Clemente Rebora - poesie scelte

Gesù il fedele

(II Natale)

Gesù, il Fedele, il Verace, è il Giudice
che prese a esprimere visibile
nel giorno del Santo Natale
l'inesprimìbile misericordia del Padre:
prese a raggiar malvisto nel voltò sublime
la bellezza divina e materna compiendo:
e nuovo incanto di beltà pervase
con intimo fremito l'universo
fra linee terrene presagio di Cielo
per educarci lassù, al Paradiso;
ma prima ancora la Bontà rifulse,
accese d'esser buono il gran tormento,
accese d'esser buono un vasto incendio
che a somiglianzà divina
cresce e arde per ogni cuore
in carità di Dio trasfigurato:      ,
cura d'una vita monda,
sete d'innocenza,
anelito di vergine scienza,
e devota attenzione presso il Bimbo,
attenzione devota al Fanciullo
fatto emblema d'ogni cosa pura,
sciolto problema d'ogni vita piena;
e infine salvifico effetto
sopra l'intero creato
a salvare già qui tutto l'uomo,
ciò che è nato nel mondo perituro
e portarlo sicuro al giudizio;
Gesù il Fedele,
il solo punto fermo nel moto dei tempi, in sterminata serie di eventi:
il solo Santo che non manca mai,
che trascende dove ci comprende
e si fa dono 'in cima ai nostri guai
e pareggia la grazia coi perdono:
vero Dio trasumanante
e a Deità aperto vero Uomo:
Egli, il Fedele per sempre,
Maestro vivente di Fede,
egli che viene a Natale in peccato
per meritarci in maestà di gloria,
continuo avvento al termine segnato:
se non'invano passiamo il breve tempo
come luce del Figlio Incarnato,
come frutti di dolce consiglio,
impegno amoroso di vita,
di vita dei singolo unanime nel segno,
vita raggiunta infinita,
in beata circolazione
dove l'impeto ta porta
che ineffabilmente ovunque va non ritorna,
ma In desìo del Padre universalmente procede,
nel fulgore del fuoco
tutti insieme gloriando
quali figli di Dio,
alleluiando ai Padre,
al Tìglio e allo Spìrito Santo
che universalmente procede,
tutti insieme in gioco giocondo festando
quali in gaudio rapiti figli di Dio
nell'impeto che procede
su per la multanime fiamma
di fratelli nella Mamma Celeste,
i Fratelli di Gesù il Fedele.

Stresa, il S. S. Nome di Maria, 1956. Per il S. Natale del 1956. Dal letto della Sua infermità.

Gira la trottola viva

Gira la trottola viva
sotto la sferza, mercé la sferza;
lasciata a sé giace priva,
stretta alla terra, odiando la terra;
fin che giace guarda il suolo;
ogni cosa è ferma,
e invidia il moto, insidia l'ignoto;
ma se poggia a un punto solo
mentre va s'impernia,
e scorge intorno vede d'intorno;
il cerchio massimo è in alto
se erige il capo, se regge il corpo;
nell'aria tersa è in risalto
se leva il corpo, se eleva il capo;
gira - e il mondo variopinto
fonde in sua bianchezza
tutti i contorni, tutti i colori;
gira, e il mondo disunito
fascia in sua purezza
con tutti i cuori per tutti i giorni;
vive la trottola e gira,
la sferza Iddio, la sferza è il tempo:
così la trottola aspira
dentro l'amore verso l'eterno.

Dall'imagine tesa

Dall'imagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza di attesa -
e non aspetto nessuno:
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono -
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso,
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

Notturno

Il sangue ferve per Gesù che affuoca.
Bruciamo! dico: e la parola è vuota.
Salvami tutto crocifisso (grido)
insanguinato di Te! Ma chiodo al muro,
in fìsiche miserie io son confitto.
La grazia di patir, morire oscuro,
polverizzato nell'amor di Cristo:
far da concime sotto la sua Vigna,
pavimento sul qua! si passa, e scorda,
pedaliera premuta onde profonda
sai fa voce dell'organo nel tempio -
e risultare infine inutil servo:
questo, Gesù, da me volesti; e vano
promisi, se poi le anime allontano.
Bello è l'offrir, quale il fiorire al fiore;
ma dal sognato vien diverso il fatto.
Padre, Padre che ancor quaggiù mi tieni,
fa che in me l'Ecce non si perda o scemi!
A non poter morire intanto muoio.
Il sangue brucia: Gesù mette fuoco;
se non giunge all'ardor, solo è bruciore.
Maria invoco, che del Fuoco è Fiamma;
pietosa in volto, sembra dica ferma: -
Penitenza, figliolo, penitenza:
prega in preghiera che non veda effetto:
offriti sempre, anche se invan l'offerta;
e mentre stai senza sorte certa,
umiliato, e come maledetto,
Dio in misericordia ti conferma.

