta porta Aquilonar con ferro e fiamma assale: ministra l'arme a i combattenti, essorta ch'altrui su monti, e drizza e tien le scale. Quel ch'è su 'l colle, e 'l sacro abito porta e la corona a i crin sacerdotale, è il pastore Ademaro, alma felice: vedi ch'ancor vi segna e benedice. 96 Leva piú in su l'ardite luci, e tutta la grande oste del ciel congiunta guata." Egli alzò il guardo, e vide in un ridutta milizia innumerabile ed alata. Tre folte squadre, ed ogni squadra instrutta in tre ordini gira e si dilata; ma si dilata piú quanto piú in fòri i cerchi son: son gli intimi i minori. 97 Qui chinò vinti i lumi e gli alzò poi, né lo spettacol grande ei piú rivide; ma riguardando d'ogni parte i suoi, scorge che a tutti la vittoria arride. Molti dietro a Rinaldo illustri eroi saliano; ei già salito i Siri uccide. Il capitan, che piú indugiar si sdegna, toglie di mano al fido alfier l'insegna, 98 e passa primo il ponte, ed impedita gli è a mezzo il corso dal Soldan la via. Un picciol ponte è campo ad infinita virtú, ch'in pochi colpi ivi apparia. Grida il fer Solimano: "A l'altrui vita dono e consacro io la vita mia. Tagliate, amici, a le mie spalle or questo ponte, ché qui non facil preda i' resto." 99 Ma venirne Rinaldo in volto orrendo e fuggirne ciascun vedea lontano: "Or che farò? se qui la vita spendo, la spando" disse "e la disperdo invano." E, in sé nove difese anco volgendo, cedea libero il passo al capitano, che minacciando il segue e de la santa Croce il vessillo in su le mura pianta. 100 La vincitrice insegna in mille giri alteramente si rivolge intorno; e par che in lei piú riverente spiri l'aura, e che splenda in lei piú chiaro il giorno; ch'ogni dardo, ogni stral ch'in lei si tiri, o la declini, o faccia indi ritorno: par che Siòn, par che l'opposto monte lieto l'adori, e inchini a lei la fronte. 101 Allor tutte le squadre il grido alzaro de la vittoria altissimo e festante, e risonaro i monti e replicaro gli ultimi accenti; e quasi in quello istante ruppe e vinse Tancredi ogni riparo che gli aveva a l'incontro opposto Argante, e lanciando il suo ponte anch'ei veloce passò nel muro e v'inalzò la Croce. 102 Ma verso il mezzogiorno, ove il canuto Raimondo pugna e 'l palestin tiranno, i guerrier di Guascogna anco potuto giunger la torre a la città non hanno, ché 'l nerbo de le genti ha il re in aiuto ed ostinati a la difesa stanno; e se ben quivi il muro era men fermo, di machine v'avea maggior lo schermo. 103 Oltra che men ch'altrove in questo canto la gran mole il sentier trovò spedito, né tanto arte poté che pur alquanto di sua natura non ritegna il sito. Fu l'alto segno di vittoria intanto da i difensori e da i Guasconi udito, ed avisò il tiranno e 'l tolosano che la città già presa è verso il piano. 104 Onde Raimondo a i suoi: "Da l'altra parte," grida "o compagni, è la città già presa. Vinta ancor ne resiste? or soli a parte non sarem noi di sí onorata presa?" Ma il re cedendo alfin di là si parte perch'ivi disperata è la difesa, e se 'n rifugge in loco forte ed alto ove egli spera sostener l'assalto. 105 Entra allor vincitore il campo tutto per le mura non sol, ma per le porte; ch'è già aperto, abbattuto, arso e destrutto ciò che lor s'opponea rinchiuso e forte. Spazia l'ira del ferro; e va co 'l lutto e con l'orror, compagni suoi, la morte. Ristagna il sangue in gorghi, e corre in rivi pieni di corpi estinti e di mal vivi.
canto DICIANNOVESIMO
1 Già la morte o il consiglio o la paura da le difese ogni pagano ha tolto, e sol non s'è da l'espugnate mura il pertinace Argante anco rivolto. Mostra ei la faccia intrepida e secura e pugna pur fra gli inimici avolto, piú che morir temendo esser respinto; e vuol morendo anco parer non vinto. 2 Ma sovra ogn'altro feritore infesto sovragiunge Tancredi e lui percote. Ben è il circasso a riconoscer presto al portamento, a gli atti, a l'arme note, lui che pugnò già seco, e 'l giorno sesto tornar promise, e le promesse ír vòte. Onde gridò: "Cosí la fé, Tancredi, mi servi tu? cosí a la pugna or riedi? 3 Tardi riedi, e non solo; io non rifiuto però combatter teco e riprovarmi, benché non qual guerrier, ma qui venuto quasi inventor di machine tu parmi. Fatti scudo de' tuoi, trova in aiuto novi ordigni di guerra e insolite armi, ché non potrai da le mie mani, o forte de le donne uccisor, fuggir la morte." 4 Sorrise il buon Tancredi un cotal riso di sdegno, e in detti alteri ebbe risposto: "Tardo è il ritorno mio, ma pur aviso che frettoloso ti parrà ben tosto, e bramerai che te da me diviso o l'alpe avesse o fosse il mar fraposto; e che del mio indugiar non fu cagione tema o viltà, vedrai co 'l paragone. 5 Vienne in disparte pur tu ch'omicida sei de' giganti solo e de gli eroi: l'uccisor de le femine ti sfida." Cosí gli dice; indi si volge a i suoi e fa ritrarli da l'offesa, e grida: "Cessate pur di molestarlo or voi, ch'è proprio mio piú che comun nemico questi, ed a lui mi stringe obligo antico." 6 "Or discendine giú, solo o seguito come piú vuoi"; ripiglia il fer circasso "va' in frequentato loco od in romito, ché per dubbio o svantaggio io non ti lasso." Sí fatto ed accettato il fero invito, movon concordi a la gran lite il passo: l'odio in un gli accompagna, e fa il rancore l'un nemico de l'altro or difensore. 7 Grande è il zelo d'onor, grande il desire che Tancredi del sangue ha del pagano, né la sete ammorzar crede de l'ire se n'esce stilla fuor per l'altrui mano; e con lo scudo il copre, e: "Non ferire" grida a quanti rincontra anco lontano; sí che salvo il nimico infra gli amici tragge da l'arme irate e vincitrici. 8 Escon de la cittade e dan le spalle a i padiglion de le accampate genti, e se ne van dove un girevol calle li porta per secreti avolgimenti; e ritrovano ombrosa angusta valle tra piú colli giacer, non altrimenti che se fosse un teatro o fosse ad uso di battaglie e di caccie intorno chiuso. 9 Qui si fermano entrambi, e pur sospeso volgeasi Argante a la cittade afflitta. Vede Tancredi che 'l pagan difeso non è di scudo, e 'l suo lontano ei gitta. Poscia lui dice: "Or qual pensier t'ha preso? pensi ch'è giunta l'ora a te prescritta? S'antivedendo ciò timido stai, è 'l tuo timore intempestivo omai." 10 "Penso" risponde "a la città del regno di Giudea antichissima regina, che vinta or cade, e indarno esser sostegno io procurai de la fatal ruina, e ch'è poca vendetta al mio disdegno il capo tuo che 'l Cielo or mi destina." Tacque, e incontra si van con gran risguardo, ché ben conosce l'un l'altro gagliardo. 11 È di corpo Tancredi agile e sciolto, e di man velocissimo e di piede; sovrasta a lui con l'alto capo, e molto di grossezza di membra Argante eccede. Girar Tancredi inchino in sé raccolto per aventarsi e sottentrar si vede; e con la spada sua la spada trova nemica, e 'n disviarla usa ogni prova. 12 Ma disteso ed eretto il fero Argante dimostra arte simile, atto diverso. Quanto egli può, va co 'l gran braccio inante e cerca il ferro no, ma il corpo averso. Quel tenta aditi novi in ogni istante, questi gli ha il ferro al volto ognor converso: minaccia, e intento a proibirgli stassi furtive entrate e súbiti trapassi. 13 Cosí pugna naval, quando non spira per lo piano del mare Africo o Noto, fra due legni ineguali egual si mira, ch'un d'altezza preval, l'altro di moto: l'un con volte e rivolte assale e gira da prora a poppa, e si sta l'altro immoto; e quando il piú leggier se gli avicina. d'alta parte minaccia alta ruina. 14 Mentre il latin di sottentrar ritenta sviando il ferro che si vede opporre, vibra Argante la spada e gli appresenta la punta a gli occhi; egli al riparo accorre, ma lei sí presta allor, sí violenta cala il pagan che 'l difensor precorre e 'l fère al fianco; e visto il fianco infermo, grida: "Lo schermitor vinto è di schermo." 15 Fra lo sdegno Tancredi e la vergogna si rode, e lascia i soliti riguardi, e in cotal guisa la vendetta agogna che sua perdita stima il vincer tardi. Sol risponde co 'l ferro a la rampogna e 'l drizza a l'elmo. Ove apre il passo a i guardi. Ribatte Argante il colpo, e risoluto Tancredi a mezza spada è già venuto. 16 Passa veloce allor co 'l piè sinestro e con la manca al dritto braccio il prende, e con la destra intanto il lato destro di punte mortalissime gli offende. "Questa" diceva "al vincitor maestro il vinto schermidor risposta rende." Freme il circasso e si contorce e scote, ma il braccio prigionier ritrar non pote. 17 Alfin lasciò la spada a la catena pendente, e sotto al buon latin si spinse. Fe' l'istesso Tancredi, e con gran lena l'un calcò l'altro e l'un l'altro recinse; né con piú forza da l'adusta arena sospese Alcide il gran gigante e strinse, di quella onde facean tenaci nodi le nerborute braccia in vari modi. 18 Tai fur gli avolgimenti e tai le scosse ch'ambi in un tempo il suol presser co 'l fianco. Argante, od arte o sua ventura fosse, sovra ha il braccio migliore e sotto il manco. Ma la man ch'è piú atta a le percosse sottogiace impedita al guerrier franco; ond'ei, che 'l suo svantaggio e 'l rischio vede, si sviluppa da l'altro e salta in piede. 19 Sorge piú tardi e un gran fendente, in prima che sorto ei sia, vien sopra al saracino. Ma come a l'Euro la frondosa cima piega e in un tempo la solleva il pino, cosí lui sua virtute alza e sublima quando ei n'è già per ricader piú chino. Or ricomincian qui colpi a vicenda: la pugna ha manco d'arte ed è piú orrenda. 20 Esce a Tancredi in piú d'un loco il sangue, ma ne versa il pagan quasi torrenti. Già ne le sceme forze il furor langue, sí come fiamma in deboli alimenti. Tancredi che 'l vedea co 'l braccio essangue girar i colpi ad or ad or piú lenti, dal magnanimo cor deposta l'ira, placido gli ragiona e 'l piè ritira: 21 "Cedimi, uom forte, o riconoscer voglia me per tuo vincitore o la fortuna; né ricerco da te trionfo o spoglia, né mi riserbo in te ragione alcuna." Terribile il pagan piú che mai soglia, tutte le furie sue desta e raguna; risponde: "Or dunque il meglio aver ti vante ed osi di viltà tentare Argante? 22 Usa la sorte tua, ché nulla io temo né lascierò la tua follia impunita." Come face rinforza anzi l'estremo le fiamme, e luminosa esce di vita, tal riempiendo ei d'ira il sangue scemo rinvigorí la gagliardia smarrita, e l'ore de la morte omai vicine volse illustrar con generoso fine. 23 La man sinistra a la compagna accosta, e con ambe congiunte il ferro abbassa; cala un fendente, e benché trovi opposta la spada ostil, la sforza ed oltre passa, scende a la spalla, e giú di costa in costa molte ferite in un sol punto lassa. Se non teme Tancredi, il petto audace non fe' natura di timor capace. 24 Quel doppia il colpo orribile, ed al vento le forze e l'ire inutilmente ha sparte, perché Tancredi, a la percossa intento, se ne sottrasse e si lanciò in disparte. Tu, dal tuo peso tratto, in giú co 'l mento n'andasti, Argante, e non potesti aitarte: per te cadesti, aventuroso in tanto ch'altri non ha di tua caduta il vanto. 25 Il cader dilatò le piaghe aperte, e 'l sangue espresso dilagando scese. Punta ei la manca in terra, e si converte ritto sovra un ginocchio a le difese. "Renditi" grida, e gli fa nove offerte, senza noiarlo, il vincitor cortese. Quegli di furto intanto il ferro caccia e su 'l tallone il fiede, indi il minaccia. 