39. Nell'assemblea domenicale, come del resto in ogni Celebrazione
eucaristica, l'incontro col Risorto avviene mediante la partecipazione
alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita. La prima continua a
dare quell'intelligenza della storia della salvezza e, in particolare, del
mistero pasquale che lo stesso Gesù risorto procurò ai
discepoli: è lui che parla, presente com'è nella sua parola «
quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura ».(60) Nella seconda
si attua la reale, sostanziale e duratura presenza del Signore risorto
attraverso il memoriale della sua passione e della sua risurrezione, e
viene offerto quel pane di vita che è pegno della gloria futura. Il
Concilio Vaticano II ha ricordato che « la liturgia della parola e la
liturgia eucaristica sono congiunte tra di loro così strettamente
da formare un solo atto di culto ».(61) Lo stesso Concilio ha anche
stabilito che « la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli
con maggiore abbondanza, aprendo più largamente i tesori della
Bibbia ».(62) Ha poi ordinato che nelle Messe della domenica, come in
quelle delle feste di precetto, l'omelia non sia omessa se non per grave
causa.(63) Queste felici disposizioni hanno trovato fedele espressione
nella riforma liturgica, a proposito della quale Paolo VI, commentando la
più abbondante offerta di letture bibliche nelle domeniche e nei
giorni festivi, scriveva: « Tutto ciò è stato ordinato
in modo da far aumentare sempre più nei fedeli "quella fame di
ascoltare la parola del Signore" (
8, 11) che, sotto la
guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della nuova alleanza alla
perfetta unità della Chiesa ».(64)
40. A distanza di oltre trent'anni dal Concilio, mentre riflettiamo
sull'Eucaristia domenicale, è necessario verificare come la Parola
di Dio venga proclamata, nonché l'effettiva crescita, nel Popolo di
Dio, della conoscenza e dell'amore della Sacra Scrittura.(65) L'uno e
l'altro aspetto, quello della
celebrazione e quello dell'
esperienza
vissuta, stanno in intima relazione. Da una parte, la possibilità
offerta dal Concilio di proclamare la Parola di Dio nella lingua propria
della comunità partecipante deve portarci a sentire una «
nuova responsabilità » verso di essa, facendo risplendere, «
fin dal modo stesso di leggere o di cantare, il carattere peculiare del
testo sacro ».(66) Dall'altra, occorre che l'ascolto della Parola di
Dio proclamata sia ben preparato nell'animo dei fedeli da una conoscenza
appropriata della Scrittura e, ove pastoralmente possibile, da
specifiche
iniziative di approfondimento dei brani biblici, specie di quelli
delle Messe festive. Se infatti la lettura del testo sacro, compiuta in
spirito di preghiera e in docilità all'interpretazione
ecclesiale,(67) non anima abitualmente la vita dei singoli e delle
famiglie cristiane, è difficile che la sola proclamazione liturgica
della Parola di Dio possa portare i frutti sperati. Sono dunque molto
lodevoli quelle iniziative con cui le comunità parrocchiali,
attraverso il coinvolgimento di quanti partecipano all'Eucaristia
sacerdote, ministri e fedeli (68) preparano la liturgia domenicale
già nel corso della settimana, riflettendo in anticipo sulla Parola
di Dio che sarà proclamata. L'obiettivo a cui tendere è che
tutta la celebrazione, in quanto preghiera, ascolto, canto, e non solo
l'omelia, esprima in qualche modo il messaggio della liturgia domenicale,
così che esso possa incidere più efficacemente su quanti vi
prendono parte. Ovviamente molto è affidato alla responsabilità
di coloro che esercitano il ministero della Parola. Ad essi incombe il
dovere di preparare con particolare cura, nello studio del testo sacro e
nella preghiera, il commento alla parola del Signore, esprimendone
fedelmente i contenuti e attualizzandoli in rapporto agli interrogativi e
alla vita degli uomini del nostro tempo.
41. Occorre peraltro non dimenticare che
la proclamazione liturgica
della Parola di Dio, soprattutto nel contesto dell'assemblea
eucaristica, non è tanto un momento di meditazione e di catechesi,
ma
è il dialogo di Dio col suo popolo, dialogo in cui
vengono proclamate le meraviglie della salvezza e continuamente riproposte
le esigenze dell'Alleanza. Da parte sua, il Popolo di Dio si sente
chiamato a rispondere a questo dialogo di amore ringraziando e lodando, ma
al tempo stesso verificando la propria fedeltà nello sforzo di una
continua « conversione ». L'assemblea domenicale si impegna così
all'interiore rinnovamento delle promesse battesimali, che sono in qualche
modo implicite nella recita del Credo, e che la liturgia espressamente
prevede nella celebrazione della veglia pasquale o quando viene
amministrato il battesimo durante la Messa. In questo quadro, la
proclamazione della Parola nella Celebrazione eucaristica della domenica
acquista il tono solenne che già l'Antico Testamento prevedeva per
i momenti di rinnovamento dell'Alleanza, quando veniva proclamata la Legge
e la comunità di Israele era chiamata, come il popolo del deserto
ai piedi del Sinai (cfr
Es 19, 7-8; 24, 3.7), a ribadire il suo «
sì », rinnovando la scelta di fedeltà a Dio e di
adesione ai suoi precetti. Dio infatti, nel comunicare la sua Parola,
attende la nostra risposta: risposta che Cristo ha già dato per noi
con il suo « Amen » (cfr
2 Cor 1, 20-22), e che lo
Spirito Santo fa risuonare in noi in modo che ciò che si è
udito coinvolga profondamente la nostra vita.(69)
La mensa del Corpo di Cristo
42. La mensa della Parola sfocia naturalmente nella mensa del Pane
eucaristico e prepara la comunità a viverne le molteplici
dimensioni, che assumono nell'Eucaristia domenicale un carattere
particolarmente solenne. Nel tono festoso del convenire di tutta la
comunità nel « giorno del Signore », l'Eucaristia si
propone in modo più visibile che negli altri giorni come la grande «
azione di grazie », con cui la Chiesa, colma dello Spirito, si
rivolge al Padre, unendosi a Cristo e facendosi voce dell'intera umanità.
La scansione settimanale suggerisce di raccogliere in grata memoria gli
eventi dei giorni appena trascorsi, per rileggerli alla luce di Dio, e
rendergli grazie per i suoi innumerevoli doni, glorificandolo « per
Cristo, con Cristo e in Cristo, nell'unità dello Spirito Santo ».
La comunità cristiana prende così rinnovata coscienza del
fatto che tutte le cose sono state create per mezzo di Cristo (cfr
Col
1, 16;
Gv 1, 3) e in lui, venuto in forma di servo a condividere e
redimere la nostra condizione umana, esse sono state ricapitolate (cfr
Ef 1, 10), per essere offerte a Dio Padre, dal quale ogni cosa
prende origine e vita. Aderendo infine con il suo « Amen » alla
dossologia eucaristica, il Popolo di Dio si proietta nella fede e nella
speranza verso il traguardo escatologico, quando Cristo « consegnerà
il regno a Dio Padre [...] perché Dio sia tutto in tutti » (
1
Cor 15, 24.28).
43. Questo movimento « ascendente » è insito in ogni
celebrazione eucaristica e ne fa un evento gioioso, intriso di
riconoscenza e di speranza, ma è particolarmente sottolineato,
nella Messa domenicale, dalla sua speciale connessione con la memoria
della risurrezione. D'altra parte, la gioia « eucaristica » che
porta « in alto i nostri cuori » è frutto del «
movimento discendente » che Dio ha operato verso di noi, e che resta
perennemente inscritto nell'essenza sacrificale dell'Eucaristia, suprema
espressione e celebrazione del mistero della
kénosis, ossia
dell'abbassamento mediante il quale Cristo « umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce » (
Fil
2, 8).
La Messa infatti è
viva ripresentazione del sacrificio della
Croce. Sotto le specie del pane e del vino, su cui è stata
invocata l'effusione dello Spirito, operante con efficacia del tutto
singolare nelle parole della consacrazione, Cristo si offre al Padre nel
medesimo gesto di immolazione con cui si offrì sulla croce. «
In questo divino sacrificio che si compie nella Messa, è contenuto
e immolato in modo incruento lo stesso Cristo, che si offrì una
sola volta in modo cruento sull'altare della croce ».(70) Al suo
sacrificio Cristo unisce quello della Chiesa: « Nell'Eucaristia il
sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo
corpo. La vita dei fedeli, la loro lode, la loro sofferenza, la loro
preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua
offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo ».(71)
Questa partecipazione dell'intera comunità assume una particolare
evidenza nel convenire domenicale, che consente di portare all'altare la
settimana trascorsa con l'intero carico umano che l'ha segnata.