Il carro vuoto

O carro vuoto sul binano morto,
ecco per te la merce rude d'urti
e tonfi. Gravido ora pesi
sui telai tesi;
ma nei ràntoli gonfi
si crolla fumida e viene
annusando con fascino orribile
la macchina ad aggiogarti.
Via del suo spazio assorto
all'aspro rullare d'acciaio
al trabalzante stridere dei freni,
incatenato nel gregge
per l'immutabile legge
del continuo-aperto cammino:
e trascinato tramandi
e irrigidito rattieni
le chiuse forze inespresse
su ruote vicine e rotaie
incongiungibili e oppresse,
sotto il ciel che balzano
nei labirinto dei giorni
nel bivio delle stagioni
contro la noia sguinzaglia l'eterno,
verso l'amore pertugia l'esteso,
e non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe,
mentre la terra gli chiede il suo verbo
e appassionata nel volere acerbo
paga col sangue, sola, la sua fede.

Musica

O musica, soave conoscenza,
tanto innaturi l'anima fin ch'ella
delle imagini vere la più bella
in sua voce ritrova e in sua movenza;
e come a noi perman l'intelligenza
se vada in labilsuono di favella,
armoniosa in te non si cancella
l'eterna verità mentre è parvenza.
Virtù ti crea che non par segreta,
ma il ritmo snuda l'amor che discende
dall'universo a rivelar la meta:
amor che nel cammino nostro accende
l'inconsapevol brama triste o lieta,
e in te, raggiunto il tempo, lo trascende.

Certezza del vero

Sciorinati giorni dispersi,
cenci all'aria insaziabile:
prementi ore senza uscita,
fanghiglia d'acqua sorgiva:
torpor d'attimi lascivi
fra lo spirito e il senso;
forsennato voler che a libertà
si lancia e ricade,
inseguita locusta tra sterpi;
e superbo disprezzo
e fatica e rimorso e vano intendere:
e rigirìo sul luogo come carte,
per invilire poi, fuggendoli lezzo,
la verità lontano in pigro scorno;
e ritorno, uguale ritorno
dell'indifferente vita,
mentr'echeggia la via
consueti fragori e nelle corti
s'amplian faccende in conosciute voci,
e bello intorno il mondo, par dileggio
all'inarrivabile gloria
al piacer che non so,
e immemore di me epico armeggio
verso conquiste ch'io non griderò.
- Oh-per l'umano divenir possente
certezza ineluttabile del vero,
ordisci, ordisci de' tuoi fili il panno
che saldamente nel tessuto è storia
e nel disegno eternamente è Dio:
ma così, cieco e ignavo,
tra morte e morte vii ritmo fuggente, anch'io
t'avrò fatto; anch'io.

La mia vita, il mio canto

L'egual vita diversa urge intorno;
cerco e non trovo e m'avvio
nell'incessante suo moto:
a secondarlo par uso o ventura,
ma dentro fa paura.
Perde, chi scruta,
l'irrevocabil presente;
né i melliflui abbandoni
né l'oblioso incanto
dell'ora il ferreo battito concede.
E quando per cingerti lo balzo
-' sirena del tempo -
un morso appéna e una ciocca ho di te:
o non ghermita fuggì, e senza grido
nei pensiero ti uccido
è nell'atto mi annego.
Se a me fusto è l'eterno,
fronda la storia e patria il fiore,
pur vorrei maturar da radice
la mia linfa nel vivido tutto'
e con alterno vigore felice
suggere il sole e prodigar il frutto;
vorrei palesasse il mio cuore
nei suo ritmo l'umano destino,
e che voi diveniste - veggente
passione del mondo,
bella gagliarda bontà -
l'aria di chi respira
mentre rinchiuso in sua fatica va.
Qui nasce, qui muore i! mio canto:
e parrà forse vano
accordo solitario;
ma tu che ascolti, recalo
al tuo bene e al tuo male;
e non ti sarà oscuro.