26 Infuriossi allor Tancredi, e disse: "Cosí abusi, fellon, la pietà mia?" Poi la spada gli fisse e gli rifisse ne la visiera, ove accertò la via. Moriva Argante, e tal moria qual visse: minacciava morendo e non languia. Superbi, formidabili e feroci gli ultimi moti fur, l'ultime voci. 27 Ripon Tancredi il ferro, e poi devoto ringrazia Dio del trionfal onore; ma lasciato di forze ha quasi vòto la sanguigna vittoria il vincitore. Teme egli assai che del viaggio al moto durar non possa il suo fievol vigore; pur s'incamina, e cosí passo passo per le già corse vie move il piè lasso. 28 Trar molto il debil fianco oltra non pote e quanto piú si sforza piú s'affanna, onde in terra s'asside e pon le gote su la destra che par tremula canna. Ciò che vedea pargli veder che rote, e di tenebre il dí già gli s'appanna. Al fin isviene; e 'l vincitor dal vinto non ben saria nel rimirar distinto. 29 Mentre qui segue la solinga guerra, che privata cagion fe' cosí ardente, l'ira de' vincitor trascorre ed erra per la città su 'l popolo nocente. Or chi giamai de l'espugnata terra potrebbe a pien l'imagine dolente ritrarre in carte od adeguar parlando lo spettacolo atroce e miserando? 30 Ogni cosa di strage era già pieno, vedeansi in mucchi e in monti i corpi avolti: là i feriti su i morti, e qui giacieno sotto morti insepolti egri sepolti. Fuggian premendo i pargoletti al seno le meste madri co' capegli sciolti, e 'l predator, di spoglie e di rapine carco, stringea le vergini nel crine. 31 Ma per le vie ch'al piú sublime colle saglion verso occidente, ond'è il gran tempio, tutto del sangue ostile orrido e molle Rinaldo corre e caccia il popolo empio. La fera spada il generoso estolle sovra gli armati capi e ne fa scempio; è schermo frale ogn'elmo ed ogni scudo: difesa è qui l'esser de l'arme ignudo. 32 Sol contra il ferro il nobil ferro adopra, e sdegna ne gli inermi esser feroce; e que' ch'ardir non armi, arme non copra, caccia co l' guardo e con l'orribil voce. Vedresti, di valor mirabil opra, come or disprezza, ora minaccia, or noce, come con rischio disegual fugati sono egualmente pur nudi ed armati. 33 Già co 'l piú imbelle vulgo anco ritratto s'è non picciolo stuol del piú guerriero nel tempio che, piú volte arso e disfatto, si noma ancor, dal fondator primiero, di Salamone; e fu per lui già fatto di cedri, d'oro e di bei marmi altero. Or non sí ricco già, pur saldo e forte è d'alte torri e di ferrate porte. 34 Giunto il gran cavaliero ove raccolte s'eran le turbe in loco ampio e sublime, trovò chiuse le porte e trovò molte difese apparecchiate in su le cime. Alzò lo sguardo orribile e due volte tutto il mirò da l'alte parti a l'ime, varco angusto cercando, ed altrettante il circondò con le veloci piante. 35 Qual lupo predatore a l'aer bruno le chiuse mandre insidiando aggira, secco l'avide fauci, e nel digiuno da nativo odio stimulato e d'ira, tale egli intorno spia s'adito alcuno (piano od erto che siasi) aprir si mira; si ferma alfin ne la gran piazza, e d'alto stanno aspettando i miseri l'assalto. 36 In disparte giacea (qual che si fosse l'uso a cui si serbava) eccelsa trave, né cosí alte mai, né cosí grosse spiega l'antenne sue ligura nave. Vèr la gran porta il cavalier la mosse con quella man cui nessun pondo è grave, e recandosi lei di lancia in modo urtò d'incontro impetuoso e sodo. 37 Restar non può marmo o metallo inanti al duro urtare, al riurtar piú forte. Svelse dal sasso i cardini sonanti, ruppe i serragli ed abbatté le porte. Non l'ariete di far piú si vanti, non la bombarda, fulmine di morte. Per la dischiusa via la gente inonda quasi un diluvio, e 'l vincitor seconda. 38 Rende misera strage atra e funesta l'alta magion che fu magion di Dio. O giustizia del Ciel, quanto men presta tanto piú grave sovra il popol rio! Dal tuo secreto proveder fu desta l'ira ne' cor pietosi, e incrudelio. Lavò co 'l sangue suo l'empio pagano quel tempio che già fatto avea profano. 39 Ma intanto Soliman vèr la gran torre ito se n'è che di David s'appella, e qui fa de' guerrier l'avanzo accòrre, e sbarra intorno a questa strada e quella; e 'l tiranno Aladino anco vi corre. Come il Soldan lui vede, a lui favella: "Vieni, o famoso re, vieni; e là sovra a la rocca fortissima ricovra, 40 ché dal furor de le nemiche spade guardar vi puoi la tua salute e 'l regno." "Oimè," risponde "oimè, che la cittade strugge dal fondo suo barbaro sdegno, e la mia vita e 'l nostro imperio cade. Vissi, e regnai; non vivo piú, né regno. Ben si può dir: `Noi fummo.' A tutti è giunto l'ultimo dí, l'inevitabil punto." 41 "Ov'è, signor la tua virtute antica?" disse il Soldan tutto cruccioso allora. "Tolgaci i regni pur sorte nemica, ché 'l regal pregio è nostro e 'n noi dimora. Ma colà dentro omai da la fatica le stanche e gravi tue membra ristora." Cosí gli parla, e fa che si raccoglia il vecchio re ne la guardata soglia. 42 Egli ferrata mazza a due man prende e si ripon la fida spada al fianco, e stassi al varco intrepido e difende il chiuso de le strade al popol franco. Eran mortali le percosse orrende: quella che non uccide, atterra almanco. Già fugge ognun da la sbarrata piazza, dove appressar vede l'orribil mazza. 43 Ecco da fera compagnia seguito sopragiungeva il tolosan Raimondo. Al periglioso passo il vecchio ardito corse, e sprezzò di quei gran colpi il pondo. Primo ei ferí, ma invano ebbe ferito; non ferí invano il feritor secondo, ch'in fronte il colse, e l'atterrò co 'l peso supin, tremante, a braccia aperte e steso. 44 Finalmente ritorna anco ne' vinti la virtú che 'l timore avea fugata, e i Franchi vincitori o son respinti o pur caggiono uccisi in su l'entrata. Ma il Soldan, che giacere infra gli estinti il tramortito duce a i piè si guata, grida a i suoi cavalier: "Costui sia tratto dentro a le sbarre e prigionier sia fatto." 45 Si movon quegli ad esseguir l'effetto, ma trovan dura e faticosa impresa perché non è d'alcun de' suoi negletto Raimondo, e corron tutti in sua difesa. Quinci furor, quindi pietoso affetto pugna, né vil cagione è di contesa: di sí grand'uom la libertà, la vita, questi a guardar, quegli a rapir invita. 46 Pur vinto avrebbe a lungo andar la prova il Soldano ostinato a la vendetta, ch'a la fulminea mazza oppor non giova o doppio scudo o tempra d'elmo eletta; ma grande aita a i suoi nemici e nova di qua di là vede arrivare in fretta, ché da duo lati opposti in un sol punto il sopran duce e 'l gran guerriero è giunto. 47 Come pastor, quando fremendo intorno il vento e i tuoni e balenando i lampi vede oscurar di mille nubi il giorno, ritrae le greggie da gli aperti campi, e sollecito cerca alcun soggiorno ove l'ira del ciel securo scampi, ei co 'l grido indrizzando e con la verga le mandre inanti, a gli ultimi s'atterga; 48 cosí il pagan, che già venir sentia l'irreparabil turbo e la tempesta che di fremiti orrendi il ciel feria d'arme ingombrando e quella parte e questa le custodite genti inanzi invia ne la gran torre, ed egli ultimo resta: ultimo parte, e sí cede al periglio ch'audace appare in provido consiglio. 49 Pur a fatica avien che si ripari dentro a le porte, e le riserra a pena che già, rotte le sbarre, a i limitari Rinaldo vien, né quivi anco s'affrena. Desio di superar chi non ha pari in opra d'arme, e giuramento il mena; ché non oblia che in voto egli promise di dar morte a colui che 'l dano uccise. 50 E ben allor allor l'invitta mano tentato avria l'inespugnabil muro, né forse colà dentro era il Soldano dal fatal suo nemico assai securo; ma già suona a ritratta il capitano, già l'orizonte d'ogni intorno è scuro. Goffredo alloggia ne la terra, e vòle rinovar poi l'assalto al novo sole. 51 Diceva a i suoi lietissimo in sembienza: "Favorito ha il gran Dio l'armi cristiane: fatto è il sommo de' fatti, e poco avanza de l'opra e nulla del timor rimane. La torre (estrema e misera speranza degli infedeli) espugnarem dimane. Pietà fra tanto a confortar v'inviti con sollecito amor gli egri e i feriti. 52 Ite, e curate quei c'han fatto acquisto di questa patria a noi co 'l sangue loro. Ciò piú conviensi a i cavalier di Cristo, che desio di vendetta o di tesoro. Troppo, ahi! troppo di strage oggi s'è visto, troppa in alcuni avidità de l'oro; rapir piú oltra, e incrudelir i' vieto. Or divulghin le trombe il mio divieto." 53 Tacque, e poi se n'andò là dove il conte riavuto dal colpo anco ne geme. Né Soliman con meno ardita fronte a i suoi ragiona, e 'l duol ne l'alma preme: "Siate, o compagni, di fortuna a l'onte invitti insin che verde è fior di speme, ché sotto alta apparenza di fallace spavento oggi men grave il danno giace. 54 Prese i nemici han sol le mura e i tetti e 'l vulgo umil, né la cittade han presa, ché nel capo del re, ne' vostri petti, ne le man vostre è la città compresa. Veggio il re salvo e salvi i suoi piú eletti, veggio che ne circonda alta difesa. Vano trofeo d'abbandonata terra abbiansi i Franchi; alfin perdran la guerra. 55 E certo i' son che perderanla alfine, ché ne la sorte prospera insolenti fian vòlti a gli omicidi, a le rapine ed a gli ingiuriosi abbracciamenti; e saran di leggier tra le ruine, tra gli stupri e le prede, oppressi e spenti, se in tanta tracotanza omai sorgiunge l'oste d'Egitto, e non pote esser lunge. 56 Intanto noi signoreggiar co' sassi potrem de la città gli alti edifici, ed ogni calle onde al Sepolcro vassi torràn le nostre machine a i nemici. Cosí, vigor porgendo a i cor già lassi, la speme rinovò ne gli infelici. Or mentre qui tai cose eran passate, errò Vafrin tra mille schiere armate. 57 A l'essercito avverso eletto in spia, già dechinando il sol, partí Vafrino; e corse oscura e solitaria via notturno e sconosciuto peregrino. Ascalona passò che non uscia dal balcon d'oriente anco il mattino; poi quando è nel meriggio il solar lampo, a vista fu del poderoso campo. 58 Vide tende infinite e ventillanti stendardi in cima azzurri e persi e gialli, e tante udí lingue discordi e tanti timpani e corni e barbari metalli e voci di cameli e d'elefanti, tra 'l nitrir de' magnanimi cavalli, che fra sé disse: "Qui l'Africa tutta translata viene e qui l'Asia è condutta." 59 Mira egli alquanto pria come sia forte del campo il sito, e qual vallo il circonde; poscia non tenta vie furtive e torte, né dal frequente popolo s'asconde, ma per dritto sentier tra regie porte trapassa, ed or dimanda ed or risponde. A dimande, a risposte astute e pronte accoppia baldanzosa audace fronte. 60 Di qua di là sollecito s'aggira per le vie, per le piazze e per le tende. I guerrier, i destrier, l'arme rimira, l'arti e gli ordini osserva e i nomi apprende. Né di ciò pago, a maggior cose aspira: spia gli occulti disegni e parte intende. Tanto s'avolge, e cosí destro e piano, ch'adito s'apre al padiglion soprano. 61 Vede, mirando qui, sdruscita tela, ond'ha varco la voce, onde si scerne, che là proprio risponde ove son de la stanza regal le ritirate interne, sí che i secreti del signor mal cela ad uom ch'ascolti da le parti esterne. Vafrin vi guata e par ch'ad altro intenda, come sia cura sua conciar la tenda. 