Convito pasquale e incontro fraterno
44. Questa coralità s'esprime poi specialmente nel carattere di
convito pasquale che è proprio dell'Eucaristia, nella quale Cristo
stesso si fa nutrimento. Infatti « a questo scopo Cristo affidò
alla Chiesa questo sacrificio: perché i fedeli partecipassero ad
esso, sia spiritualmente, con la fede e la carità, sia
sacramentalmente, con il banchetto della santa comunione. La
partecipazione alla cena del Signore è sempre comunione con il
Cristo, che si offre per noi in sacrificio al Padre ».(72) Per questo
la Chiesa raccomanda ai fedeli di fare la comunione quando partecipano
all'Eucaristia, purché siano nelle debite disposizioni e, se
consapevoli di peccati gravi, abbiano ricevuto il perdono di Dio nel
sacramento della Riconciliazione,(73) nello spirito di quanto san Paolo
ricordava alla comunità di Corinto (cfr
1 Cor 11, 27-32).
L'invito alla comunione eucaristica si fa particolarmente insistente, com'è
ovvio, in occasione della Messa in giorno di domenica e negli altri giorni
festivi.
E importante inoltre che si prenda coscienza viva di quanto la comunione
con Cristo sia profondamente legata alla comunione con i fratelli.
L'assemblea eucaristica domenicale è
un evento di fraternità,
che la celebrazione deve mettere bene in evidenza, pur nel rispetto dello
stile proprio dell'azione liturgica. A ciò contribuiscono il
servizio dell'accoglienza e il tono della preghiera, attenta ai bisogni
dell'intera comunità. Lo scambio del segno della pace,
significativamente posto nel Rito romano prima della comunione
eucaristica, è un gesto particolarmente espressivo, che i fedeli
sono invitati a fare come manifestazione del consenso dato dal popolo di
Dio a tutto ciò che si è compiuto nella celebrazione (74) e
dell'impegno di vicendevole amore che si assume partecipando all'unico
pane, nel ricordo dell'esigente parola di Cristo: « Se dunque
presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo
fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono
davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi
torna ad offrire il tuo dono » (
Mt 5, 23-24).
Dalla Messa alla « missione »
45. Ricevendo il Pane di vita, i discepoli di Cristo si dispongono ad
affrontare, con la forza del Risorto e del suo Spirito, i compiti che li
attendono nella loro vita ordinaria. In effetti, per il fedele che ha
compreso il senso di ciò che ha compiuto, la celebrazione
eucaristica non può esaurirsi all'interno del tempio. Come i primi
testimoni della risurrezione, i cristiani convocati ogni domenica per
vivere e confessare la presenza del Risorto sono chiamati a farsi nella
loro vita quotidiana
evangelizzatori e testimoni. L'orazione dopo
la comunione e il rito di conclusione benedizione e congedo
vanno, sotto questo profilo, riscoperti e meglio valorizzati, perché
quanti hanno partecipato all'Eucaristia sentano più profondamente
la responsabilità ad essi affidata. Dopo lo scioglimento
dell'assemblea, il discepolo di Cristo torna nel suo ambiente abituale con
l'impegno di fare di tutta la sua vita un dono, un sacrificio spirituale
gradito a Dio (cfr
Rm 12, 1). Egli si sente debitore verso i
fratelli di ciò che nella celebrazione ha ricevuto, non
diversamente dai discepoli di Emmaus i quali, dopo aver riconosciuto «
alla frazione del pane » il Cristo risuscitato (cfr
Lc 24,
30-32), avvertirono l'esigenza di andare subito a condividere con i loro
fratelli la gioia dell'incontro con il Signore (cfr
Lc 24, 33-35).
Il precetto domenicale
46. Essendo l'Eucaristia il vero cuore della domenica, si comprende
perché, fin dai primi secoli, i Pastori non abbiano cessato di
ricordare ai loro fedeli la necessità di partecipare all'assemblea
liturgica. « Lasciate tutto nel giorno del Signore dichiara
per esempio il trattato del IIIo secolo intitolato
Didascalia degli
Apostoli e correte con diligenza alla vostra assemblea, perché
è la vostra lode verso Dio. Altrimenti, quale scusa avranno presso
Dio quelli che non si riuniscono nel giorno del Signore per ascoltare la
parola di vita e nutrirsi dell'alimento divino che rimane eterno? ».(75)
L'appello dei Pastori ha generalmente incontrato nell'anima dei fedeli
un'adesione convinta e, se non sono mancati tempi e situazioni in cui è
calata la tensione ideale nell'adempimento di questo dovere, non si può
però non ricordare l'autentico eroismo con cui sacerdoti e fedeli
hanno ottemperato a quest'obbligo in tante situazioni di pericolo e di
restrizione della libertà religiosa, come è possibile
costatare dai primi secoli della Chiesa fino al nostro tempo.
San Giustino, nella sua prima Apologia indirizzata all'imperatore
Antonino e al Senato, poteva descrivere con fierezza la prassi cristiana
dell'assemblea domenicale, che riuniva insieme nello stesso luogo i
cristiani delle città e quelli delle campagne.(76) Quando, durante
la persecuzione di Diocleziano, le loro assemblee furono interdette con la
più grande severità, furono molti i coraggiosi che sfidarono
l'editto imperiale e accettarono la morte pur di non mancare alla
Eucaristia domenicale. E il caso di quei martiri di Abitine, in Africa
proconsolare, che risposero ai loro accusatori: « E senza alcun
timore che abbiamo celebrato la cena del Signore, perché non la si
può tralasciare; è la nostra legge »; « Noi non
possiamo stare senza la cena del Signore ». E una delle martiri
confessò: « Sì, sono andata all'assemblea e ho
celebrato la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono
cristiana ».(77)
47. Quest'obbligo di coscienza, fondato in una esigenza interiore che i
cristiani dei primi secoli sentivano con tanta forza, la Chiesa non ha
cessato di affermarlo, anche se dapprima non ha ritenuto necessario
prescriverlo. Solo più tardi, davanti alla tiepidezza o alla
negligenza di alcuni, ha dovuto esplicitare il dovere di partecipare alla
Messa domenicale: il più delle volte lo ha fatto sotto forma di
esortazioni, ma talvolta ha dovuto ricorrere anche a precise disposizioni
canoniche. E quanto ha fatto in diversi Concili particolari a partire dal
IV secolo (così nel Concilio di Elvira del 300, che non parla di
obbligo ma di conseguenze penali dopo tre assenze) (78) e soprattutto dal
VI secolo in poi (come è avvenuto nel Concilio di Agde del
506).(79) Questi decreti di Concili particolari sono sfociati in una
consuetudine universale di carattere obbligante, come cosa del tutto
ovvia.(80)
Il Codice di Diritto Canonico del 1917 per la prima volta raccoglieva la
tradizione in una legge universale.(81) L'attuale Codice la ribadisce,
dicendo che « la domenica e le altre feste di precetto, i fedeli sono
tenuti all'obbligo di partecipare alla Messa ».(82) Una tale legge è
stata normalmente intesa come implicante un obbligo grave: è quanto
insegna anche il Catechismo della Chiesa Cattolica,(83) e ben se ne
comprende il motivo, se si considera la rilevanza che la domenica ha per
la vita cristiana.
48. Oggi, come nei tempi eroici degli inizi, in molte regioni del mondo
si ripropongono situazioni difficili per tanti che intendono vivere con
coerenza la propria fede. L'ambiente è a volte dichiaratamente
ostile, altre volte e più spesso indifferente e
refrattario al messaggio evangelico. Il credente, se non vuole essere
sopraffatto, deve poter contare sul sostegno della comunità
cristiana. E perciò necessario che egli si convinca dell'importanza
decisiva che per la sua vita di fede ha il riunirsi la domenica con gli
altri fratelli per celebrare la Pasqua del Signore nel sacramento della
Nuova Alleanza. Spetta, poi, in modo particolare ai Vescovi di adoperarsi
« per far sì che la domenica venga da tutti i fedeli
riconosciuta, santificata e celebrata come vero "giorno del Signore",
nel quale la Chiesa si raduna per rinnovare la memoria del suo mistero
pasquale con l'ascolto della parola di Dio, con l'offerta del sacrificio
del Signore, con la santificazione del giorno mediante la preghiera, le
opere di carità e l'astensione dal lavoro ».(84)
49. E dal momento che per i fedeli partecipare alla Messa è un
obbligo, a meno che non abbiano un impedimento grave, ai Pastori s'impone
il corrispettivo dovere di offrire a tutti l'effettiva possibilità
di soddisfare al precetto. In questa linea si muovono le disposizioni del
diritto ecclesiastico, quali per esempio la facoltà per il
sacerdote, previa autorizzazione del Vescovo diocesano, di celebrare più
di una Messa di domenica e nei giorni festivi,(85) l'istituzione delle
Messe vespertine (86) ed infine l'indicazione secondo cui il tempo utile
per l'adempimento dell'obbligo comincia già il sabato sera, in
coincidenza con i primi Vespri della domenica.(87) Dal punto di vista
liturgico, infatti, il giorno festivo ha inizio con tali Vespri.(88)
Conseguentemente la liturgia della Messa detta talvolta « prefestiva »,
ma che in realtà è a tutti gli effetti « festiva »,
è quella della domenica, con l'impegno per il celebrante di tenere
l'omelia e di recitare con i fedeli la preghiera universale.