62 Stavasi il capitan la testa ignudo, le membra armato e con purpureo ammanto. Lunge due paggi avean l'elmo e lo scudo: preme egli un'asta e vi s'appoggia alquanto. Guardava un uom di torvo aspetto e crudo, membruto ed alto, il qual gli era da canto. Vafrino è attento e, di Goffredo a nome parlar sentendo, alza gli orecchi al nome. 63 Parla il duce a colui: "Dunque securo sei cosí tu di dar morte a Goffredo?" Risponde quegli: "Io sonne, e 'n corte giuro non tornar mai se vincitor non riedo. Preverrò ben color che meco furo al congiurare; e premio altro non chiedo se non ch'io possa un bel trofeo de l'armi drizzar nel Cairo, e sottopor tai carmi: 64 `Queste arme in guerra al capitan francese, distruggitor de l'Asia, Ormondo trasse quando gli trasse l'alma, e le sospese perché memoria ad ogni età ne passe.'" "Non fia" l'altro dicea "che 'l re cortese l'opera grande inonorata lasse: ben ei darà ciò che per te si chiede, ma congiunta l'avrai d'alta mercede. 65 Or apparecchia pur l'arme mentite, ché 'l giorno omai de la battaglia è presso. "Son" rispose "già preste." E qui, fornite queste parole, e 'l duce tacque ed esso. Restò Vafrino a le gran cose udite sospeso e dubbio, e rivolgea in se stesso qual arti di congiura e quali sieno le mentite arme, e no 'l comprese a pieno. 66 Indi partissi e quella notte intera desto passò, ch'occhio serrar non volse; ma quando poi di novo ogni bandiera a l'aure matutine il campo sciolse, anch'ei marciò con l'altra gente in schiera, fermossi anch'egli ov'ella albergo tolse, e pur anco tornò di tenda in tenda per udir cosa onde il ver meglio intenda. 67 Cercando, trova in sede alta e pomposa fra cavalieri Armida e fra donzelle, che stassi in sé romita e sospirosa: fra sé co' suoi pensier par che favelle. Su la candida man la guancia posa, e china a terra l'amorose stelle. Non sa se pianga o no: ben può vederle umidi gli occhi e gravidi di perle. 68 Vedele incontra il fero Adrasto assiso che par ch'occhio non batta e che non spiri, tanto da lei pendea, tanto in lei fiso pasceva i suoi famelici desiri. Ma Tisaferno, or l'uno or l'altro in viso guardando, or vien che brami, or che s'adiri; e segna il nobil volto or di colore di rabbioso disdegno ed or d'amore. 69 Scorge poscia Altamor, ch'in cerchio accolto fra le donzelle alquanto era in disparte. Non lascia il desir vago a freno sciolto, ma gira gli occhi cupidi con arte: volge un guardo a la mano, uno al bel volto, talora insidia piú guardata parte, e là s'interna ove mal cauto apria fra due mamme un bel vel secreta via. 70 Alza alfin gli occhi Armida, e pur alquanto la bella fronte sua torna serena; e repente fra i nuvoli del pianto un soave sorriso apre e balena. "Signor," dicea "membrando il vostro vanto l'anima mia pote scemar la pena, ché d'esser vendicata in breve aspetta, e dolce è l'ira in aspettar vendetta." 71 Risponde l'indian: "La fronte mesta deh, per Dio! rasserena, e 'l duolo alleggia, ch'assai tosto averrà che l'empia testa di quel Rinaldo a piè tronca ti veggia, o menarolti prigionier con questa ultrice mano, ove prigion tu 'l chieggia. Cosí promisi in vòto." Or l'altro ch'ode, moto non fa, ma tra suo cor si rode. 72 Volgendo in Tisaferno il dolce sguardo: "Tu, che dici, signor?" colei soggiunge. Risponde egli infingendo: "Io che son tardo seguiterò il valor cosí da lunge di questo tuo terribile e gagliardo." E con tai detti amaramente il punge. Ripiglia l'indo allor: "Ben è ragione che lunge segua e tema il paragone." 73 Crollando Tisaferno il capo altero, disse: "Oh foss'io signor del mio talento! libero avessi in questa spada impero! ché tosto ei si parria chi sia piú lento. Non temo io te né tuoi gran vanti, o fero; ma il Cielo e l'inimico Amor pavento." Tacque; e sorgeva Adrasto a far disfida, ma la prevenne e s'interpose Armida. 74 Diss'ella: "O cavalier, perché quel dono, donatomi piú volte, anco togliete? Miei campion sète voi, pur esser buono dovria tal nome a por tra voi quiete. Meco s'adira chi s'adira: io sono ne l'offese l'offesa, e voi 'l sapete." Cosí lor parla, e cosí avien che accordi sotto giogo di ferro alme discordi. 75 È presente Vafrino e 'l tutto ascolta, e sottrattone il vero indi si toglie. Spia de l'alta congiura, e lei ravvolta trova in silenzio e nulla ne raccoglie. Chiedene improntamente anco tal volta, e la difficoltà cresce le voglie. O qui lasciar la vita egli è disposto, o riportarne il gran secreto ascosto. 76 Mille e piú vie d'accorgimento ignote, mille ripensa inusitate frodi, e pur con tutto ciò non gli son note de l'occulta congiura e l'arme e i modi. Fortuna alfin (quel che per sé non pote) isviluppò d'ogni suo dubbio i nodi, si ch'ei distinto e manifesto intese come l'insidie al pio Buglion sian tese. 77 Era tornato ov'è pur anco assisa fra' suoi campioni la nemica amante, ch'ivi opportun l'investigarne avisa ove traean genti sí varie e tante. Or qui s'accosta a una donzella, in guisa che par che v'abbia conoscenza inante; par v'abbia d'amistade antica usanza, e ragiona in affabile sembianza. 78 Egli dicea, quasi per gioco: " Anch'io vorrei d'alcuna bella esser campione, e troncar pensarei co 'l ferro mio il capo o di Rinaldo o del Buglione. Chiedila pure a me, se n'hai desio, la testa d'alcun barbaro barone." Cosí comincia, e pensa a poco a poco a piú grave parlar ridur il gioco. 79 Ma in questo dir sorrise, e fe' ridendo un cotal atto suo nativo usato. Una de l'altre allor qui sorgiungendo l'udí, guardollo, e poi gli venne a lato; disse: "Involarti a ciascun'altra intendo, né ti dorrai d'amor male impiegato. In mio campion t'eleggo; ed in disparte, come a mio cavalier, vuo' ragionarte." 80 Ritirollo, e parlò: "Riconosciuto ho te, Vafrin; tu me conoscer déi." Nel cor turbossi lo scudiero astuto, pur si rivolse sorridendo a lei: "Non t'ho (che mi sovenga) unqua veduto, e degna pur d'esser mirata sei. Questo so ben, ch'assai vario da quello che tu dicesti è il nome ond'io m'appello. 81 Me su la piaggia di Biserta aprica Lesbin produsse, e mi nomò Almanzorre." Tosto disse ella: "Ho conoscenza antica d'ogn'esser tuo, né già mi voglio apporre. Non ti celar da me, ch'io sono amica, ed in tuo pro vorrei la vita esporre. Erminia son, già di re figlia, e serva poi di Tancredi un tempo, e tua conserva. 82 Ne la dolce prigion due lieti mesi pietoso prigionier m'avesti in guarda, e mi servisti in bei modi cortesi. Ben dessa i' son, ben dessa i' son; riguarda." Lo scudier, come pria v'ha gli occhi intesi, la bella faccia a ravvisar non tarda. "Vivi" ella soggiungea "da me securo: per questo ciel, per questo sol te 'l giuro. 83 Anzi pregar ti vo' che, quando torni, mi riconduca a la prigion mia cara. Torbide notti e tenebrosi giorni, misera, vivo in libertate amara. E se qui per ispia forse soggiorni, ti si fa incontro alta fortuna e rara: saprai da me congiure, e ciò ch'altrove malagevol sarà che tu ritrove." 84 Cosí gli parla, e intanto ei mira e tace; pensa a l'essempio de la falsa Armida. "Femina è cosa garrula e fallace: vòle e disvòle; è folle uom che se 'n fida." Sí tra sé volge. "Or, se venir ti piace," alfin le disse "io ne sarò tua guida. Sia fermato tra noi questo e conchiuso, serbisi il parlar d'altro a miglior uso." 85 Gli ordini danno di salire in sella anzi il mover del campo allora allora. Parte Vafrin dal padiglione, ed ella si torna a l'altre e alquanto ivi dimora. Di scherzar fa sembianza e pur favella del campion novo, e se ne vien poi fora; viene al loco prescritto e s'accompagna, ed escon poi del campo a la campagna. 86 Già eran giunti in parte assai romita e già sparian le saracine tende, quando ei le disse: "Or di' come a la vita del pio Goffredo altri l'insidie tende." Allor colei de la congiura ordita l'iniqua tela a lui dispiega e stende. "Son" gli divisa "otto guerrier di corte, tra' quali il piú famoso è Ormondo il forte. 87 Questi (che che lor mova, odio o disegno) han conspirato, e l'arte lor fia tale: quel dí ch'in lite verrà d'Asia il regno tra' due gran campi in gran pugna campale, avran su l'arme de la Croce il segno, e l'arme avranno a la francesca; e quale la guardia di Goffredo ha bianco e d'oro il suo vestir, sarà l'abito loro. 88 Ma ciascun terrà cosa in su l'elmetto che noto a i suoi per uom pagano il faccia. Quando fia poi rimescolato e stretto l'un campo e l'altro, elli porransi in traccia, e insidieranno al valoroso petto mostrando di custodi amica faccia; e 'l ferro armato di veneno avranno, perché mortal sia d'ogni piaga il danno. 89 E perché fra' pagani anco risassi ch'io so vostr'usi ed arme e sopraveste, fèr che le false insegne io divisassi; e fui costretta ad opere moleste. Queste son le cagion che 'l campo io lassi: fuggo l'imperiose altrui richieste; schivo ed aborro in qual si voglia modo contaminarmi in atto alcun di frodo. 90 Queste son le cagion, ma non già sole." E qui si tacque, e di rossor si tinse e chinò gli occhi, e l'ultime parole ritener volle e non ben le distinse. Lo scudier, che da lei ritrar pur vòle ciò ch'ella vergognando in sé ristrinse, "Di poca fede," disse "or perché cele le piú vere cagioni al tuo fedele?" 91 Ella dal petto un gran sospiro apriva, e parlava con suon tremante e roco: "Mal guardata vergogna intempestiva, vattene omai, non hai tu qui piú loco; a che pur tenti, o in van ritrosa, o schiva, celar co 'l fuoco tuo d'amor il foco? Debiti fur questi rispetti inante, non or che fatta son donzella errante." 92 Soggiunse poi: "La notte a me fatale ed a la patria mia che giacque oppressa, perdei piú che non parve; e 'l mio gran male non ebbi in lei, ma derivò da essa. Leve perdita è il regno, io co 'l regale mio alto stato anco perdei me stessa: per mai non ricovrarla, allor perdei la mente, folle, e 'l core e i sensi miei. 93 Vafrin, tu sai che timidetta accorsi, tanta strage vedendo e tante prede, al tuo signor e mio, che prima i' scorsi armato por ne la mia reggia il piede; e chinandomi a lui tai voci porsi: `Invitto vincitor, pietà, mercede! non prego io te per la mia vita: il fiore salvami sol del verginale onore.' 94 Egli, la sua porgendo a la mia mano, non aspettò che 'l mio pregar fornisse: `Vergine bella, non ricorri in vano, io ne sarò tuo difensor' mi disse. Allor un non so che soave e piano sentii ch'al cor mi scese e vi s'affisse, che serpendomi poi per l'alma vaga, non so come, divenne incendio e piaga. 95 Visitommi poi spesso e 'n dolce suono consolando il mio duol, meco si dolse. Dicea: `L'intera libertà ti dono' e de le spoglie mie spoglia non volse. Oimè! che fu rapina e parve dono, ché rendendomi a me da me mi tolse. Quel mi rendé ch'è via men caro e degno, ma s'usurpò del core a forza il regno. 96 Mal amor si nasconde. A te sovente desiosa chiedea del mio signore. Veggendo i segni tu d'inferma mente: `Erminia,' mi dicesti `ardi d'amore.' Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente fu piú verace testimon del core; e 'n vece forse della lingua, il guardo manifestava il foco onde tutt'ardo. 97 Sfortunato silenzio! avessi almeno chiesta allor medicina al gran martire, s'esser poscia dovea lentato il freno, quando non giovarebbe, ai mio desire. Partimmi in somma, e le mie piaghe in seno portai celate e ne credei morire. Al fin cercando al viver mio soccorso, mi sciolse amor d'ogni rispetto il morso; 98 sí ch'a trovarne il mio signor io mossi ch'egra mi fece e mi potea far sana. Ma tra via fero intoppo attraversossi di gente inclementissima e villana. Poco mancò che preda lor non fossi, pur in parte fuggimmi erma e lontana; e colà vissi in solitaria cella, cittadina de' boschi e pastorella. 99 Ma poi che quel desio che fu ripresso molti dí per la tema anco risorse, tornarmi ritentando al loco stesso, la medesma sciagura anco m'occorse. Fuggir non potei già, ch'era omai presso predatrice masnada e troppo corse. Cosí fui presa, e quei che mi rapiro Egizi fur ch'a Gaza indi se 'n giro, 100 e 'n don menàrmi al capitano, a cui diedi di me contezza, e 'l persuasi sí ch'onorata e inviolata fui quei dí che con Armida ivi rimasi. Cosí venni piú volte in forza altrui, e me 'n sottrassi. Ecco i miei duri casi. Pur le prime catene anco riserva la tante volte liberata e serva. 101 Oh, pur colui che circondolle intorno a l'alma, sí che non fia chi le scioglia, non dica: `Errante ancella, altro soggiorno cércati pure,' e me seco non voglia; ma pietoso gradisca il mio ritorno e ne l'antica mia prigion m'accoglia!" Cosí diceagli Erminia, e insieme andaro la notte e 'l giorno ragionando a paro. 102 Il piú usato sentier lasciò Vafrino, calle cercando o piú securo o corto. Giunsero in loco a la città vicino quando è il sol ne l'occaso e imbruna l'orto, e trovaron di sangue atro il camino; e poi vider nel sangue un guerrier morto che le vie tutte ingombra, e la gran faccia tien volta ai cielo e morto anco minaccia. 103 L'uso de l'arme e 'l portamento estrano pagàn mostràrlo, e lo scudier trascorse; un altro alquanto ne giacea lontano che tosto a gli occhi di Vafrino occorse. Egli disse fra sé: "Questi è cristiano." Piú il mise poscia il vestir bruno in forse. Salta di sella e gli discopre il viso, ed: "Oimè," grida "è qui Tancredi ucciso." 104 A riguardar sovra il guerrier feroce la male aventurosa era fermata, quando dal suon de la dolente voce per lo mezzo del cor fu saettata. Al nome di Tancredi ella veloce accorse in guisa d'ebra e forsennata. Vista la faccia scolorita e bella, non scese no, precipitò di sella; 105 e in lui versò d'inessicabil vena lacrime e voce di sospiri mista: "In che misero punto or qui mi mena fortuna? a che veduta amara e trista? Dopo gran tempo i' ti ritrovo a pena, Tancredi, e ti riveggio e non son vista: vista non son da te benché presente, e trovando ti perdo eternamente. 106 Misera! non credea ch'a gli occhi miei potessi in alcun tempo esser noioso. Or cieca farmi volentier torrei per non vederti, e riguardar non oso. Oimè, de' lumi già sí dolci e rei ov'è la fiamma? ov'è il bel raggio ascoso? de le fiorite guancie il bel vermiglio ov'è fuggito? ov'è il seren del ciglio? 107 Ma che? squallido e scuro anco mi piaci. Anima bella, se quinci entro gire, s'odi il mio pianto, a le mie voglie audaci perdona il furto e 'l temerario ardire: da le pallide labra i freddi baci, che piú caldi sperai, vuo' pur rapire; parte torrò di sue ragioni a morte, baciando queste labra essangui e smorte. 108 Pietosa bocca che solevi in vita consolar il mio duol di tue parole, lecito sia ch'anzi la mia partita d'alcun tuo caro bacio io mi console; e forse allor, s'era a cercarlo ardita, quel davi tu ch'ora conven ch'invole. Lecito sia ch'ora ti stringa e poi versi lo spirto mio fra i labri tuoi. 109 Raccogli tu l'anima mia seguace, drizzala tu dove la tua se 'n gio." Cosí parla gemendo, e si disface quasi per gli occhi, e par conversa in rio. Rivenne quegli a quell'umor vivace e le languide labra alquanto aprio: aprí le labra e con le luci chiuse un suo sospir con que' di lei confuse. 110 Sente la donna il cavalier che geme, e forza è pur che si conforti alquanto: "Apri gli occhi, Tancredi, a queste estreme essequie" grida "ch'io ti fo co 'l pianto; riguarda me che vuo' venirne insieme la lunga strada e vuo' morirti a canto. Riguarda me, non te 'n fuggir sí presto: l'ultimo don ch'io ti dimando è questo." 111 Apre Tancredi gli occhi e poi gli abbassa torbidi e gravi, ed ella pur si lagna. Dice Vafrino a lei: "Questi non passa: curisi adunque prima, e poi si piagna." Egli il disarma, ella tremante e lassa porge la mano a l'opere compagna, mira e tratta le piaghe e, di ferute giudice esperta, spera indi salute. 112 Vede che 'l mal da la stanchezza nasce e da gli umori in troppa copia sparti. Ma non ha fuor ch'un velo onde gli fasce le sue ferite, in sí solinghe parti. Amor le trova inusitate fasce, e di pietà le insegna insolite arti: l'asciugò con le chiome e rilegolle pur con le chiome che troncar si volle, 113 però che 'l velo suo bastar non pote breve e sottile a le sí spesse piaghe. Dittamo e croco non avea, ma note per uso tal sapea potenti e maghe. Già il mortifero sonno ei da sé scote, già può le luci alzar mobili e vaghe. Vede il suo servo, e la pietosa donna sopra si mira in peregrina gonna. 114 Chiede: "O Vafrin, qui come giungi e quando? E tu chi sei, medica mia pietosa?" Ella, fra lieta e dubbia sospirando, tinse il bel volto di color di rosa: "Saprai" rispose "il tutto, or (te 'l comando come medica tua) taci e riposa. Salute avrai, prepara il guiderdone." Ed al suo capo il grembo indi suppone. 115 Pensa intanto Vafrin come a l'ostello agiato il porti anzi piú fosca sera, ed ecco di guerrier giunge un drapello: conosce ei ben che di Tancredi è schiera. Quando affrontò il circasso e per appello di battaglia chiamollo, insieme egli era; non seguí lui perché non volse allora, poi dubbioso il cercò de la dimora. 116 Seguian molti altri la medesma inchiesta, ma ritrovarlo avien che lor succeda. De le stesse lor braccia essi han contesta quasi una sede ov'ei s'appoggi e sieda. Disse Tancredi allora: "Adunque resta il valoroso Argante a i corvi in preda? Ah per Dio non si lasci, e non si frodi o de la sepoltura o de le lodi. 117 Nessuna a me co 'l busto essangue e muto riman piú guerra; egli morí qual forte, onde a ragion gli è quell'onor devuto che solo in terra avanzo è de la morte." Cosí da molti ricevendo aiuto fa che 'l nemico suo dietro si porte. Vafrino al fianco di colei si pose, sí come uom sòle a le guardate cose. 118 Soggiunse il prence: "A la città regale, non a le tende mie, vuo' che si vada, ché s'umano accidente a questa frale vita sovrasta, è ben ch'ivi m'accada; ché 'l loco ove morí l'Uomo immortale può forse al Cielo agevolar la strada, e sarà pago un mio pensier devoto d'aver peregrinato al fin del voto." 119 Disse, e colà portato egli fu posto sovra le piume, e 'l prese un sonno cheto. Vafrino a la donzella, e non discosto, ritrova albergo assai chiuso e secreto. Quinci s'invia dov'è Goffredo, e tosto entra, ché non gli è fatto alcun divieto, se ben allor de la futura impresa in bilance i consigli appende e pesa. 120 Del letto, ove la stanca egra persona posa Raimondo, il duce è su la sponda, e d'ogn'intorno nobile corona de' piú potenti e piú saggi il circonda. Or, mentre lo scudiero a lui ragiona, non v'è chi d'altro chieda o chi risponda. "Signor," dicea "come imponesti, andai tra gli infedeli e 'l campo lor cercai. 121 Ma non aspettar già che di quell'oste l'innumerabil numero ti conti. I' vidi ch'al passar le valli ascoste sotto e' teneva e i piani tutti e i monti; vidi che dove giunga, ove s'accoste, spoglia la terra e secca i fiumi e i fonti, perché non bastan l'acque a la lor sete, e poco è lor ciò che la Siria miete. 122 Ma sí de' cavalier, sí de' pedoni sono in gran parte inutili le schiere: gente che non intende ordini o suoni, né stringe ferro e di lontan sol fère. Ben ve ne sono alquanti eletti e buoni che seguite di Persia han le bandiere, e forse squadra anco migliore è quella che la squadra immortal del re s'appella. 123 Ella è detta immortal perché difetto in quel numero mai non fu pur d'uno, ma empie il loco vòto e sempre eletto sottentra uom novo ove ne manchi alcuno. Il capitan del campo, Emiren detto, pari ha in senno e valor pochi o nessuno, e gli commanda il re che provocarti debba a pugna campal con tutte l'arti. 124 Né credo già ch'al dí secondo tardi l'essercito nemico a comparire. Ma tu, Rinaldo, assai conven che guardi il capo, ond'è fra lor tanto desire, ché i piú famosi in arme e i piú gagliardi gli hanno incontra arrotato il ferro e l'ire; perché Armida se stessa in guiderdone a qual di loro il troncherà propone. 125 Fra questi è il valoroso e nobil perso: dico Altamoro, il re di Sarmacante, Adrasto v'è, c'ha il regno suo là verso i confin de l'aurora ed è gigante, uom d'ogni umanità cosí diverso che frena per cavallo un elefante. V'è Tisaferno, a cui ne l'esser prode concorde fama dà sovrana lode." 126 Cosí dice egli, e 'l giovenetto in volto tutto scintilla ed ha negli occhi il foco. Vorria già tra' nemici essere avolto, né cape in sé, né ritrovar può loco. Quinci Vafrino al capitan rivolto: "Signor," soggiunse "il sin qui detto è poco; la somma de le cose or qui si chiuda: impugneransi in te l'arme di Giuda." 127 Di parte in parte poi tutto gli espose ciò che di fraudolente in lui si tesse: l'arme e 'l venen, l'insegne insidiose, il vanto udito, i premi e le promesse. Molto chiesto gli fu, molto rispose; breve tra lor silenzio indi successe, poscia inalzando il capitano il ciglio chiede a Raimondo: "Or qual è il tuo consiglio?" 128 Ed egli: "È mio parer ch'a i novi albori, come concluso fu, piú non s'assaglia, ma si stringa la torre, onde uscir fuori quel ch'è là dentro a suo piacer non vaglia, e posi il nostro campo e si ristori fra tanto ad uopo di maggior battaglia. Pensa poi tu s'è meglio usar la spada con forza aperta o 'l gir tenendo a bada. 129 Mio giudizio è però che a te convegna di te stesso curar sovra ogni cura, ché per te vince l'oste e per te regna. Chi senza te l'indrizza e l'assecura? E perché i traditor non celi insegna, mutar l'insegne a' tuoi guerrier procura. Cosí la fraude a te palese fatta sarà da quel medesmo in chi s'appiatta." 130 Risponde il capitan: "Come hai per uso, mostri amico voler e saggia mente; ma quel che dubbio lasci, or fia conchiuso. Uscirem contra a la nemica gente, né già star deve in muro o 'n vallo chiuso il campo domator de l'Oriente. Sia da quegli empi il valor nostro esperto ne la piú aperta luce, in loco aperto. 131 Non sosterran de le vittorie il nome, non che de' vincitor l'aspetto altero, non che l'arme; e lor forze saran dome, fermo stabilimento al nostro impero. La torre o tosto renderassi o, come altri no 'l vieti, il prenderla è leggiero." Qui il magnanimo tace e fa partita, ché 'l cader de le stelle al sonno invita.
canto VENTESIMO