I pastori inoltre ricorderanno ai fedeli che, in caso di assenza dalla
loro residenza abituale in giorno di domenica, essi devono preoccuparsi di
partecipare alla Messa là dove si trovano, arricchendo così
la comunità del luogo con la loro testimonianza personale. Allo
stesso tempo, bisognerà che queste comunità esprimano un
caldo senso di accoglienza per i fratelli venuti da fuori, particolarmente
nei luoghi che attirano numerosi turisti e pellegrini, per i quali sarà
spesso necessario prevedere iniziative particolari di assistenza
religiosa.(89)
Celebrazione gioiosa e canora
50. Dato il carattere proprio della Messa domenicale e l'importanza che
essa riveste per la vita dei fedeli, è necessario prepararla con
speciale cura. Nelle forme suggerite dalla saggezza pastorale e dagli usi
locali in armonia con le norme liturgiche, bisogna assicurare alla
celebrazione quel carattere festoso che s'addice al giorno commemorativo
della Risurrezione del Signore. A tale scopo è importante dedicare
attenzione al canto dell'assemblea, poiché esso è
particolarmente adatto ad esprimere la gioia del cuore, sottolinea la
solennità e favorisce la condivisione dell'unica fede e del
medesimo amore. Ci si preoccupi pertanto della sua qualità, sia per
quanto riguarda i testi che le melodie, affinché quanto si propone
oggi di nuovo e creativo sia conforme alle disposizioni liturgiche e degno
di quella tradizione ecclesiale che vanta, in materia di musica sacra, un
patrimonio di inestimabile valore.
Celebrazione coinvolgente e partecipata
51. E necessario inoltre fare ogni sforzo perché tutti i presenti
ragazzi e adulti si sentano interessati, favorendo il loro
coinvolgimento in quelle espressioni di partecipazione che la liturgia
suggerisce e raccomanda.(90) Certo, spetta soltanto a quelli che
esercitano il sacerdozio ministeriale a servizio dei loro fratelli di
compiere il Sacrificio eucaristico e di offrirlo a Dio a nome dell'intero
popolo.(91) Ha qui il suo fondamento la distinzione, che è ben più
che disciplinare, tra il compito proprio del celebrante e quello che è
attribuito ai diaconi e ai fedeli non ordinati.(92) I fedeli tuttavia
devono essere consapevoli che, in virtù del sacerdozio comune
ricevuto nel battesimo, « concorrono ad offrire l'Eucaristia ».(93)
Pur nella distinzione dei ruoli, essi « offrono a Dio la vittima
divina e se stessi con essa. Offrendo il sacrificio e ricevendo la santa
comunione, prendono parte attivamente all'azione liturgica »,(94)
attingendovi luce e forza per vivere il loro sacerdozio battesimale con la
testimonianza di una vita santa.
Altri momenti della domenica cristiana
52. Se la partecipazione all'Eucaristia è il cuore della
domenica, sarebbe tuttavia limitativo ridurre solo ad essa il dovere di «
santificarla ». Il giorno del Signore è infatti vissuto bene,
se è tutto segnato dalla memoria grata ed operosa dei gesti
salvifici di Dio. Questo impegna ciascuno dei discepoli di Cristo a dare
anche agli altri momenti della giornata, vissuti al di fuori del contesto
liturgico vita di famiglia, relazioni sociali, occasioni di svago
uno stile che aiuti a far emergere la pace e la gioia del Risorto nel
tessuto ordinario della vita. Il più tranquillo ritrovarsi dei
genitori e dei figli può essere, ad esempio, occasione non solo per
aprirsi all'ascolto reciproco, ma anche per vivere insieme qualche momento
formativo e di maggior raccoglimento. E perché poi non mettere in
programma, anche nella vita laicale, quando è possibile, speciali
iniziative di preghiera quali, in particolare, la celebrazione
solenne dei Vespri , come pure eventuali
momenti di catechesi,
che nella vigilia della domenica o nel pomeriggio di essa preparino e
completino nell'animo cristiano il dono proprio dell'Eucaristia?
Questa forma abbastanza tradizionale di « santificazione della
domenica » è diventata forse, in molti ambienti, più
difficile; ma la Chiesa manifesta la sua fede nella forza del Risorto e
nella potenza dello Spirito Santo mostrando, oggi più che mai, di
non accontentarsi di proposte minimali o mediocri sul piano della fede, e
aiutando i cristiani a compiere quanto è più perfetto e
gradito al Signore. Del resto, accanto alle difficoltà, non mancano
segnali positivi ed incoraggianti. Grazie al dono dello Spirito, in molti
ambienti ecclesiali si avverte una nuova esigenza di preghiera nella
molteplicità delle sue forme. Vengono riscoperte anche espressioni
antiche della religiosità, come il pellegrinaggio, e spesso i
fedeli approfittano del riposo domenicale per recarsi in Santuari dove
vivere, magari con l'intera famiglia, qualche ora di più intensa
esperienza di fede. Sono momenti di grazia che occorre nutrire con una
adeguata evangelizzazione ed orientare con vera sapienza pastorale.
Assemblee domenicali in assenza del sacerdote
53. Resta il problema delle parrocchie per le quali non è
possibile godere del ministero di un sacerdote che celebri l'Eucaristia
domenicale. Ciò avviene spesso nelle giovani Chiese, dove un solo
sacerdote ha la responsabilità pastorale di fedeli dispersi su un
vasto territorio. Situazioni di emergenza possono verificarsi anche nei
Paesi di secolare tradizione cristiana, quando la rarefazione del clero
impedisce di assicurare la presenza del sacerdote in ogni comunità
parrocchiale. La Chiesa, considerando il caso di impossibilità
della celebrazione eucaristica, raccomanda la convocazione di assemblee
domenicali in assenza del sacerdote,(95) secondo le indicazioni e le
direttive date dalla Santa Sede e affidate, per la loro applicazione, alle
Conferenze Episcopali.(96) Tuttavia, l'obiettivo deve rimanere la
celebrazione del sacrificio della Messa, sola vera attuazione della Pasqua
del Signore, sola realizzazione completa dell'assemblea eucaristica che il
sacerdote presiede
in persona Christi, spezzando il pane della
Parola e quello dell'Eucaristia. Si prenderanno dunque, a livello
pastorale, tutte le misure necessarie perché i fedeli che ne sono
abitualmente privi possano beneficiarne il più spesso possibile,
sia favorendo la periodica presenza di un sacerdote, sia valorizzando
tutte le opportunità per organizzare il raduno in un luogo
centrale, accessibile a diversi gruppi lontani.
Trasmissioni radiofoniche e televisive
54. Infine, i fedeli che, a causa di malattia, infermità o per
qualche altra grave ragione, ne sono impediti, avranno a cuore di unirsi
da lontano nel modo migliore alla celebrazione della Messa domenicale,
preferibilmente con le letture e preghiere previste dal Messale per quel
giorno, come pure attraverso il desiderio dell'Eucaristia.(97) In molti
Paesi, la televisione e la radio offrono la possibilità di unirsi
ad una Celebrazione eucaristica nel momento in cui essa si svolge in un
luogo sacro.(98) Ovviamente questo genere di trasmissioni non permette in
sé di soddisfare al precetto domenicale, che esige la
partecipazione all'assemblea dei fratelli mediante la riunione in un
medesimo luogo e la conseguente possibilità della comunione
eucaristica. Ma per coloro che sono impediti dal partecipare
all'Eucaristia e sono perciò scusati dall'adempiere il precetto, la
trasmissione televisiva o radiofonica costituisce un aiuto prezioso,
soprattutto se integrato dal generoso servizio dei ministri straordinari
che portano l'Eucaristia ai malati, recando ad essi il saluto e la
solidarietà dell'intera comunità. In tal modo, anche per
questi cristiani, la Messa domenicale produce abbondanti frutti ed essi
possono vivere la domenica come vero « giorno del Signore » e «
giorno della Chiesa ».
CAPITOLO QUARTO
DIES HOMINIS
La domenica giorno di gioia,
riposo e solidarietà
La « gioia piena » di Cristo
55. « Sia benedetto Colui che ha elevato il grande giorno della
domenica sopra tutti i giorni. Il cielo e la terra, gli angeli e gli
uomini s'abbandonano alla gioia ».(99) Questi accenti della liturgia
maronita ben rappresentano le intense acclamazioni di gaudio che da
sempre, nella liturgia occidentale e in quella orientale, hanno
caratterizzato la domenica. Del resto, storicamente, prima ancora che come
giorno di riposo oltre tutto allora non previsto dal calendario
civile i cristiani vissero il giorno settimanale del Signore
risorto soprattutto come giorno di gioia. « Il primo giorno della
settimana, siate tutti lieti » si legge nella Didascalia degli
Apostoli. (100) E questo era ben sottolineato anche nella prassi
liturgica, attraverso la scelta di gesti appropriati. (101) Sant'Agostino,
facendosi interprete della diffusa coscienza ecclesiale, mette appunto in
evidenza tale carattere della Pasqua settimanale: « Si tralasciano i
digiuni e si prega stando in piedi come segno della risurrezione; per
questo inoltre tutte le domeniche si canta l'alleluia ». (102)
56. Al di là delle singole espressioni rituali, che possono
variare nel tempo secondo la disciplina ecclesiale, rimane il dato che la
domenica, eco settimanale della prima esperienza del Risorto, non può
non portare il segno della gioia con cui i discepoli accolsero il Maestro:
« I discepoli gioirono al vedere il Signore » (
Gv 20,
20). Si realizzava per loro, come poi si attuerà per tutte le
generazioni cristiane, la parola detta da Gesù prima della
passione: « Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà
in gioia » (
Gv 16, 20). Non aveva forse pregato egli stesso
perché i discepoli avessero « la pienezza della sua gioia »
(cfr
Gv 17, 13)? Il carattere festoso dell'Eucaristia domenicale
esprime la gioia che Cristo trasmette alla sua Chiesa attraverso il dono
dello Spirito. La gioia è appunto uno dei frutti dello Spirito
Santo (cfr
Rm 14, 17;
Gal 5, 22).
57. Per cogliere dunque in pienezza il senso della domenica, occorre
riscoprire questa dimensione dell'esistenza credente. Certamente, essa
deve caratterizzare tutta la vita, e non solo un giorno della settimana.
Ma la domenica, in forza del suo significato di
giorno del Signore
risorto, nel quale si celebra l'opera divina della creazione e della «
nuova creazione », è giorno di gioia a titolo speciale, anzi
giorno propizio per educarsi alla gioia, riscoprendone i tratti autentici
e le radici profonde. Essa non va infatti confusa con fatui sentimenti di
appagamento e di piacere, che inebriano la sensibilità e
l'affettività per un momento, lasciando poi il cuore
nell'insoddisfazione e magari nell'amarezza. Cristianamente intesa, è
qualcosa di molto più duraturo e consolante; sa resistere persino,
come attestano i santi, (103) alla notte oscura del dolore, e, in certo
senso, è una « virtù » da coltivare.
58. Non c'è tuttavia alcuna opposizione tra la gioia cristiana e
le vere gioie umane. Queste anzi vengono esaltate e trovano il loro
fondamento ultimo proprio nella gioia di Cristo glorificato (cfr
At
2, 24-31), immagine perfetta e rivelazione dell'uomo secondo il
disegno di Dio. Come scrisse nell'Esortazione sulla gioia cristiana il mio
venerato predecessore Paolo VI, « per essenza, la gioia cristiana è
partecipazione alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è
nel cuore di Gesù Cristo glorificato ». (104) E lo stesso
Pontefice concludeva la sua Esortazione chiedendo che, nel giorno del
Signore, la Chiesa testimoniasse fortemente la gioia provata dagli
Apostoli nel vedere il Signore la sera di Pasqua. Invitava pertanto i
Pastori ad insistere « sulla fedeltà dei battezzati a
celebrare nella gioia l'Eucaristia domenicale. Come potrebbero essi
trascurare questo incontro, questo banchetto che Cristo ci prepara nel suo
amore? Che la partecipazione ad esso sia insieme degnissima e gioiosa! E
il Cristo, crocifisso e glorificato, che passa in mezzo ai suoi discepoli,
per trascinarli insieme nel rinnovamento della sua risurrezione. E il
culmine, quaggiù, dell'alleanza d'amore tra Dio e il suo popolo:
segno e sorgente di gioia cristiana, tappa per la festa eterna ».
(105) In questa prospettiva di fede, la domenica cristiana è un
autentico « far festa », un giorno da Dio donato all'uomo per la
sua piena crescita umana e spirituale.
Il compimento del sabato
59. Questo aspetto della domenica cristiana ne evidenzia in modo
speciale la dimensione di compimento del sabato veterotestamentario. Nel
giorno del Signore, che l'Antico Testamento, come s'è detto, lega
all'opera della creazione (cfr
Gn 2, 1-3;
Es 20, 8-11) e
dell'Esodo (cfr
Dt 5, 12-15), il cristiano è chiamato ad
annunciare la nuova creazione e la nuova alleanza compiute nel mistero
pasquale di Cristo. La celebrazione della creazione, lungi dall'essere
annullata, è approfondita in prospettiva cristocentrica, ossia alla
luce del disegno divino « di ricapitolare in Cristo tutte le cose,
quelle del cielo come quelle della terra » (
Ef 1, 10). A sua
volta, è dato senso pieno anche al memoriale della liberazione
compiuta nell'Esodo, che diventa memoriale dell'universale redenzione
compiuta da Cristo morto e risorto. La domenica, pertanto, più che
una « sostituzione » del sabato, è la sua realizzazione
compiuta, e in certo senso la sua espansione e la sua piena espressione,
in ordine al cammino della storia della salvezza, che ha il suo culmine in
Cristo.
60. In quest'ottica la teologia biblica dello « shabbat »,
senza recare pregiudizio al carattere cristiano della domenica, può
essere pienamente recuperata. Essa ci riconduce sempre nuovamente e con
stupore mai attenuato a quel misterioso inizio, in cui l'eterna Parola di
Dio, con libera decisione d'amore, trasse dal nulla il mondo. Sigillo
dell'opera creatrice fu la benedizione e consacrazione del giorno in cui
Dio cessò « da ogni lavoro che egli creando aveva fatto »
(
Gn 2, 3). Da questo giorno del riposo di Dio prende senso il
tempo, assumendo, nella successione delle settimane, non soltanto un ritmo
cronologico, ma, per così dire, un respiro teologico. Il costante
ritorno dello « shabbat » sottrae infatti il tempo al rischio
del ripiegamento su di sé, perché resti aperto all'orizzonte
dell'eterno, attraverso l'accoglienza di Dio e dei suoi
kairoì,
ossia dei tempi della sua grazia e dei suoi interventi di salvezza.
61. Lo « shabbat », il giorno settimo benedetto e consacrato
da Dio, mentre chiude l'intera opera della creazione, si lega
immediatamente all'opera del sesto giorno, in cui Dio fece l'uomo « a
sua immagine e somiglianza » (cfr
Gn 1, 26). Questa relazione
più immediata tra il « giorno di Dio » e il « giorno
dell'uomo » non sfuggì ai Padri nella loro meditazione sul
racconto biblico della creazione. Dice a tal proposito Ambrogio: «
Grazie dunque al Signore Dio nostro che fece un'opera ove egli potesse
trovare riposo. Fece il cielo, ma non leggo che ivi abbia riposato; fece
le stelle, la luna, il sole, e neppure qui leggo che abbia in essi
riposato. Leggo invece che fece l'uomo e che allora si riposò,
avendo in lui uno al quale poteva perdonare i peccati ». (106) Il «
giorno di Dio » avrà così per sempre un collegamento
diretto con il « giorno dell'uomo ». Quando il comandamento di
Dio recita: « Ricordati del giorno di sabato per santificarlo »
(
Es 20, 8), la sosta comandata per onorare il giorno a lui
dedicato non è affatto, per l'uomo, un'imposizione onerosa, ma
piuttosto un aiuto perché egli avverta la sua vitale e liberante
dipendenza dal Creatore, e insieme la vocazione a collaborare alla sua
opera e ad accogliere la sua grazia. Onorando il « riposo » di
Dio, l'uomo ritrova pienamente se stesso, e così il giorno del
Signore si manifesta profondamente segnato dalla benedizione divina (cfr
Gn 2, 3) e si direbbe dotato, in forza di essa, al pari degli
animali e degli uomini (cfr
Gn 1, 22.28), di una sorta di «
fecondità ». Essa si esprime soprattutto nel ravvivare e, in
certo senso, « moltiplicare » il tempo stesso, accrescendo
nell'uomo, col ricordo del Dio vivente, la gioia di vivere e il desiderio
di promuovere e donare la vita.
62. Il cristiano dovrà allora ricordare che, se per lui sono
cadute le modalità del sabato giudaico, superate dal «
compimento » domenicale, restano validi i motivi di fondo che
impongono la santificazione del « giorno del Signore », fissati
nella solennità del Decalogo, ma da rileggere alla luce della
teologia e della spiritualità della domenica: « Osserva il
giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha
comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno
è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né
tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo,
né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né
alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue
porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te.
Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo
Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò
il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato » (
Dt
5, 12-15). L'osservanza del sabato appare qui intimamente legata all'opera
di liberazione compiuta da Dio per il suo popolo.
63. Cristo è venuto a realizzare un nuovo « esodo », a
rendere la libertà agli oppressi. Egli ha operato molte guarigioni
il giorno di sabato (cfr
Mt 12, 9-14 e paralleli), non certo per
violare il giorno del Signore, ma per realizzarne il pieno significato: «
Il sabato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo per il sabato »
(
Mc 2, 27). Opponendosi all'interpretazione troppo legalistica di
alcuni suoi contemporanei, e sviluppando l'autentico senso del sabato
biblico, Gesù, « Signore del sabato » (
Mc 2, 28),
riconduce l'osservanza di questo giorno al suo carattere liberante, posto
insieme a salvaguardia dei diritti di Dio e dei diritti dell'uomo. Si
comprende così perché i cristiani, annunciatori della
liberazione compiuta nel sangue di Cristo, si sentissero autorizzati a
trasporre il senso del sabato nel giorno della risurrezione. La Pasqua di
Cristo ha infatti liberato l'uomo da una schiavitù ben più
radicale di quella gravante su un popolo oppresso: la schiavitù del
peccato, che allontana l'uomo da Dio, lo allontana anche da se stesso e
dagli altri, ponendo nella storia sempre nuovi germi di cattiveria e di
violenza.
Il giorno del riposo
64. Per alcuni secoli i cristiani vissero la domenica solo come giorno
del culto, senza potervi annettere anche il significato specifico del
riposo sabbatico. Solo nel IV secolo, la legge civile dell'Impero Romano
riconobbe il ritmo settimanale, facendo in modo che nel « giorno del
sole » i giudici, le popolazioni delle città e le corporazioni
dei vari mestieri cessassero di lavorare. (107) I cristiani si
rallegrarono di veder così tolti gli ostacoli che fino ad allora
avevano reso talvolta eroica l'osservanza del giorno del Signore. Essi
potevano ormai dedicarsi alla preghiera comune senza impedimenti. (108)
Sarebbe quindi un errore vedere nella legislazione rispettosa del ritmo
settimanale una semplice circostanza storica senza valore per la Chiesa e
che essa potrebbe abbandonare. I Concili non hanno cessato di conservare,
anche dopo la fine dell'Impero, le disposizioni relative al riposo
festivo. Nei Paesi poi dove i cristiani sono in piccolo numero e dove i
giorni festivi del calendario non corrispondono alla domenica,
quest'ultima rimane pur sempre il giorno del Signore, il giorno in cui i
fedeli si riuniscono per l'assemblea eucaristica. Ciò però
avviene a prezzo di non piccoli sacrifici. Per i cristiani non è
normale che la domenica, giorno di festa e di gioia, non sia anche giorno
di riposo e resta comunque per essi difficile « santificare » la
domenica, non disponendo di un tempo libero sufficiente.
65. D'altra parte, il legame tra il giorno del Signore e il giorno del
riposo nella società civile ha una importanza e un significato che
vanno al di là della prospettiva propriamente cristiana.
L'alternanza infatti tra lavoro e riposo, inscritta nella natura umana, è
voluta da Dio stesso, come si rileva dal brano della creazione nel Libro
della Genesi (cfr 2, 2-3;
Es 20, 8-11): il riposo è cosa «
sacra », essendo per l'uomo la condizione per sottrarsi al ciclo,
talvolta eccessivamente assorbente, degli impegni terreni e riprendere
coscienza che tutto è opera di Dio. Il potere prodigioso che Dio dà
all'uomo sulla creazione rischierebbe di fargli dimenticare che Dio è
il Creatore, dal quale tutto dipende. Tanto più urgente è
questo riconoscimento nella nostra epoca, nella quale la scienza e la
tecnica hanno incredibilmente esteso il potere che l'uomo esercita
attraverso il suo lavoro.
66. Infine, non bisogna perdere di vista che, anche nel nostro tempo,
per molti il lavoro è una dura servitù, sia in ragione delle
miserevoli condizioni in cui si svolge e degli orari che impone, specie
nelle regioni più povere del mondo, sia perché sussistono,
nelle stesse società economicamente più evolute, troppi casi
di ingiustizia e di sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Quando la
Chiesa nel corso dei secoli ha legiferato sul riposo domenicale, (109) ha
considerato soprattutto il lavoro dei servi e degli operai, non certo
perché esso fosse un lavoro meno dignitoso rispetto alle esigenze
spirituali della pratica domenicale, ma piuttosto perché più
bisognoso di una regolamentazione che ne alleggerisse il peso, e
consentisse a tutti di santificare il giorno del Signore. In questa chiave
il mio predecessore Leone XIII nell'Enciclica
Rerum novarum
additava il riposo festivo come un diritto del lavoratore che lo Stato
deve garantire. (110)
Resta anche nel nostro contesto storico l'obbligo di adoperarsi perché
tutti possano conoscere la libertà, il riposo e la distensione che
sono necessari alla loro dignità di uomini, con le connesse
esigenze religiose, familiari, culturali, interpersonali, che
difficilmente possono essere soddisfatte, se non viene salvaguardato
almeno un giorno settimanale in cui godere
insieme della
possibilità di riposare e di far festa. Ovviamente, questo diritto
del lavoratore al riposo presuppone il suo diritto al lavoro e, mentre
riflettiamo su questa problematica connessa con la concezione cristiana
della domenica, non possiamo non ricordare con intima partecipazione il
disagio di tanti uomini e donne che, per la mancanza di posti di lavoro,
sono costretti anche nei giorni lavorativi all'inattività.
67. Attraverso il riposo domenicale, le preoccupazioni e i compiti
quotidiani possono ritrovare la loro giusta dimensione: le cose materiali
per le quali ci agitiamo lasciano posto ai valori dello spirito; le
persone con le quali viviamo riprendono, nell'incontro e nel dialogo più
pacato, il loro vero volto. Le stesse bellezze della natura troppe
volte sciupate da una logica di dominio che si ritorce contro l'uomo
possono essere riscoperte e profondamente gustate. Giorno di pace
dell'uomo con Dio, con se stesso e con i propri simili, la domenica
diviene così anche momento in cui l'uomo è invitato a
gettare uno sguardo rigenerato sulle meraviglie della natura, lasciandosi
coinvolgere in quella stupenda e misteriosa armonia che, al dire di
sant'Ambrogio, per una « legge inviolabile di concordia e di amore »,
unisce i diversi elementi del cosmo in un « vincolo di unione e di
pace ». (111) L'uomo si fa allora più consapevole, secondo le
parole dell'Apostolo, che « tutto ciò che è stato
creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si
prende con rendimento di grazie, perché esso viene santificato
dalla parola di Dio e dalla preghiera » (
1 Tm 4, 4-5). Se
dunque, dopo sei giorni di lavoro ridotti in verità già
per molti a cinque l'uomo cerca un tempo di distensione e di
migliore cura di altri aspetti della propria vita, ciò risponde ad
un bisogno autentico, in piena armonia con la prospettiva del messaggio
evangelico. Il credente è chiamato perciò a soddisfare
questa esigenza, armonizzandola con le espressioni della sua fede
personale e comunitaria, manifestata nella celebrazione e santificazione
del giorno del Signore.
Per questo è naturale che i cristiani si adoperino perché,
anche nelle circostanze speciali del nostro tempo, la legislazione civile
tenga conto del loro dovere di santificare la domenica. E comunque un loro
obbligo di coscienza quello di organizzare il riposo domenicale in modo
che sia loro possibile partecipare all'Eucaristia, astenendosi dai lavori
ed affari incompatibili con la santificazione del giorno del Signore, con
la sua tipica gioia e con il necessario riposo dello spirito e del corpo.
(112)
68. Dato poi che il riposo stesso, per non risolversi in vacuità
o divenire fonte di noia, deve portare arricchimento spirituale, più
grande libertà, possibilità di contemplazione e di comunione
fraterna, i fedeli sceglieranno, tra i mezzi della cultura e i
divertimenti che la società offre, quelli che si accordano meglio
con una vita conforme ai precetti del Vangelo. In questa prospettiva, il
riposo domenicale e festivo acquista una dimensione « profetica »,
affermando non solo il primato assoluto di Dio, ma anche il primato e la
dignità della persona rispetto alle esigenze della vita sociale ed
economica, e anticipando in certo modo i « cieli nuovi » e la «
terra nuova », dove la liberazione dalla schiavitù dei bisogni
sarà definitiva e totale. In breve, il giorno del Signore diventa
così, nel modo più autentico, anche il
giorno dell'uomo.