1 Già il sole avea desti i mortali a l'opre, già diece ore del giorno eran trascorse, quando lo stuol ch'a la gran torre è sopre un non so che da lunge ombroso scorse, quasi nebbia ch'a sera il mondo copre, e ch'era il campo amico al fin s'accorse, che tutto intorno il ciel di polve adombra e i colli sotto e le campagne ingombra. 2 Alzano allor da l'alta cima i gridi insino al ciel l'assediate genti, con quel romor con che da i traci nidi vanno a stormi le gru ne' giorni algenti e tra le nubi a piú tepidi lidi fuggon stridendo inanzi a i freddi venti, ch'or la giunta speranza in lor fa pronte la mano al saettar, la lingua a l'onte. 3 Ben s'avisaro i Franchi onde de l'ire l'impeto novo e 'l minacciar procede, e miran d'alta parte; ed apparire il poderoso campo indi si vede. Súbito avampa il generoso ardire in que' petti feroci e pugna chiede. La gioventute altera accolta insieme: "Dà" grida "il segno, invitto duce," e freme. 4 Ma nega il saggio offrir battaglia inante a i novi albori e tien gli audaci a freno, né pur con pugna instabile e vagante vuol che si tentin gl'inimici almeno. "Ben è ragion" dicea "che dopo tante fatiche un giorno io vi ristori a pieno." Forse ne' suoi nemici anco la folle credenza di se stessi ei nudrir volle. 5 Si prepara ciascun, de la novella luce aspettando cupido il ritorno. Non fu mai l'aria sí serena e bella come a l'uscir del memorabil giorno: l'alba lieta rideva, e parea ch'ella tutti i raggi del sole avesse intorno; e 'l lume usato accrebbe, e senza velo volse mirar l'opere grandi il cielo. 6 Come vide spuntar l'aureo mattino, mena fuori Goffredo il campo instrutto. Ma pon Raimondo intorno al palestino tiranno e de' fedeli il popol tutto che dal paese di Soria vicino a' suoi liberator s'era condutto: numero grande; e pur non questo solo, ma di Guasconi ancor lascia uno stuolo. 7 Vassene, e tal è in vista il sommo duce ch'altri certa vittoria indi presume. Novo favor del Cielo in lui riluce e 'l fa grande ed augusto oltra il costume: gli empie d'onor la faccia e vi riduce di giovenezza il bel purpureo lume, e ne l'atto de gli occhi e de le membra altro che mortal cosa egli rassembra. 8 Ma non lunge se 'n va che giunge a fronte de l'attendato essercito pagano, e prender fa, ne l'arrivar, un monte ch'egli ha da tergo e da sinistra mano; e l'ordinanza poi, larga di fronte, di fianchi angusta, spiega inverso il piano, stringe in mezzo i pedoni e rende alati con l'ale de' cavalli entrambi i lati. 9 Nel corno manco, il qual s'appressa a l'erto de l'occupato colle e s'assecura, pon l'un e l'altro prencipe Roberto, dà le parti di mezzo al frate in cura. Egli a destra s'alluoga, ove è l'aperto e 'l periglioso piú de la pianura, ove il nemico, che di gente avanza, di circondarlo aver potea speranza. 10 E qui i suoi Loteringhi e qui dispone le meglio armate genti e le piú elette, qui tra cavalli arcieri alcun pedone uso a pugnar tra' cavalier framette. Poscia d'aventurier forma un squadrone e d'altri altronde scelti, e presso il mette; mette loro in disparte al lato destro. e Rinaldo ne fa duce e maestro. 11 Ed a lui dice: "In te, signor, riposta la vittoria e la somma è de le cose. Tieni tu la tua schiera alquanto ascosta dietro a queste ali grandi e spaziose. Quando appressa il nemico, e tu di costa l'assali e rendi van quanto e' propose. Proposto avrà, se 'l mio pensier non falle, girando a i fianchi urtarci ed a le spalle." 12 Quindi sovra un corsier di schiera in schiera parea volar tra' cavalier, tra' fanti. Tutto il volto scopria per la visiera: fulminava ne gli occhi e ne' sembianti. Confortò il dubbio e confermò chi spera ed a l'audace rammentò i suoi vanti e le sue prove al forte: a chi maggiori gli stipendi promise, a chi gli onori. 13 Al fin colà fermossi ove le prime e piú nobili squadre erano accolte, e cominciò da loco assai sublime parlare, ond'è rapito ogn'uom ch'ascolte. Come in torrenti da l'alpestri cime soglion giú derivar le nevi sciolte, cosí correan volubili e veloci da la sua bocca le canore voci. 14 "O de' nemici di Giesú flagello, campo mio, domator de l'Oriente, ecco l'ultimo giorno, ecco pur quello che già tanto bramaste omai presente. Né senza alta cagion ch'il suo rubello popolo or si raccolga il Ciel consente: ogni vostro nimico ha qui congiunto per fornir molte guerre in un sol punto. 15 Noi raccorrem molte vittorie in una, né fia maggiore il rischio o la fatica. Non sia, non sia tra voi temenza alcuna in veder cosí grande oste nimica, ché discorde fra sé mai si raguna e ne gli ordini suoi se stessa intrica, e di chi pugni il numero fia poco: mancherà il core a molti, a molti il loco. 16 Quei che incontra verranci, uomini ignudi fian per lo piú senza vigor, senz'arte, che dal lor ozio o da i servili studi sol violenza or allontana e parte. Le spade omai tremar, tremar gli scudi, tremar veggio l'insegne in quella parte, conosco i suoni incerti e i dubbi moti: veggio la morte loro a i segni noti. 17 Quel capitan che cinto d'ostro e d'oro dispon le squadre, e par sí fero in vista, vinse forse talor l'Arabo o 'l Moro, ma il suo valor non fia ch'a noi resista. Che farà, benché saggio, in tanta loro confusione e sí torbida e mista? Mai noto è, credo, e mai conosce i sui, ed a pochi può dir: `Tu fosti, io fui.' 18 Ma capitano i' son di gente eletta: pugnammo un tempo e trionfammo insieme, e poscia un tempo a mio voler l'ho retta. Di chi di voi non so la patria o 'l seme? quale spada m'è ignota? o qual saetta, benché per l'aria ancor sospesa treme, non saprei dir se franca o se d'Irlanda, e quale a punto il braccio è che la manda? 19 Chiedo solite cose: ognun qui sembri quel medesmo ch'altrove i' l'ho già visto; e l'usato suo zelo abbia, e rimembri l'onor suo, l'onor mio, l'onor di Cristo. Ite, abbattete gli empi; e i tronchi membri calcate, e stabilite il santo acquisto. Ché piú vi tengo a bada? assai distinto ne gli occhi vostri il veggio: avete vinto." 20 Parve che nel fornir di tai parole scendesse un lampo lucido e sereno, come tal volta estiva notte sòle scoter dal manto suo stella o baleno. Ma questo creder si potea che 'l sole giuso il mandasse dal piú interno seno; e parve al capo irgli girando, e segno alcun pensollo di futuro regno. 21 Forse (se deve infra celesti arcani prosuntuosa entrar lingua mortale) agnol custode fu che da i soprani cori discese, e 'l circondò con l'ale. Mentre ordinò Goffredo i suoi cristiani e parlò fra le schiere in guisa tale, l'egizio capitan lento non fue ad ordinare, a confortar le sue. 22 Trasse le squadre fuor, come veduto fu da lunge venirne il popol franco, e fece anch'ei l'essercito cornuto, co' fanti in mezzo e i cavalieri al fianco. E per sé il corno destro ha ritenuto, e prepose Altamoro al lato manco; Muleasse fra loro i fanti guida, e in mezzo è poi de la battaglia Armida. 23 Co 'l duce a destra è il re de gli Indiani e Tisaferno e tutto il regio stuolo. Ma dove stender può ne' larghi piani l'ala sinistra piú spedito il volo, Altamoro ha i re persi e i re africani e i duo che manda il piú fervente suolo. Quinci le frombe e le balestre e gli archi esser tutti dovean rotati e scarchi. 24 Cosí Emiren gli schiera, e corre anch'esso per le parti di mezzo e per gli estremi: per interpreti or parla, or per se stesso, mesce lodi e rampogne e pene e premi. Talor dice ad alcun: "Perché dimesso mostri, soldato, il volto? e di che temi? che pote un contra cento? io mi confido sol con l'ombra fugarli e sol co 'l grido." 25 Ad altri: "O valoroso, or via con questa faccia a ritòr la preda a noi rapita." L'imagine ad alcuno in mente desta, glie la figura quasi e glie l'addita, de la pregante patria e de la mesta supplice famigliuola sbigottita. "Credi" dicea "che la tua patria spieghi per la mia lingua in tai parole i preghi: 26 `Guarda tu le mie leggi e i sacri tèmpi fa' ch'io del sangue mio non bagni e lavi; assecura le vergini da gli empi, e i sepolcri e le ceneri de gli avi.' A te, piangendo i lor passati tempi, mostran la bianca chioma i vecchi gravi, a te la moglie le mammelle e 'l petto, le cune e i figli e 'l marital suo letto." 27 A molti poi dicea: "L'Asia campioni vi fa de l'onor suo; da voi s'aspetta contra que' pochi barbari ladroni acerba, ma giustissima vendetta. Cosí con arti varie, in vari suoni le varie genti a la battaglia alletta. Ma già tacciono i duci, e le vicine schiere non parte omai largo confine. 28 Grande e mirabil cosa era il vedere quando quel campo e questo a fronte venne come, spiegate in ordine le schiere, di mover già, già d'assalire accenne; sparse al vento ondeggiando ir le bandiere e ventolar su i gran cimier le penne: abiti e fregi, imprese, arme e colori, d'oro e di ferro al sol lampi e fulgori. 29 Sembra d'alberi densi alta foresta l'un campo e l'altro, di tant'aste abbonda. Son tesi gli archi e son le lancie in resta, vibransi i dardi e rotasi ogni fionda; ogni cavallo in guerra anco s'appresta; gli odii e 'l furor del suo signor seconda, raspa, batte, nitrisce e si raggira, gonfia le nari e fumo e foco spira. 30 Bello in sí bella vista anco è l'orrore, e di mezzo la tema esce il diletto. Né men le trombe orribili e canore sono a gli orecchi lieto e fero oggetto. Pur il campo fedel, benché minore, par di suon piú mirabile e d'aspetto, e canta in piú guerriero e chiaro carme ogni sua tromba, e maggior luce han l'arme. 31 Fèr le trombe cristiane il primo invito, risposer l'altre ed accettàr la guerra. S'inginocchiaro i Franchi e riverito da lor fu il Cielo, indi baciàr la terra. Decresce in mezzo il campo; ecco è sparito: l'un con l'altro nemico omai si serra. Già fera zuffa è ne le corna, e inanti spingonsi già con lor battaglia i fanti. 32 Or chi fu il primo feritor cristiano che facesse d'onor lodati acquisti? Fosti, Gildippe, tu che 'l grande ircano, che regnava in Ormús, prima feristi (tanto di gloria a la feminea mano concesse il Cielo) e 'l petto a lui partisti. Cade il trafitto, e nel cadere egli ode dar gridando i nemici al colpo lode. 33 Con la destra viril la donna stringe, poi c'ha rotto il troncon, la buona spada, e contra i Persi il corridor sospinge e 'l folto de le schiere apre e dirada. Coglie Zopiro là dove uom si cinge e fa che quasi bipartito ei cada, poi fèr la gola e tronca al crudo Alarco de la voce e del cibo il doppio varco. 34 D'un mandritto Artaserse, Argeo di punta, l'uno atterra stordito e l'altro uccide. Poscia i pieghevol nodi, ond'è congiunta la manca al braccio, ad Ismael recide. Lascia, cadendo, il fren la man disgiunta, su gli orecchi al destriero il colpo stride; ei, che si sente in suo poter la briglia, fugge a traverso e gli ordini scompiglia. 35 Questi e molti altri, ch'in silenzio preme l'età vetusta, ella di vita toglie. Stringonsi i Persi e vanle adosso insieme, vaghi d'aver le gloriose spoglie. Ma lo sposo fedel, che di lei teme, corre in soccorso a la diletta moglie. Cosí congiunta, la concorde coppia ne la fida union le forze addoppia. 36 Arte di schermo nova e non piú udita a i magnanimi amanti usar vedresti: oblia di sé la guardia, e l'altrui vita difende intentamente a quella e questi. Ribatte i colpi la guerriera ardita che vengono al suo caro aspri e molesti; egli a l'arme a lei dritte oppon lo scudo, v'opporria, s'uopo fosse, il capo ignudo. 37 Propria l'altrui difesa, e propria face l'uno e l'altro di lor l'altrui vendetta. Egli dà morte ad Artabano audace, per cui di Boecàn l'isola è retta, e per l'istessa mano Alvante giace, ch'osò pur di colpir la sua diletta. Ella fra ciglio e ciglio ad Arimonte, che 'l suo fedel battea, partí la fronte. 