Giorno di solidarietà
69. La domenica deve anche dare ai fedeli l'occasione di dedicarsi alle
attività di misericordia, di carità e di apostolato. La
partecipazione interiore alla gioia di Cristo risorto implica la
condivisione piena dell'amore che pulsa nel suo cuore: non c'è
gioia senza amore! Gesù stesso lo spiega, ponendo in rapporto il «
comandamento nuovo » con il dono della gioia: « Se osserverete i
miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto
perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena. Questo
è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi
ho amati » (
Gv 15, 10-12).
L'Eucaristia domenicale, dunque, non solo non distoglie dai doveri di
carità, ma al contrario impegna maggiormente i fedeli « a
tutte le opere di carità, di pietà, di apostolato,
attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non sono di
questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre
dinanzi agli uomini ». (113)
70. Di fatto, fin dai tempi apostolici, la riunione domenicale è
stata per i cristiani un momento di condivisione fraterna nei confronti
dei più poveri. « Ogni primo giorno della settimana ciascuno
metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare »
(
1 Cor 16, 2). Qui si tratta della colletta organizzata da Paolo
per le Chiese povere della Giudea: nell'Eucaristia domenicale il cuore
credente si allarga alle dimensioni della Chiesa. Ma occorre cogliere in
profondità l'invito dell'Apostolo, che lungi dal promuovere
un'angusta mentalità dell'« obolo », fa piuttosto appello
a una esigente
cultura della condivisione, attuata sia tra i
membri stessi della comunità che in rapporto all'intera società.
(114) Sono più che mai da riascoltare i severi moniti che egli
rivolge alla comunità di Corinto, colpevole di aver umiliato i
poveri nell'agape fraterna che accompagnava la « cena del Signore »:
« Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più
un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando partecipa alla
cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è
ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete
gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e far vergognare chi non ha
niente? » (
1 Cor 11, 20-22). Altrettanto vigorosa è la
parola di Giacomo: « Supponiamo che entri in una vostra adunanza
qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, e entri
anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è
vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente"
e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure "Siediti
qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e
non siete giudici dai giudizi perversi? » (2, 2-4).
71. Le indicazioni degli Apostoli trovarono pronta eco fin dai primi
secoli e suscitarono vibrati accenti nella predicazione dei Padri della
Chiesa. Parole di fuoco rivolgeva sant'Ambrogio ai ricchi che presumevano
di assolvere ai loro obblighi religiosi frequentando la chiesa senza
condividere i loro beni con i poveri e magari opprimendoli: «
Ascolti, o ricco, cosa dice il Signore? E tu vieni in chiesa non per dare
qualcosa a chi è povero ma per prendere ». (115) Non meno
esigente san Giovanni Crisostomo: « Vuoi onorare il corpo di Cristo?
Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio
con stoffe di seta, per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità.
Colui che ha detto: "Questo è il mio corpo", è il
medesimo che ha detto: "Voi mi avete visto affamato e non mi avete
nutrito", e "Quello che avete fatto al più piccolo dei
miei fratelli l'avete fatto a me" [...]. A che serve che la tavola
eucaristica sia sovraccarica di calici d'oro, quando lui muore di fame?
Comincia a saziare lui affamato, poi con quello che resterà potrai
ornare anche l'altare ». (116)
Sono parole che ricordano efficacemente alla comunità cristiana
il dovere di fare dell'Eucaristia il luogo dove la fraternità
diventi concreta solidarietà, dove gli ultimi siano i primi nella
considerazione e nell'affetto dei fratelli, dove Cristo stesso, attraverso
il dono generoso fatto dai ricchi ai più poveri, possa in qualche
modo continuare nel tempo il miracolo della moltiplicazione dei pani.
(117)
72. L'Eucaristia è evento e progetto di fraternità. Dalla
Messa domenicale parte un'onda di carità, destinata ad espandersi
in tutta la vita dei fedeli, iniziando ad animare il modo stesso di vivere
il resto della domenica. Se essa è giorno di gioia, occorre che il
cristiano dica con i suoi concreti atteggiamenti che non si può
essere felici « da soli ». Egli si guarda attorno, per
individuare le persone che possono aver bisogno della sua solidarietà.
Può accadere che nel suo vicinato o nel suo raggio di conoscenze vi
siano ammalati, anziani, bambini, immigrati che proprio di domenica
avvertono in modo ancora più cocente la loro solitudine, le loro
necessità, la loro condizione di sofferenza. Certamente l'impegno
per loro non può limitarsi ad una sporadica iniziativa domenicale.
Ma posto un atteggiamento di impegno più globale, perché non
dare al giorno del Signore un maggior tono di condivisione, attivando
tutta l'inventiva di cui è capace la carità cristiana?
Invitare a tavola con sé qualche persona sola, fare visita a degli
ammalati, procurare da mangiare a qualche famiglia bisognosa, dedicare
qualche ora a specifiche iniziative di volontariato e di solidarietà,
sarebbe certamente un modo per portare nella vita la carità di
Cristo attinta alla Mensa eucaristica.
73. Vissuta così, non solo l'Eucaristia domenicale, ma l'intera
domenica diventa una grande scuola di carità, di giustizia e di
pace. La presenza del Risorto in mezzo ai suoi si fa progetto di
solidarietà, urgenza di rinnovamento interiore, spinta a cambiare
le strutture di peccato in cui i singoli, le comunità, talvolta i
popoli interi sono irretiti. Lungi dall'essere evasione, la domenica
cristiana è piuttosto « profezia » inscritta nel tempo,
profezia che obbliga i credenti a seguire le orme di Colui che è
venuto « per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare
ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in
libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore »
(
Lc 4, 18-19). Mettendosi alla sua scuola, nella memoria
domenicale della Pasqua, e ricordando la sua promessa: « Vi lascio la
pace, vi dò la mia pace » (
Gv 14, 27), il credente
diventa a sua volta
operatore di pace.
CAPITOLO QUINTO
DIES DIERUM
La domenica festa primordiale,
rivelatrice del senso del tempo
Cristo Alfa e Omega del tempo
74. « Nel cristianesimo il tempo ha un'importanza fondamentale.
Dentro la sua dimensione viene creato il mondo, al suo interno si svolge
la storia della salvezza, che ha il suo culmine nella "pienezza del
tempo" dell'Incarnazione e il suo traguardo nel ritorno glorioso del
Figlio di Dio alla fine dei tempi. In Gesù Cristo, Verbo incarnato,
il tempo diventa una dimensione di Dio, che in se stesso è eterno ».
(118)
Gli anni dell'esistenza terrena di Cristo, alla luce del Nuovo
Testamento, costituiscono realmente il
centro del tempo. Questo
centro ha il suo culmine nella risurrezione. Se è vero, infatti,
che egli è Dio fatto uomo fin dal primo istante del concepimento
nel grembo della Vergine Santa, è anche vero che solo con la
risurrezione la sua umanità è totalmente trasfigurata e
glorificata, rivelando così pienamente la sua identità e
gloria divina. Nel discorso tenuto nella sinagoga di Antiochia di Pisidia
(cfr
At 13, 33), Paolo applica appunto alla risurrezione di Cristo
l'affermazione del Salmo 2: « Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato »
(v. 7). Proprio per questo, nella celebrazione della Veglia pasquale, la
Chiesa presenta il Cristo risorto come « Principio e Fine, Alfa e
Omega ». Queste parole, pronunciate dal celebrante nella preparazione
del cero pasquale, sul quale è incisa la cifra dell'anno in corso,
mettono in evidenza il fatto che « Cristo è il Signore del
tempo; è il suo principio e il suo compimento; ogni anno, ogni
giorno ed ogni momento vengono abbracciati nella sua incarnazione e
risurrezione, per ritrovarsi in questo modo nella "pienezza del tempo"
». (119)
75. Essendo la domenica la Pasqua settimanale, in cui è rievocato
e reso presente il giorno nel quale Cristo risuscitò dai morti,
essa è anche il giorno che rivela il senso del tempo. Non c'è
parentela con i cicli cosmici, secondo cui la religione naturale e la
cultura umana tendono a ritmare il tempo, indulgendo magari al mito
dell'eterno ritorno. La domenica cristiana è altra cosa! Sgorgando
dalla Risurrezione, essa fende i tempi dell'uomo, i mesi, gli anni, i
secoli, come una freccia direzionale che li attraversa orientandoli al
traguardo della seconda venuta di Cristo. La domenica prefigura il giorno
finale, quello della
Parusía, già in qualche modo
anticipata dalla gloria di Cristo nell'evento della Risurrezione.
In effetti, tutto quanto avverrà, fino alla fine del mondo, non
sarà che una espansione e una esplicitazione di ciò che è
avvenuto nel giorno in cui il corpo martoriato del Crocifisso è
risuscitato per la potenza dello Spirito ed è diventato a sua volta
la sorgente dello Spirito per l'umanità. Il cristiano sa, perciò,
di non dover attendere un altro tempo di salvezza, giacché il
mondo, quale che sia la sua durata cronologica, vive già nell'
ultimo
tempo. Dal Cristo glorificato non solo la Chiesa, ma il cosmo stesso e
la storia sono continuamente retti e guidati. E questa energia di vita a
spingere la creazione, che « geme e soffre fino ad oggi nelle doglie
del parto » (
Rm 8, 22), verso la meta del suo pieno riscatto.