38 Tal fean de' Persi strage, e via maggiore la fea de' Franchi il re di Sarmacante, ch'ove il ferro volgeva o 'l corridore, uccideva, abbattea cavallo o fante. Felice è qui colui che prima more, né geme poi sotto il destrier pesante, perché il destrier, se da la spada resta alcun mal vivo avanzo, il morde e pesta. 39 Riman da i colpi d'Altamoro ucciso Brunellone il membruto, Ardonio il grande. L'elmetto a l'uno e 'l capo è sí diviso ch'ei ne pende su gli omeri a due bande. Trafitto è l'altro insin là dove il riso ha suo principio, e 'l cor dilata e spande, talché (strano spettacolo ed orrendo!) ridea sforzato e si moria ridendo. 40 Né solamente discacciò costoro la spada micidial dal dolce mondo, ma spinti insieme a crudel morte foro Gentonio, Guasco, Guido e 'l buon Rosmondo. Or chi narrar potria quanti Altamoro n'abbatte, e frange il suo destrier co 'l pondo? chi dire i nomi de le genti uccise? chi del ferir, chi del morir le guise? 41 Non è chi con quel fero omai s'affronte, né chi pur lunge d'assalirlo accenne. Sol rivolse Gildippe in lui la fronte, né da quel dubbio paragon s'astenne. Nulla Amazone mai su 'l Termodonte imbracciò scudo o maneggiò bipenne audace sí, com'ella audace inverso al furor va del formidabil perso. 42 Ferillo ove splendea d'oro e di smalto barbarico diadema in su l'elmetto, e 'l ruppe e sparse, onde il superbo ed alto suo capo a forza egli è chinar constretto. Ben di robusta man parve l'assalto al re pagano, e n'ebbe onta e dispetto, né tardò in vendicar l'ingiurie sue, ché l'onta e la vendetta a un tempo fue. 43 Quasi in quel punto in fronte egli percosse la donna di percossa in modo fella che d'ogni senso e di vigor la scosse: cadea, ma 'l suo fedel la tenne in sella. Fortuna loro o sua virtú pur fosse, tanto bastogli e non ferí piú in ella, quasi leon magnanimo che lassi, sdegnando, uom che si giaccia, e guardi e passi. 44 Ormondo intanto, a le cui fere mani era commessa la spietata cura, misto con false insegne è fra' cristiani, e i compagni con lui di sua congiura; cosí lupi notturni, i quai di cani mostrin sembianza, per la nebbia oscura vanno a le mandre e spian come in lor s'entre, la dubbia coda ristringendo al ventre. 45 Giansi appressando, e non lontano al fianco del pio Goffredo il fer pagan si mise. Ma come il capitan l'orato e 'l bianco vide apparir de le sospette assise: "Ecco" gridò "quel traditor che franco cerca mostrarsi in simulate guise, ecco i suoi conguirati in me già mossi." Cosí dicendo, al perfido aventossi. 46 Mortalmente piagollo, e quel fellone non fère, non fa schermo e non s'arretra; ma, come inanzi a gli occhi abbia 'l Gorgone (e fu contanto audace), or gela e impètra. Ogni spada ed ogn'asta a lor s'oppone, e si vòta in lor soli ogni faretra. Va in tanti pezzi Ormondo e i suoi consorti, che 'l cadavero pur non resta a i morti. 47 Poi che di sangue ostil si vede asperso, entra in guerra Goffredo, e là si volve ove appresso vedea che 'l duce perso le piú ristrette squadre apre e dissolve, sí che 'l suo stuolo omai n'andria disperso come anzi l'Austro l'africana polve. Vèr lui si drizza, e i suoi sgrida e minaccia; e fermando chi fugge, assal chi caccia. 48 Comincian qui le due feroci destre pugna qual mai non vide Ida né Xanto. Ma segue altrove aspra tenzon pedestre fra Baldovino e Muleasse intanto, né ferve men l'altra battaglia equestre appresso il colle, a l'altro estremo canto, ove il barbaro duce de le genti pugna in persona e seco ha i duo potenti. 49 Il rettor de le turbe e l'un Roberto fan crudel zuffa, e lor virtú s'agguaglia. Ma l'indian de l'altro ha l'elmo aperto, e l'arme tuttavia gli fende e smaglia. Tisaferno non ha nemico certo che gli sia paragon degno in battaglia, ma scorre ove la calca appar piú folta, e mesce varia uccisione e molta. 50 Cosí si combatteva, e 'n dubbia lance co 'l timor le speranze eran sospese. Pien tutto il campo è di spezzate lance, di rotti scudi e di troncato arnese, di spade a i petti, a le squarciate pance altre confitte, altre per terra stese, di corpi, altri supini, altri co' volti, quasi mordendo il suolo, al suo, rivolti. 51 Giace il cavallo al suo signore appresso, giace il compagno appo il compagno estinto, giace il nemico appo il nemico, e spesso su 'l morto il vivo, il vincitor su 'l vinto. Non v'è silenzio e non v'è grido espresso, ma odi un non so che roco e indistinto: fremiti di furor, mormori d'ira, gemiti di chi langue e di chi spira. 52 L'arme, che già sí liete in vista foro, faceano or mostra paventosa e mesta: perduti ha i lampi il ferro, i raggi l'oro, nulla vaghezza a i bei color piú resta. Quanto apparia d'adorno e di decoro ne' cimieri e ne' fregi, or si calpesta; la polve ingombra ciò ch'al sangue avanza, tanto i campi mutata avean sembianza. 53 Gli Arabi allora, e gli Etiòpi e i Mori, che l'estremo tenean del lato manco, giansi spiegando e distendendo in fòri, giravan poi de gli inimici al fianco; ed omai saggittari e frombatori molestavan da lunge il popol franco, quando Rinaldo e 'l suo drapel si mosse, e parve che tremoto e tuono fosse. 54 Assimiro di Mèroe infra l'adusto stuol d'Etiopia era il primier de' forti. Rinaldo il colse ove s'annoda al busto il nero collo, e 'l fe' cader tra' morti. Poich'eccitò de la vittoria il gusto l'appetito del sangue e de le morti nel fero vincitore, egli fe' cose incredibili, orrende e monstruose. 55 Diè piú morti che colpi, e pur frequente de' suoi gran colpi la tempesta cade. Qual tre lingue vibrar sembra il serpente, ché la prestezza d'una il persuade, tal credea lui la sbigottita gente con la rapida man girar tre spade. L'occhio al moto deluso il falso crede, e 'l terrore a que' mostri accresce fede. 56 I libici tiranni e i negri regi l'un nel sangue de l'altro a morte stese. Dièr sovra gli altri i suoi compagni egregi, che d'emulo furor l'essempio accese. Cadeane con orribili dispregi l'infedel plebe, e non facea difese. Pugna questa non è, ma strage sola, ché quinci oprano il ferro, indi la gola. 57 Ma non lunga stagion volgon la faccia, ricevendo le piaghe in nobil parte. Fuggon le turbe, e sí il timor le caccia ch'ogni ordinanza lor scompagna e parte. Ma segue pur senza lasciar la traccia sin che l'ha in tutto dissipate e sparte, poi si raccoglie il vincitor veloce che sovra i piú fugaci è men feroce. 58 Qual vento, a cui s'oppone o selva o colle, doppia ne la contesa i soffi e l'ira, ma con fiato piú placido e piú molle per le campagne libere poi spira; come fra scogli il mar spuma e ribolle, e ne l'aperto onde piú chete aggira, cosí quanto contrasto avea men saldo, tanto scemava il suo furor Rinaldo. 59 Poi che sdegnossi in fuggitivo dorso le nobil ire ir consumando invano, verso la fanteria voltò il suo corso, ch'ebbe l'Arabo al fianco e l'Africano, or nuda è da quel lato, e chi soccorso dar le doveva o giace od è lontano. Vien da traverso, e le pedestri schiere la gente d'arme impetuosa fère. 60 Ruppe l'aste e gli intoppi, il violento impeto vinse e penetrò fra esse, le sparse e l'atterrò; tempesta o vento men tosto abbatte la pieghevol messe. Lastricato co 'l sangue è il pavimento d'arme e di membra perforate e fesse; e la cavalleria correndo il calca senza ritegno, e fera oltra se 'n valca. 61 Giunse Rinaldo ove su 'l carro aurato stavasi Armida in militar sembianti, e nobil guardia avea da ciascun lato de' baroni seguaci e de gli amanti. Noto a piú segni, egli è da lei mirato con occhi d'ira e di desio tremanti: ei si tramuta in volto un cotal poco, ella si fa di gel, divien poi foco. 62 Declina il carro il cavaliero e passa, e fa sembiante d'uom cui d'altro cale; ma senza pugna già passar non lassa il drapel congiurato il suo rivale. Chi il ferro stringe in lui, chi l'asta abbassa; ella stessa in su l'arco ha già lo strale: spingea le mani, e incrudelia lo sdegno, ma le placava e n'era amor ritegno. 63 Sorse amor contra l'ira, e fe' palese che vive il foco suo ch'ascoso tenne. Le man tre volte a saettar distese, tre volte essa inchinolla, e si ritenne. Pur vinse al fin lo sdegno, e l'arco tese e fe' volar del suo quadrel le penne. Lo stral volò, ma con lo strale un voto súbito uscí, che vada il colpo a vòto. 64 Torria ben ella che il quadrel pungente tornasse indietro, e le tornasse al core; tanto poteva in lei, benché perdente (or che potria vittorioso?), Amore. Ma di tal suo pensier poi si ripente, e nel discorde sen cresce il furore. Cosí or paventa ed or desia che tocchi a pieno il colpo, e 'l segue pur con gli occhi. 65 Ma non fu la percossa in van diretta ch'al cavalier su 'l duro usbergo è giunta, duro ben troppo a feminil saetta, che di pungere in vece ivi si spunta. Egli le volge il fianco; ella, negletta esser credendo, e d'ira arsa e compunta, scocca l'arco piú volte e non fa piaga: e mentre ella saetta, Amor lei piaga. 66 "Sí dunque impenetrabile è costui," fra sé dicea "che forza ostil non cura? Vestirebbe mai forse i membri sui di quel diaspro ond'ei l'alma ha sí dura? Colpo d'occhio o di man non pote in lui, di tai tempre è il rigor che lo assecura; e inerme io vinta sono, e vinta armata: nemica, amante, egualmente sprezzata. 67 Or qual arte novella e qual m'avanza nova forma in cui possa anco mutarmi? Misera! e nulla aver degg'io speranza ne' cavalieri miei, ché veder parmi, anzi pur veggio, a la costui possanza tutte le forze frali e tutte l'armi." E ben veda de' suoi campioni estinti altri giacerne, altri abbattuti e vinti. 68 Soletta a sua difesa ella non basta, e già le pare esser prigiona e serva; né s'assecura (e presso l'arco ha l'asta) ne l'arme di Diana o di Minerva. Qual è il timido cigno a cui sovrasta co 'l fero artiglio l'aquila proterva, ch'a terra si rannicchia e china l'ali, i suoi timidi moti eran cotali. 69 Ma il principe Altamor, che sino allora fermar de' Persi procurò lo stuolo (ch'era già in piega e 'n fuga ito se 'n fòra, ma 'l ritenea, bench'a fatica, ei solo), or tal veggendo lei ch'amando adora, là si volge di corso, anzi di volo, e 'l suo onor abbandona e la sua schiera: pur che costei si salvi, il mondo pèra. 70 Al mal difeso carro egli fa scorta e co 'l ferro le vie gli sgombra inante, ma da Rinaldo e da Goffredo è morta e fugata sua schiera in quell'istante. Il misero se 'l vede e se 'l comporta assai miglior che capitano, amante. Scorge Armida in securo, e torna poi, intempestiva aita, a i vinti suoi, 71 ché da quel lato de' pagani il campo irreparabilmente è sparso e sciolto; ma da l'opposto, abbandonando il campo a gli infedeli, i nostri il tergo han vòlto. Ebbe l'un de' Roberti a pena scampo, ferito dai nemico il petto e 'l volto, l'altro è prigion d'Adrasto. In cotal guisa la sconfitta egualmente era divisa. 72 Prende Goffredo allor tempo opportuno: riordina sue squadre e fa ritorno senza indugio a la pugna; e cosí l'uno viene ad urtar ne l'altro intero corno. Tinto se 'n vien di sangue ostil ciascuno, ciascun di spoglie trionfali adorno. La vittoria e l'onor vien da ogni parte, sta dubbia in mezzo la Fortuna e Marte. 73 Or mentre in guisa tal fera tenzone è tra 'l fedel essercito e 'l pagano, salse in cima a la torre ad un balcone e mirò, benché lunge, il fer Soldano; mirò, quasi in teatro od in agone, l'aspra tragedia de lo stato umano: i vari assalti e 'l fero orror di morte, e i gran giochi del caso e de la sorte. 