Di questo cammino l'uomo non può avere che un oscuro intuito; i
cristiani ne hanno la cifra e la certezza, e la santificazione della
domenica è una testimonianza significativa che essi sono chiamati a
dare, perché i tempi dell'uomo siano sempre sorretti dalla
speranza.
La domenica nell'anno liturgico
76. Se il giorno del Signore, con la sua cadenza settimanale, è
radicato nella tradizione più antica della Chiesa ed è di
vitale importanza per il cristiano, un altro ritmo non ha tardato ad
affermarsi: il ciclo annuale. Corrisponde in effetti alla psicologia umana
celebrare gli anniversari, associando al ritorno delle date e delle
stagioni il ricordo di avvenimenti passati. Quando poi si tratta di
avvenimenti decisivi per la vita di un popolo, è normale che la
loro ricorrenza susciti un clima di festa che viene a rompere la monotonia
dei giorni.
Ora i principali eventi di salvezza su cui poggia la vita della Chiesa
furono, per disegno di Dio, strettamente legati alla Pasqua e alla
Pentecoste, feste annuali dei giudei, e in esse profeticamente
prefigurati. Dal secondo secolo, la celebrazione da parte dei cristiani
della Pasqua annuale, aggiungendosi a quella della Pasqua settimanale, ha
permesso di dare più ampiezza alla meditazione del mistero di
Cristo morto e risorto. Preceduta da un digiuno che la prepara, celebrata
nel corso di una lunga veglia, prolungata con i cinquanta giorni che
portano alla Pentecoste, la festa di Pasqua, « solennità delle
solennità », è divenuta il giorno per eccellenza
dell'iniziazione dei catecumeni. In effetti, se attraverso il battesimo
essi muoiono al peccato e risuscitano a una vita nuova, è perché
Gesù « è stato messo a morte per i nostri peccati ed è
stato risuscitato per la nostra giustificazione » (
Rm 4, 25;
cfr 6, 3-11). Intimamente connessa col mistero pasquale, acquista rilievo
speciale la solennità di Pentecoste, in cui si celebrano la venuta
dello Spirito Santo sugli Apostoli, riuniti con Maria, e l'inizio della
missione verso tutti i popoli. (120)
77. Una simile logica commemorativa ha presieduto alla strutturazione di
tutto l'anno liturgico. Come ricorda il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha
voluto distribuire nel corso dell'anno « tutto il mistero di Cristo,
dall'Incarnazione e Natività fino all'Ascensione, al giorno di
Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore.
Ricordando in questo modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli
i tesori di potenza e di meriti del suo Signore, così che siano
resi in qualche modo presenti in ogni tempo, perché i fedeli
possano venirne a contatto ed essere ripieni della grazia di salvezza ».
(121)
Celebrazione solennissima, dopo la Pasqua e la Pentecoste, è
indubbiamente la Natività del Signore, nella quale i cristiani
meditano il mistero dell'Incarnazione e contemplano il Verbo di Dio che si
degna di assumere la nostra umanità per renderci partecipi della
sua divinità.
78. Ugualmente, « nella celebrazione di questo ciclo annuale dei
misteri di Cristo, la santa Chiesa venera con speciale amore la beata
Maria Madre di Dio, congiunta indissolubilmente con l'opera salvifica del
Figlio suo ». (122) Allo stesso modo, introducendo nel ciclo annuale,
in occasione dei loro anniversari, le memorie dei Martiri e di altri
Santi, « la Chiesa predica il mistero pasquale nei Santi che hanno
sofferto con Cristo e con lui sono glorificati ». (123) Il ricordo
dei Santi, celebrato nell'autentico spirito della liturgia, non oscura la
centralità di Cristo, ma al contrario la esalta, mostrando la
potenza della sua redenzione. Come canta san Paolino di Nola, « tutto
passa, la gloria dei Santi dura in Cristo, che tutto rinnova, mentre egli
rimane lo stesso ». (124) Questo intrinseco rapporto della gloria dei
Santi a quella di Cristo è inscritto nello statuto stesso dell'anno
liturgico, e trova proprio nel carattere fondamentale e dominante della
domenica, quale giorno del Signore, la sua espressione più
eloquente. Seguendo i tempi dell'anno liturgico, nell'osservanza della
domenica che interamente lo scandisce, l'impegno ecclesiale e spirituale
del cristiano viene profondamente incardinato in Cristo, nel quale trova
la sua ragion d'essere e dal quale trae alimento e stimolo.
79. La domenica appare così il naturale modello per comprendere e
celebrare quelle solennità dell'anno liturgico, il cui valore per
l'esistenza cristiana è così grande che la Chiesa ha
stabilito di sottolinearne l'importanza facendo obbligo ai fedeli di
partecipare alla Messa e di osservare il riposo, benché cadano in
giorni variabili della settimana. (125) Il numero di queste feste è
cambiato nelle diverse epoche, tenuto conto delle condizioni sociali ed
economiche, come del loro radicamento nella tradizione, oltre che
dell'appoggio della legislazione civile. (126)
L'attuale ordinamento canonico-liturgico prevede la possibilità
che ogni Conferenza Episcopale, in ragione di circostanze proprie di
questo o quell'altro Paese, riduca la lista dei giorni di precetto.
L'eventuale decisione in tal senso ha bisogno di essere confermata da una
speciale approvazione della Sede Apostolica, (127) ed in questo caso, la
celebrazione di un mistero del Signore, come l'Epifania, l'Ascensione o la
solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, dev'essere rinviata
alla domenica, secondo le norme liturgiche, perché i fedeli non
siano privati della meditazione del mistero. (128) I Pastori avranno
altresì a cuore di incoraggiare i fedeli a partecipare alla Messa
anche in occasione delle feste di una certa importanza che cadono nel
corso della settimana. (129)
80. Uno specifico discorso pastorale va affrontato in rapporto alle
frequenti situazioni in cui tradizioni popolari e culturali tipiche di un
ambiente rischiano di invadere la celebrazione delle domeniche e delle
altre feste liturgiche, mescolando allo spirito dell'autentica fede
cristiana elementi che le sono estranei e potrebbero sfigurarla. Occorre
in questi casi far chiarezza, con la catechesi e opportuni interventi
pastorali, respingendo quanto è inconciliabile col Vangelo di
Cristo. Non bisogna tuttavia dimenticare che spesso tali tradizioni
ciò vale analogamente per nuove proposte culturali della società
civile non mancano di valori che si coniugano senza difficoltà
con le esigenze della fede. Spetta ai Pastori operare un discernimento che
salvi i valori presenti nella cultura di un determinato contesto sociale e
soprattutto nella religiosità popolare, facendo in modo che la
celebrazione liturgica, specie quella delle domeniche e delle feste, non
ne soffra, ma piuttosto ne sia avvantaggiata. (130)
CONCLUSIONE
81. Veramente grande è la ricchezza spirituale e pastorale della
domenica, quale la tradizione ce l'ha consegnata. Colta nella totalità
dei suoi significati e delle sue implicazioni, essa è, in qualche
modo, sintesi della vita cristiana e condizione per viverla bene. Si
comprende dunque perché l'osservanza del giorno del Signore stia
particolarmente a cuore alla Chiesa e resti un vero e proprio obbligo
all'interno della disciplina ecclesiale. Tale osservanza, tuttavia, prima
ancora che come precetto, deve essere sentita come un'esigenza inscritta
nella profondità dell'esistenza cristiana. E davvero di capitale
importanza che ciascun fedele si convinca di non poter vivere la sua fede,
nella piena partecipazione alla vita della comunità cristiana,
senza prendere regolarmente parte all'assemblea eucaristica domenicale. Se
nell'Eucaristia si realizza quella pienezza del culto che gli uomini
devono a Dio, e che non ha paragone con nessun'altra esperienza religiosa,
ciò si esprime con particolare efficacia proprio nel convenire
domenicale di tutta la comunità, obbediente alla voce del Risorto
che la convoca, per donarle la luce della sua Parola e il nutrimento del
suo Corpo come perenne sorgente sacramentale di redenzione. La grazia che
sgorga da questa sorgente rinnova gli uomini, la vita, la storia.
82. E con questa forte convinzione di fede, accompagnata dalla
consapevolezza del patrimonio di valori anche umani insiti nella pratica
domenicale, che i cristiani di oggi devono porsi di fronte alle
sollecitazioni di una cultura che ha beneficamente acquisito le esigenze
di riposo e di tempo libero, ma le vive spesso in modo superficiale, e
talvolta è sedotta da forme di divertimento che sono moralmente
discutibili. Il cristiano si sente certo solidale con gli altri uomini nel
godere il giorno di riposo settimanale; al tempo stesso, però, egli
ha viva coscienza della novità e originalità della domenica,
giorno in cui è chiamato a celebrare la salvezza sua e dell'intera
umanità. Se essa è giorno di gioia e di riposo, ciò
scaturisce proprio dal fatto che è il « giorno del Signore »,
il giorno del Signore risorto.
83. Percepita e vissuta così, la domenica diventa in qualche modo
l'anima degli altri giorni, e in questo senso si può richiamare la
riflessione di Origene, secondo il quale il cristiano perfetto « è
sempre nel giorno del Signore, celebra sempre la domenica ». (131) La
domenica è un'autentica scuola, un itinerario permanente di
pedagogia ecclesiale. Pedagogia insostituibile, specie nelle condizioni
dell'odierna società, segnata sempre più fortemente dalla
frammentazione e dal pluralismo culturale, che mettono continuamente alla
prova la fedeltà dei singoli cristiani alle esigenze specifiche
della loro fede. In molte parti del mondo si profila la condizione di un
cristianesimo della « diaspora », provato cioè da una
situazione di dispersione, in cui i discepoli di Cristo non riescono più
a mantenere facilmente i contatti fra loro né sono aiutati da
strutture e tradizioni proprie della cultura cristiana. In questo contesto
problematico, la possibilità di ritrovarsi la domenica con tutti i
fratelli di fede, scambiandosi i doni della fraternità, è un
aiuto irrinunciabile.
84. Posta a sostegno della vita cristiana, la domenica acquista
naturalmente anche un valore di testimonianza e di annuncio. Giorno di
preghiera, di comunione, di gioia, essa si riverbera sulla società,
irradiando energie di vita e motivi di speranza. Essa è l'annuncio
che il tempo, abitato da Colui che è il Risorto e il Signore della
storia, non è la bara delle nostre illusioni, ma la culla di un
futuro sempre nuovo, l'opportunità che ci viene data per
trasformare i momenti fugaci di questa vita in semi di eternità. La
domenica è invito a guardare in avanti, è il giorno in cui
la comunità cristiana grida a Cristo il suo «
Marána
tha: vieni, o Signore! » (
1 Cor 16, 22). In questo grido
di speranza e di attesa, essa si fa compagnia e sostegno della speranza
degli uomini. E di domenica in domenica, illuminata da Cristo, cammina
verso la domenica senza fine della Gerusalemme celeste, quando sarà
compiuta in tutti i suoi lineamenti la mistica Città di Dio, che «
non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché
la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello »
(Ap 21, 23).
85. In questa tensione verso il traguardo la Chiesa è sostenuta e
animata dallo Spirito. Egli ne risveglia la memoria e attualizza per ogni
generazione di credenti l'evento della Risurrezione. E il dono interiore
che ci unisce al Risorto e ai fratelli nell'intimità di un unico
corpo, ravvivando la nostra fede, effondendo nel nostro cuore la carità,
rianimando la nostra speranza. Lo Spirito è presente senza
interruzione ad ogni giorno della Chiesa, irrompendo imprevedibile e
generoso con la ricchezza dei suoi doni, ma nel raduno domenicale per la
celebrazione settimanale della Pasqua la Chiesa si mette in speciale
ascolto di lui, e si protende con lui verso Cristo, nel desiderio ardente
del suo ritorno glorioso: « Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni"!
» (
Ap 22, 17). Proprio in considerazione del ruolo dello
Spirito ho desiderato che questa esortazione a riscoprire il senso della
domenica cadesse in quest'anno che, nella preparazione immediata al
Giubileo, è dedicato appunto allo Spirito Santo.
86. Affido l'accoglimento operoso di questa Lettera apostolica, da parte
della comunità cristiana, all'intercessione della Vergine Santa.
Ella, senza nulla detrarre alla centralità di Cristo e del suo
Spirito, è presente in ogni domenica della Chiesa. E lo stesso
mistero di Cristo che lo esige: come potrebbe infatti, Lei che è la
Mater Domini e la
Mater Ecclesiae, non essere presente a
titolo speciale, nel giorno che è insieme
dies Domini e
dies Ecclesiae?
Alla Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la Parola proclamata
nell'assemblea domenicale, imparando da lei a custodirla e meditarla nel
proprio cuore (cfr
Lc 2, 19). Con Maria essi imparano a stare ai
piedi della croce, per offrire al Padre il sacrificio di Cristo ed unire
ad esso l'offerta della propria vita. Con Maria vivono la gioia della
risurrezione, facendo proprie le parole del
Magnificat che cantano
l'inesauribile dono della divina misericordia nell'inesorabile fluire del
tempo: « Di generazione in generazione la sua misericordia si stende
su quelli che lo temono » (
Lc 1, 50). Di domenica in
domenica, il popolo pellegrinante si pone sulle orme di Maria, e la sua
intercessione materna rende particolarmente intensa ed efficace la
preghiera che la Chiesa eleva alla Santissima Trinità.
87. L'imminenza del Giubileo, carissimi Fratelli e Sorelle, ci invita ad
approfondire il nostro impegno spirituale e pastorale. E questo, infatti,
il suo vero scopo. Nell'anno in cui verrà celebrato, molte
iniziative lo caratterizzeranno e daranno ad esso il timbro singolare che
non può non avere la conclusione del secondo millennio e l'inizio
del terzo dall'Incarnazione del Verbo di Dio. Ma questo anno e questo
tempo speciale passeranno, in attesa di altri giubilei e di altre scadenze
solenni. La domenica, con la sua ordinaria « solennità »,
resterà a scandire il tempo del pellegrinaggio della Chiesa, fino
alla domenica senza tramonto.
Vi esorto, perciò, cari Fratelli nell'episcopato e nel
sacerdozio, ad operare instancabilmente, insieme con i fedeli, perché
il valore di questo giorno sacro sia sempre meglio riconosciuto e vissuto.
Ciò recherà frutti alle comunità cristiane e non
mancherà di esercitare benefici influssi sull'intera società
civile.
Gli uomini e le donne del terzo millennio, incontrando la Chiesa che
ogni domenica celebra gioiosamente il mistero da cui attinge tutta la sua
vita, possano incontrare lo stesso Cristo risorto. E i suoi discepoli,
rinnovandosi costantemente nel memoriale settimanale della Pasqua, siano
annunciatori sempre più credibili del Vangelo che salva e
costruttori operosi della civiltà dell'amore.
A tutti la mia Benedizione!
Dal Vaticano, il 31 maggio, solennità di Pentecoste,
dell'anno 1998, ventesimo di Pontificato.
INDICE
Introduzione
Capitolo I
DIES DOMINI La celebrazione dell'opera del Creatore
« Tutto è stato fatto per mezzo di lui » (
Gv 1,
3)
« In principio Dio creò il cielo e la terra » (
Gn
1, 1)
Lo « shabbat »: il gioioso riposo del Creatore
« Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò » (
Gn
2, 3)
« Ricordare » per « santificare »
Dal sabato alla domenica
Capitolo II
DIES CHRISTI Il giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito
La Pasqua settimanale
Il primo giorno della settimana
Progressiva distinzione dal sabato
Il giorno della nuova creazione
L'ottavo giorno, figura dell'eternità
Il giorno di Cristo-luce
Il giorno del dono dello Spirito
Il giorno della fede
Un giorno irrinunciabile!
Capitolo III
DIES ECCLESIAE L'assemblea eucaristica cuore della domenica
La presenza del Risorto
L'assemblea eucaristica
L'Eucaristia domenicale
Il giorno della Chiesa
Popolo pellegrinante
Giorno della speranza
La mensa della Parola
La mensa del Corpo di Cristo
Convito pasquale e incontro fraterno
Dalla Messa alla « missione »
Il precetto domenicale
Celebrazione gioiosa e canora
Celebrazione coinvolgente e partecipata
Altri momenti della domenica cristiana
Assemblee domenicali in assenza del sacerdote
Trasmissioni radiofoniche e televisive
Capitolo IV
DIES HOMINIS La domenica giorno di gioia, riposo e solidarietà
La « gioia piena » di Cristo
Il compimento del sabato
Il giorno del riposo
Giorno di solidarietà
Capitolo V
DIES DIERUM La domenica festa primordiale, rivelatrice del senso del tempo
Cristo Alfa ed Omega del tempo
La domenica nell'anno liturgico
Conclusione
(1) Cfr
Ap 1,10: «
Kyriake heméra »;
cfr anche
Didachè 14,1; s. Ignazio di Antiochia,
Ai
cristiani di Magnesia 9, 1-2:
SC 10, 88-89.
(2) Pseudo Eusebio di Alessandria,
Sermone 16:
PG 86,
416.
(3)
In die dominica Paschae II, 52:
CCL 78, 550.
(4) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra liturgia