74 Stette attonito alquanto e stupefatto a quelle prime viste; e poi s'accese, e desiò trovarsi anch'egli in atto nel periglioso campo a l'alte imprese. Né pose indugio al suo desir, ma ratto d'elmo s'armò, ch'aveva ogn'altro arnese: "Su su," gridò "non piú, non piú dimora: convien ch'oggi si vinca o che si mora." 75 O che sia forse il proveder divino che spira in lui la furiosa mente, perché quel giorno sian del palestino imperio le reliquie in tutto spente; o che sia ch'a la morte omai vicino d'andarle incontra stimolar si sente, impetuoso e rapido disserra la porta, e porta inaspettata guerra. 76 E non aspetta pur che i feri inviti accettino i compagni; esce sol esso, e sfida sol mille nimici uniti, e sol fra mille intrepido s'è messo. Ma da l'impeto suo quasi rapiti seguon poi gli altri ed Aladino stesso. Chi fu vil, chi fu cauto, or nulla teme: opera di furor piú che di speme. 77 Quel che prima ritrova il turco atroce caggiono a i colpi orribili improvisi, e in condur loro a morte è sí veloce ch'uom non li vede uccidere, ma uccisi. Da i primieri a i sezzai, di voce in voce, passa il terror, vanno i dolenti avisi, tal che 'l vulgo fedel de la Soria tumultuando già quasi fuggia. 78 Ma con men di terrore e di scompiglio l'ordine e 'l loco suo fu ritenuto dal Guascon, benché prossimo al periglio a l'improvviso ei sia colto e battuto. Nessun dente giamai, nessun artiglio o di silvestre o d'animal pennuto insanguinossi in mandra o tra gli augelli, come la spada del pagan tra quelli. 79 Sembra quasi famelica e vorace pasce le membra quasi e 'l sangue sugge. Seco Aladin, seco lo stuol seguace gli assediatori suoi percote e strugge. Ma il buon Raimondo accorre ove disface Soliman le sue squadre e già no 'l fugge, se ben la fera destra ei riconosce onde percosso ebbe mortali angosce. 80 Pur di novo l'affronta e pur ricade, pur ripercosso ove fu prima offeso; e colpa è sol de la soverchia etade, a cui soverchio è de' gran colpi il peso. Da cento scudi fu, da cento spade oppugnato in quel tempo anco e difeso. Ma trascorre il Soldano, o che se 'l creda morto del tutto, o 'l pensi agevol preda. 81 Sovra gli altri ferisce e tronca e svena, e 'n poca piazza fa mirabil prove; ricerca poi, come furor il mena, a nova uccision materia altrove. Qual da povera mensa a ricca cena uom stimolato dal digiun si move, tal vanne a maggior guerra ov'egli sbrame la sua di sangue infuriata fame. 82 Scende egli giú per le abbattute mura e s'indirizza a la gran pugna in fretta. Ma 'l furor ne' compagni e la paura riman ch'i suoi nemici han già concetta; e l'una schiera d'asseguir procura quella vittoria ch'ei lasciò imperfetta, l'altra resiste sí, ma non è senza segno di fuga omai la resistenza. 83 Il Guascon ritirandosi cedeva, ma se ne gía disperso il popoi siro. Eran presso a l'albergo ove giaceva il buon Tancredi, e i gridi entro s'udiro. Dal letto il fianco infermo egli solleva, vien su la vetta e volge gli occhi in giro; vede, giacendo il conte, altri ritrarsi, altri del tutto già fugati e sparsi. 84 Virtú, ch'à valorosi unqua non manca, perché languisca il corpo fral non langue, ma le piagate membra in lui rinfranca quasi in vece di spirito e di sangue. Del gravissimo scudo arma ei la manca, e non par grave il peso al braccio essangue. Prende con l'altra man l'ignuda spada (tanto basta a l'uom forte) e piú non bada, 85 ma giú se 'n viene e grida: "Ove fuggite, lasciando il signor vostro in preda altrui? dunque i barbari chiostri e le meschite spiegheran per trofeo l'arme di lui? Or, tornando in Guascogna, al figlio dite che morí il padre onde fuggiste vui." Cosí lor parla, e 'l petto nudo e infermo a mille armati e vigorosi è schermo. 86 E co 'l grave suo scudo, il qual di sette dure cuoia di tauro era composto e che a le terga poi di tempre elette un coperchio d'acciaio ha sopraposto, tien da le spade e tien da le saette, tien da tutte arme il buon Raimondo ascosto, e co 'l ferro i nemici intorno sgombra sí che giace securo e quasi a l'ombra. 87 Respirando risorge in tempo poco sotto il fido riparo il vecchio accolto, e si sente avampar di doppio foco, di sdegno il core e di vergogna il volto; e drizza gli occhi accesi a ciascun loco per riveder quel fero onde fu colto, ma no 'l vedendo freme, e far prepara ne' seguaci di lui vendetta amara. 88 Ritornan gli Aquitani e tutti insieme seguono il duce al vendicarsi intento. Lo stuol ch'inanzi osava tanto, or teme: audacia passa ov'era pria spavento. Cede chi rincalzò; chi cesse, or preme: cosí varian le cose in un momento. Ben fa Raimondo or sua vendetta, e sconta pur di sua man con cento morti un'onta. 89 Mentre Raimondo il vergognoso sdegno ne' piú nobili capi sfogar tenta, vede l'usurpator del nobil regno, che fra' primi combatte, e gli s'aventa; e 'l fère in fronte e nel medesmo segno tocca e ritocca, e 'l suo colpir non lenta, onde il re cade e con singulto orrendo la terra ove regnò morde morendo. 90 Poich'una scorta è lunge e l'altra uccisa, in color che restàr vario è l'affetto: alcun, di belva infuriata in guisa, disperato nel ferro urta co 'l petto; altri, temendo, di campar s'avisa, e là rifugge ov'ebbe pria ricetto. Ma tra' fuggenti il vincitor commisto entra, e fin pone al glorioso acquisto. 91 Presa è la rocca, e su per l'alte scale chi fugge è morto o 'n su le prime soglie; e nel sommo di lei Raimondo sale e ne la destra il gran vessillo toglie, e incontra a i due gran campi il trionfale segno de la vittoria al vento scioglie. Ma non già il guarda il fer Soldan che lunge è di là fatto ed a la pugna giunge. 92 Giunge in campagna tepida e vermiglia che d'ora in ora piú di sangue ondeggia, sí che il regno di morte omai somiglia ch'ivi i trionfi suoi spiega e passeggia. Vede un destrier che con pendente briglia, senza rettor, trascorso è fuor di greggia; gli gitta al fren la mano e 'l vòto dorso montando preme e poi lo spinge al corso. 93 Grande ma breve aita apportò questi a i saracini impauriti e lassi. Grande ma breve fulmine il diresti ch'inaspettato sopragiunga e passi, ma del suo corso momentaneo resti vestigio eterno in dirupati sassi. Cento ei n'uccise e piú, pur di due soli non fia che la memoria il tempo involi. 94 Gildippe ed Odoardo, i casi vostri duri ed acerbi e i fatti onesti e degni (se tanto lice a i miei toscani inchiostri) consacrerò fra' peregrini ingegni, sí ch'ogn'età quasi ben nati mostri di virtude e d'amor v'additi e segni, e co 'l suo pianto alcun servo d'Amore la morte vostra e le mie rime onore. 95 La magnanima donna il destrier volse dove le genti distruggea quel crudo, e di due gran fendenti a pieno il colse: ferigli il fianco e gli partí lo scudo. Grida il crudel, ch'a l'abito raccolse chi costei fosse: "Ecco la putta e 'l drudo: meglio per te s'avessi il fuso e l'ago, ch'in tua difesa aver la spada e 'l vago." 96 Qui tacque, e di furor piú che mai pieno drizzò percossa temeraria e fera ch'osò, rompendo ogn'arme, entrar nel seno che de' colpi d'Amor segno sol era. Ella, repente abbandonando il freno, sembiante fa d'uom che languisca e pèra; e ben se 'l vede il misero Odoardo, mal fortunato difensor, non tardo. 97 Che far dée nel gran caso? Ira e pietade a varie parti in un tempo l'affretta: questa a l'appoggio del suo ben che cade, quella a pigliar del percussor vendetta. Amore indifferente il persuade che non sia l'ira o la pietà negletta. Con la sinistra man corre al sostegno, l'altra ministra ei fa del suo disdegno. 98 Ma voler e poter che si divida bastar non può contra il pagan sí forte tal che non sostien lei, né l'omicida de la dolce alma sua conduce a morte. Anzi avien che 'l Soldano a lui recida il braccio, appoggio a la fedel consorte, onde cader lasciolla, ed egli presse le membra a lei con le sue membra stesse. 99 Come olmo a cui la pampinosa pianta cupida s'aviticchi e si marite, se ferro il tronca o turbine lo schianta trae seco a terra la compagna vite, ed egli stesso il verde onde s'ammanta le sfronda e pesta l'uve sue gradite, par che se 'n dolga, e piú che 'l proprio fato di lei gl'incresca che gli more a lato; 100 cosí cade egli, e sol di lei gli duole che 'l cielo eterna sua compagna fece. Vorrian formar né pòn formar parole, forman sospiri di parole in vece: l'un mira l'altro, e l'un pur come sòle si stringe a l'altro, mentre ancor ciò lece: e si cela in un punto ad ambi il die, e congiunte se 'n van l'anime pie. 101 Allor scioglie la Fama i vanni al volo, le lingue al grido, e 'l duro caso accerta; né pur n'ode Rinaldo il romor solo, ma d'un messaggio ancor nova piú certa. Sdegno, dover, benivolenza e duolo fan ch'a l'alta vendetta ei si converta, ma il sentier gli attraversa e fa contrasto su gli occhi del Soldano il grande Adrasto. 102 Gridava il re feroce: "A i segni noti tu sei pur quegli al fin ch'io cerco e bramo: scudo non è che non riguardi e noti, ed a nome tutt'oggi invan ti chiamo. Or solverò de la vendetta i voti co 'l tuo capo al mio nume. Omai facciamo di valor, di furor qui paragone, tu nemico d'Armida ed io campione." 103 Cosí lo sfida, e di percosse orrende pria su la tempia il fère, indi nel collo. L'elmo fatal (ché non si può) non fende, ma lo scote in arcion con piú d'un crollo. Rinaldo lui su 'l fianco in guisa offende che vana vi saria l'arte d'Apollo: cade l'uom smisurato, il rege invitto, e n'è l'onore ad un sol colpo ascritto. 104 Lo stupor, di spavento e d'orror misto, il sangue e i cori a i circostanti agghiaccia, e Soliman, ch'estranio colpo ha visto, nel cor si turba e impallidisce in faccia, e chiaramente il suo morir previsto, non si risolve e non sa quel che faccia; cosa insolita in lui, ma che non regge de gli affari qua giú l'eterna legge? 105 Come vede talor torbidi sogni ne' brevi sonni suoi l'egro o l'insano, pargli ch'al corso avidamente agogni stender le membra, e che s'affanni invano, ché ne' maggiori sforzi a' suoi bisogni non corrisponde il piè stanco e la mano, scioglier talor la lingua e parlar vòle, ma non seguon la voce o le parole; 106 cosí allora il Soldan vorria rapire pur se stesso a l'assalto e se ne sforza, ma non conosce in sé le solite ire, né sé conosce a la scemata forza. Quante scintille in lui sorgon d'ardire, tante un secreto suo terror n'ammorza: volgonsi nel suo cor diversi sensi, non che fuggir, non che ritrarsi pensi. 107 Giunge all'irresoluto il vincitore, e in arrivando (o che gli pare) avanza e di velocitade e di furore e di grandezza ogni mortal sembianza. Poco ripugna quel; pur mentre more, già non oblia la generosa usanza: non fugge i colpi e gemito non spande, né atto fa se non se altero e grande. 108 Poi che 'l Soldan, che spesso in lunga guerra quasi novello Anteo cadde e risorse piú fero ognora, al fin calcò la terra per giacer sempre, intorno il suon ne corse; e Fortuna, che varia e instabil erra, piú non osò por la vittoria in forse, ma fermò i giri, e sotto i duci stessi s'uní co' Franchi e militò con essi. 109 Fugge, non ch'altri, omai la regia schiera ov'è de l'Oriente accolto il nerbo. Già fu detta immortale, or vien che pèra ad onta di quel titolo superbo. Emireno a colui c'ha la bandiera tronca la fuga e parla in modo acerbo: "Or se' tu quel ch'a sostener gli eccelsi segni dei mio signor fra mille i' scelsi? 110 Rimedon, questa insegna a te non diedi acciò che indietro tu la riportassi. Dunque, codardo, il capitan tuo vedi in zuffa co' nemici, e solo il lassi? che brami? di salvarti? or meco riedi, ché per la strada presa a morte vassi. Combatta qui chi di campar desia: la via d'onor de la salute è via." 111 Riede in guerra colui ch'arde di scorno. Usa ei con gli altri poi sermon piú grave: talor minaccia e fère, onde ritorno fa contra il ferro chi del ferro pave. Cosí rintegra del fiaccato corno la miglior parte, e speme anco pur have. E Tisaferno piú ch'altri il rincora, ch'orma non torse per ritrarsi ancora. 112 Meraviglie quel dí fe' Tisaferno: i Normandi per lui furon disfatti, fe' di Fiammenghi strano empio governo, Gernier, Ruggier, Gherardo a morte ha tratti. Poi ch'a le mète de l'onor eterno la vita breve prolungò co' fatti, quasi di viver piú poco gli caglia, cerca il rischio maggior de la battaglia. 113 Vide ei Rinaldo; e benché omai vermigli gli azzurri suoi color sian divenuti, e insanguinati l'aquila gli artigli e 'l rostro s'abbia, i segni ha conosciuti. "Ecco" disse "i grandissimi perigli; qui prego il ciel che 'l mio ardimento aiuti, e veggia Armida il desiato scempio: Macon, s'io vinco, i' voto l'arme al tempio." 114 Cosí pregava, e le preghiere ír vòte. ché 'l sordo suo Macon nulla n'udiva. Qual il leon si sferza e si percote per isvegliar la ferità nativa, tale ei suoi sdegni desta, ed a la cote d'amor gli aguzza ed a le fiamme avviva. Tutte sue forze aduna e si ristringe sotto l'arme a l'assalto, e 'l destrier spinge. 115 Spinse il suo contra lui, che in atto scerse d'assalitore, il cavalier latino. Fe' lor gran piazza in mezzo e si converse a lo spettacol fero ogni vicino. Tante fur le percosse e sí diverse de l'italico eroe, del saracino, ch'altri per meraviglia obliò quasi l'ire e gli affetti propri e i propri casi. 116 Ma l'un percote sol; percote e impiaga l'altro, ch'ha maggior forza, armi piú ferme. Tisaferno di sangue il campo allaga, con l'elmo aperto e de lo scudo inerme. Mira del suo campion la bella maga rotti gli arnesi, e piú le membra inferme, e gli altri tutti impauriti in modo che frale omai gli stringe e debil nodo. 117 Già di tanti guerrier cinta e munita, or rimasa nel carro era soletta: teme di servitute, odia la vita, dispera la vittoria e la vendetta. Mezza tra furiosa e sbigottita scende, ed ascende un suo destriero in fretta; vassene e fugge, e van seco pur anco Sdegno ed Amor quasi due veltri al fianco. 118 Tal Cleopatra al secolo vetusto sola fuggia da la tenzon crudele lasciando incontra al fortunato Augusto ne' maritimi rischi il suo fedele, che per amor fatto a se stesso ingiusto tosto seguí le solitarie vele. E ben la fuga di costei secreta Tisaferno seguia, ma l'altro il vieta. 119 Al pagan, poi che sparve il suo conforto, sembra ch'insieme il giorno e 'l sol tramonte ed a lui che 'l ritiene a sí gran torto disperato si volge e 'l fiede in fronte. A fabricar il fulmine ritorto via piú leggier cade il martel di Bronte, e co 'l grave fendente in modo il carca che 'l percosso la testa al petto inarca. 120 Tosto Rinaldo si dirizza ed erge e vibra il ferro e, rotto il grosso usbergo, gli apre le coste e l'aspra punta immerge in mezzo 'l cor dove ha la vita albergo. Tanto oltra va che piaga doppia asperge quinci al pagano il petto e quindi il tergo, e largamente a l'anima fugace piú d'una via nel suo partir si face. 121 Allor si ferma a rimirar Rinaldo ove drizzi gli assalti, ove gli aiuti e de' pagan non vede ordine saldo, ma gli stendardi lor tutti caduti. Qui pon fine a le morti, e in lui quel caldo disdegno marzial par che s'attuti. Placido è fatto, e gli si reca a mente la donna che fuggia sola e dolente. 122 Ben rimirò la fuga; or da lui chiede pietà che n'abbia cura e cortesia, e gli sovien che si promise in fede suo cavalier quando da lei partia. Si drizza ov'ella fugge, ov'egli vede il piè del palafren segnar la via. Giunge ella intanto in chiusa opaca chiostra ch'a solitaria morte atta si mostra. 123 Piacquele assai che 'n quelle valli ombrose l'orme sue erranti il caso abbia condutte. Qui scese dal destriero e qui depose e l'arco e la faretra e l'armi tutte. "Armi infelici" disse "e vergognose, ch'usciste fuor de la battaglia asciutte, qui vi depongo; e qui sepolte state poiché l'ingiurie mie mal vendicate. 124 Ah! ma non fia che fra tant'armi e tante una di sangue oggi si bagni almeno? S'ogn'altro petto a voi par di diamante, osarete piagar feminil seno? In questo mio, che vi sta nudo avante, i pregi vostri e le vittorie sieno. Tenero a i colpi è questo mio: ben sallo Amor che mai non vi saetta in fallo. 125 Dimostratevi in me (ch'io vi perdono la passata viltà) forti ed acute. Misera Armida, in qual fortuna or sono, se sol da voi posso sperar salute? Poi ch'ogn'altro rimedio è in me non buono se non sol di ferute a le ferute, sani piaga di stral piaga d'amore, e sia la morte medicina al core. 126 Felice me, se nel morir non reco questa mia peste ad infettar l'inferno! Restine Amor; venga sol Sdegno or meco e sia de l'ombra mia compagno eterno, o ritorni con lui dal regno cieco a colui che di me fe' l'empio scherno, e se gli mostri tal che 'n fere notti abbia riposi orribili e 'nterrotti." 127 Qui tacque e, stabilito il suo pensiero, strale sceglieva il piú pungente e forte, quando giunse e mirolla il cavaliero tanto vicina a l'estrema sua sorte, già compostasi in atto atroce e fero, già tinta in viso di pallor di morte. Da tergo ei se le aventa e 'l braccio prende che già la fera punta al petto stende. 128 Si volse Armida e 'l rimirò improviso, ché no 'l sentí quando da prima ei venne: alzò le strida, e da l'amato viso torse le luci disdegnosa e svenne. Ella cadea, quasi fior mezzo inciso, piegando il lento collo; ei la sostenne, le fe' d'un braccio al bel fianco colonna e' ntanto al sen le rallentò la gonna, 129 e 'l bel volto e 'l bel seno a la meschina bagnò d'alcuna lagrima pietosa. Qual a pioggia d'argento e matutina si rabbellisce scolorita rosa, tal ella rivenendo alzò la china faccia, del non suo pianto or lagrimosa. Tre volte alzò le luci e tre chinolle dal caro oggetto, e rimirar no 'l volle. 130 E con man languidetta il forte braccio, ch'era sostegno suo, schiva respinse; tentò piú volte e non uscí d'impaccio, ché via piú stretta ei rilegolla e cinse. Al fin raccolta entro quel caro laccio, che le fu caro forse e se n'infinse, parlando incominciò di spander fiumi, senza mai dirizzargli al volto i lumi. 131 "O sempre, e quando parti e quando torni egualmente crudele, or chi ti guida? Gran meraviglia che 'l morir distorni e di vita cagion sia l'omicida. Tu di salvarmi cerchi? a quali scorni, a quali pene è riservata Armida? Conosco l'arti del fellone ignote, ma ben può nulla chi morir non pote. 132 Certo è scorno al tuo onor, se non s'addita incatenata al tuo trionfo inanti femina or presa a forza e pria tradita: quest'è 'l maggior de' titoli e de' vanti. Tempo fu ch'io ti chiesi e pace e vita, dolce or saria con morte uscir de' pianti; ma non la chiedo a te, ché non è cosa ch'essendo dono tuo non mi sia odiosa. 133 Per me stessa, crudel, spero sottrarmi a la tua feritade in alcun modo. E, s'a l'incatenata il tòsco e l'armi pur mancheranno e i precipizi e 'l nodo, veggio secure vie che tu vietarmi il morir non potresti, e 'l ciel ne lodo. Cessa omai da' tuoi vezzi. Ah! par ch'ei finga: deh, come le speranze egre lusinga!" 134 Cosí doleasi, e con le flebil onde, ch'amor e sdegno da' begli occhi stilla, l'affettuoso pianto egli confonde in cui pudica la pietà sfavilla; e con modi dolcissimi risponde: "Armida, il cor turbato omai tranquilla: non a gli scherni, al regno io ti riservo; nemico no, ma tuo campione e servo. 135 Mira ne gli occhi miei, s'al dir non vuoi fede prestar, de la mia fede il zelo. Nel soglio, ove regnàr gli avoli tuoi, riporti giuro; ed oh piacesse al Cielo ch'a la tua mente alcun de' raggi suoi del paganesmo dissolvesse il velo, com'io farei che 'n Oriente alcuna non t'agguagliasse di regal fortuna." 136 Sí parla e prega, e i preghi bagna e scalda or di lagrime rare, or di sospiri; onde sí come suol nevosa falda dov'arda il sole o tepid'aura spiri, cosí l'ira che 'n lei parea sí salda solvesi e restan sol gli altri desiri. "Ecco l'ancilla tua; d'essa a tuo senno dispon," gli disse "e le fia legge il cenno." 137 In questo mezzo il capitan d'Egitto a terra vede il suo regal stendardo, e vede a un colpo di Goffredo invitto cadere insieme Rimedon gagliardo e l'altro popol suo morto e sconfitto; né vuol nel duro fin parer codardo, ma va cercando (e non la cerca invano) illustre morte da famosa mano. 138 Contra il maggior Buglione il destrier punge, ché nemico veder non sa piú degno, e mostra, ove egli passa, ove egli giunge di valor disperato ultimo segno. Ma pria ch'arrivi a lui, grida da lunge: "Ecco, per le tue mani a morir vegno; ma tentarò ne la caduta estrema che la ruina mia ti colga e prema." 139 Cosí gli disse, e in un medesmo punto l'un verso l'altro per ferir si lancia. Rotto lo scudo, e disarmato e punto è 'l manco braccio al capitan di Francia; l'altro da lui con sí gran colpo è giunto sovra i confin de la sinistra guancia che ne stordisce in su la sella, e mentre risorger vuol, cade trafitto il ventre. 140 Morto il duce Emireno, omai sol resta picciol avanzo del gran campo, estinto. Segue i vinti Goffredo e poi s'arresta, ch'Altamor vede a piè di sangue tinto, con mezza spada e con mezzo elmo in testa da cento lancie ripercosso e cinto. Grida egli a' suoi: "Cessate; e tu, barone, renditi, io son Goffredo, a me prigione." 141 Colui che sino allor l'animo grande ad alcun atto d'umiltà non torse, ora ch'ode quel nome, onde si spande sí chiaro il suon da gli Etiòpi a l'Orse, gli risponde: "Farò quanto dimande, ché ne sei degno:" e l'arme in man gli porse "ma la vittoria tua sovra Altamoro né di gloria fia povera, né d'oro. 142 Me l'oro del mio regno e me le gemme ricompreran de la pietosa moglie." Replica a lui Goffredo: "Il ciel non diemme animo tal che di tesor s'invoglie. Ciò che ti vien da l'indiche maremme abbiti pure, e ciò che Persia accoglie, ché de la vita altrui prezzo non cerco: guerreggio in Asia, e non vi cambio o merco." 143 Tace, ed a' suoi custodi in cura dallo e segue il corso poi de' fuggitivi. Fuggon quegli a i ripari, ed intervallo da la morte trovar non ponno quivi. Preso è repente e pien di strage il vallo, corre di tenda in tenda il sangue in rivi, e vi macchia le prede e vi corrompe gli ornamenti barbarici e le pompe. 144 Cosí vince Goffredo, ed a lui tanto avanza ancor de la diurna luce ch'a la città già liberata, al santo ostel di Cristo i vincitor conduce. Né pur deposto il sanguinoso manto, viene al tempio con gli altri il sommo duce; e qui l'arme sospende, e qui devoto il gran Sepolcro adora e scioglie il voto.
🛒 ricerche / acquisti
cerca libri su Amazon sul tema: Tasso Torquato Tasso Gerusalemme liberata crociate e-book e-reader e-book reader ereader Kindle Kobo cultura libri on-line Gerusalemme liberata canti 18-19 e 20 .